Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
IN CHIESA INTONATO LO SLOGAN: “NON AVEVA PAURA E NOI NON ABBIAMO PAURA”… LA BARA APERTA, LA MUSICA DI “TERMINATOR” E LA SEPOLTURA SULLE NOTE DI “MY WAY” DI FRANK SINATRA… IMPEDITO L’ACCESSO IN CHIESA AI DIPLOMATICI STRANIERI
Si sono tenuti a Mosca i funerali di Aleksej Navalny, in una chiesa della periferia sud della capitale blindata per l’occasione. Ci sono stati almeno 3mila sostenitori. La folla ha accolto l’arrivo del feretro in chiesa con applausi e scandendone il nome. Hanno gridato anche “Non aveva paura e noi non abbiamo paura”, uno degli slogan dell’oppositore, morto in un carcere russo il 16 febbraio scorso.
Oscurato internet nella zona della chiesa. La folla ha poi accompagnato il feretro fino al cimitero, 2,5 km più in là. Impedito l’accesso in chiesa ai diplomatici stranieri.
La bara di Alexey Navalny è stata calata nella tomba sulle note di ‘My Way’ di Frank Sinatra. Lo ha riferito – riporta la Cnn – il team dell’oppositore durante una diretta della cerimonia di sepoltura. Il team di Navalny ha anche affermato che sta avendo problemi con la trasmissione a causa di disturbi di comunicazione sul posto. Problemi riscontrati, scrive l’emittente americana, anche dalla stessa Cnn.
“Alexei considerava Terminator 2 il miglior film sulla terra. La musica della scena finale è stata suonata al suo funerale”. Lo scrive su X la portavoce di Alexei Navalny, Kira Yarmish, postando un video di una tromba che suona mentre le persone, nel cimitero Borisovskoye, sfilano davanti al loculo dell’oppositore russo, chi lasciando un fiore, chi lanciando un bacio.
Alexei Navalny è stato sepolto al cimitero di Borisovskoye. Alla cerimonia sono stati ammessi solo i familiari.
Agli ambasciatori e ai diplomatici occidentali non è stato consentito l’ingresso in chiesa per i funerali di Alexei Navalny. I diplomatici hanno aspettato fuori come tanta altra gente. Al termine della cerimonia, quando il carro funebre ha sfilato per dirigersi al cimitero, l’incaricato d’affari italiano Pietro Sferra Carini ha lanciato un fiore rosso sull’auto come molti russi.
La madre di Navalny, Lyudmila, è stata abbracciata da molte persone fuori dalla chiesa poco dopo la fine del servizio funebre. In un video condiviso sui social, e ripreso dalla Bbc, si vedono diverse persone avvicinarsi e abbracciarla, dicendo: “Grazie per tuo figlio” e “perdonaci”.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
LA CONTESTAZIONE A SALVINI NON È LIMITATA AL VENETO: STA DILAGANDO ANCHE IN LOMBARDIA… IL CAPOGRUPPO A BRUXELLES, MARCO ZANNI, ANNUSA IL TRACOLLO E NON SI RICANDIDA
«Affinché la Lega sopravviva, Matteo Salvini deve fare un passo di lato», dice Paolo Grimoldi, ex segretario della Lega Lombarda e anima del Comitato Nord, la minoranza vicina a Umberto Bossi nel partito. Il problema, per il segretario federale e vicepremier, è un altro: che Grimoldi queste cose può dirle da un palco di una festa della Lega in provincia di Bergamo, domenica scorsa, e ricevere applausi scroscianti dalla folta platea.
La contestazione a Salvini non è solo quella dei reprobi venetisti, ma sta dilagando anche in Lombardia, il fortino storico: dallo striscione apparso qualche giorno fa sulla Milano-Meda (“Da Verdi a Verdini, ora basta, congressi subito!”) a quello su un’altra statale in Valle Camonica (“Rispetto per i militanti, congresso subito!”).
