Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
FATE SAPERE ALLA MELONI, CHE VUOLE DIRE “ADDIO AI GOVERNI TECNICI”, CHE IL LEADER PIÙ APPREZZATO IN ITALIA È ANCORA MARIO DRAGHI
L’orientamento politico degli italiani appare stabile, ormai da tempo.
Le tendenze elettorali fanno osservare cambiamenti limitati.
Anche l’indagine pubblicata conferma un clima di sostanziale continuità. Con alcune contenute variazioni, che, per questo, appaiono significative. La prima indicazione che emerge sottolinea la fiducia verso il governo guidato da Giorgia Meloni. Che sfiora la maggioranza assoluta: 50%. In (lieve) crescita di 3 punti rispetto allo scorso settembre.
Tuttavia, si tratta dell’indice più basso dai tempi del secondo governo guidato da Giuseppe Conte. Le stime di voto ai partiti mostrano variazioni circoscritte, anzi, minime negli ultimi mesi.
D’altronde i partiti si sono “personalizzati”. Riassunti dalla figura del “leader”. Per questo, non c’è da stupirsi se una quota molto ampia (ma non crescente) di italiani auspica l’elezione diretta del premier.
Cioè, il presidente del Consiglio. È quanto previsto dal disegno di riforma costituzionale approvato dal governo, che dovrà essere sottoposto al giudizio degli italiani, attraverso un referendum.
Il sondaggio dell’ Atlante Politico di Demos conferma il profilo frammentato e quindi “stabilmente instabile” degli orientamenti verso i partiti. E i loro “capi”. Davanti a tutti sono ancora i Fratelli d’Italia, guidati da Giorgia Meloni. Che appaiono, comunque, in costante calo, per quanto limitato. Rispetto a settembre: -0,2.
Ma 2 punti in meno, dallo scorso febbraio. Anche il Pd riproduce, sostanzialmente, le stime degli ultimi mesi: 20,3%. Ma appare in crescita dallo scorso febbraio. Mentre il (non) partito maggiormente in calo è sicuramente il M5S. Che scende al 16,7%. Mentre la Lega, con il 7,7% rimane praticamente ferma. E in lento, costante declino. Forza Italia, invece, riprende a crescere. Più in basso, intorno al 3%, si addensano Verdi e Sinistra Italiana e i partiti (un tempo) del Terzo Polo.
Stabile risulta, nel complesso, anche il gradimento dei leader. Tuttavia, è interessante notare come tutti appaiano in crescita. Per quanto minima. Prevale, sugli altri, Giorgia Meloni. Seguita da Antonio Tajani, che aumenta in misura maggiore della media: 3 punti. Come Emma Bonino. Più apprezzata del suo partito: +Europa. Il più apprezzato fra i leader però, è ancora Mario Draghi. Nonostante Giorgia Meloni abbia detto “addio ai governi tecnici”, dopo la riforma.
La crescente personalizzazione di partiti spiega il consenso verso l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Un progetto che vede “totalmente d’accordo” il 53% degli italiani (intervistati). Dunque, la maggioranza assoluta, per quanto di poco. Tuttavia, in sensibile calo, rispetto al sondaggio condotto lo scorso settembre.
Si tratta, ogni caso, di una misura che non garantisce certezza, in vista del referendum confermativo che, probabilmente, dovrebbe affrontare per divenire “effettivamente effettivo”.
È, infatti, utile rammentare, al proposito, come in altre occasioni le riforme approvate in Parlamento siano state “bloccate” dai cittadini. Matteo Renzi, che per questo si dimise. In questo caso, però, è difficile immaginare che la “sfiducia eventuale” nei confronti della riforma produrrebbe lo stesso esito.
Nonostante la maggioranza di governo, in Parlamento, sia più ampia rispetto a quella di cui disponeva Renzi. Tuttavia, non sufficiente a evitare il referendum. Una consultazione dall’esito tutt’altro che scontato, da quanto emerge dal sondaggio di Demos. Per questo motivo, come osserva Roberto Biorcio, la (il) presidente del Consiglio ha dichiarato che, anche in caso di un esito negativo al referendum confermativo, non si dimetterebbe. In fondo, il “premierato” è già in atto. “Di fatto”. Perché metterlo a rischio?
