Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
FDI 27,7%. PD 21%, M5S 15,8%, LEGA 8,4%, FORZA ITALIA 7,6%, AZIONE 4%, VERDI-SINISTRA 3,7%, ITALIA VIVA 2,8%… ELLY HA RECUPERATO IL 6.9% DEGLI ELETTORI CHE NON HANNO VOTATO PD ALLE POLITICHE
All’indomani della manifestazione di Roma dell’11 novembre, il Pd sale fino alla soglia del 21%. Il sondaggio Winpoll, rimbalza nelle chat dei dem e fa sorridere Elly Schlein: la segretaria dem è considerata la “leader più credibile” per guidare una coalizione progressista alternativa alla maggioranza di centrodestra. Lo afferma il 48% di un campione composto da elettori di Pd, 5 Stelle, Verdi e Sinistra, +Europa, Italia Viva e Azione. Alle sue spalle, ma staccato, c’è Giuseppe Conte al 33%, poi Carlo Calenda (11%) che precede Matteo Renzi (8%).
M5S al 15,8%, FI vicina alla Lega
Secondo il rilevamento, FdI resta primo partito col 27,7%. Alle spalle del Pd c’è il M5S col 15,8%, poi la Lega (8,4%) seguita molto da vicino da Forza Italia (7,6%). Azione dopo l’ufficializzazione della rottura con Renzi è al 4% mentre Italia Viva è al 2,8%: tra i due c’è l’Alleanza verdi e sinistra al 3,7%.
Effetto Schlein
Il dato ritenuto più interessante dai dem è legato al 6,9% di elettori che alle Politiche 2022 non ha votato per il Pd e che oggi invece dichiara di essere pronto a farlo. Oltre metà (3,9%) arriva tra gli astensionisti, mentre 1,3% erano ex elettori 5S e 1,2% arriva da Verdi e Sinistra.
Nei corridoi del Nazareno viene ritenuto il riscontro più significativo di un effetto Schlein sul Pd. Nel complesso, chi si dichiara tuttora incerto sul proprio voto, individua il Partito democratico come alternativa principale al centrodestra nel 47%, mentre Verdi e sinistra (17%) e M5S (16%) sono staccati.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
LA MAGGIOR PARTE DELLE RISORSE, FRUTTO DI UN EXTRA DEFICIT DA 15 MILIARDI, È DEDICATA A RINNOVARE SOLO PER UN ANNO UNA MISURA GIÀ IN VIGORE, CIOÈ IL TAGLIO DEL CUNEO FISCALE
“Curioso scioperare contro questa manovra, che mette 16 miliardi per pensionati, lavoratori e malati”, ha detto il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini.
Ma l’analisi della seconda legge di Bilancio del governo Meloni racconta una storia diversa. La maggior parte delle risorse, frutto di un extra deficit da 15 miliardi, sono dedicate a rinnovare solo per un anno una misura già in vigore, cioè il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori più poveri.
Mentre sulle altre voci prevale la priorità di tenere sotto controllo i conti pubblici, la prudenza e la credibilità più volte evocate dalla premier Meloni e dal ministro dell’Economia Giorgetti: la manovra fa cassa sulle pensioni, introducendo criteri perfino più restrittivi rispetto alla legge Fornero, non prevede misure per la crescita, stanzia per la sanità risorse insufficienti a coprire l’aumento dei costi. Tradendo quasi tutte le promesse del governo.
Gli stipendi: taglio del cuneo confermato un anno, ma nel 2024 sarà dura
Come anticipato più volte da Meloni e Giorgetti, la manovra dedica la posta più ricca – 11 miliardi – alla conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi più bassi. Il beneficio, combinato con la rimodulazione Irpef, sarà secondo l’Istat di circa 1.100 euro a famiglia nell’anno.