La faccenda ancora tutta da chiarire è: se pure ci sarà un congresso, chi può prendere il posto del (fu?) Capitano? In pochi scommettono su Luca Zaia, qualcuno in più su Massimiliano Fedriga, ma la verità è che per far scattare un piano B servirebbe un disastro conclamato alle Europee, necessario per far svegliare anche l’ampia zona grigia di dirigenti che si lamentano ai tavoli delle feste di partito ma poi lì si fermano.
Non siamo ancora ai livelli delle scope di Bobo Maroni, quando con i suoi barbari sognanti rovesciò Bossi, e solo dirlo poteva sembrare una bestemmia nella vecchia Lega, ma c’è ebollizione. Intanto la prossima débâcle leghista al Parlamento europeo, dove il gruppo del Carroccio passerà dai 28 eletti del 2019 ai 5-6 di giugno, miete già la prima vittima ed è una vittima di peso: Marco Zanni, presidente del gruppo Identità e democrazia non si ricandiderà alle elezioni. Zanni è un fedelissimo di Salvini a giugno, le cose cambieranno parecchio.
Il vicepremier punta alla doppia cifra ma non sarà semplicissimo, anzi. Del generale Roberto Vannacci capolista in tutti le circoscrizioni si è detto molto, si vedrà, di sicuro per lui si prevede una bella incetta di preferenze. La strategia del capo leghista da qui al voto è comunque abbastanza semplice: allearsi con qualche sigla che porta voti qua e là, dall’Udc di Lorenzo Cesa all’Mpa di Raffaele Lombardo, oppure con Italia del Meridione, piccolo movimento calabrese guidato da Orlandino Greco (già accusato di concorso esterno alla ‘ndrangheta)
Quel che basta per non farsi travolgere dalla base, o quel che ne resta: nelle ultime settimane sono andati via parecchi quadri locali, alcuni anche conosciuti ai più come Tony Iwobi, passato a Forza Italia; oppure Nino Spirlì, ex presidente calabrese
(da La Repubblica)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
“IL FOGLIO”: “HA SOSTITUITO IL MANGANELLO CON IL PUNTO ESCLAMATIVO. QUASI SI ESALTAVA QUANDO GLI DAVANO DEL ‘QUESTURINO’. AVEVA LA LACCA SUI CAPELLI BIANCHI, LA LACCA CHE COME IL MANGANELLO ‘RADDRIZZA’, PRECISA, IL PELO”
Rispetto! Respingo! Preciso! Ha sostituito il manganello con il punto esclamativo. Se ne sono contati almeno quattro quando Matteo Piantedosi informava, Camera e Senato, sulle cariche di Pisa. Precisava (!) che gli agenti delle forze di polizia “sono lavoratori che meritano il massimo rispetto!”, “respingo ogni tentativo di coinvolgere, nelle polemiche il lavoro delle forze di polizia!”, dunque “vengo ai fatti!”.
Lo hanno mandato a riferire, in Aula, e quasi si esaltava quando, da sinistra, i parlamentari, sottovoce, gli davano del “questurino”. Si appassionava perché, raccontano al Viminale, una delle sue frasi preferite è “sono fiero che mi dicano sbirro”. Aveva la lacca sui capelli bianchi, la lacca che come il manganello “raddrizza”, precisa, il pelo.
A un anno dalla sua tragedia comunicativa, la conferenza di Cutro, Piantedosi, il ministro esclamativo, si è fatto scudo con Mattarella che, confida ai collaboratori, “vado a trovare, sento. Non c’è parola del presidente che io non condivida”. E però, dopo il pensiero da nonno avellinese (“quando si giunge al contatto fisico con ragazzi minorenni è comunque una sconfitta”) Piantedosi si trasformava nello zelante Piantedosi, il ministro che riduceva le botte da orbi di Pisa in una specie di fascicolo alla Gogol, un mancato fax alla questura.
Era ancora lui che scandiva, “preciso che la legge stabilisce un preavviso di tre giorni!” (preavviso che a Pisa non ci sarebbe stato) e aggiungo che ai manifestanti “ancora senza alcun esito, venivano nuovamente chieste indicazioni”. Si prendeva con la sua piccola sagoma tutta la scena, i banchi del governo, perché, nonostante la grancassa di Meloni, questa nuova antipatia tra Palazzo Chigi e Quirinale, confermata da deputati di FdI (“è chiaro che lassù, al Colle, qualcuno non ci ama e in particolare il consigliere di Mattarella, Gianfranco Astori”) Piantedosi resta un ministro in compartecipazione.
