Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
CONTE E DI MAIO ACCUSANO IL LEGHISTA DI AVER FERMATO L’IMBARCAZIONE SOLO PER RACCOGLIERE PIÙ VOTI … L’EX MINISTRA TRENTA: “RIFIUTAI DI FIRMARE IL SUO DECRETO”…. IN UN PAESE NORMALE SAREBBE IN GALERA DA TEMPO (E NON DA SOLO)
Solo per raccogliere voti. C’è un triste motivo dietro lo
sfruttamento del dolore e della violazione dei diritti umani: la mira elettorale, il tornaconto politico. Solo questo avrebbe condotto il leader della Lega, Matteo Salvini – nella sua veste di ministro dell’Interno – a negare nell’agosto 2019 l’autorizzazione a far sbarcare dalla nave ong Open Arms 147 immigrati.
È questo il punto nevralgico-giudiziario che emerge dalle testimonianze raccolte davanti ai giudici del tribunale di Palermo, dopo due anni dall’inizio del dibattimento del processo. Salvini, com’è noto, è imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver illegittimamente negato lo sbarco dei migranti. La Convenzione di Amburgo, prodotta dai magistrati, prevede che il Paese che per primo riceve la notizia di un salvataggio in mare deve intervenire in tempi utili e individuare un Pos (place of safety) cioè un porto sicuro dove siano rispettati i bisogni fondamentali dei migranti e i loro diritti umani.
Il porto sicuro nel 2019 doveva essere individuato dal ministro dell’Interno Salvini. Non venne fatto per alcune settimane, mentre a bordo della Open Arms la situazione provocato dalla mancanza di spazi e dalle precarie condizioni sanitarie era disperata. Degenerava giorno dopo giorno.
Il medico di bordo, Inas Urrosolo, sentito come teste ha raccontato storie drammatiche di chi fuggiva dalla guerra, dalle persecuzioni etniche e politiche, dalle violenze. Le donne erano state abusate. Di violenza sessuale erano vittime anche bambini. Alcuni migranti, prima del viaggio, erano stati feriti a colpi di pistola.
L’inchiesta – incardinata a Palermo quando a capo della procura c’era Franco Lo Voi – è coordinata dall’aggiunto Marzia Sabella e dai pm Giorgia Righi e Gery Ferrara, oggi alla procura europea. Fra gli ex alleati di governo o ex ministri, in due anni di dibattimento, nessuno davanti al tribunale ha sostenuto l’operato di Salvini.
L’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rispondendo in aula alle domande del procuratore aggiunto Marzia Sabella, ha detto che, a parer suo, «la decisione di trattenerli a bordo non aveva alcun fondamento giuridico».
Ed ha aggiunto: «Siamo al 15 agosto 2019, ci avviavamo verso la crisi di governo e una probabile competizione elettorale. Il tema immigrazione è sempre stato caldo per la propaganda politica ed era chiaro che in quella fase, Salvini, che ha sempre avuto posizioni chiare sulla gestione del problema, volesse rappresentare me come un debole, contrapposto a lui invece rigoroso».
Per l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, la mossa di Salvini era «un atto finalizzato a scoraggiare le ong affinché non arrivassero in Italia». Ed ha aggiunto davanti ai giudici: «Il problema era il numero dei giorni durante i quali fu vietato lo sbarco».
L’allora responsabile del Viminale non indietreggiò nemmeno davanti alla decisione del Tar che sancì la sospensione del suo decreto con cui si vietava l’approdo della Open Arms.
Tanto che Salvini inviò all’allora ministra Trenta un secondo decreto analogo da firmare. «Rifiutai di firmarlo», spiega Trenta, «perché ritenni che valesse ancor di più la decisione del Tar, visto che erano passati altri giorni e che comunque era una reiterazione di un provvedimento annullato senza sostanziali novità, anzi in presenza di una situazione peggiorata».