Eppure parlare di “aumento degli stipendi”, come ha fatto ieri il vicepremier Salvini, è fuorviante, trattandosi appunto della conferma di una misura già in vigore. Tradotto: in busta paga quasi nessuno vedrà differenze, senza contare la penalizzazione per chi si trovasse a ricevere un aumento salariale che lo porterà il prossimo anno oltre la soglia dei beneficio.
La sanità: l’aumento dei fondi non compensa quello dei costi
Aumentano le risorse per la sanità, dice il governo, raccontando una mezza verità. Perché è vero: lo stanziamento cresce di 3 miliardi di euro per il prossimo anno, 4 per il 2025 e 4,2 per il 2026, portando il fondo nazionale alla cifra record di 135,6 miliardi. Peccato che, specie in un periodo di iper inflazione come questo, le cifre assolute dicono poco.
Tre miliardi in più infatti non sono sufficienti per invertire la tendenza che vede dedicata alla salute una cifra discendente in rapporto al Pil. E non bastano a compensare l’aumento dei costi affrontato dagli ospedali, specie considerato che 2,4 miliardi dei 3 stanziati per il prossimo anno saranno dedicati al (sacrosanto) rinnovo dei contratti di lavoro, lasciando per tutto il resto – nuove assunzioni, straordinari, riduzione delle liste d’attesa, spese farmaceutiche e spese vive – appena 600 milioni. “La qualità delle prestazioni è a rischio”, ha avvertito la Corte dei Conti.
Le pensioni: un’altra stretta sulla previdenza, la Fornero è viva e veget
Sul fronte previdenziale si misura una delle grandi promesse tradite del governo di centrodestra: il superamento della tanto odiata (soprattutto dal vicepremier Salvini) legge Fornero, che esce anche da questa manovra viva e vegeta. Anzi, la legge di Bilancio rende il regime previdenziale più restrittivo, limitando le varie opzioni di uscita anticipata oggi in vigore: Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) diventa più penalizzante nel calcolo dell’assegno, i paletti per Opzione Donna crescono, sale il requisito anagrafico per l’Ape sociale (disoccupati e gravosi).
Per chi andrà in pensione con il contributivo puro i requisiti diventano addirittura più stringenti rispetto a quelli previsti originariamente della legge Fornero, mentre per il secondo anno viene ridotto l’adeguamento degli assegni più alti all’inflazione.
La crescita: nulla per le imprese, tra le infrastrutture c’è solo il Ponte
Le misure e gli investimenti per la crescita sono il grande assente in questa manovra, come rilevano tutti gli osservatori terzi e lamentano le parti sociali. Non si era inteso questo, quando il governo aveva promesso di “non disturbare le imprese”.
Confindustria ha calcolato che il saldo tra gli incentivi non rinnovati e quelli introdotti è negativo per un miliardo, nonostante il governo se ne sia ricavati 15 aumentando il deficit. Di più: tra le misure non rifinanziate ce n’è una, si chiama Ace, che incentivava le imprese a incrementare il proprio capitale e crescere di dimensione, una spinta alla produttività e anche ai salari.
Gli statali: 5 miliardi per i nuovi contratti, ma non compensano l’inflazione
La legge di Bilancio stanzia 5 miliardi per il rinnovo dei contratti 2022-2024 del pubblico impiego, quindi per i dipendenti di ministeri, scuola, forze di polizia, esercito e vigili del fuoco.
Due miliardi verranno anticipati già alla fine di quest’anno in busta paga come indennità di vacanza contrattuale, ne restano 3 per il prossimo. Dividendo l’aumento per il numero di lavoratori, calcola l’Aran, si ottiene un incremento medio del 6%, circa 170 euro. Somma importante in questa finanziaria di ristrettezze, ma che non basta certo a compensare l’ondata inflattiva che ha travolto gli stipendi nei mesi scorsi.