Sedici mesi fa, Salvini ne possedeva un pezzo, poi Meloni ha preso la sua parte. Perfino Tajani ha una quota dato che è corso da lui, “dall’amico Piantedosi”. Per fargli sentire di non essere solo, Tajani ha dato forfait ai cinquant’anni del Giornale, il quotidiano dove è stato inviato, caporedattore, e si è precipitato da Piantedosi un momento prima che Piantedosi dicesse: “In Italia c’è un clima di crescente aggressività nei confronti delle forze dell’ordine”.
Dicono che qualche stregone, uno di quelli che misura gli umori italiani, avrebbe spiegato, a Meloni e Fazzolari, che l’errore di Pisa sarebbe già superato dall’aggressione delle canaglie torinesi, incappucciate, e che adesso sarebbe questa la musica da suonare.
Visto che il denaro non basta mai, Piantedosi ne garantiva del nuovo, ulteriore, per le forze dell’ordine, per il rinnovo dei contratti, altra urgenza della premier.
La sicurezza torna così a essere il libretto postale della destra e del governo, che potrebbe presto sostituire, oltre al direttore di Aisi (Del Deo è il favorito) anche quello di Aise (al posto di Caravelli, il vice del Dis, Valensise) un governo sempre più esclamativo. E’ una passione linguistica di Meloni e della sorella Arianna che dice, “dai, su!” e per concludere di Piantedosi che alla fine della sua più lunga giornata, salutava così: “Vi ringrazio!”.
(da Il Foglio)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DEMOPOLIS: IL GIUDIZIO SULLE ALLEANZE
Le elezioni in Sardegna hanno riportato l’attenzione sulla questione delle “alleanze”. Il successo di Alessandra Todde, deputata alla Camera per il Movimento 5 Stelle, ha riproposto l’idea del “campo largo”, delineato dal PD per disegnare un’intesa “molto larga”, tra le forze politiche dell’opposizione.
È significativo che un progetto tanto discusso abbia favorito il successo di Alessandra Todde su Paolo Truzzu, il candidato del Centro-Destra. (Col)legato strettamente a Giorgia Meloni. Mentre la nuova Presidente della Regione fa riferimento al M5S e non al PD, che rimane il partito principale del “campo largo” del Centro-Sinistra. E, forse, una ragione del risultato è proprio questa. Perché il M5S, a livello nazionale, è vicino al PD, nelle stime elettorali recenti.
Ma riassume ragioni politico-sociali “diverse”. Nel segno, originario, della “diversità”. Visto che si definiva un “non-partito”. Mentre, da tempo, è divenuto “un partito”. In grado, oggi, di fare eleggere un(a) Presidente di Regione. Com’è avvenuto in Sardegna.
Questo risultato riflette orientamenti che hanno fatto crescere, nel “campo delle opposizioni” di Centro-Sinistra una domanda di unità, fino a divenire “abbastanza largo” da competere con il “campo della maggioranza”. Come mostra un sondaggio condotto da Demos alcune settimane “prima” di queste elezioni, per rilevare il grado di consenso nel Centro-Sinistra verso le possibili alleanze fra i partiti “del campo”.
Un primo aspetto che emerge è una “larga” attenzione degli elettori di Centro- Sinistra verso l’alleanza fra i partiti di opposizione.
Anzitutto, Pd e M5s. Una prospettiva valutata positivamente dal 60% nella base del M5s e da una quota di poco superiore (62%) tra chi vota per il PD. È interessante come, in entrambi i casi, si osservi una crescita del consenso verso l’alleanza, rispetto a novembre 2022.
Una data significativa, perché segue di poco la vittoria elettorale del Centro-Destra e l’avvio del governo guidato da Giorgia Meloni. E ciò suggerisce come l’esperienza degli ultimi due anni abbia rafforzato, tra le forze di opposizione, l’idea di un “campo” comune. Il “più largo possibile”. In grado di essere competitivo. E magari vincente.