(da La Repubblica)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
UNA CINQUANTINA DI PRESUNTI ESPERTI COME COLLABORATORI DI POTENTATI DELL’EDILIZIA E DELL’ENERGIA, MA ANCHE POLITICI TROMBATI ALLE ELEZIONI
Il governo pronto a mettere le mani sull’ambiente, rivedendo tutta la normativa in materia. Dall’inquinamento alla tutela paesaggistica, passando per l’industria e l’edilizia: sono tanti i temi su cui la maggioranza intende elaborare un apposito schema di legge, e per farlo ha nominato una commissione apposita, formata da una cinquantina di esperti.
Il decreto inter-ministeriale
La nomina si deve a Gilberto Pichetto ed Elisabetta Casellati, ministri rispettivamente dell’Ambiente e della Semplificazione normativa. La Repubblica segnala che tra gli esperti e i tecnici nominati dal governo ci sono docenti universitari, ma anche ‘trombati’ alle elezioni che sono stati in qualche modo ripescati e avvocati e ingegneri che lavorano, o hanno lavorato, a stretto contatto con lobby potenti e interessate dalle norme ambientali. In particolare, ci sarebbero professionisti vicini all’Eni, ad altre compagnie leader nei settori di gas e petrolio e anche a grandi gruppi del cemento.
Chi c’è in commissione
A presiedere la commissione sarà il professor Eugenio Picozza, docente a Tor Vergata ed esperto di diritto amministrativo. Ma anche Francesco Saverio Marini, docente e consulente di Giorgia Meloni che ha scritto la riforma del ‘premierato’.
E ancora: generali della Guardia di finanza, l’esperto di aviazione Christian Tettamanti e il magistrato militare Giuseppe Leotta. Oltre a non eletti come Vincenzo Pepe (deputato mancato della Lega, candidato nel 2022 in Campania) e Urania Papatheu (ex senatrice di Forza Italia, non ricandidata alle ultime politiche ma consulente retribuita di Elisabetta Casellati).
Degni di nota anche i nomi degli avvocati legati al mondo delle imprese: Maria Adele Prosperoni (responsabile ambiente ed energia di Confcooperative), Aristide Police (docente e legale di Enel), Teodora Marrocco ed Elisabetta Gardini (che per lo studio Gop ha lavorato rispettivamente con Snam ed Eni). E ancora: Angelo Lalli (docente e avvocato dello studio Piselli & Partners, che ha già lavorato con molte aziende del fossile), Pasquale Frisina (avvocato che in passato ha lavorato per il Gruppo Caltagirone) e gli ingegneri Paolo Battiato e Pier Giorgio Falvo.
Bonelli annuncia un’interrogazione
Anche per questo motivo, Angelo Bonelli ha annunciato un’interrogazione parlamentare. “Il governo della destra sta preparando un golpe ell’ambiente, chiederemo con quali criteri sono stati scelti i componenti di questa delicata commissione. Chiederemo anche se i componenti riceveranno un compenso o lo faranno a titolo gratuito. Una decisione abbastanza singolare: un compito così delicato a titolo gratuito?” – l’affondo del deputato di Alleanza Verdi-Sinistra – “Vogliono smantellare la legislazione ambientale, rendendola più morbida e vicina agli interessi di costruttori e petrolieri. Una parte della commissione di esperti ha avuto e ha tutt’ora contatti con grandi imprese di costruzione e di società energetiche. Ci sono candidati non eletti che vengono messi nella commissione di esperti, ma anche titolari di società che si occupano di rifiuti. Pichetto dovrà venire in aula e spiegare questa vergogna“.
(da La Repubblica)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
L’EMERGENZA RETRIBUTIVA IN ITALIA, ACCENTUATA DALL’INFLAZIONE, È UNA QUESTIONE ORMAI NON RINVIABILE. FINORA LA POLITICA SI È RIPARATA DIETRO I PARERI DEL CNEL E DEI GIUDICI. MA UN CAMBIAMENTO NON È PIÙ RINVIABILE
Nell’imperscrutabile e purtroppo fortemente ideologizzato mondo del
lavoro, vi sono due certezze. La prima è che la pandemia ha accelerato il processo di cambiamento da tempo in atto che ridisegnerà, soprattutto attraverso la digitalizzazione e il lavoro a distanza, nuovi modelli occupazionali che inevitabilmente saranno sempre più ancorati alla competenza, essendo questa l’unica strada possibile per la crescita sociale ed economica.
L’altro dato incontestabile è che nel nostro Paese persiste un’emergenza retributiva ormai insostenibile, accentuata dall’inflazione.
Si tratta di una questione rilevante sulla quale periodicamente si accendono i riflettori benché, ad oggi, le uniche soluzioni prospettate siano state quella dell’imposizione di un salario minimo per legge e l’implementazione della contrattazione collettiva.
Posizioni senza dubbio legittime, ma verosimilmente non utili da sole a risolvere la composita problematica. Per quanto concerne il salario minimo, il governo ha ritenuto di affidarsi al parere del redivivo Consiglio nazionale dell’economia e lavoro (Cnel) al quale ha delegato il gravoso compito di formulare una proposta per contrastare il lavoro povero.
Proposta di recente elaborata con la quale, pur riconoscendo l’insufficienza dei salari, è stata espressa la contrarietà a una retribuzione minima in quanto «potrebbe falsare le dinamiche contrattuali». Detto in estrema sintesi, il Cnel ritiene che la strada maestra sia quella di ampliare il sistema della contrattazione collettiva.
Sul punto è opportuno aggiungere che nel giugno del 2022 il Consiglio Europeo ha adottato la Direttiva che impone a tutti gli Stati membri, nel termine di due anni, di «istituire un quadro per fissare salari minimi adeguati ed equi» per garantire ai lavoratori un livello di vita dignitoso.
Una prescrizione che l’Italia già rispetta poiché, secondo i dati Istat, il salario medio è superiore a 7,1 euro imposto dall’Europa e inoltre la contrattazione collettiva raggiunge la percentuale del 96,5% dei lavoratori dipendenti.
Nella disputa tra favorevoli e contrari al salario minimo, si inserisce una significativa sentenza del 2 ottobre scorso (Cass. Civ. n. 27711/2023) con la quale il giudice ha stabilito che per valutare l’adeguatezza di una retribuzione, devono essere considerati i parametri costituzionali di proporzionalità e sufficienza anche a prescindere dalla contrattazione collettiva.
Un chiarimento importante poiché effettivamente, la questione di una adeguata retribuzione deve essere risolta sostanzialmente, vale a dire applicando la Costituzione o per meglio dire quei principi in essa contenuti e da sempre disattesi. Oppure reinterpretando gli altri in linea con l’attuale situazione culturale ma anche economica e sociale.
Tenendo ferma la barra sulla rotta della ormai consolidata cultura del lavoro quale principale strumento per la realizzazione dell’individuo nella società e per l’affermazione della sua personalità, bisogna superare l’anacronistica visione di una naturale e costante conflittualità tra i lavoratori e i datori di lavoro poiché solo la collaborazione tra gli stessi può scongiurare la crisi dell’occupazione e del mercato.
Certamente non possono in alcun modo essere messi in discussione i diritti inviolabili acquisiti, ormai radicati a tal punto da essere ritenuti irrinunciabili come la durata della prestazione, il diritto al riposo e alle ferie. Ma è necessario prendere atto che l’inadeguatezza delle retribuzioni deve essere affrontata e risolta attraverso una pluralità di interventi che devono riguardare sia la promozione della competenza, destinando maggiori risorse alla formazione, che il sostegno al reddito, mediante la riforma della disciplina previdenziale e dell’ordinamento sindacale intervenendo al contempo anche sul cuneo fiscale.
(da il Corriere della Sera)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
NEL VIDEO SI VEDONO LE RAGAZZINE, CHE INDOSSANO ABITI ADERENTI, TACCHI E TRUCCO PESANTE, CHE FANNO INGINOCCHIARE E PICCHIANO LA VITTIMA: “CHIEDI SCUSA E VAI A CASA. UNA PAROLA SU QUESTA COSA E TI ARRIVANO UN SACCO DI BOTTE”
«Inginocchiati e chiedi scusa». Poi giù un ceffone. E visto che la ragazzina non si prostrava abbastanza ai piedi della “capetta” della banda, ecco che la complice prende la vittima per i capelli e la trascina sempre più giù a terra.
Il tutto a favore di telecamera: sono così sicure di sé stesse, così certe di essere intoccabili, che la loro vile impresa di umiliazione della coetanea dev’essere anche immortalata in un video, che passa di cellulare in cellulare a tutti i componenti della compagnia. E oltre.
Non parliamo di un ambiente degradato, di disagio sociale in un qualche rione di periferia. Siamo in pieno centro, dietro al Duomo di Padova, riporta Il Gazzettino.
Le aguzzine sono ragazzine della Padova-bene, che nonostante il trucco pesante e i vestiti succinti non riescono a nascondere la loro età adolescenziale. Dietro i vestiti firmati, le borse e il Moncler, c’è cattiveria e totale assenza di pietà per la loro vittima, che dev’essere umiliata.
Anzi, di più: distrutta anche a livello sociale, mostrando a tutti come l’hanno spezzata, costringendola in lacrime a inginocchiarsi chiedendo scusa. E per cosa? Niente di più banale: un commento a una fotografia, un post lasciato sui social, uno sgarro alla “capetta” della banda che dev’essere lavato a suon di ceffoni e tirate di capelli, mentre il branco dietro alla telecamera ride e incita le bullette a umiliarla sempre di più. Poi la lasciano andare sul suo monopattino, non senza una minaccia: «Vai a casa ora? Una parola su questa cosa e ti arrivano un sacco di botte».
Il video registrato dalle amichette delle bulle per umiliare ulteriormente la loro vittima si è trasformato in un boomerang: ora è all’attenzione degli investigatori che sono già sulle tracce delle ragazzine che potrebbero essere accusate di percosse, minacce e violenza privata.
(da Leggo)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
IL MILITARE, CHE HA RIPORTATO DANNI PERMANENTI ALL’UDITO, PORTO’ IN TRIBUNALE IL GENERALE BRUNO STANO, CHE COMANDAVA IL CONTINGENTE ITALIANO IN IRAQ PER AVER IGNORATO GLI ALERT DEI SERVIZI SEGRETI
Il maresciallo dei carabinieri Riccardo Saccotelli aveva 28 anni il
giorno in cui rimase ferito nell’attentato di Nassiriya. Si salvò per miracolo ma fu gravemente menomato all’udito dall’onda d’urto. È uno dei 19 sopravvissuti della base Maestrale. Uno di quelli che la politica ieri esaltava.
Eppure la Difesa sta schiacciando questo piccolo maresciallo che ha osato l’inosabile. Il maresciallo Saccotelli, infatti, non si è accontentato della verità ufficiale. Ha portato il generale Bruno Stano, che quel giorno in Iraq comandava il contingente italiano, in tribunale. Venti anni di cause.
Il tribunale di Roma gli ha riconosciuto un diritto al risarcimento. E però ora la Difesa sta facendo causa a lui: gli hanno revocato la cosiddetta «pensione privilegiata», rivogliono indietro i 24 mila euro che gli avevano concesso nel 2013 come «equo indennizzo» per le lesioni riportate, gli hanno addirittura ipotecato la casa.
Perché questo trattamento, Saccotelli?
«È un chiaro messaggio non verbale. Un trattamento persecutorio».
La Difesa le chiede davvero i soldi indietro?
«Sostengono che non ne avevo diritto. L’equo indennizzo è stato pagato ai famigliari dei commilitoni deceduti, non a noi sopravvissuti. Io ho fatto ricorso e c’è una causa in corso al tribunale di Gorizia. Intanto, tramite l’Agenzia delle Entrate, mi hanno ipotecato la casa senza aspettare che la causa si concluda. Per notificarmi un banale atto amministrativo come questo, l’Arma mi ha inserito nella banca-dati dei ricercati come fossi un delinquente».
Lei che ha fatto per meritarsi questo atteggiamento?
«Diciamo che ho rotto le scatole. Non mi sono accontentato della verità ufficiale sull’attentato. Loro sapevano che cosa si stava preparando e non hanno fatto niente».
Fa riferimento agli allarmi dei servizi segreti che nel 2003 furono sottovalutati?
«Esatto».
E quindi?
“Quindi ho fatto causa al generale Bruno Stano, che comandava il contingente. E di colpo le gerarchie militari si sono chiuse a riccio. Pensi solo che il generale, per evitare gli effetti della mia causa, è stato richiamato in servizio dall’ausiliaria, e in questo modo è stato impossibile pignorargli la liquidazione».
Lei ha ricevuto un’onorificenza per Nassiriya?
«Sì, ma mi fa ridere, per non dire altro, che sia stata una onorificenza civile e non militare. La motivazione ufficiale è che ci trovavamo lì in missione di pace e non di guerra.
Però, tu guarda il caso, al mio comandante, il generale Gino Micale, hanno dato una medaglia all’Ordine militare d’Italia» .
Le hanno revocato anche la “pensione privilegiata”. Di che cosa vive, maresciallo?
«Di un assegno che si sono inventati con circolare interna, chiamato “assegno di attività”, pari all’ultimo stipendio ricevuto vent’anni fa. Se avessi la pensione privilegiata incasserei almeno 1000 euro in più e altri benefici. La mia colpa è di non essere morto»
(da La Stampa)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
ORBAN VUOLE UN NUOVO UFFICIO CHE INDAGHERA’ SULLE “ATTIVITA’ CHE MINACCIANO LA SOVRANITA’ UNGHERESE”
Un pezzo alla volta sta ‘putinizzando’ l’Ungheria togliendo spazio ai media, alle opposizioni e dai gruppi che difendono i diritti civili. E infatti prepara una legge che sotto molti aspetti assomiglia a quella dell’agente straniero con la quale lo Zar del Cremlino cancella organizzazioni e attivisti.
I difensori dei diritti ungheresi hanno espresso timori per la nuova legislazione che, secondo loro, potrebbe esercitare maggiore pressione sui media indipendenti e sui gruppi della società civile.
Il progetto di legge, che il partito al governo ungherese Fidesz dovrebbe presentare martedì, propone la creazione di un nuovo ufficio incaricato di indagare sulle attività che minacciano la “sovranità” dell’Ungheria. Il governo ha condiviso pochi dettagli sui suoi piani.
Ma la leadership di Fidesz ha indicato che la nuova legislazione potrebbe applicarsi ai finanziamenti esteri dei partiti politici, e forse anche dei media e delle organizzazioni della società civile che ha accusato di operare sotto l’influenza di Washington e/o Bruxelles.
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha trascorso più di un decennio a consolidare il potere ed estendere l’influenza del suo partito su tutti gli aspetti della vita pubblica, promuove da tempo l’idea che entità straniere si stiano intromettendo nella politica ungherese e che i suoi critici agiscano contro la politica ungherese. interesse nazionale.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
APPELLO DI 3.000 ACCADEMICI PRO PALESTINA PER IL CESSATE IL FUOCO
Ha superato le 3.000 firme l’appello per il cessate il fuoco firmato da
accademiche e accademici italiani e indirizzato all’attenzione del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani, della ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, e alla Conferenza dei Rettori delle Università italiane.
“In quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un’immediata fine alla guerra in corso contro Gaza”, si legge nella lettera.
Cessate il fuoco
Gli accademici sentono come “dovere individuale, comunitario e accademico”, di dissociarsi dalle posizioni finora intraprese dal governo del nostro Paese, e chiedono all’Italia di assumersi la responsabilità di azioni e richieste per contrastare “il crescente livello di violenza al quale stiamo assistendo impotenti”. “Rivolgiamo questo appello al nostro ministro degli Esteri, perché si mobiliti per richiedere e sostenere un immediato cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari e la protezione delle Nazioni Unite per l’intera popolazione palestinese. Come docenti, ricercatori e ricercatrici della comunità accademica e di ricerca italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid”.
Oltre 9000 morti a Gaza
Mentre scrivono l’appello (ormai qualche giorno fa, i numeri sono nel frattempo aumentati), sostengono gli accademici, a Gaza il bilancio delle persone uccise supera i 9.000 morti, di cui 3.760 bambini, circa 22.900 feriti e 1.400.000 sfollati. Secondo le Nazioni Unite, allo stato attuale sono circa 2.000 le persone disperse, presumibilmente intrappolate o uccise sotto le macerie. Interi quartieri abitati, ospedali, scuole, moschee, chiese e intere università (Islamic e Al-Azhar University tra le più grandi e rinomate) sono state completamente rase al suolo. Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella Striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano.
Crisi sanitaria e umanitaria
Prosegue l’appello: “L’Association Jewish for Peace ha chiamato tutte le persone di coscienza a fermare l’imminente genocidio dei palestinesi. Già il 25 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di non essere in grado di distribuire carburante e forniture sanitarie essenziali e salvavita agli ospedali nel Nord di Gaza per via dei continui bombardamenti israeliani. La quantità di beni di prima necessità e soccorso che Israele ha permesso di far transitare a Gaza il 21 ottobre è stata dichiarata sufficiente a mantenere in funzione solo alcuni ospedali e ambulanze per poco più di 24 ore. Secondo l’Unicef “Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambini. Tutto questo costituisce una evidente violazione del Diritto Internazionale e della Convenzione di Ginevra”.
Gli oppressori israeliani
Si arriva poi a un passaggio cruciale in cui i firmatari sostengono che “in tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica. Comprendere e analizzare queste determinanti è l’unica possibilità per poterne riconoscere le radici, contrastare l’escalation e sperare e reclamare pace e sicurezza per tutti. È fondamentale ricordare come riconoscere il contesto da cui nasce quest’ultima ondata di violenza non significa sminuire il dolore e la sofferenza delle vittime israeliane e palestinesi, ma costituisce il cruciale impegno per sostenere la dignità, la salute ed i diritti umani di tutte le parti coinvolte”.
Stop alle collaborazioni con gli atenei israeliani
“Come studiosi e studiose del mondo universitario italiano guardiamo con preoccupazione alla diffusione di misure di limitazione della libertà di dibattito e di delegittimazione delle richieste di cessazione della violenza”, continua l’appello. “Chiediamo quindi di ribadire l’impegno per la libertà di parola e garantire il diritto degli studenti e delle studenti delle università italiane al dibattito, e di favorire momenti di dibattito e discussione all’interno degli atenei. Chiediamo inoltre di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario, cessati i crimini contro la popolazione civile palestinese da parte dell’esercito israeliano e quindi fino a quando non saranno attivate azioni volte a porre fine all’occupazione coloniale illegale dei territori palestinesi e all’assedio di Gaza”.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
“CREA UN REGIME DI ASILO EXTRATERRITORIALE, IN CONTRASTO CON LE NORME INTERNAZIONALI”
“Il memorandum d’intesa (MoU) tra Italia e Albania sugli sbarchi e sul trattamento delle domande di asilo, concluso la scorsa settimana, solleva diverse preoccupazioni in materia di diritti umani e si aggiunge ad una preoccupante tendenza europea verso l’esternalizzazione delle responsabilità in materia di asilo”, dice la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic.
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale con sede a Strasburgo che conta 46 Stati membri, tra cui i 27 Paesi dell’Ue; non va confusa con il Consiglio Europeo e il Consiglio Ue, che sono istituzioni comunitarie.
Il protocollo d’intesa, per il commissario del CoE, “solleva una serie di importanti questioni sull’impatto che la sua attuazione avrebbe sui diritti umani dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti. Questi riguardano, tra gli altri, lo sbarco tempestivo, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità di detenzione automatica senza un adeguato controllo giurisdizionale, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e rimedi efficaci – spiega Mijatovic – Il protocollo d’intesa crea un regime di asilo extraterritoriale ad hoc, caratterizzato da numerose ambiguità giuridiche. In pratica, la mancanza di certezza giuridica probabilmente minerà le fondamentali garanzie di tutela dei diritti umani e la responsabilità per le violazioni, con conseguente differenza di trattamento tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia”.
Il protocollo d’intesa, continua Mijatovic, “è indicativo di un impegno più ampio da parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa a perseguire vari modelli di esternalizzazione dell’asilo come potenziale ‘soluzione rapida’ alle complesse sfide poste dall’arrivo di rifugiati, richiedenti asilo e migranti. Tuttavia, le misure di esternalizzazione aumentano in modo significativo il rischio di esporre rifugiati, richiedenti asilo e migranti a violazioni dei diritti umani. Lo spostamento della responsabilità oltre confine da parte di alcuni Stati incentiva anche altri a fare lo stesso, il che rischia di creare un effetto domino, che potrebbe mettere a repentaglio il sistema europeo e globale di protezione internazionale”.
Per il CoE, “garantire che l’asilo possa essere richiesto e valutato nei territori degli Stati membri rimane la pietra angolare di un sistema ben funzionante e rispettoso dei diritti umani, che fornisca protezione a coloro che ne hanno bisogno. È quindi importante che gli Stati membri continuino a concentrare le proprie energie sul miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei loro sistemi nazionali di asilo e accoglienza e che non permettano che il dibattito in corso sull’esternalizzazione distolga da questo le risorse e l’attenzione che sono così necessarie. Allo stesso modo, è fondamentale che gli Stati membri garantiscano che gli sforzi di cooperazione internazionale diano priorità alla creazione di percorsi sicuri e legali che consentano alle persone di cercare protezione in Europa, senza ricorrere a rotte migratorie pericolose e irregolari”, conclude Mijatovic.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2023 Riccardo Fucile
MELONI FA SAPERE AGLI ALLEATI CHE LA PRIORITÀ È “LA MADRE DI TUTTE LE RIFORME”. E COSÌ VIENE RINVIATO L’ITER PER LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DI GIUDICI E PUBBLICI MINISTERI, SBANDIERATA E PROMESSA DA NORDIO – UNA MOSSA PER EVITARE LO SCONTRO CON LE TOGHE IN UN MOMENTO CRITICO… IL GUARDASIGILLI ABBASSA LA TESTA E OBBEDISCE. MENTRE FORZA ITALIA INCALZA LA DUCETTA: “LE DUE RIFORME VANNO INSIEME”
La linea è stata consegnata agli alleati nel corso di una riunione a
Palazzo Chigi alla fine di ottobre. Giorgia Meloni ha indicato la priorità: l’introduzione del premierato. E quindi, tutto il resto può attendere. La prima vittima di questa scelta è la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, una riforma indicata nel programma della coalizione, ma poi messa da parte, anche per evitare conflitti con la magistratura, in larghissima parte contraria.
Il nodo si porrebbe, secondo Meloni, soprattutto nel caso di un referendum confermativo, che non va appesantito con altri quesiti. Carlo Nordio è da sempre uno dei grandi fautori della separazione delle carriere, ma da quando è ministro ha accettato, in maniera troppo arrendevole secondo Forza Italia, i continui rinvii che arrivano da Palazzo Chigi.
Nel mirino dei garantisti sono finite le frasi pronunciate dal guardasigilli sabato scorso a Stresa al forum della Fondazione iniziativa Europa: «Il premierato non uccide la riforma costituzionale della giustizia, ma forse la posticipa». Del «forse» si può tranquillamente fare a meno, perché la decisione è presa.
L’aspetto più preoccupante per Forza Italia e per i parlamentari centristi che spingono per questa riforma che, come detto, le parole di Nordio svelano la linea ufficiale del governo.
Il timore di Fratelli d’Italia, infatti, è che sovrapporre i due temi in un referendum confermativo potrebbe essere dannoso: «Si farebbe confusione, mettendo troppa carne al fuoco con argomenti diversi», conferma un membro dell’esecutivo.
Il timore, infatti, è che nella futura campagna elettorale agli avversari del premierato si possano unire quelli della separazione, allargando un fronte che già si annuncia ampio. Posticipare l’iter della riforma della giustizia vuole dire metterlo a repentaglio: se il referendum sul premierato dovesse svolgersi nel 2026, resterebbe poco alla fine della legislatura.
Il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, Forza Italia, confermando l’impostazione del governo, aggiunge che si faranno entrambe le riforme: «Un conto è dire che c’è la precedenza del premierato, e questa è una scelta politica, altra cosa è dire che non c’è tempo per la separazione delle carriere e quindi per un altro referendum. Noi abbiamo quattro anni di tempo».
Ma nel suo partito c’è chi la vede in maniera diversa: «Premierato e separazione delle carriere sono due riforme fondamentali e non c’è nessun rischio di interferenza tra l’una e l’altra e quindi non servono rinvii», dice Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera. In molti tra i forzisti la pensano così, ed è ampiamente condivisa la convinzione che quella di Fratelli d’Italia sia una tattica dilatoria per non fare la riforma.
L’ala garantista dell’opposizione è sul piede di guerra: «Nordio a marzo aveva annunciato un’iniziativa del governo sulla separazione delle carriere – attacca Enrico Costa di Azione – di fatto fermando il lavoro della commissione che stava andando avanti sulla base delle quattro proposte di legge presentate. Il testo di Nordio non è mai arrivato. È peggio di una presa in giro: vuol dire impedire al parlamento di fare il proprio lavoro».
(da La Stampa)
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