Le cifre promesse dai ministri alle varie categorie, come il miliardo e mezzo poliziotti e militari, sono per il momento scritte sulla sabbia. Senza contare che l’extra in busta paga, a 700 mila dipendenti pubblici potrebbe essere tolto in futura pensione, tagliata attraverso un ricalcolo della quota maturata prima del 1995. Il governo promette correzioni, si vedrà.
La scuola: i professori avranno di più, poi restano solo 500 milion
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha promesso che “una quota consistente” dei 5 miliardi dedicati ai rinnovi contrattuali nella Pubblica amministrazione andrà al personale della scuola, 1,2 milioni di lavoratori. Dovrebbe superare il miliardo, ma per capire di quanto bisognerà aspettare il relativo tavolo.
A parte questo il capitolo scuola è uno dei più poveri della legge di Bilancio, perfetta traduzione dello scarso interesse mostrato da questo governo per la materia: 503 milioni di euro, divisi tra micromisure per stabilizzare il personale Ata negli istituti del Sud, per i concorsi, per i docenti tutor e per supportare la retta dell’asilo nido dei figli secondogeniti (inserita peraltro alla voce Famiglie).
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
SE UNO NON HA NULLA DA NASCONDERE AVREBBE TUTTO L’INTERESSE AD ADERIRE ALLA RICHIESTA DELLA PROCURA IN MODO DA SMENTIRE LA TESTIMONE
La richiesta è stata posta a margine della sua “audizione” di fronte ai pm titolari dell’inchiesta. Ad Alessandro Piana, il vicepresidente della Regione, la Procura ha proposto un confronto con una delle escort finite al centro dell’indagine sui festini della Genova bene.
Perché nelle carte c’è chi indica il politico della Lega — ancorché non indagato — presente a uno dei incontri hard finiti sotto la lente di inquirenti e Squadra Mobile, a casa dell’architetto Alessandro Cristilli, il primo marzo del 2022. Mentre Piana, in una conferenza stampa prima, e in un interrogatorio da lui stesso richiesto come persona informata sui fatti, ha continuato a negare: «Quella sera io non c’ero».
Lo stesso Piana, però, a quanto filtra, ha detto no. Una decisione presa insieme al suo legale, Maurizio Barabino, che ribadisce come «quanto detto in Procura sia stato secretato».
Lo stesso Piana, invece, contattato da Repubblica, non vuole entrare nel merito della questione ma si sfoga: «In Procura ci sono andato per fornire i dettagli che mi riguardavano e basta. Non vedo perché dovrei confrontarmi con persone che mi stanno solo facendo dei grandissimi danni sul piano personale e con cui non ho nulla a che fare. Come i giornalisti, del resto».
Nell’ordinanza che lo scorso 9 ottobre ha portato in carcere Cristilli e l’imprenditore Christian Rosolani si legge che l’architetto «favoriva l’attività di prostituzione» di due escort «che remunerava corrispondendo a ciascuna di loro il compenso di euro 400, intermediandola in favore di Biglia di Saronno Piero (il notaio anche lui non indagato) e Piana Alessandro in occasione di un festino da lui organizzato presso la sua abitazione».
Nel frattempo proprio nelle scorse ore il tribunale del Riesame ha deciso che l’imprenditore Christian Rosolani potrà uscire dal carcere, e fare ritorno nella sua villa in viale Quartara, uno dei luoghi dove secondo gli inquirenti si consumavano alcune feste.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
A RISCHIO I 4,5 MILIARDI PER IL TERZO VALICO E LA CIRCONVALLAZIONE DI TRENTO… IL CAPITONE NON CI STA E ACCUSA FITTO, FEDELISSIMO DELLA MELONI, DI DECIDERE DA SOLO
C’è un pezzo del Pnrr che rischia di finire nel cestino. Ma non sono i 15,9 miliardi di investimenti, quasi tutti in capo ai Comuni, che il governo ha deciso di cancellare con la proposta di revisione del Piano inviata a Bruxelles a inizio agosto. La tentazione dello stralcio riguarda un altro capitolo, finora inedito: le ferrovie.