Anche tra i partiti del Terzo Polo, secondo il sondaggio di Demos, il consenso verso l’intesa con il PD supera il 60%. Mentre appare più limitata – e in calo – l’ipotesi di “allargare” l’intesa al M5s. Perché, in un campo “troppo largo”, il Terzo Polo occuperebbe uno spazio “troppo stretto”. E, quindi, conterebbe fin “troppo poco”.
Il “Campo largo” è, quindi, un progetto praticato con successo in Sardegna. Ma lascia aperte alcune questioni significative. Fra le altre, due particolarmente importanti. La prima, già accennata, è la “larghezza” del Campo. La seconda questione riguarda la forma, di questo progetto. I programmi, l’organizzazione, i modelli di selezione della classe dirigente.
In Sardegna, infatti, la sfida vincente è stata “guidata” da una leader del M5S. Non è detto che il risultato si sarebbe ottenuto egualmente, a parti invertite. Inoltre, se si “allarga” lo sguardo al contesto nazionale, non è chiaro se i due soggetti politici condividerebbero programmi e obiettivi comuni nell’ambito della politica economica interna. E, a maggior ragione, internazionale.
Ma il problema più importante è il Capo. Come ha osservato l’Istituto Cattaneo, il risultato sardo è principalmente dovuto alla “capacità attrattiva personale della neo-presidente”. Ma, se allarghiamo lo sguardo oltre i confini regionali, a livello nazionale, nel Centro-Sinistra chi è in grado di essere riconosciuto come “Capo”? E di attrarre, intorno a sé un “Campo (davvero) largo”?
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
IL TRAINO PSICOLOGICO POTREBBE PORTARE BRUTTE SORPRESE ALLA MELONI ANCHE IN ABRUZZO
Effetto Sardegna sui sondaggi. L’alleanza tra Pd e il Movimento piace agli elettori consultati dal Barometro Politico dell’Istituto Demopolis all’indomani dell’affermazione di Alessandra Todde nell’isola.
Se ci si recasse oggi alle urne per le Politiche, Fratelli d’Italia otterrebbe il 28%, confermandosi primo partito. Ma si ridurrebbe a poco più di 7 punti il vantaggio sul Pd, al 20,8%, in crescita di un punto rispetto al mese di gennaio; crescerebbe dell’1,2% il M5S, attestato al 17%.
In crisi, in discesa di un punto e mezzo nell’ultimo mese, è la Lega di Salvini, che si ritroverebbe al 7,6% (per la prima volta sotto la soglia dell’8%), seguita da Forza Italia al 7%.
“La conquista della Regione – spiega il direttore Pietro Vento – sembra aver rimotivato e dato fiducia all’elettorato del fronte progressista, con un riflesso sulla potenziale partecipazione al voto e un rimbalzo del consenso a Pd e M5S”
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
TRA ESALTATI E MANGANELLATORI
1 – Non si attaccano poliziotti e carabinieri. Sono persone al servizio della comunità. Nessun Paese, anche ad alto tasso di democrazia, può tollerare che avvenga. 2 – Non si colpiscono a manganellate, né in altro modo, i manifestanti inermi, tanto più se minorenni. Solo un Paese a basso tasso di democrazia può permettere che questo avvenga.
Non mi sembra che il punto 1 escluda il punto 2, e viceversa. Entrambe le affermazioni dovrebbero e potrebbero essere sottoscritte da chiunque – esclusi gli esaltati e i manganellatori. Ed è entro gli argini del punto 1 e del punto 2 che ogni discussione sensata dovrebbe avvenire. Ma non avviene. Quasi tutte le dichiarazioni politiche nel merito (le parole di Schlein di ieri tra le poche eccezioni) vedono solo il punto 1 oppure solo il punto 2. Come se non esistesse, nel mezzo, una zona grigia dentro la quale, anche se non è semplice, tocca fare i conti con entrambi i princìpi (rispetto della polizia, incolumità dei manifestanti e loro diritto di manifestare). Eppure questa zona grigia esiste, e si chiama realtà. Si chiama strada.
È ciò che si verifica – la realtà – ogni volta che un cordone di polizia fronteggia un gruppo di manifestanti, e nel corpo a corpo qualcuno, da entrambe le parti, cerca le parole e i gesti utili per non fare degenerare la situazione; mentre altri, da entrambe le parti, cercano un pretesto per menare. Chi si limita a esaltare il diritto di manifestare, o si accontenta di dire che la polizia ha sempre ragione, apre bocca solo per far contenta la sua claque (come Tajani, buon ultimo, che riciccia la storia dei “figli di papà contro i figli del popolo”, per la serie “i cavoli a merenda”). Ma non dice niente di nuovo. E dice molto di vecchio.
(da repubblica.it)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
MOSSE LIBERTICIDE DI MELONI & C: IL 48% DEGLI ITALIANI (TRA CUI ELETTORI DI FDI) HA TIMORE DI VIOLENZE PER I RISCHI DI UNA DERIVA AUTORITARIA
Giorgia Meloni fa paura, ha una tendenza alla censura e a comprimere il dissenso, sia di idee che di piazza. La maggioranza degli italiani si ritrova su questi giudizi anche se sul rischio di una deriva autoritaria si divide a metà.
È quanto emerge dal sondaggio commissionato della società Cluster17
Che con il governo Meloni si siano “moltiplicati i casi di divieto di manifestazioni, il ricorso all’uso violento della polizia e i tentativi di censurare il libero pensiero” lo pensa il 48% contro il 34.
È la domanda su cui si registra la più alta percentuale di neutrali, il 18%. Suddivisi per orientamento politico, la stragrande maggioranza dei sì viene dalla sinistra, dal Pd e dal M5S, ma anche da Azione, con il 52% favorevole al quesito. E si registra anche un 13% di elettori di Fratelli d’Italia e un 10% di leghisti.
Il campione, in particolare, ritiene al 50% contro il 36% che censurare e reprimere il dissenso sia “una caratteristica sostanziale del governo Meloni”, affermazione che riscuote il consenso dell’86% degli elettori di Azione (oltre al 92% del M5S e all’97 del Pd) e che viene condivisa soprattutto dagli over 65 anni ma anche dalla fascia di età 25-34 (56%) e dai pensionati (69%), dalle professioni intellettuali (63%).
L’orientamento si conferma alla domanda se il governo Meloni “rappresenti un pericolo per le nostre libertà pubbliche” dove però Azione aderisce meno (43% di sì e 57% di no) e in cui a guidare i favorevoli sono sempre i pensionati e la fascia dei 25-34 anni.
La maggioranza degli intervistati ha però “paura di vedere la libertà di espressione diminuire nei prossimi mesi”, il 55% contro il 45%.
Qui il centrosinistra è abbastanza compatto passando dal 100% dell’Alleanza Verde e Sinistra al 73% di Azione. Ma sorprende il 44% di elettori leghisti che condividono questo timore che invece non è supportato dalle professioni intellettuali (77% di no), mentre lo sostiene il 63% delle professioni intermedie oltre ai soliti pensionati.
Campione diviso, invece, sul “rischio di un’evoluzione autoritaria in Italia”: 47 contro 47. Anche nel Pd si registra una percentuale leggermente minore, 78%, Azione si ferma al 32% e solo gli over 65 e i pensionati confermano le percentuali già registrate sugli altri quesiti.
La sensibilità al rischio di censura cresce moltissimo quando si passa alle vicende che hanno coinvolto gli artisti. La maggioranza secondo cui il “caso Ghali” a Sanremo “mette in luce un tentativo di controllo rigoroso del governo sulla Rai” è netta: 55% contro il 32% in disaccordo e il 13% di neutrali.
Avvertono il pericolo anche il 30% di leghisti e il 20% di Forza Italia, poi ancora la fascia dei 25-34 anni, i pensionati, le professioni intellettuali. Meno gli operai (38%) e gli impiegati (45%).
Il lato artistico si conferma importante visto che il 54% contro il 40% dice di sostenere “le denunce degli artisti per contrastare i rischi di un regime legati al controllo dell’informazione” compreso un 21% di leghisti. La maggioranza degli intervistati ritiene quindi che le opposizioni parlamentari “devono mobilitarsi” contro il rischio di una deriva autoritaria: alte percentuali tra Avs, Pd e M5S, più bassa (45%) in Azione mentre il 56% del campione ritiene che le opposizioni finora non abbiano fatto “abbastanza nell’impegno per la difesa delle libertà”: percentuali tra l’80 e il 90% nel centrosinistra, compresa Azione, ma si registra anche un 47% di consenso leghista.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
TRA LE CONSEGUENZE DEL RISCALDAMENTO GLOBALE VI E’ ANCHE UNA DRASTICA RIDUZIONE DEI RACCOLTI, A CAUSA DELLA SICCITA’ ESTREMA… I DATI CATASTROFICI DELLA PRODUZIONE DI RISO IN ITALIA
Il cambiamento climatico è considerato la principale minaccia esistenziale per l’umanità, a causa delle gravissime e molteplici conseguenze: eventi meteorologici sempre più estremi e frequenti; innalzamento del livello del mare; siccità catastrofica; diffusione di malattie tropicali; incendi devastanti; ondate di calore mortali; crollo dei raccolti; perdita della biodiversità; migrazioni di massa senza precedenti; e guerre per territorio, acqua e cibo. Questo è solo un elenco parziale di ciò che ci aspetta nel prossimo futuro se non taglieremo nettamente e rapidamente i combustibili fossili, alla base delle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas climalteranti che catalizzano il riscaldamento globale.
Non c’è da stupirsi che, con queste premesse, secondo alcuni studiosi la civiltà come la conosciamo oggi potrebbe sparire già entro il 2050. Ma prima di arrivare alla cosiddetta apocalisse climatica, rischiamo di perdere anche molti piaceri sulla tavola, comprese diverse eccellenze italiane e prodotti DOP amati in tutto il mondo. Ce lo ricorda l’impatto della devastante alluvione in Emilia Romagna sulle piantagioni di pesche, in particolar modo le nettarine (o pesche noci). Ma tra i piatti del Bel Paese più minacciati in assoluto dal cambiamento climatico c’è il risotto, in particolar modo quello più pregiato a base di riso carnaroli.
Le risaie, com’è noto, sono piuttosto esigenti in termini di acqua e la siccità estrema provocata dalle temperature anomale ne rappresenta il principale nemico. Lo dimostra chiaramente ciò che è accaduto nella Pianura Padana nel 2022, l’anno più siccitoso di sempre in Italia. Con il caldo anomalo e il Po in secca, dal quale sono emersi i resti di animali preistorici e mezzi affondati durante la Seconda Guerra Mondiale, le piantagioni di riso della vasta area pianeggiante – il cuore pulsante della produzione made in Italy – hanno sofferto in modo estremo, determinando un drastico calo dei raccolti.
Basti sapere che in base ai dati dell’Ente Nazionale Risi, in Italia nel 2022 sono andati perduti 26.000 ettari di risaie e la produzione ha subito un crollo superiore al 30 percento. Nel 2023, meno siccitoso ma comunque rovente, sono andati perduti 7.500 ettari. I risultati sono stati influenzati dall’assenza di precipitazioni nell’inverno precedente, che non ha rimpinguato le montagne di neve. L’Arpa a marzo 2022 aveva stimato una perdita di ben 2 miliardi di metri cubi di acqua nei grandi serbatoi della Lombardia. Tenendo presente che il 50 percento del riso prodotto in Europa arriva proprio dall’Italia e in particolar modo dalla Pianura Padana, è evidente qual è stato l’impatto del cambiamento climatico sui raccolti.
Come affermato in un lungo articolo pubblicato sul Guardian, a soffrire di più nel 2022 sono state proprio le risaie di carnaroli e di arborio. Il primo è considerato il “re dei risotti” grazie alla capacità di assorbire i sapori, ma il suo regno è in bilico, minacciato dalla delicatezza delle sue piante, che si deteriorano facilmente in condizioni non ottimali. Il carnaroli soffre soprattutto il caldo di agosto, come raccontato al Guardian da un agricoltore della zona. A causa degli ingenti danni alle risaie, diversi agricoltori della Pianura Padana hanno deciso di diversificare l’offerta diminuendo la produzione di riso. Del resto vulnerabilità e basse rendite non lo rendono un prodotto redditizio in condizioni così complicate, destinate a peggiorare inesorabilmente nel prossimo futuro.
Se non prenderemo misure concrete contro le emissioni di CO2, non solo supereremo a breve la soglia di 1,5 °C di riscaldamento rispetto all’epoca preindustriale, la soglia oltre la quale ci aspettano conseguenze drammatiche e irreversibili del cambiamento climatico, ma andremo dritti come treni verso un aumento delle temperature medie di 2,7 °C entro la fine del secolo. Con valori così estremi l’impatto sulle risaie (e non solo) sarà semplicemente catastrofico, pertanto non è un’esagerazione immaginare che in futuro potrebbero non esserci più le condizioni per poter coltivare il riso. Soprattutto quello alla base dei risotti italiani più deliziosi.
(da Fanpage)
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Marzo 1st, 2024 Riccardo Fucile
PUR DI CRITICARE IL SUPERBONUS FINISCE DI FARE CONFUSIONE SULLE CIFRE… L’OPPOSIZIONE: “MA NON AVEVA DETTO CHE NON BEVEVA ALCOLICI DURANTE LA QUARESIMA?”
Gaffe della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul Superbonus. Durante la sua intervista di ieri sera al Tg2 la premier ha criticato ancora una volta il bonus edilizio, ma ha fatto un vistoso errore sui numeri: la cifra che cita è sbagliata, c’è una differenza di tre zeri.
Ha detto infatti che è stata una misura “irresponsabile per come è stata realizzata e purtroppo non era gratuita: la stanno pagando tutti gli italiani anche quelli che una casa non ce l’hanno”.
A causa del Superbonus, ha aggiunto, “c’è un buco di 160 miliardi nel bilancio dello Stato, sono risorse che vengono tolte da qualche altra parte. 160 miliardi sono mediamente quattro leggi finanziarie e sono risorse che prevalentemente per far ristrutturare seconde cose sono state tolte dalla sanità, dalla scuola, dai bisogni primari dei cittadini. Con il Superbonus sono stati ristrutturati anche 6 castelli privati per un totale di un miliardo, quello che abbiamo potuto spendere per il pacchetto famiglia. In tutto questo abbiamo attualmente 11mila aziende fantasma, cioè aperte e chiuse solo per usufruire del Superbonus e truffe stimate per decine di miliardi”.
Le cifre sballate sono diverse. Ma procediamo con ordine.
Il primo strafalcione riguarda i “6 castelli privati” ristrutturati al costo totale di 1 miliardo. Come si legge infatti sull’ultima delle tabelle Enea che aggiornano di mese in mese il conto delle minori entrate per lo stato causate dal bonus, i castelli ristrutturati, che non sono abitazioni private ma esclusivamente dimore storiche aperte al pubblico, a pagamento, sono stati in realtà 8, non 6. Ma l’investimento ammesso a detrazione non è affatto di un miliardo, come dice Meloni, ma è pari a 1 milione e 68mila euro.
Quando poi Meloni parla di buco da 160 miliardi per le casse dello Stato si riferisce a una tabella del Mef che, come ricorda il Fatto Quotidiano, è stata portata lo scorso autunno in commissione Finanze, in risposta a un’interrogazione del Cinque Stelle Emiliano Fenu, dalla sottosegretaria Lucia Albano.
Ma stando a quel documento, i 160 miliardi citati da Meloni sono la somma delle cessioni e degli sconti in fattura relativi a tutti i bonus edilizi, compresi il bonus facciate al 90% e le normali detrazioni preesistenti, ecobonus e sismabonus, che vanno dal 50 al 65%.
Se si guarda solo al Superbonus 110%, la cifra al 14 novembre era di 105,9 miliardi. I dati Enea, aggiornati al 31 gennaio, arrivano a 107,3 miliardi.
Le reazioni
“La crisi di nervi scatenata dalla batosta in Sardegna ha mandato in tilt Giorgia Meloni, che invece di rinsavire continua a sparare numeri e dichiarazioni affidandosi completamente alla fantasia. Da dove è uscito questo buco da 160 miliardi? Una cifra totalmente sparata a caso che non trova riscontro in nessun documento economico del Governo, in nessun istituto economico o studio. Le grandi bugie sul Superbonus, tutte smentite da precisi fact checking, sono ormai gli ultimi disperati colpi di una premier alle corde, che prova a distrarre i cittadini dagli orrori di più di un anno di governo: un forsennato sostegno alla guerra, l’inflazione alimentare alle stelle, il caro carburante che prometteva di risolvere col taglio delle accise, i tassi di interesse sui mutui che mordono e un Governo fermo che non osa disturbare le banche con una vera tassazione degli extraprofitti. Il Superbonus ha contribuito a una crescita del Pil del 12% nel biennio 2021-22 ed il debito pubblico in rapporto al Pil è calato di 13 punti in quegli stessi anni. Oggi siamo alla crescita zero: forse le bugie sul Superbonus servono a coprire gli interessi di chi vuole che il nostro Paese mantenga un livello di debito che la Meloni sta facendo crescere”, attacca in una nota Agostino Santillo, vicepresidente gruppo M5S alla Camera.
La premier Meloni ha detto che in questo periodo non beve alcol per via Quaresima? “Io però spero che quando dice certe cose sia un po’ alticcia, come quando ieri ha detto che si era speso 1 miliardo di euro nel Superbonus per i castelli e invece la cifra è di 1 milione…”, ha detto a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, il capogruppo M5S al Senato Stefano Patuanelli, intervistato da Giorgio Lauro ed Enzo Iacchetti.
“Una premier disperata, che ha portato al collasso l’economia del Paese alla velocità della luce, che ha affossato la produzione industriale, che sta scassando i conti pubblici con un aumento del debito, non sa nemmeno leggere numeri che risulterebbero comprensibili a un bambino delle elementari. Reitera la bufala dei 160 miliardi di buco causato dal Superbonus, che in realtà ha attivato investimenti per 107 miliardi, senza rendersi conto che se si trattasse di buco il suo governo sarebbe responsabile di un falso in bilancio avallato da Ragioneria e Corte dei conti”, hanno commentato i componenti del Movimento cinque stelle delle commissioni Bilancio e Finanze di Camera e Senato.
“Poi, Meloni sostiene che con il Superbonus sarebbero stati ristrutturati castelli per un miliardo di euro – hanno aggiunto i parlamentari del M5s -. Anche qui una bufala monumentale, visto il costo per otto castelli è stato di un milione di euro, come emerge nitidamente dai dati Enea. Dalla bufala sui castelli ai castelli di bufale il passo è breve. Per far dimenticare i disastri economici del suo governo, la premier si aggrappa a un dato che rappresenta lo 0,001 per cento di tutti gli investimenti attivati con il Superbonus. Peraltro, parliamo di una manciata di dimore storiche aperte al pubblico, altro che castelli. Ah, piccola nota finale: è chiaro che per la Meloni la vittoria della Todde in Sardegna è colpa del Superbonus”.
“Continua la demonizzazione del Superbonus da parte del Governo Meloni. Ancora una volta la Presidente del Consiglio si consente di dire una clamorosa falsità sui bonus edilizi. Ieri sera al Tg2 Post ha ripetuto più volte che con il 110% abbiamo speso un miliardo di euro per la ristrutturazione di sei castelli. Basta leggere i dati Enea più aggiornati (al 31 dicembre 2021) per accorgersi che si tratta di una assoluta bugia. Gli investimenti ammessi a detrazione per i castelli, infatti, ammontano a poco più di un milione di euro. Una cifra mille volte inferiore a quella riportata dalla Premier. La distruzione del Superbonus è un fatto tutto politico che niente ha a che vedere con la salubrità dei conti pubblici e quest’ennesima uscita della Meloni ne è un esempio lampante!”, ha detto Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio a Montecitorio.
(da Fanpage)
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