Sul divieto dello sbarco anche l’ex ministro Danilo Toninelli ha accusato Salvini: a suo dire, lo avrebbe fatto solo per lucrare consensi elettorali. Sulla stessa linea le dichiarazioni di un altro ex ministro, Luigi Di Maio: «Tutto ciò che veniva fatto in quel periodo da Salvini era per ottenere consenso». E ancora: «La maggior parte delle volte sapevamo del rifiuto di pos da parte di Salvini dai media che riportavano le sue dichiarazioni. Non ci sono mai state riunioni del Consiglio dei ministri, né informali né formali, sulla questione della concessione del porto sicuro alle navi con i migranti. Casomai le riunioni vennero fatte per affrontare le conseguenze del diniego di Pos dell’ex ministro dell’Interno».
Agli atti del processo è stata inserita anche una mail con la quale la ex cancelliere tedesca, Angela Merkel, rispondeva a Oscar Camps, fondatore della Ong spagnola Open Arms. Quest’ultimo aveva consegnato una lettera all’ambasciatore tedesco in Spagna per sollecitare un intervento dell’Ue e sbloccare la vicenda dei migranti da far sbarcare.
Nelle prossime due udienze (24 novembre e 1 dicembre) è prevista la conclusione dell’esame dei testi delle parti civili. Da gennaio, spazio a quelli della difesa.
(da La Repubblica)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
MA IL QUOTIDIANO “DOMANI” REPLICA SCODELLANDO IL CONTRATTO DA 80MILA EURO L’ANNO FATTO DAL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
Alessandro Amadori, adesso, sembra un passante. Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, è già pronto a disconoscere lui l’iniziativa “Educare alle relazioni”, tanto da smentire in maniera maldestra una consulenza avviata da novembre dello scorso anno con l’amico sondaggista, “assunto” – come già scritto da Domani – al ministero con una contratto a tempo pochi giorni dopo aver messo piede a viale Trastevere.
Anche la notizia del progetto da lui coordinato era circolata da tempo. Era stato annunciato a settembre e affidato proprio ad Amadori, autore del libro la guerra dei sessi in cui intitola un capitolo Il diavolo è donna.
Altri siti specializzati spiegano come Amadori è anche a capo del progetto contro le molestie nelle scuole. Agli atti naturalmente non ci sono smentite, né rettifiche o precisazioni rispetto al ruolo assegnato ad Amadori che figurava come curatore.
Di fronte alle rivelazioni di Domani sulle tesi del docente (“anche le femmine sono cattive, sono come il diavolo”) , è scattata, da parte del ministro e dei giornali della destra, l’operazione damnatio memoriae. Amadori, chi? «Non c’è nessuna consulenza affidata a nessuno. C’è un progetto che è stato fatto, scritto dal dipartimento del ministero dell’Istruzione e del merito», ha risposto Valditara
La colpa è degli altro casomai, lui non sapeva nulla. E se c’era, pensava ad altro. Con un ragionamento rilanciato dalla stampa più vicina al governo. Amadori però è ben noto agli uffici del ministero dell’Istruzione e del Merito: dalla documentazione ufficiale Amadori risulta, fin dal 4 novembre 2022, nell’elenco degli «esperti o consulenti di alta professionalità o specializzazione» del dicastero di viale Trastevere.
Insomma è diventato parte integrante del team di Valditara, appena quindici giorni dopo l’insediamento del governo Meloni. Un contratto firmato, addirittura, prima di tanti altri tecnici, assunti nelle vesti di consulenti nelle settimane e nei mesi successivi. Insomma, tutto lascia pensare che fosse una delle prime scelte del ministro.
L’incarico al docente prevede una retribuzione di 80mila euro lordi all’anno. Nello specifico la mansione è relativa alla «promozione di progetti di miglioramento dei processi di apprendimento individuale e collettivo nel sistema scolastico, di progetti di partenariato, collaborazione e cooperazione internazionale in ambito formativo ed educativo, con particolare riferimento ai Paesi dell’Africa e ai relativi sistemi scolastici nazionali».
Fuor di linguaggio burocratico, significa che può occuparsi di progetti sulla scuola, anche oltre i confini nazionali e continentali. Un perfetto curriculum per porsi al comandi di Educare alle relazioni, che ha messo insieme giuristi e psicologi per favorire la formazione.
E il diretto interessato, Amadori, cosa dice? «Non ho una consulenza, sono solo un consigliere del ministro Valditara e seguo alcuni progetti all’Istruzione sull’apprendimento», ha spiegato all’agenzia AdnKronos. Si prova a giocare sui termini per fare dei distinguo. Consulente no, collaboratore sì.
In ogni caso il docente ha ribadito che non lascerà il posto ottenuto a novembre dello scorso anno: «Dimissioni? Assolutamente no, se non c’è una richiesta del ministro Valditara». Amadori, peraltro, non ci pensa a fare passi indietro nemmeno rispetto alle tesi espresse nel suo libro: «Parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è ‘sì’, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo».
(da EditorialeDomani)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
IN TANTE HANNO REPLICATO DESCRIVENDO LA SCARSA COLLABORAZIONE NEI COMISSARIATI NELLA DENUNCIA DELLE VIOLENZE
«Se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto. Se
domani tocca a me, voglio essere l’ultima». La poesia la conoscono oramai un po’ tutti, è quella dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres, ed è stata più volte citata in questi giorni in merito al caso di Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Ai tanti pensieri diffusi sui social anche la Polizia di Stato ha postato il suo su Instagram: «Questi i versi di una toccante poesia (…) che ci ricordano, oggi più che mai, l’importanza di essere uniti nel combattere la violenza sulle donne. Ricordate, se #questononèamore non siete sole. Insieme per l’eliminazione della violenza di genere». Un post che voleva esser solidale alle tante donne che subiscono violenze. Peccato che nei commenti tante donne ricordino però quanto si siano sentite sole proprio nell’atto di denunciare un’aggressione in caserma.
«Da voi mi sono sentita dire: “Venga la prossima settimana” – “Ma magari si tratta di uno scherzo!” – “Aspettiamo un’altra settimana” – “Non c’è molto da fare”. Per giorni ho vagato per caserme e questure nella ricerca di un sostegno e di uno strumento. Sono finalmente riuscita a sporgere una querela nei confronti dell’uomo sconosciuto che mi ha stalkerizzata per un mese terrorizzandomi, solo perché sono stata “raccomandata”», ha commentato una ragazza. Non è l’unica. «Quando sono stata trascinata in un parcheggio di forza e sono venuta a denunciare mi avete apostrofato come “quella a cui hanno dato un boffetto sul sedere”. Mi avevano trascinato di peso in un parcheggio. Mi avete chiesto com’ero vestita», risponde Giulietta. E ancora: «Sono uscita con un carabiniere una volta, pensando che fosse single. A metà cena scopro che è sposato, con 3 figli piccoli, e insisteva per portarmi via due giorni. (…) Mi sono trovata ad aver paura, col cellulare scarico, e quei 2 km in macchina prima che mi riportasse alla mia, avevo il terrore che imboccasse un’altra strada». «Vi ringrazio soprattutto per quella volta in cui il mio ex stava alzando le mani a me e a un mio amico perché era geloso, e voi quando siete arrivati mi avete detto ‘ma dai sono cose da ragazzi’», ha invece commentato Chiara. E infine: «Quando sono venuta a chiedere aiuto perché ero stata inseguita di corsa per tutto un parco mi avete chiesto se non mi fossi “fatta suggestionare”». .
(da Open)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI RICONOSCERE UN PRIVILEGIO DI NASCITA, L’ESSERE MASCHIO, E PROVARE AD ABBATTERLO
Se sei nato maschio, hai convissuto con un privilegio a cui forse non hai mai pensato. Ha ragione Elena Cecchettin quando dice “gli uomini devono fare mea culpa”, eppure le sentite le grida? Gli strali dei masculi offesi? Li avete letti i commenti, migliaia, degli omini scalfiti nel loro orgoglio?
“Ma io non ho fatto niente, di cosa dovrei chiedere scusa?”
“Io delle donne ho sempre avuto rispetto”
“Io non toccherei una donna neanche con un fiore”
Eppure è tanto chiaro: per gli uomini non si tratta di odiare se stessi oppure odiare il genere maschile, nessuno ci odia, anche se ogni tanto ce lo meriteremmo. Si tratta di prendere consapevolezza che abbiamo avuto dei vantaggi in partenza e li abbiamo ancora oggi. E perciò se noi come genere maschile siamo stati avvantaggiati, significa che al genere femminile sono state tolte delle possiblità.
“Fate di tutta l’erba un fascio!”
“Guarda che io ad esempio ho avuto una ragazza che mi trattava malissimo”
“Essere gelosi significa tenere alla tua donna!”
Lo sentite l’odore? E’ tutto testosterone e giustificazioni
E il rumore lo ascoltate? Sono le dita sul vetro di chi attacca Elena Cecchettin perché non corrisponde al ruolo della “sorella della vittima” che aveva in testa
Non se l’aspettavano una che toglie la polvere dall’ipocrisia, pensavano che ci si sedesse sopra.
Si sono sentiti chiamati in causa, i fallocrati, e reagiscono attaccando. Come dei semidei caduti insultano Elena Cecchettin per come si veste (“satanista!”), per le sue parole (“bugiarda!”) e per i suoi modi (“non è questo il modo!”). E cos’altro è, questa, se non la rappresentazione plastica del maschilismo?
E’ il privilegio dell’essere maschio: a noi nessuno ci attaccherà per come ci vestiamo. Il nostro vestire non è mai entrato nel dibattito pubblico per definire la nostra personalità, a meno che qualcuno “non si vesta da donna” e allora è “froc*o”.
Il nostro vestire non è mai stato giusto o sbagliato, non ha mai rappresentato la giustificazione pubblica di una violenza contro un uomo.
Se oggi mettessi i pantaloncini corti mi considererebbero uno sportivo, capace di resistere bene ai primi freddi di questo fine novembre. Quando metto la cravatta sono elegante, e quando indosso i jeans sono un uomo alla mano e intraprendente. Posso fare quello che voglio, vestirmi come mi aggrada, suscitando quasi sempre pensieri positivi.
Il privilegio dell’essere maschio è che posso essere attaccato per le mie parole, certo, ma raramente per i modi. Se un concetto lo dico in maniera calma, allora sono riflessivo e ponderato. Se lo dico in modo gentile, sto usando un’arte. Se affermo la stessa cosa in modo veemente, finanche arrabbiato, allora “si vede che ci tengo alle cose che dico”.
Se sorrido sono educato e cordiale, non penseranno di me che sono un tipo facile; e se resto serio “ho cose importanti a cui pensare”, e in nessun caso mi chiameranno fica di legno. Anche questo è privilegio maschile.
E’ un privilegio quello che mi porto addosso. Pesa, ed è anche colpa mia. Ha ragione Elena Cecchettin quando dice “uomini, pensateci, c’è stato almeno un episodio in cui avete mancato di rispetto ad una donna in quanto donna”. Elena Cecchettin ha ragione anche nel mio caso. Anche se non me ne ero accorto, anche se lei ha riso, anche se sembrava veramente divertente, oggi lo dico: era sessismo
Quando Cecchettin parla di “commenti sessisti con i vostri amici”, commenti a cui non vi siete ribellati, centra il punto. E’ vero che talvolta anch’io ho ho lasciato fare, in diverse occasioni non mi sono reso sufficientemente ostile, e questa è una colpa perché così facendo ho preparato il terreno ad altri atteggiamenti come quelli a cui avevo assistito. Ho arato loro il terreno, con i miei silenzi. Non volevo “rovinare la serata a nessuno” e ho fatto male. Dovevo farla saltare in aria, quell’aria da cameratismo.
“Fatevi un esame di coscienza per il vostro privilegio maschile” è quello che sto provando a fare, Elena Cecchettin.
Eppure, anche in questo momento, continuo a leggere agenzie di stampa e commenti sui social di chi sceglie di tirarsi fuori ora e sempre, di chi pensa di non essere coinvolto, di chi crede di avercela fatta senza nessun aiuto. Allora ve lo dico da persona di sesso maschile: no, non c’è nessuna caccia al maschio, tranquilli. Non confondete i carnefici, se vi interessa davvero cambiare il sistema.
“E perché allora non parlate anche delle donne che picchiano i loro compagni?
“Cosa c’è di male se i maschi fanno i supereroi e le femmine le principesse?”
“Ma perché se una donna viene picchiata dal compagno non se ne va? Non voglio dire che sia colpa sua, però…”
Invece di spendere il vostro tempo a dire quanto siete bravi, quanto voi rispettiate le donne e quanto perciò le donne siano ingiuste nel non riconoscervi i vostri meriti, trascorretene un po’ pensando a quando questo non accade. E a quante volte, soltanto il nostro aspetto fisico da maschi, per cui non abbiamo fatto nessuno sforzo, pagato nessun pegno, per cui non ci sarebbe proprio niente di cui vantarsi, ci ha aperto delle porte che, se fossimo stati femmine, sarebbero state quasi tutte chiuse.
(da Fanpage)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI CHIEDE PIÙ SPAZIO PER I CANDIDATI GOVERNATORI DI FRATELLI D’ITALIA MA LA LEGA OPPONE IL MURO: “RICONFERMIAMO GLI USCENTI O TUTTO IN DISCUSSIONE”… E MATTEO SALVINI ARRIVA A MINACCIARE LA CORSA SOLITARIA DELLA LEGA IN ALCUNE REGIONI
Il centrodestra, nei territori, sta andando in frantumi. Non appena
il partito di Giorgia Meloni ha iniziato a reclamare più spazio, perché ha pochi governatori rispetto ai voti che porta in dote alla coalizione, Lega e Forza Italia hanno risposto rompendo gli accordi e scavando trincee intorno ai loro presidenti di Regione. È successo in Trentino, dove si è votato recentemente, così come in Sardegna, Basilicata e Abruzzo, che andranno invece al voto a marzo, e in Piemonte, dove si voterà a giugno.
Le Europee sono alle porte e nessuno vuole fare un passo indietro dando un segnale di debolezza alle proprie truppe. Così però, ammette uno degli sherpa che si sta occupando delle trattative, «non si può più escludere la possibilità di correre divisi». La premier non vuole che questa storia monti fino a diventare una questione di rilievo nazionale, capace quindi di provocare fibrillazioni nel governo, ma è sempre più difficile ridurre il tutto a piccole beghe locali. I big di partito, infatti, iniziano a segnare il terreno.
«O si chiude tutto insieme o non si chiude nulla. A marzo penso sia naturale ricandidare i tre governatori uscenti del centrodestra», avverte il vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Esattamente quello che non vuole Meloni. L’unica strada per ricomporre la frattura, agli occhi della premier, è quella che porta alla candidatura in Sardegna dell’attuale sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, mettendo alla porta il governatore uscente Christian Solinas, della Lega. In cambio, Matteo Salvini potrebbe reclamare la Basilicata, candidando Pasquale Pepe, ex deputato e suo attuale collaboratore a palazzo Chigi.
Ma non è una prospettiva che alletta il leader leghista. Candidare Solinas alle Europee è una possibilità, «ma le chance di essere eletto sono poche», ragionano a via Bellerio, dove non mollano: «Per noi Solinas deve essere ricandidato. L’ultima occasione per evitare che il caso deflagri a livello nazionale arriverà venerdì prossimo, quando si dovrebbe tenere una riunione di maggioranza in Sardegna.
La Basilicata al momento è guidata dal forzista Vito Bardi e il segretario azzurro Antonio Tajani punta i piedi: «Bardi è vincente in tutti i sondaggi e non è in discussione la sua candidatura. Forza Italia lo sostiene con forza e determinazione». Stessa storia per Alberto Cirio in Piemonte, già riconfermato da Forza Italia, ma non ancora dagli alleati.
(da agenzie)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE EUROPEA DEFINISCE LA LEGGE DI BILANCIO “NON PIENAMENTE IN LINEA” CON LE RACCOMANDAZIONI DEL CONSIGLIO. UN GIUDIZIO CHE LASCIA INTENDERE UN PROSSIMO GIUDIZIO NEGATIVO, CHE POTREBBE PORTARE A UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE
La manovra del governo Meloni è rimandata. In primavera. E rischia la procedura d’infrazione per “Squilibri macroeconomici eccessivi”. Il pacchetto d’autunno della Commissione europea con le pagelle sul Documento Programmatico di Bilancio sono in chiaroscuro. La legge di Bilancio viene definita “non pienamente in linea” con le raccomandazioni del Consiglio. Non è una bocciatura ma nemmeno una promozione. Anzi, contiene il rischio concreto di un prossimo giudizio negativo.
La manovra italiana si salva perché l’invito a seguire politiche prudenti sulla spesa primaria sembra essere rispettata per il 2024. Soprattutto grazie alla cancellazione del superbonus edilizio.
Il problema però è che nel 2023 lo stesso dato è assolutamente fuori dai parametri e dalle indicazioni fornite nelle ultime raccomandazioni: la spesa primaria quest’anno è “significativamente” superiore al tetto richiesto. Scavalla il limite almeno dello 0,6 per cento.
Per questo la Commissione vuole aspettare i dati definitivi del 2023 per emettere il giudizio definitivo. Ma c’è di più per quanto ci riguarda. E’ evidente che le previsioni del Tesoro su deficit e debito non rassicurano. Tanto che secondo la Commissione, l’Italia – insieme a Lettonia e Olanda – deve tenersi pronta ad adottare le “misure necessarie”.
Sostanzialmente è un avviso di una probabile richiesta di manovra correttiva. E in più si rischia l’attivazione del Meccanismo di allarme per squilibri di bilancio eccessivi. Il primo passo della procedura d’infrazione. Anche in questo caso non siamo soli: Cipro, Germania, Grecia, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia.
Palazzo Berlaymont, però, ricorda che già a maggio scorso era stata rilevata la distanza rispetto al parametro del 3 per cento di deficit e a quello del 60 per cento di debito. E la linea di tendenza della manovra non inverte questo trend: 5,3 di deficit quest’anno, oltre il 4 nel 2024 e oltre il 3 nel 2025. Per la Commissione, inoltre, le previsioni del governo appaiono ottimistiche. Per non parlare del debito che non cala, anzi cresce.
La Commissione, in conclusione, ritiene che “l’Italia abbia compiuto progressi limitati per quanto riguarda gli elementi strutturali delle raccomandazioni di bilancio formulate dal Consiglio il 14 luglio 2023 e invita pertanto le autorità italiane ad accelerare i progressi”. Con un aspetto in più: tutto questo – avverte la Commissione – presuppone l’attuazione del Pnrr. Se non fosse così, tutto cambierebbe. In molto peggio. L’appuntamento, dunque, è alla prossima primavera.
(da agenzie)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE ITALIANO HA LE SUE RAGIONI: LA TV APERTA IN ALBANIA, CHE NON RISPARMIAVA CRITICHE AL PRIMO MINISTRO EDI RAMA, FU CHIUSA DOPO DUE ANNI… BECCHETTI VENNE “SILENZIATO” CON ACCUSE DI RICICLAGGIO DA PARTE DELLA GIUSTIZIA ALBANESE E FU EMESSO UN MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE – MA I TRIBUNALI HANNO RICONOSCIUTO L’INFONDATEZZA DELLE ACCUSE E RICONOSCIUTO A BECCHETTI UN RICCO RISARCIMENTO… SOLO CHE L’ALBANIA NON PAGA IL DOVUTO
L’8 aprile scorso ha vinto contro il governo dell’Albania una causa
per danni da 135 milioni. Oggi, non avendo ottenuto il risarcimento, l’ha pignorata “anche presso terzi” per la stessa cifra: tra questi il governo italiano, che ora potrebbe dover fermare l’accordo sul trasferimento degli immigrati a Tirana. Protagonista di questa inusuale iniziativa legale è Francesco Becchetti, imprenditore italiano al quale dopo anni di traversie giudiziarie sono stati riconosciuti i danni per la vicenda della chiusura della tv albanese Agon Channel.
Tramite i suoi legali, Becchetti “ha provveduto a notificare atto di pignoramento nei confronti della presidenza del Consiglio e nei confronti di tutti i ministeri del governo italiano affinché vengano pignorate tutte le somme che il Governo italiano si è impegnato a versare al governo albanese sulla base del protocollo del 6 novembre”
Dopo un decennio di guerre legali, a inizio aprile l’Albania aveva definitivamente perso la causa per la revisione del lodo arbitrale che ha riconosciuto all’unanimità a Francesco Becchetti e ad altre persone un risarcimento danni da 135 milioni. La somma è enorme: equivale allo 0,75% del Pil di Tirana che nel 2022 ha raggiunto i 16,2 miliardi. La vertenza riguarda Agon Channel, un’emittente tv di Tirana con 500 dipendenti della quale Becchetti era il proprietario, lanciata in Albania ad aprile 2013.
Per aver trasmesso critiche all’allora primo ministro albanese Edi Rama, al suo governo e ad altri politici, il canale fu chiuso a ottobre 2015 dopo che Becchetti e sua madre, Liliana Condomitti, furono accusati ingiustamente di riciclaggio. I beni di Becchetti furono congelati, venne emesso un mandato di arresto internazionale e ne fu richiesta l’estradizione. A ottobre 2015, Becchetti fu posto sotto arresto a Londra ma a luglio 2016 la Corte penale di Westminster rigettò il mandato di estradizione, definendo le prove albanesi “totalmente fuorvianti”.
A respingere le richieste dell’Albania è stato l’Icsid di Washington, il Centro internazionale per il regolamento delle controversie sugli investimenti che fa parte del gruppo della Banca mondiale. Per l’Icsid i mandati di arresto emessi dal governo di Rama contro Becchetti e l’amministratore di Agon, Mauro De Renzis, accusati di evasione fiscale, falsificazione di documenti, appropriazione indebita e riciclaggio, erano motivati dalle critiche di Agon al governo albanese e che la chiusura della tv fu il culmine di una campagna politica contro Becchetti. I tribunali di Londra hanno stabilito che Tirana ha abusato del procedimento giudiziario. Dopo che l’Albania non è stata in grado di giustificarli, l’Interpol ha ritirato i mandati di arresto contro Becchetti e De Renzis.
Ad aprile scorso così il lodo del 2019 era divenuto definitivo e il governo albanese doveva versare 120 milioni a Becchetti e agli altri attori della vicenda. Becchetti ha commentato: “Rama e il suo governo hanno messo in atto contro di me una delle peggiori persecuzioni politiche della storia contemporanea europea”.
Dopo la decisione di pignorare il governo italiano, Becchetti ha dichiarato che “il lodo che mi assegna a titolo di risarcimento l’importo di 135 milioni di euro è definitivo, vincolante, esecutivo e ha la stessa efficacia di una sentenza definitiva resa all’interno dello Stato.
Ciò nonostante, da ormai quattro anni il governo Rama si rifiuta di adempiere a quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale Icsid della Banca Mondiale, istituito dalla Convenzione di Washington del 1965. stupisce come il governo italiano non abbia ancora adottato nei miei confronti, in qualità di cittadino italiano vittima di gravi violazioni dei diritti umani, la dovuta protezione diplomatica’” Ora si apre un problema per Giorgia Meloni: Roma dovrebbe versare a Tirana un anticipo di 16,5 milioni per realizzare le due strutture nel porto di Shengjin e nel villaggio di Gjader.
(da agenzie)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
MARCIA INDIETRO IMBARAZZANTE… SCHLEIN: “IL GOVERNO HA SBATTUTO IL MUSO SULLA COSTITUZIONE”
Per le opposizioni è una marcia indietro imbarazzata. Per il governo solo un gesto distensivo e di rispetto verso il Parlamento, per quanto non dovuto. Fatto sta che l’accordo con l’Albania per il trasferimento dei migranti diventerà una legge votata dal Parlamento.
Nonostante da destra e anche da Palazzo Chigi (per primo il sottosegretario Fazzolari) avessero detto chiaramente che non fosse necessario, in virtù di precedenti accordi di collaborazione sottoscritti con l’Albania.
«Il governo intende sottoporre in tempi rapidi alle Camere un disegno di legge di ratifica che contenga anche le norme e gli stanziamenti necessari all’attuazione del protocollo», ha annunciato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, alla Camera strappando applausi anche dai banchi del Pd. «Il dibattito di oggi e il voto che lo concluderà dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che il nostro governo non si è mai sottratto, specie su questioni di tale rilevanza, al dialogo e al vaglio del Parlamento», ha sottolineato Tajani. Ad ascoltarlo quasi solo le opposizioni: banchi del centrodestra, almeno all’inizio, quasi deserti. Pur mantenendo una forte critica nel merito, Elly Schlein si mostra soddisfatta per il cambio di rotta: «Il governo ha sbattuto il muso sulla Costituzione», dice la segretaria Pd, che per la prima volta ha alzato la voce in Aula durante l’intervento di Tajani: «Allora avevamo ragione! Viva la Costituzione!». Mentre il responsabile Esteri del Nazareno, Peppe Provenzano, parla di «positiva inversione a U» del governo. Mentre il capogruppo M5s, Francesco Silvestri, sottolinea che «la volubilità e confusione di Tajani sono lo specchio di questo governo».
Le opposizioni, però, non sono riuscite a presentare una risoluzione unitaria sul tema «migranti in Albania». Ancora una volta sull’immigrazione il Movimento 5 stelle ha deciso di muoversi da solo con un proprio testo, per veicolare «una posizione più articolata» e la «terza via» prospettata da Conte. Il documento, comunque, al pari di quello firmato insieme da Pd, Azione, Iv, Avs e +Europa, impegna per l’appunto il governo a «presentare alle Camere, ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione, la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica del protocollo».
(da agenzie)
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Novembre 21st, 2023 Riccardo Fucile
IL 44ENNE, A CAUSA DELLE FERITE RIPORTATE, NON RIESCE A ESSERE PRODUTTIVO COME PRIMA E QUINDI È STATO CACCIATO
Vittima di un’aggressione in fabbrica da parte di uno
schizofrenico, quando torna al lavoro trova una lettera di licenziamento. La spiegazione della direzione è sconcertante: «Le lesioni che ha riportato hanno provocato l’impossibilità di eseguire le mansioni e non ci sono altri compiti che lui potrà svolgere».
Era il 19 dicembre dello scorso anno, da poco passate le 7 di mattina, la vittima era di spalle e stava montando un pezzo nella Tama Aernova di Roletto, fabbrica appena fuori Pinerolo che produce sistemi filtranti, quando un suo collega – senza dire una parola – si è avventato su di lui colpendolo alla schiena con un coltello. Alla base dell’aggressione non c’era una lite, non un vecchio rancore, solo un fantasma di quelli che prendono forma nella mente dei malati psichiatrici.
Le ferite alla schiena gli hanno provocato un’invalidità del 16% e il medico della fabbrica ha stabilito che avrebbe potuto certamente tornare al lavoro ma con alcune limitazioni: non sollevare carichi superiori ai 5 chili, fermarsi al secondo scalino in caso di uso della scala e poi alternare momenti di lavoro in piedi ad altri seduto.
Per un attimo Sanjay Mensa, 44 anni, adottato da una famiglia di Pinerolo che l’aveva conosciuto nell’orfanotrofio di Madre Teresa di Calcutta, è rimasto in piedi incredulo, poi si è accasciato a terra e quando ha ripreso i sensi si è ritrovato in ospedale. I medici gli avevano salvato la vita, ma la convalescenza e la riabilitazione sono durate mesi. Le ferite alla schiena gli hanno provocato un’invalidità del 16% e il medico della fabbrica ha stabilito che avrebbe potuto certamente tornare al lavoro ma con alcune limitazioni: non sollevare carichi superiori ai 5 chili
«Ma quando ho varcato il cancello – spiega Sanjay – sono stato bloccato, mi hanno detto che nella fabbrica non c’erano mansioni che facessero al mio caso e che dovevo tornare a casa». E aggiunge: «Mi è crollato il mondo addosso, come è possibile che un’azienda che ha un fatturato di 33 milioni e dice di investire parte dei profitti anche sul sociale, licenzi un padre di famiglia con 4 figli a carico?».
Mentre parla nella sua casa, alla periferia di Pinerolo, sono i disegni dei suoi bambini, appesi alle pareti, a fare da cornice a un momento di grande preoccupazione. «Ma per quale motivo la mia ditta ha dato lavoro a una persona che aveva seri problemi psichiatrici e per me, che oggi pago le conseguenze di un fatto violento avvenuto in fabbrica, c’è la lettera di licenziamento? Possibile che lì dentro non ci sia un lavoro diverso che io possa fare?».
Un’interpretazione chiara arriva dagli uffici di Pinerolo della Cgil, dove si è rivolto per essere assistito: «Tutto risponde a quel principio che guarda solo al profitto e non alla risorsa umana – spiega Simona Petriello dell’ufficio vertenze -. Oggi Sanjay non serve più alla produzione e allora lo vogliono mettere fuori. Il paradosso è che facevano lavorare una persona che, sebbene avesse problemi psichiatrici, era utile nel processo produttivo».
(da La Stampa)
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