Le forbici sono in mano a Raffaele Fitto. Convinto, il ministro che sta trattando il nuovo Pnrr con la Commissione europea, che non tutte le opere affidate a Rfi saranno completate entro il 30 giugno del 2026, la scadenza fissata dal cronoprogramma del Recovery.
Due linee ballano di più rispetto alle altre. Sono il Terzo Valico, finanziato con 3,4 miliardi, e la circonvallazione di Trento, che può contare su 930 milioni. C’è però un problema. È il decisionismo solitario di Fitto.
L’accusa arriva da più di un ministero. E recita grosso modo così: le modifiche trasmesse all’Europa erano frutto di un lavoro condiviso, seppure turbolento, sancito dal via libera della cabina di regia a fine luglio. Nelle ultime settimane, invece, il fedelissimo di Giorgia Meloni starebbe di fatto cambiando le carte in tavola, rinegoziando i termini di alcune partite, come appunto quella sulle ferrovie.
Le modifiche contenute nella proposta di revisione avevano sancito un’intesa tra Fitto e il titolare dei Trasporti Matteo Salvini. Lo schema prevedeva un travaso di risorse, dalle tratte in ritardo a quelle più avanti con i lavori. E così, per fare un esempio, la Roma- Pescara ha ceduto 620 milioni alla Orte-Falconara e ad altri interventi.
Una rimodulazione indolore per Salvini e Rfi, considerando che la società del gruppo Fs gestisce circa 24 miliardi del Pnrr, più del 13% del totale dei fondi destinati all’Italia. Il nuovo taglio di Fitto, al contrario, è decisamente più pesante. Per l’entità delle risorse cancellate (4,5 miliardi solo considerando il Terzo Valico e la circonvallazione di Trento), ma anche, se non soprattutto, per il suo significato. Tradotto: la diffidenza nei confronti di Rfi.
È il secondo segnale dopo quello di appena un mese fa quando, come anticipato da Repubblica , il ministro aveva messo in conto di intestare una clausola di responsabilità alla società. Un’idea legata ai dubbi sulla capacità di portare a termine tutti i progetti rimasti dentro al Pnrr dopo la revisione.
Chi non ci sta, più di tutti, è Matteo Salvini. Ieri fonti del Mit hanno lanciato un messaggio chiaro: «Nessun definanziamento del Terzo Valico e utilizzo dei fondi Pnrr totalmente confermati: l’obiettivo è accelerare, in questo e in altri cantieri, a partire dal centinaio di opere commissariate che purtroppo scontano ritardi accumulati in precedenti governi con il Pd protagonista». Un messaggio, nemmeno troppo in codice, rivolto ad altri. A Fitto.
(da a Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
UN BANDO DA 800MILA EURO ALL’ANNO, INDETTO PER FORNIRE MATERIALE CON TELECAMERE E MICROFONI ALLE TROUPE. A VINCERE L’APPALTO PER UN LOTTO È STATA LA SOCIETÀ DEL MARITO DI UNO DEI VICEDIRETTORI DEL TG1
A “Rai Scoglio 24” Pinuccio torna a occuparsi degli sprechi e delle storture della tv di stato, in particolare delle gare di appalto per fornitori esterni. Come quella, indetta per fornire materiale come telecamere e microfoni alle troupe dei servizi giornalistici, che è stata vinta per un lotto da una società il cui titolare è il marito di uno dei vicedirettori del Tg1.
Un lotto che vale «circa 800mila euro annui, contando che il contratto è di due anni si tratta di 1 milione e 600mila euro totali», afferma una fonte, un collaboratore esterno che lavora in Rai, che aggiunge: «La cosa strana è che questa società lavora in Rai da meno di un anno. Fa dirette e i servizi per i tg. In pochissimo tempo ha ottenuto incarichi che altre aziende, che collaborano con la tv di stato da anni, non riescono ad avere».
Peccato che il regolamento dell’albo fornitori Rai preveda che eventuali relazioni di parentela (fino a tre generazioni) o di stabile convivenza con personale Rai e/o società del gruppo comportino l’astensione dalla partecipazione alle gare di appalto. Come mai questa eccezione?
(da Striscia)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO LA ROTTURA CON CALENDA LA DISPERATA RICERCA DEL QUORUM PER LE EUROPEE
Matto Renzi, il rottamatore che voleva rottamare la vecchia politica, citofona a Clemente Mastella. Dopo avere perso per strada il suo ex alleato Carlo Calenda il leader di Italia Viva annaspa alla ricerca dei voti che servono per le elezioni europee, rimbalzando tra la folta schiera di ex amici traditi e tra la destra che vorrebbe conquistare ma che continua a considerarlo residuale. Così all’ex presidente del Consiglio e leader di Italia Viva non resta che incontrarsi per confabulare a lungo con Mastella. I due alla fine si abbracciano e si dicono d’accordo: serve un’area di centro “fondamentale e necessaria per la democrazia italiana senza porre alcun veto per chi ha la stessa idea e volontà”, annunciano rimasticando la solita formula che emerge ogni volta prima di un’elezione.
“C’è stata una manifestazione reciproca d’interesse”, ha sottolineato il sindaco di Benevento all’Adnkronos. “Entrambi ci siamo trovati d’accordo sull’idea del Centro. Ora parte un percorso per mettere assieme e chiamare a raccolta tutti quelli che si riconoscono nella tradizione popolare, liberale”. Si tratta di un progetto aperto, ma non di un nuovo partito. “Non è io che confluisco in Italia Viva. Lo schema è quello della Margherita”, ha precisato ancora Mastella.
“Alle elezioni europee c’è il sistema proporzionale, e il proporzionale chiama il centro, i liberi e forti della tradizione cattolico-democratica, i riformisti. Chi non vuole Salvini né Conte, né Meloni né Schlein, può votare per noi”, ha detto Renzi. I due in fondo si assomigliano più di quanto sembri. Matteo Renzi tra il 2012 e il 2013 voleva “rottamare” il Partito democratico per renderlo un partito “moderno”. Assicurò la sua fiducia a Enrico Letta – ai tempi presidente del Consiglio – prima di defenestrarlo e prenderne il posto. Tuonò contro i “partitini personali” e dopo essersi schiantato sul referendum costituzionale corse ad apparecchiarne uno. Assicurò la fiducia al secondo governo Conte prima di farlo cadere. Assicurò fedeltà politica a Calenda per divorziare una volta raggiunto di nuovo il suo posto in Parlamento. Lui la chiama “coerenza” ma è la stessa pasta del suo nuovo alleato Mastella fondatore compulsivo di partiti (Ccd, Cdr, Udr, Udeur e da ultimo Noi di Centro) e uomo di centrodestra o di centrosinistra alla bisogna.
STRANO DESTINO
Il bacio al rospo comunque per il leader di Italia Viva è praticamente obbligato. Le macerie del fu Terzo polo (che è sempre stato quarto) lo costringono a cercare i voti che servono per superare la soglia di sbarramento alle prossime elezioni europee che sono tra sette mesi. Quel 4% che serve a oggi al partito di Renzi è una chimera. Sono lontani i tempi in cui Matteo (era il 4 dicembre del 2022) declamava che “nel 2024 noi saremo il primo partito e Meloni andrà a casa” e chiedeva a Majorino in Lombardia “di fare il vice della Moratti”: “Noi in Lombardia si vince e dopo 30 anni la Lombardia cambia colore. Io ci credo fino all’ultimo”, prevedeva.
Una delle sue mirabolanti previsioni frantumate. Sono lontani anche i tempi in cui Mastella accusava Renzi di “doppia morale” in occasione della caduta del governo Conte II: “Dunque i responsabili sono traditori e incoerenti quando si tratta degli altri, se lo fa lui invece va bene”, disse Mastella al Corriere della Sera rincarando la dose: “Cosa dovrei rispondere? Che lui è il Renzi-Verdini?”. Ora con questo curriculum collettivo di tutto rispetto la strana coppia si prepara a sbancare Bruxelles. Sì, come no.
(da La Notizia)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
“DECIDERA’ L’AVVOCATURA DI STATO”… E LA BONGIORNO SI TIRA FUORI
Dopo l’imbarazzante rifiuto opposto in tribunale dall’avvocata per conto della Consap, concessionaria di Stato, il ministro degli Esteri interviene. E i legali delle vittime adesso chiedono che venga subito revocata in tribunale la richiesta di estromissione presentata dallo studio della presidente della commissione giustizia della Camera
Dichiarazioni sibilline che lasciano intravedere un corto circuito politico-giudiziario e comunque una inversione di rotta del governo sulla vicenda dei possibili risarcimenti del governo per le vittime del naufragio di Cutro.
“Escludere qualsiasi responsabilità nel risarcimento”
“Sarà l’Avvocatura a decidere il da farsi”, le parole tranchant pronunciate ieri dal ministro degli Esteri Tajani a cui in serata hanno fatto seguito, senza altre spiegazioni, quelle di Giulia Bongiorno, presidente della commissione giustizia della Camera ma anche rappresentante legale della Consap, la concessionaria di Stato per le assicurazioni chiamata in causa al processo che si sta celebrando a Crotone. “Il mio incarico era estremamente circoscritto e si è già concluso”. Ma è concluso soprattutto perché i giudici di Crotone devono ancora pronunciarsi sulla richiesta avanzata dallo studio Bongiorno di escludere qualsiasi responsabilità nel risarcimento dei danni alle vittime?
La mossa di Bongiorno
Di certo, dopo il clamore suscitato dal rifiuto della Consap (a tutti gli effetti concessionaria di Stato) a risarcire i danni, qualcosa è successo tanto che il governo, per bocca del suo ministro degli Esteri, ha ricondotto la decisione sulla posizione da tenere nelle mani dell’Avvocatura dello Stato e contemporaneamente Bongiorno ha comunicato il suo passo indietro a prescindere dalla decisione dei giudici attesa per la prossima settimana. Possibile che il governo non fosse a conoscenza della mossa della Bongiorno per conto di Consap?
“Il caicco non può essere risarcito”
Ricapitoliamo i fatti: nel processo che si sta svolgendo a Crotone nei confronti dei presunti scafisti del caicco naufragato a Cutro sono stati i difensori delle vittime a chiedere e ottenere dai giudici che venisse chiamata in causa la responsabilità della Consap, la concessionaria partecipata al 100 per 100 dallo Stato a cui spetta il risarcimento delle vittime di incidenti stradali o marittimi causati da mezzi non assicurati. Ma Bongiorno si è opposta facendo leva su un cavillo giuridico e definendo il caicco non assimilabile ad una imbarcazione da diporto. Argomentazione giuridica ancora tutta da valutare da parte del tribunale ma che esprimeva comunque il rifiuto dello Staro di farsi carico di un eventuale risarcimento economico delle vittime. Da qui l’indignazione delle opposizioni, che hanno anche sottolineato l’inopportunità dell’assunzione anche di questo incarico da parte di Bongiorno, e dei legali delle vittime. Che ora, davanti alla marcia indietro del governo, invitano a prendere le conseguenti decisioni.
“Siamo di fronte a un ripensamento?”
Dice l’avvocato Francesco Verri: “Le parole del ministro Tajani e dell’avvocata Bongiorno sono un dietrofront? Sono la manifestazione di un saggio ripensamento? Lo Stato si è reso conto di aver agito in modo impietoso e sta correndo ai ripari? Se gli avvocati dicono che il loro lavoro è finito significa che non insisteranno nella loro tesi? Se il Ministro dice che la palla passa all’Avvocatura, vuol dire che ci stanno ragionando sopra? Bene. La Consap ritiri prima del 29 novembre la richiesta di estromissione presentata al Tribunale di Crotone e, in caso di condanna dei presunti scafisti, paghi i danni ai familiari delle vittime”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
TRE LETTERE DI MESSA IN MORA
Tre lettere di messa in mora. Sulla mancata messa a gara delle concessioni balneari, sulle discriminazioni verso i percettori dell’assegno unico, per alcuni mancati pagamenti della pubblica amministrazione.
Nel pieno della trattativa sulla riforma per il Patto di stabilità e dei malumori per la mancata ratifica del nuovo fondo salva-Stati i rapporti fra l’Italia e la Commissione europea si complicano ancora.
La prima grana si trascina da un decennio, ovvero la pervicace volontà italiana di non aprire alla concorrenza la gestione delle spiagge. Trentuno pagine di contestazione che i tecnici europei hanno preferito non pubblicare, ma di cui sono stati resi noti alcuni stralci.
La procedura di infrazione per il mancato rispetto delle regole comunitarie risale al dicembre di tre anni fa: l’Europa contesta un sistema che permette ancora il mantenimento delle concessioni ad libitum, e con canoni giudicati irrisori.
Allora il governo Draghi tentò di risolvere il problema con una legge delega che introduceva le gare ma allo stesso tempo riconosceva ai vecchi gestori meccanismi premiali basati sugli investimenti.
Con l’arrivo del governo Meloni, la cui maggioranza è da sempre a difesa della lobby dei balneari, si è di fatto tornati al punto di partenza.
Per dimostrare l’insussistenza delle obiezioni e la possibilità di aprire comunque alla concorrenza, si è decisa una mappatura delle spiagge da cui emergerebbe che quelle assegnate sono solo un terzo del totale.
La lunga risposta della Commissione demolisce gli argomenti del governo: «Il calcolo non riflette una valutazione qualitativa delle aree».
Il tavolo tecnico del governo ha incluso nel calcolo tratti di costa inutilizzabili, porti, banchine, aree industriali e protette. Per dirla semplice, il calcolo col trucco. «Siamo pronti a dare risposte immediate», ha detto il vicepremier Matteo Salvini, salvo confermare che per lui la mappatura è corretta.
Per la risposta formale il governo ha due mesi di tempo. Dopo di allora, la Corte di giustizia passerà a vere e proprie sanzioni monetarie, l’ultimo stadio delle procedure di infrazione. La risposta di Salvini è in ogni caso la conferma della volontà di tenere il punto. E però la faccenda rischia di complicarsi anche senza la messa in mora europea.
La vera zeppa nella pervicacia del centrodestra contro le gare è il Consiglio di Stato italiano, che due anni fa, con una sentenza senza precedenti, ha scritto che la proroga delle vecchie concessioni sarebbe potuta durare solo fino al 31 dicembre di quest’anno.
Da allora, in più sentenze, ha confermato l’obbligo di gare, anche dopo il tentativo (è accaduto con un decreto di Meloni dell’anno scorso) di allungare la moratoria al 2025.
Detta di nuovo semplice, dal primo gennaio le vecchie concessioni sono formalmente illegittime, e dunque chiunque voglia ottenere la gara per questa o quella spiaggia, potrà presentarsi davanti a un giudice amministrativo e chiedere ragione. Le speranze del governo […] si concentrano attorno ad un ricorso presentato davanti alla Corte di cassazione dal Sib, il sindacato più importante dei balneari contro lo stesso Consiglio di Stato.
Nel frattempo la Commissione europea entrerà nel semestre bianco che precede le elezioni e così se ne riparlerebbe con il nuovo esecutivo europeo. Entro gennaio il governo dovrà comunque dare la sua risposta formale alla Commissione e a farsene carico sarà il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, che da mesi consiglia alla premier di trovare una soluzione politica. Il paradosso vuole che se la Cassazione non accoglierà il ricorso del Sib, l’anno prossimo molti vecchi gestori si troveranno a fare i conti con gare nelle quali saranno trattati al pari dei concorrenti, senza le garanzie che la delega Draghi gli concedeva per gli investimenti nei lidi.
Fitto, già impegnato nella difficile trattativa per la revisione del Recovery Plan, dovrà rispondere anche alle altre due questioni sollevate ieri da Bruxelles. Sull’assegno unico per i figli a carico, anzitutto. La norma prevede che il beneficio venga concesso solo a chi risiede almeno da due anni in Italia e nella stessa abitazione coi figli. […] Bruxelles considera la misura discriminatoria perché negata ai altri cittadini dell’Unione residenti in Italis
(da La Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 17th, 2023 Riccardo Fucile
TRE ITALIANI SU QUATTRO SONO A FAVORE DELLA SOLUZIONE DEI DUE STATI E I DUE TERZI DEL CAMPIONE AUSPICANO CHE, PER FAVORIRE LA SOLUZIONE DEL CONFLITTO, “IL GOVERNO RICONOSCA LO STATO INDIPENDENTE PALESTINESE”
Il 53% degli italiani si dice “molto” preoccupato del conflitto, innescato, il mattino del 7 ottobre, dall’attacco lanciato da Hamas contro Israele. Mentre un ulteriore 36% si dichiara “abbastanza” preoccupato.
Circa 9 italiani su 10, dunque, denunciano un senso di preoccupazione per questa guerra. Che sentono vicina anche se si combatte a circa 4.000 chilometri dall’Italia. Il conflitto che ha sconvolto l’area israelo-palestinese si affianca all’invasione della Russia in Ucraina nel febbraio 2022. Provocando una guerra che continua a generare grande preoccupazione.
Gli italiani, come mostra il sondaggio di Demos , esprimono opinioni e (ri)sentimenti di segno diverso. Ma, inevitabilmente, di grande preoccupazione. Di fronte all’attacco di Hamas, la condanna appare pressoché unanime.
Tuttavia, una parte molto ampia dei cittadini (il 44%) rileva e sottolinea come anche Israele abbia delle responsabilità. Questa opinione appare particolarmente estesa – e diviene maggioritaria – fra gli elettori di centro-sinistra e del M5s. Mentre fra chi vota per i partiti di centro-destra, per quanto le responsabilità di Israele vengano denunciate con chiarezza, prevale la condanna di Hamas.
Appare comunque larghissima, fra i cittadini, la richiesta di sostenere il progetto dei due Stati indipendenti, che garantiscano al popolo israeliano e palestinese cittadinanza e legittimità. Una scelta, secondo gran parte di cittadini, da perseguire senza “prendere parte”. Per garantire diritti e poteri a entrambi i popoli.
Questa soluzione viene indicata, come prioritaria, da circa 3 persone su 4. Mentre componenti molto più limitate, per quanto significative, ritengono più importante sostenere le ragioni specifiche del popolo palestinese e/o israeliano.
I due terzi del campione, comunque, auspicano che, per favorire la soluzione del conflitto, “il governo riconosca lo Stato indipendente palestinese”. Mentre il 40% considera prioritario “sostenere Israele, insieme agli Usa e all’Occidente”.
C’è, quindi, una quota significativa di cittadini, il 32%, che vorrebbe perseguire entrambe le soluzioni ritenendole “complementari”, o in grado di rafforzarsi reciprocamente. A centro- sinistra si dà maggiore importanza al sostegno dello Stato palestinese, molto meno al sostegno di Israele. Una prospettiva che ottiene, invece, maggiore consenso fra gli elettori di centro-destra.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »