Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
GLI APPUNTI DI GIORGIA CLAMOROSO ERRORE: SPACCIARSI COME ANTIPARTITO DOPO AVER RAGGIUNTO IL GOVERNO GRAZIE AL PARTITISMO CHE LA MANTIENE DA 25 ANNI
L’ultimo video della premier Meloni, la nuova puntata degli “Appunti di Giorgia”, sembra segnare l’inizio di una parabola discendente comunicativa per chi, come la presidente del Consiglio, in questi mesi è stata omaggiata da molti commentatori come maestra proprio della comunicazione.
Un video lungo, quasi 30 minuti, che ha messo insieme i temi più svariati, rendendo difficile focalizzarsi su un messaggio in particolare, che non soltanto sconta debolezze già viste in passato, in primis quella di sfornare lunghi soliloqui mentre la premier fugge dalle conferenze stampa e dal confronto con le domande dei giornalisti, ma che sembra voler impostare la campagna per la Riforma costituzionale su un frame che appare decisamente paradossale e tafazziano: popolo contro partiti.
La premier, infatti, ha deciso di puntare sul seguente messaggio, ripreso nei tg: “Che volete fare, volete contare e decidere o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi? Questa è la domanda che faremo se sarà necessario e quando sarà necessario”.
Ecco, se questa è l’impostazione della campagna, certamente può apparire efficace perché si richiama a una lunga tradizione di leader populisti, ma la debolezza sta nel fatto che Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi proprio come rappresentante di punta di una delle poche tradizioni di partito rimaste, quella della destra che è partita dall’Msi, passata dalla lunga stazione di Alleanza Nazionale e poi approdata nell’ultima creatura, Fratelli d’Italia.
Meloni è la campionessa dei partiti, fa attività di partito da quando era adolescente, con che faccia ora vuole passare per antipolitica?
Meloni è entrata nelle istituzioni grazie alla politica per la prima volta 25 anni fa, nel 1998. Grazie al suo partito An e al leader di allora, Gianfranco Fini, è stata nominata vicepresidente della Camera nel 2006. Nel 2008 è stata nominata ministro nel Governo Berlusconi. Poi è stata parlamentare nel Pdl, fino a quando ha deciso di fondare Fratelli d’Italia insieme a La Russa e Crosetto nel 2012. Insomma, una vita intera nella politica e nei partiti. Con che credibilità ora attacca proprio i partiti, che secondo la Costituzione sono lo strumento attraverso il quale i cittadini fanno sentire la propria voce nelle istituzioni?
Meloni non è Berlusconi, che in particolare ai tempi della “discesa in campo” poteva presentarsi come altro rispetto ai partiti per la sua esperienza di imprenditore noto a tutti. Non è un’industriale o una professoressa prestata alla politica, è una persona che vive di politica e di partiti da sempre.
Così come appare un autogol anche l’attacco nell’anticamera della Sala Verde di Palazzo Chigi ai ritratti dei presidenti del Consiglio passati. Molti di quelli inquadrati nel video, penso a Draghi, Renzi, Gentiloni, quando erano premier hanno toccato picchi di consenso e di gradimento degli elettori molto alti. Buona parte degli elettori li rimpiange. Davvero per sostenere la sua riforma Meloni vuole additare esperienze (di quella di Draghi è più vivo il ricordo nei cittadini, ma pensiamo anche a quella di Ciampi) che al loro tempo hanno avuto grande successo e consenso?
Una falsa partenza.
(da Huffingtonpost)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
IL DRAMMATICO MESSAGGIO DEI MEDICI SULLA LAVAGNA DI UN OSPEDALE DI GAZA
«Chi rimarrà fino alla fine racconterà la storia. Abbiamo fatto quello che potevamo. Ricordatevi di noi».
Sono parole in inglese, comparse sulla lavagna di un ospedale a Gaza, dove i medici, spiega Medici senza frontiere che posta la foto su X – sono così «sommersi dal numero di pazienti che è impossibile tenere traccia di tutti gli interventi della settimana».
«Nelle ultime 24 ore, gli ospedali di Gaza sono stati bombardati senza sosta. Il nostro staff ad Al Shifa ha visto persone colpite mentre cercavano di fuggire dall’ospedale», ha sottolineato l’associazione, chiedendo il cessate fuoco. Il testo ha una firma e una data oramai già lontana 20 ottobre 2023, a intervento sulla Striscia già in corso.
«I pazienti in terapia intensiva hanno iniziato a morire»
Una dedica, amara, mentre la situazione sanitaria sulla Striscia è al collasso. Primo tra tutti al_Shifa, il principale della zona, da giorno al centro di combattimenti.
Oggi due neonati ricoverati in terapia intensiva sono morti per i costanti black out elettrici. Mohammed Abu Salmiya, direttore dell’ospedale al-Shifa a Gaza, ha parlato al telefono con l’Associated Press mentre in sottofondo si sentivano spari e delle esplosioni.
«Non c’è elettricità. I dispositivi medici sono fermi. I pazienti, soprattutto quelli in terapia intensiva, hanno iniziato a morire», ha dichiarato.
La condanna Onu
Martin Griffiths, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza ha oggi dichiarato che «gli ospedali devono essere luoghi di maggiore sicurezza, non di guerra». Ha aggiunto che «non ci può essere alcuna giustificazione per atti di guerra nelle strutture sanitarie, lasciandole senza corrente, cibo o acqua, e sparando ai pazienti e ai civili che cercano di fuggire. Questo è inconcepibile, riprovevole e deve finire. Gli ospedali devono essere luoghi di maggiore sicurezza e coloro che ne hanno bisogno devono avere fiducia che siano luoghi di rifugio e non di guerra».
(da Huffingtonpost)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
PD COMPATTO ALLA PRIMA MANIFESTAZIONE VOLUTA DA ELLY…. LE VOCI DELLA PIAZZA: “VOGLIAMO UNA OPPOSIZIONE UNITA”
Con un proverbio francese si direbbe che Elly Schlein ha rimesso la Chiesa al centro del villaggio delle opposizioni. Il Pd c’è, e se l’alternativa è di là da venire, come ammette lei stessa congedando i 50mila di Piazza del Popolo, ora è chiaro a tutti che “senza il Pd non si va da nessuna parte”. Il sottotesto agli interna corporis del Pd è che anche senza Schlein non si va lontano.
E’ più difficile ora dire che la leader del Pd si gioca tutto alle Europee. Come convincere le migliaia di persone che hanno fatto il pienone per la prima piazza della neosegretaria? Striscioni da tutta Italia, e militanti dem assiepati fin sulle scalinate del Pincio, fin sui gradoni delle Chiese: “Non siamo quattro gatti”, recita uno striscione rosso.
Non era scontato: solo stamattina il Corriere della Sera pubblicava il sondaggio di Nando Pagnoncelli che dava Pd e M5s distanziati di un solo punto, 18 a 17. A sera la scena è diversa. Al punto che per suggellare sul piano politico il colpo d’occhio ci voleva forse la foto di Piazza del Popolo. Ma a Schlein è mancata la cattiveria dello scatto, che avrebbe immortalato gli ospiti delle altre forze politiche – Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni – accanto a lei nel giorno della prova di forza dem. E invece gli alleati sono rimasti nel retropalco, e lei li ha ringraziati per due volte, segno di quello “spirito unitario” che rivendica come un punto di forza. “Non siamo interessati alla competizione con gli altri partiti di opposizione. L’alternativa si fa insieme. Ma oggi è un segnale per il futuro”, dice tra gli applausi.
E aggiunge: “Questa è la piazza dell’orgoglio democratico ritrovato” (che è anche un’implicita risposta al “Bentornato orgoglio italiano”, slogan con cui Giorgia Meloni ha convocato per il 14 dicembre la nuova festa di Atreju”.
Il galateo dell’ospite non cancella quello che tutti vedono. Il mondo di Schlein parla dal palco per chiedere al Pd, e alle opposizioni, di esserci davvero. Una giornata di grazia, se è vero che persino Roberto Gualtieri – mestiere difficile il sindaco di Roma – prende gli applausi.
Ma sono gli altri invitati a dare il tono della manifestazione. “Noi ci siamo, voi fate in fretta”, dicono tutti, con accenti diversi. “Teniamo botta, ma c’è un limite!”, recita lo striscione del Pd di Ravvena, al centro della piazza.
Ha quasi le lacrime il medico specializzando Stefano Cuccoli, del Careggi di Firenze. “Noi resisteremo- dice – ma voi arrivate presto perchè tutti ne abbiamo enorme bisogno. E quando toccherà a voi non indicate un ministro alla salute, ma alla sanità pubblica”.
Ilaria Vinattieri, studentessa alla Sapienza, si chiede “cosa deve ancora succedere per costruire un’alternativa credibile. Solo per studiare al liceo i libri costano 500 euro, ci viene chiesto di ringraziare per un lavoro in nero a sei euro l’ora. Il salario minimo è un passo verso un’opposozione vera, ma non bastano più le belle parole. Servono proposte concrete e rendersi conto di essere stati corresponsabili di scelte sbagliate in passato”.
E’ il messaggio di Schlein: orgoglio sì, ma anche autocritica. E lo dicono dal palco la sindacalista de La Perla Stefania Pisani, la pensionata del comitato Opzione Donna Social Caterina Rinaldi, il militante di Fridays For Future Giorgio Brizio e ancora Daniela Ghiotto e Valentina Bagnara, madri a cui hanno annullato la trascrizione a Padova.
Lo dice anche Mamadou Kouassi, il giovane senegalese che ha ispirato il film di Matteo Garrone “Io capitano”. “I migranti in Albania non ci vogliono andare perché sognano l’Europa, e i loro sogni vanno rispettati. Ma voi- dice al centrosinistra- quando toccherà a voi, cancellate la Bossi-Fini”.
Tra i più applauditi il giornalista Paolo Berizzi, cronista sotto scorta: “Venti anni fa mi chiedevano dove vedessi tutti questi fascisti. Quando me lo chiedono oggi rispondo che li vedo al governo”.
Ad ascoltare c’è tutto lo stato maggiore Pd, dai più vicini alla segretaria (Furfaro, Boccia, Gribaudo, Franceschini, Ricciardi, Graziano, Giorgis tra gli altri) all’ala riformista di Lorenzo Guerini, Dario Nardella, al presidente del partito Stefano Bonaccini.
A tutti Schlein ricorda il dovere di “provare a costruire il campo progressista, la sinistra del 2023”. Le parole della segretaria diventano più nette mano a mano che si avvia alla fine del discorso. Sul premierato, ricorda, non ci sono margini di trattativa.
“Noi non ci stiamo. Domani una persona comanderà tutto. Giù le mani dalle prerogative del Presidente della Repubblica”. È il messaggio che manda alla presidente del consiglio. Schlein cita Meloni a più riprese, e sono i passaggi più applauditi del suo discorso. “Meloni non vuole governare, vuole comandare”, dice.
La piazza attende parole chiare sulla crisi mediorientale. Il tema divide la sinistra, ed era temuto dagli organizzatori. Ma alla fine ci sono state solo un paio di bandiere filopalestinesi, ritirate, sembra, su pressione del servizio d’ordine. Schlein ribadisce la richiesta di un “cessate il fuoco umanitario”, formula un po’ ambigua, ma condanna senza incertezze “la brutalità di Hamas” e insieme “le violazioni del diritto internazionale” di questi anni da parte di Israele. “La guerra- dice – non è mai la prosecuzione della politica. E’ il fallimento”. I militanti applaudono a lungo.
Per Susanna Camusso la manifestazione segna oggi “un cambiamento d’umore” nei confronti del Pd e di Schlein. “Lei sta costruendo la sua agenda pezzo dopo pezzo e deve continuare a farlo. Perché è così che si costruisce l’alternativa. Io le dico ‘resisti’”. La piazza cancella anche i sospetti – anche nel Pd – sulla reale capacità di Schlein di reggere il peso della leadership. “Lo dicevano anche di me. Perché si fa fatica ad accettare che una donna rivesta un ruolo di responsabilità organizzativa e politica. Ma da questa piazza oggi – dice Camusso ad Huffpost – arriva un messaggio che è l’esatto contrario dell’accerchiamento. Questa piazza riconosce che noi l’opposizione la facciamo davvero. E che lei sta facendo il suo lavoro rigorosamente, anche se in un contesto difficile”.
E’ la piazza la forza della segretaria. Sul palco lei canta Bella Ciao, attorniata dai Giovani Democratici, tra lo sventolare di bandiere. Poi l’abbraccio con Adelmo Cervi, figlio di Aldo, ucciso insieme ai sei fratelli dai fascisti il 28 Dicembre 1943.
“Sono entrato nel Pd perché c’era lei – spiega Cervi ad Huffpost – ha dato una carica di sinistra che mancava. Oggi ha dimostrato che sa fare la segretaria, perché questa è una bella prova di organizzazione”.
Un messaggio anche per gli altri partiti di opposizione. “Per fare l’unità bisogna che ognuno rinunci a qualcosa. Ma sulla riforma della Costituzione si può essere tutti d’accordo. Concentrare il potere nelle mani di uno solo è un pericolo. E ve lo dico io che l’uomo solo al comando so cosa significa”.
(da Huffingtonpost)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
L’UFFICIO STUDI DI INTESA SANPAOLO AVVERTE CHE LA SITUAZIONE NON MIGLIORERÀ FACILMENTE, PER L’ISTAT L’INTERA ECONOMIA ITALIANA VA VERSO UN RALLENTAMENTO. E I PRESTITI SCENDONO DEL 3,6%
A ottobre, «la fiducia di famiglie e imprese ha continuato a calare, suggerendo che l’economia italiana potrebbe rallentare nei prossimi mesi». Si chiude con questa previsione negativa la nota mensile sull’andamento dell’economia italiana dell’Istat, che ieri ha anche reso noti i dati sulla produzione industriale di settembre.
Il commento dell’Istat rappresenta una doccia gelata, a maggior ragione visto che i dati sulle imprese presentano elementi positivi e timidi segnali di ripresa. Rispetto ad agosto, la produzione industriale è rimasta stabile e anzi rispetto al secondo trimestre 2023 ha fatto segnare un lieve aumento dello 0,2%, ma se confrontato con settembre 2022 mostra un calo del 2%.
«L’output nell’industria è risultato invariato a settembre (ci si attendeva una lieve flessione), ed è anzi cresciuto lievemente nel trimestre estivo dopo 4 trimestri consecutivi di ampia contrazione», commenta l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo. «È troppo presto però», spiegano gli esperti, «per considerare terminate le difficoltà del settore industriale, visto che il commercio mondiale stenta a ripartire, e le imprese segnalano domanda debole e un eccesso di scorte».
Tornando ai dati Istat, l’indice destagionalizzato mensile mostra aumenti congiunturali per beni strumentali (+1,5%), energia (+1,1%) e beni intermedi (+0,8%) mentre cala per i beni di consumo (-2,2%) che anno su anno fanno segnare una flessione del 6,5%. Guardando invece ai nove mesi, l’Istat segnala che nei primi nove mesi dell’anno la produzione industriale è diminuita del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2022, con un calo consistente per l’energia (-7,3%) e per i beni di consumo (-3,5%) soprattutto a causa della riduzione della produzione dei beni durevoli (-6,1%). L’unico aumento si segnala per i beni strumentali (+3,5%).
In sintesi, conclude la sua nota l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo «stante una protratta debolezza dell’attività industriale, e visto che si moltiplicano i segnali di decelerazione nei servizi, stanno aumentando i rischi al ribasso sull’orizzonte di crescita, almeno per quanto riguarda la parte finale del 2023 e la prima metà del 2024».
Un’analisi che vede nubi addensarsi sul futuro. Nubi che vede anche l’Istat, che nel commento sull’andamento dell’economia di ottobre certifica le possibili difficoltà in arrivo.
«Le prospettive economiche internazionali restano molto incerte, condizionate dall’acuirsi delle tensioni geo-politiche e dalle condizioni finanziarie sfavorevoli per famiglie e imprese», scrive l’istituto nella sua nota. Nel terzo trimestre, «il Pil italiano è stato, in base alla stima preliminare, stabile rispetto ai tre mesi precedenti, registrando un risultato migliore della Germania ma peggiore rispetto a quello di Francia e Spagna. La variazione acquisita della crescita del Pil per il 2023 è pari a 0,7%», ma resta la previsione di un rallentamento nei prossimi mesi.
Una previsione negativa confermata in qualche modo anche da Bankitalia, secondo cui famiglie e imprese faticano anche solo ad avere un mutuo o un prestito. In settembre i prestiti al settore privato – dice Bankitalia – sono diminuiti del 3,6% sui dodici mesi, quelli alle famiglie sono calati dello 0,9% mentre quelli alle società non finanziarie si sono ridotti del 6,7%, con l’unica magra consolazione di una micro-limatura dei tassi di interesse sui mutui che sono passati dal 4,67% di agosto al 4,65%.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA CALA DI OLTRE UN PUNTO NELL’ULTIMO MESE, SCENDENDO AL 28,5%, IL DATO PIÙ BASSO DALLE ELEZIONI 2022. IN CALO ANCHE LA LEGA. MA IL PD NON NE APPROFITTA
Il mese di ottobre è stato caratterizzato da avvenimenti rilevanti, sia a livello internazionale — panorama dominato dal conflitto israelo-palestinese, ma caratterizzato anche dal fenomeno migratorio che ha portato al recente accordo con l’Albania, fino alle persistenti tensioni con l’Europa relative al patto di Stabilità, e alla ratifica del Mes — sia a livello interno, in particolare relativamente alla discussione della legge di Bilancio e al lancio del premierato, cui è stata data grande enfasi da Giorgia Meloni.
I contraccolpi sul governo cominciano a farsi sentire. Prosegue infatti il progressivo calo del consenso intorno all’operato dell’esecutivo: dalla ripresa dopo le ferie prevalgono le opinioni negative, che agli inizi di novembre si rafforzano, con quasi la metà degli italiani (49%) che boccia l’operato del governo, a fronte del 40% che invece esprime approvazione. L’indice sintetico (la percentuale di giudizi positivi su chi si esprime, esclusi i «non sa») di questa settimana è di 45, in calo di ulteriori due punti rispetto ai mesi scorsi.
Anche per la presidente del Consiglio crescono i giudizi negativi: oggi troviamo un’approvazione del 41%, un dissenso che invece assomma al 48%. Con un indice di 46, in contrazione ancora più netta rispetto a quello dell’esecutivo, con un calo di tre punti nell’ultimo mese.
Sembra, insomma, che sempre più il dato della premier Meloni si allinei a quello del governo. Il disagio di cui abbiamo più volte parlato si accentua ancora e non è più, almeno in parte, attutito dal consenso della premier, come succedeva invece negli ultimi mesi dello scorso anno. Da sottolineare che la flessione degli indici di gradimento risulta più accentuata tra i ceti meno abbienti e, in generale, tra coloro che vivono difficoltà economiche.
Anche nello scenario di voto qualcosa cambia. Prima di tutto per Fratelli d’Italia, che cala di oltre un punto nell’ultimo mese, collocandosi al 28,5% il dato più basso dal dopo voto. In calo anche la Lega, di quasi un punto. La crescita di ottobre dunque non si conferma, anche perché Salvini ha fatto più difficoltà a trovare quegli argomenti capaci di incidere sulla «pancia» del proprio elettorato.
In crescita invece Forza Italia (di meno di un punto) che, a dispetto delle previsioni di numerosi commentatori all’indomani della scomparsa di Berlusconi, conferma ampiamente la propria capacità di tenuta elettorale, da ricondurre in parte al posizionamento moderato all’interno della coalizione e in parte alla visibilità e all’apprezzamento del suo leader Antonio Tajani nel ruolo di ministro degli Esteri, in considerazione anche dell’attuale preoccupante contesto internazionale.
Nel complesso, quindi, il centrodestra segna un arretramento (-1,4% rispetto allo scorso mese, con un risultato complessivo del 46,6%). Insomma, per la prima volta da qualche tempo, l’insoddisfazione sembra incidere anche negli orientamenti di voto.
Tuttavia, di questa scontentezza, l’opposizione beneficia solo in minima parte: il Pd perde ancora decimali (mezzo punto rispetto a ottobre) e si colloca al 18% — un risultato inferiore al dato delle Politiche —, mentre qualcosa guadagnano le formazioni minori, in particolare +Europa che sale dello 0,6% e giunge al 2,6%.
Complessivamente il centrosinistra rimane stabile, con un incremento di due decimali. Stabile anche il Movimento 5 Stelle, oggi al 17% contro il 16,9% dello scorso mese. Le forze dell’ex Terzo polo vedono una lieve risalita di Italia viva (+0,5% che la porta al 3,5%) che sorpassa di poco Azione che si attesta al 3,1%.
§Per quel che riguarda i leader politici, da segnalare la discesa di Matteo Salvini, coerentemente con quanto evidenziato dalle intenzioni di voto. Il leader della Lega perde i due punti guadagnati a ottobre e torna ai livelli di settembre. In positivo invece Maurizio Lupi, che vede il proprio indice crescere di due punti, al 22. Stabili gli altri leader testati: in testa rimane Antonio Tajani (indice di 32), immediatamente dietro e altrettanto stabile Giuseppe Conte (31). Nessuna variazione per gli altri con Elly Schlein al 25 e i rimanenti sotto il 20.
MONITOR ITALIA. DIRE-TECNÈ: 51,1% ITALIANI NON HA FIDUCIA NEL GOVERNO, 41,8% SÌ
Aumentano (di poco) gli italiani che non hanno fiducia nel governo Meloni, ormai stabilmente sopra il 50%. Nell’ultima settimana la fetta degli scontenti è cresciuta dello 0,1%. E’ quanto emerge da un sondaggio Dire-Tecnè con interviste effettuate il 9 e 10 novembre 2023. Il 51,1% non ha fiducia nell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, a fronte del 41,8% (-0,2% negli ultimi sette giorni) che lo promuove. Molto ampia (7,1%) la percentuale di chi ‘non sa’ (+0,1).
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO L’ACCORDO TRA FRANCIA E GERMANIA, LA DUCETTA È ANCORA PIÙ ALL’ANGOLO: METTERSI SULLE BARRICATE, COME HA FATTO SOLO ORBAN, NON È UN’OPZIONE PARTICOLARMENTE ATTRAENTE PER UN PAESE CON IL DEBITO PUBBLICO AL 145% DEL PIL
Giovedì a Bruxelles l’unico Paese a dichiararsi davvero in disaccordo con le nuove regole di bilancio europee è stata l’Ungheria: anche questo vorrà pur dire qualcosa. Giancarlo Giorgetti invece ha descritto i suoi dubbi sull’eccessivo accumularsi degli «ancoraggi» sul deficit e delle «salvaguardie» sul debito.
Il ministro dell’Economia ha sottolineato anche l’importanza di lasciar spazio a investimenti e spese che sono ormai un obbligo per i governi europei, oltre che una scelta: dalla transizione verde, alla difesa, all’aiuto all’Ucraina. Ma, dietro le porte della sala dell’Ecofin, Giorgetti non ha fatto balenare la possibilità di un veto di Roma sull’intero pacchetto.
Al termine del suo intervento la ministra spagnola Nadia Calviño, al centro del negoziato in quanto presidente di turno, lo ha ringraziato. Solo dopo, fuori dalla riunione, fonti italiane hanno fatto sapere che il governo è pronto anche a tornare alle vecchie regole: quell’osservazione è suonata una velata minaccia di bloccare l’accordo, se le nuove regole implicassero una serie di correzioni di bilancio troppo severe. Vedremo presto se dietro l’uscita dell’Italia c’è una reale disponibilità a far saltare il tavolo o si tratta di un approccio negoziale.
Vedremo anche se nel governo c’è chi la tentazione di bloccare l’avverte più forte — magari a Palazzo Chigi — e chi invece vede soprattutto i limiti di una tattica del genere: non farebbe che centrare ancora di più i riflettori sull’Italia, che già oggi appare l’anello debole dell’area euro sul piano finanziario. Proprio giovedì Eurasia Group, la società di consulenza di Ian Bremmer, ha fatto circolare un rapporto dal titolo: «Come reagirebbero Giorgia Meloni e l’Unione europea in caso di vendite importanti sul mercato» (implicito: dei titoli di Stato di Roma).
Di certo il nervosismo nel governo riflette una svolta nel negoziato a Bruxelles. Parigi ha accettato che ci sia nelle regole un’«ancora» sul deficit: significa che i governi dovranno puntare a un obiettivo di disavanzo tuttora da negoziare (la scelta è fra l’1%, l’1,5% e il 2% del prodotto lordo) con valutazione alla fine di un percorso di alcuni anni (forse sette). Quest’«ancora» si aggiunge a una «salvaguardia» che prevede un calo minimo del debito ogni anno (di meno dell’1% del Pil all’anno, ma forse di più dello 0,5%), su un periodo di vari anni).
Se Parigi ha accettato tutti questi vincoli è probabilmente per una ragione precisa. Essa coincide con la caratteristica saliente delle nuove regole di bilancio, benché di essa si parli poco dato che in realtà in moltissimi l’accettano: i percorsi di risanamento dei singoli Paesi sul medio e lungo periodo, ma da avviare senza troppo indugio, saranno basati su un’«analisi di sostenibilità del debito». E questa sarà ampia e controllata dagli altri governi.
L’obiettivo è dare ai conti di ogni Paese un equilibrio tale che il debito non esploda tra dieci, 15 o 17 anni in caso di choc simili alla crisi finanziaria del 2008, alla pandemia del 2020 o alla crisi energetica del 2022. […] i cammini di Italia e Francia — che pure oggi hanno conti simili — si separano: in futuro gli sforzi di bilancio richiesti a Parigi potrebbero essere meno duri, perché il profilo demografico francese è molto più dinamico. E la dinamica di produttività italiana è più debole. Ma neanche mettersi sulla barricate da sola con l’Ungheria, per bloccate tutto, sembra per l’Italia un’opzione particolarmente attraente.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
“I PRIMI MINISTRI DI INGHILTERRA, SPAGNA E GERMANIA CONTANO INFINITAMENTE DI PIÙ DEI LORO PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA”… PECCATO CHE INGHILTERRA E SPAGNA SIANO DUE MONARCHIE, QUINDI NON ESISTA ALCUN PRESIDENTE
La difesa della riforma del premierato costa cara a Bruno Vespa, scivolato in uno strafalcione clamoroso sull’ordinamento dell’Inghilterra e della Spagna. Nell’elogiare le scelte del governo Meloni, impegnato nel riscrivere l’architettura costituzionale della Repubblica inserendo l’elezione diretta del presidente del Consiglio, il conduttore di Porta a Porta e Cinque Minuti ha finito per riscrivere lui, in maniera maldestra, il sistema politico dei due Stati. Un’uscita che ha scatenato centinaia di commenti sui social e ha innescato anche le correzioni della comunità di X, l’ex Twitter.
“Gli italiani sono presidenzialisti da sempre”, esordisce il giornalista della Rai in un video-editoriale. Quindi il commento sulla riforma del premierato, che a breve approderà in Parlamento senza molte speranze di raggiungere la maggioranza dei due terzi in entrambe le camere, unica via per evitare il referendum. Lo stesso esecutivo nutre poche speranze di farcela, tant’è che venerdì sera Giorgia Meloni ha aperto una sorta di campagna social in vista della possibile consultazione.
“Ora una riforma light… light… light… quasi che il sapore non si sente”, spiega Vespa prima di addentrarsi nella ricostruzione errata al centro delle polemiche. “I primi ministri di Inghilterra, non parliamo poi di Macron che è una Madonna, Spagna e Germania contano infinitamente di più dei loro presidenti della Repubblica – dice convintamente il conduttore – Uno non sa neanche come si chiamano. Non ho capito tutto ‘sto pericolo dove sta”.
Peccato che Inghilterra e Spagna siano due monarchie, altro che repubbliche, e quindi non esista alcun presidente ma semmai i re, Carlo III e Filippo VI.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
“ISRAELE PUOì PUNTARE AL MASSIMO A RENDERE HAMAS UNA FORZA IRRILEVANTE MA LE RAGIONI IDEOLOGICHE E LE SPINTE MORALI CHE SONO ALLA BASE DEL TERRORISMO NON POSSONO ESSERE SCONFITTE DALLE ARMI, MA SOLO CON LAS POLITICA”
Come i sovietici a Stalingrado, i vietcong a Saigon e i talebani a Kabul, i miliziani di Hamas stanno conducendo nella Striscia di Gaza una guerriglia spietata contro le truppe israeliane. I soldati dello stato ebraico devono fronteggiare non solo i blitz a sorpresa di piccole unità di combattenti nemici, ma anche attacchi improvvisi con trappole esplosive disseminate in ogni strada.
Insomma, sebbene l’esercito israeliano sia indubbiamente molto più armato e tecnologicamente avanzato rispetto a quello di Hamas, la guerriglia urbana a Gaza City sta infliggendo gravi perdite all’IDF. A spiegarlo, intervistato da Fanpage.it, il generale Paolo Capitini. Secondo il militare l’obiettivo di Tel Aviv è quello di passare al setaccio il nord dell’enclave palestinese eliminando i miliziani ma soprattutto distruggendo i loro tunnel e i depositi di armi. L’operazione, tuttavia, è destinata a durare a lungo e a causare un gran numero di perdite, con una ulteriore certezza. Se sarà forse possibile debellare il braccio militare di Hamas per qualche anno, le armi non potranno fare molto contro l’organizzazione politica che controlla la Striscia di Gaza. “Le ragioni ideologiche, le rivendicazioni le spinte morali che sono spesso alla base delle organizzazioni terroristiche non possono essere sconfitte con le armi, ma solo con la politica”.
Quali manovre sta conducendo Israele negli ultimi giorni nella Striscia di Gaza e quali sono gli obiettivi, dal punto di vista militare?
Dopo i bombardamenti delle prime settimane le forze armate israeliane sono entrate a Gaza ed hanno condotto prevalentemente due manovre – dal centro e dal nord della Striscia – per isolare il campo di battaglia tramite una tecnica chiamata “cinturazione”. Israele, quindi, ha stabilito l’area in cui svolgerà la seconda parte della sua operazione di terra, ovvero la ricerca e distruzione, casa per casa, degli obiettivi: non solo dei miliziani di Hamas, ma anche i loro covi, i tunnel, i depositi di armi e munizioni e tutto il supporto tecnico logistico che ha fatto di Hamas una forza militarmente rilevante. Per entrare più nel dettaglio: a sud le forze israeliane si sono mosse percorrendo la strada che attraversa la Striscia da est a ovest fino ad arrivare al mare ponendosi come uno sbarramento per eventuali movimenti da nord verso sud. Al nord, invece, le truppe si stanno spingendo verso il cuore di Gaza City attuando quelle operazioni di ricerca e distruzione cui si accennava prima. In questa fase il ricorso alla aviazione è divenuto più mirato e selettivo rispetto ai giorni che hanno preceduto l’offensiva di terra, questo perché ora a Gaza ci sono anche militari dell’IDF e non si può correre il rischio che vangano colpiti dai missili del loro stesso esercito. Secondariamente l’essere così a contatto con la popolazione civile genera degli obblighi operativi a tutela – finché possibile – dell’incolumità dei non-combattenti. Gli aerei vengono dunque utilizzati prevalentemente su richiesta degli uomini a terra, che indicano il luogo esatto da colpire fornendone le esatte coordinate. La tattica israeliana di qui in avanti sarà probabilmente questa e verrà ripetuta costantemente, passando al setaccio tutta Gaza City. Servirà molto tempo e un dispendio notevole di uomini e mezzi.
A proposito: è possibile stimare quante sono le perdite israeliane?
Non mi è possibile fornire un numero esatto, ma di certo dal punto di vista umano si tratta di un’operazione molto dispendiosa. La ragione è semplice: le minacce si svelano solo all’ultimo momento. Un gruppo di soldati sta camminando quando improvvisamente qualcuno spara loro dalla finestra di un palazzo. Oppure incontrano ordigni inesplosi a bordo strada, auto imbottite di esplosivo, bombe da mortaio nascoste sotto le macere, trappole innescate da fili di inciampo, mine antiuomo e così via. Insomma, quello a Gaza è uno scenario molti simile all’Afghanistan o ai combattimenti per la presa di Mosul. A ogni passo i soldati israeliani rischiano la vita e a parte questo, in un simile ambiente anche il dispendio di energie fisiche e mentali è altissimo.
Esiste ancora, secondo lei, un piano per recuperare gli ostaggi israeliani catturati da Hamas il 7 ottobre?
Gli ostaggi oggi sembrano avere una funzione eminentemente politica per tutti gli attori in campo. Hamas li usa come “merce di scambio”, mentre Israele come giustificazione per proseguire l’invasione della Striscia di Gaza. Dal punto di vista operativo tuttavia non ci sono dubbi che l’operazione di Tel Aviv non è stata progettata allo scopo di liberare gli ostaggi. Attenzione: questo non significa che se verranno individuati non verranno liberati, ma semplicemente che non è quello l’obiettivo principale. È possibile, comunque, che nel “passare al setaccio” Gaza vengano incidentalmente scoperte le prigioni in cui Hamas nasconde uomini, donne e bambini catturati il 7 ottobre: in quel caso Israele interverrà certamente con i suoi reparti speciali
Hamas ha attirato Israele in una trappola? In che modo si stanno difendendo i guerriglieri palestinesi?
Hamas sta mettendo in pratica quanto fatto negli ultimi decenni da tutti coloro che sono stati chiamati a difendersi nelle città. Da Stalingrado in poi, le città sono state trasformate in fortilizi, con nuclei di 4/5 persone che combattono indipendentemente dagli altri. Ciascuno di questi piccoli gruppi non è probabilmente a conoscenza del quadro generale della situazione, ma è chiamato a difendere una singola strada, una palazzina, o un deposito di armi. In questo quadro i guerriglieri palestinesi si sono organizzati con largo anticipo: hanno accumulato da tempo razzi, munizioni e viveri. Insomma, tutto quello che serve per attendere gli israeliani ed affrontarli, predisponendo anche, se possibile, via di fuga nei tunnel. I combattimenti sono episodici e frequentissimi, quindi snervanti anche sotto il profilo psicologico.
Di quali armamenti dispone Hamas?
Prevalentemente armi leggere come Kalashnikov, bombe Molotov, mitragliatrici, esplosivi e un gran numero di lanciarazzi controcarro RPG-7, in grado di fermare efficacemente un mezzo blindato e persino un carro armato. Oltre a questo c’è l'”artiglieria” di Hamas, cioè i razzi che continuano ad essere lanciati contro le città israeliane.
Cosa hanno insegnato le “guerre al terrorismo” degli ultimi decenni? In uno scontro tra un esercito regolare e uno di guerriglieri chi ha la meglio?
Analizzando la storia militare recente emerge che le guerriglie hanno un grande vantaggio, perché possono protrarsi per molto tempo, anche per parecchi anni. Basta guardare alla resistenza dei vietcong in Vietnam o a quella dei talebani in Afghanistan. Combattere il terrorismo, dunque, significa affrontare innanzitutto un metodo, un vero e proprio modo di combattere, ed è estremamente complicato. Un esercito moderno, fatto per affrontare simmetricamente altri eserciti, ha infatti grandi difficoltà a combattere unità terroristiche che adottano metodi e armamenti molto differenti e non convenzionali. I guerriglieri non combattono in campo aperto, non hanno armi pesanti né procedure comparabili a quelle di un esercito regolare. Non dimentichiamoci che l’esercito USA ha impiegato pochi giorni a sbaragliare quello iracheno, ma ha poi trascorso mesi e mesi a tentare di pacificare le principali città irachene. Alla luce di ciò penso che gli eserciti debbano sviluppare ancora di più rispetto al presente specifiche capacità operative per combattere il metodo terroristico, creando apposite unità, con armamento e addestramento dedicato, oltre a una mentalità nuova, quella necessaria a reggere l’impatto con una guerriglia lunga anni, se non decenni.
Alla luce di quanto ci ha appena spiegato l’obiettivo declamato da Israele di distruggere Hamas può essere realisticamente raggiunto?
Penso che ci sia un equivoco lessicale di fondo. Quando si dice che Israele vuole “distruggere Hamas” un soldato pensa solo una cosa: che si voglia rendere quell’organizzazione politico-militare inoffensiva sul piano militare. Una volta concluso l’intervento l’organizzazione terroristica non deve cioè essere più in grado, almeno per qualche anno, di minacciare militarmente la sicurezza con azioni complesse e coordinate. Questo concetto è molto diverso dal dire: “Facciamo sparire completamente Hamas”. Israele può puntare al massimo a renderla una forza militarmente irrilevante ma solo per un tempo tutto sommato limitato. Le ragioni ideologiche, le rivendicazioni, le spinte morali che sono spesso alla base delle organizzazioni terroristiche non possono essere sconfitte con le armi, ma solo con la politica.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 11th, 2023 Riccardo Fucile
“IN PASSATO, DOPO PANDEMIE E CONFLITTI, MATRIMONI E NASCITE RIPRENDEVANO, OGGI NON È PIÙ COSÌ. ORMAI I RAGAZZI FANNO FIGLI SOLO SE RITENGONO CHE CI SIANO SICUREZZA ECONOMICA E GARANZIA DI BENESSERE
Nel corso di un conflitto si muore moltissimo e si nasce pochissimo. Il calo demografico si registra durante e dopo, anche molto dopo, tanto nei Paesi in cui si combatte, quanto altrove, nel mondo intorno. «Le guerre stanno indebolendo la propensione ad avere figli: tutti i rapporti che abbiamo lo dicono. E questo riguarda i giovani italiani, spagnoli, tedeschi: la visione positiva del futuro, già molto provata, viene ulteriormente minata, e condiziona le decisioni più impegnative e responsabilizzanti, come è quella di costruire una famiglia», dice a La Stampa Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano.
Sarà sempre più difficile assistere a un “babyboom” come quello italiano degli anni Sessanta, quando l’euforia della ripresa dalla Seconda guerra mondiale incrementò le nascite: all’epoca, sul mettere al mondo un bambino non gravavano le incertezze strutturali del nostro tempo e, soprattutto, la voglia di creare una famiglia era robusta, indiscussa, nella maggior parte dei casi indiscutibile.
«In guerra si nasce pochissimo. Non ci sono le condizioni per formare una famiglia, gli uomini sono al fronte e si vive una condizione di disagio perenne che affievolisce e spegne la sessualità. Ma il punto più rilevante è quello che succede dopo: in passato, dopo un grande trauma, di solito, si assisteva a una ripresa rapida e molto vivida: i matrimoni e le unioni riprendevano, così come le nascite. Oggi è molto diverso: formare una famiglia non è più scontato e, anzi, è una scelta molto debole, riflettuta, indagata.
E il rischio è quindi che, dopo le ferite della guerra, anziché ripartire di slancio, i Paesi che l’hanno subita si ritrovino a fronteggiare un andamento demografico indebolito, e in sofferenza cronica. L’Ucraina era già un paese con una natalità molto bassa e con molti flussi migratori in uscita: è molto probabile che la guerra abbia accelerato ulteriormente tanto l’uscita di popolazione quanto il declino della natalità. In sostanza, le condizioni che in passato consentivano di recuperare un declino demografico dopo una guerra, oggi si ripropongono assai più faticosamente».
Gaza può fare eccezione, visto quanto è giovane la sua popolazione?
«A Gaza la natalità è particolarmente elevata: è una forte dimostrazione identitaria. Nel fare figli la comunità trova il mezzo migliore di esprimere il desiderio di venire riconosciuta e, naturalmente, di esistere
La guerra è andata a incidere su questa popolazione che ha una base demografica ampia, difficilmente riscontrabile altrove, anche in Medio Oriente, e che però adesso viene fortemente colpita, ma gli effetti futuri dipenderanno dal modo in cui si deciderà di risolvere la crisi attuale».
A pesare sulle fragilità persistenti che un conflitto crea rispetto alla demografia, sono di più gli aspetti economici o quelli psicologici?
” I ragazzi di tutto il mondo si sentono minacciati da quello che succede a Gaza: per tutti si tratta dell’ennesimo segnale di futuro fosco, insicuro, insondabile. Le nostre società sono abitate da chi considera prioritario fare figli e, quindi, non bada alle difficoltà oggettive, e li fa comunque.
Non sono pochi, però, quelli che a fare figli sono poco interessati e, pertanto, li farebbero solo in presenza di condizioni oggettivamente adeguate».
Quali sono queste condizioni?
«La sicurezza economica e la garanzia di un benessere inteso nel senso più ampio, su vasta scala: di un tenore di vita che renda possibile la felicità.
Se ci confrontiamo con Paesi come Francia e Svezia, la sensibilità rispetto al cambiamento climatico pesa su tutti e riduce la natalità.
In Italia, dove ci sono condizioni oggettivamente peggiori per fare una famiglia, quella sensibilità ha un peso maggiore. La fecondità è bassa tanto in Italia quanto in Francia, ma in Italia è dell’1,2 figli per donna, in Francia dell’1,8. Quella differenza è legata a condizioni oggettive e carenza di politiche pubbliche adeguate».
Perché gli immigrati che arrivano in Italia smettono di fare figli?
«Perché si scontrano con le stesse difficoltà che hanno le donne e le famiglie italiane: la vita è molto più complessa, accedere ai servizi non è scontato e non si può far affidamento alla propria rete familiare. Poi, cambiano gli orientamenti di valori. Nonostante questo, la fecondità delle italiane è 1,2: quella delle straniere di 1,9».
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »