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“IUS SCHOLAE IN VISTA, TAJANI SCAFISTA. VAFFANCULO”: A PONTIDA I GIOVANI FIGHETTI DELLA LEGA PORTANO IN CORTEO UNO STRISCIONE CONTRO IL MINISTRO DEGLI ESTERI

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

FORZA ITALIA SI INCAZZA: “SLOGAN VOLGARI E FRASI DI MISERABILE LIVELLO. LA DIRIGENZA DELLA LEGA PRENDA LE DISTANZE”… SALVINI: “CHIEDO SCUSA A NOME LORO. OGNI ALLEATO È UN AMICO” (MA NON LI ESPELLE…)

A Pontida i giovani della Lega attaccano il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, sullo striscione che portano in corteo spunta la scritta ‘Ius scholae in vista, Tajani scafista?’. Uno striscione che vede i giovani della Lega aggiungere il coro ‘Tajani vaff…’. Tra gli striscioni si legge anche ‘Salis, Orban ti aspetta’. Una volta arrivati nel tendone scatta poi lo slogan ‘secessione, secessione’.
“Le dichiarazioni che giungono da Pontida, ottusamente ingiuriose nei riguardi del nostro segretario nazionale Antonio Tajani, provengono evidentemente da ignoranti, perché evidentemente ignorano il contenuto della proposta di Forza Italia sullo ‘Ius Italiae’ e intervengono scompostamente con slogan volgari e frasi fatte di miserabile livello” scrive in una nota Paolo Barelli, presidente dei deputati di Forza Italia e il capogruppo azzurro al Senato, Maurizio Gasparri. “Se così fosse, sono certo che la la dirigenza della Lega – una volta lette – prenderà le distanze da tali inqualificabili parole e non farà mancare il leale sostegno al segretario Tajani”.
“Chiedo scusa a nome loro. Ogni alleato è un amico”. Lo dice Matteo Salvini a proposito dei cori contro Antonio Tajani nel corso della manifestazione dei giovani a Pontida.
(da agenzie)

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LA FINANZIARIA È UN INCUBO PER IL GOVERNO CAMALEONTE DI GIORGIA MELONI: GRAVATA DAGLI OBBLIGHI EUROPEI SUL DEBITO, CHE ANDRÀ SFORBICIATO DI ALMENO 12 MILIARDI L’ANNO, E DA UNA CRESCITA STRIMINZITA

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

EPPURE IL PNRR PIÙ DOVIZIOSO D’EUROPA (QUASI 200 MILIARDI) DOVEVA GARANTIRCI CRESCITA COSTANTE E SOPRA AL 3%…. COS’È ANDATO STORTO? TUTTO: IL PIANO È STATO MAL SPESO E PEGGIO INVESTITO. E CON IL TRASLOCO DEL MINISTRO FITTO, CHE HA GIÀ PORTATO ARMI E BAGAGLI A BRUXELLES IN VISTA DELL’ESAME DELL’EUROPARLAMENTO, LA SITUAZIONE POTRÀ SOLO PEGGIORARE. LA MELONA INFATTI VUOLE DIVIDERE IL PORTAFOGLIO TRA CIRIANI E MUSUMECI, NON CERTO DUE FENOMENI DI EFFICIENZA E GESTIONE

La finanziaria sta diventando – come era facilmente prevedibile, gravata dall’obbligo EU di diminuire il debito pubblico di almeno 12 miliardi all’anno – un incubo per il governo camaleonte di Giorgia Meloni.
Con il Pnrr più dovizioso d’Europa, 194,4 miliardi di euro, l’Italia era attesa a una crescita del 3 per cento per due anni. E invece, i dati ISTAT, dopo l’ultima revisione di ieri, indicano un misero 0,4%, praticamente zero, nei primi sei mesi del 2024. Difficile, praticamente impossibile raggiungere l’1% che sognava Giorgia Meloni e che ribadiva Giancarlo Giorgetti prima di chiedere “sacrifici per tutti”.
Come mai? Intanto il Pnrr è stato mal speso e peggio investito, parcellizzato in mille rivoli e frenato da altrettanti ostacoli. Ai quali si aggiunge ora il trasloco del ministro Fitto, indicato commissario europeo, con la Melona che vuole dividere il portafoglio delle sue deleghe tra i fedeli Ciriani (per i rapporti con l’UE) e Musumeci (fondi coesione e Pnrr).
Un’idea che sta facendo girare le palle non solo agli alleati di governo ma anche all’interno di Fratelli d’Italia. Intanto, al ministero inventato per Fitto non c’è nessuno che porti avanti il Pnrr, già in preda a gravi ritardi (la scadenza finale è il 2026).
Perché l’ex democristiano pugliese, che non vedeva l’ora di mollare la patata bollente del Piano nazionale di ripresa e resilienza, si è già trasferito armi e bagagli nel suo ufficio di commissario, in attesa del test a cui sarà sottoposto a Bruxelles.
Un esame tostissimo, che è stato posticipato da Ursula di un mese (dal 3 al 12 novembre), per i ritardi della nuova commissione. E Fitto ne approfitta per prepararsi a una via Crucis di esaminatori vogliosi di infilzarlo al posto della Ducetta.
(da Dagoreport)

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REGIONALI LIGURIA, LO SCAZZO TRA BUCCI E ORLANDO ALL’INAUGURAZIONE DELL’EXPO FONTANABUONA, E’ DEGENERATO IN UNO SCONTRO ACCESO

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

DOPO AVER RETTO LO STRASCICO A TOTI PER ANNI, L’AMERIKANO AMICO DEI POTERI FORTI E’ ORMAI RIDOTTO A FARE SCENEGGIATE

Manca meno di un mese alle elezioni Regionali in Liguria e la campagna elettorale è ormai entrata nel vivo. Oggi i due candidati alla presidenza, Marco Bucci (centrodestra) e Andrea Orlando (centrosinistra) si sono incontrati all’inaugurazione della quarantesima Expo Fontanabuona. Lo scambio tra i due è presto degenerato in uno scontro acceso.
Tutto è cominciato da una battuta di Orlando che mentre si avviava verso l’uscita avrebbe detto al sindaco di Genova: “Ci voleva l’expo per farti venire nell’entroterra”. Provocazione a cui Bucci ha risposto: “Quando venivo qui non eri ancora nato”. Forse Bucci intendeva in villeggiatura…
Il confronto allora si è spostato sui temi della campagna, con Bucci che ha invitato il suo avversario a “non dire falsità” sui ritardi nella diga portuale (ma è un dato di fatto)
Ma a far alzare i toni è stata l’accusa mossa dal candidato del centrodestra in merito alla cena elettorale organizzata fuori dalla Liguria: “La cena a Milano mi ha stupito, non me la sarei mai aspettata”. Immediata la replica di Orlando: “Io ci vado perché mi danno i soldi anche fuori dalla Liguria”.
Orlando: “Ma vuoi litigare? No? Allora lasciami stare”, ha detto il deputato.”Ho da fare, non ho tempo di litigare”.
Subito dopo, il sindaco di Genova si è rivolto alle persone attorno a lui: “Avete visto l’educazione? È un gran maleducato. Lui se ne va, io no. Ha paura”, ha detto.
Il diverbio tra i due è poi proseguito fuori dai padiglioni dell’evento. “Ma perché urli?”, avrebbe detto Orlando. “Perché tu non capisci. Io sono una persona educata, mia madre mi ha insegnato che non si urla. Continui a dire falsità, una dietro l’altra e io non lo sopporto”, avrebbe risposto Bucci. Poi la provocazione: “Vieni qua. Hai paura?”, a cui Orlando avrebbe reagito così: “Se pensi che urlando con me mi fai paura, ti sbagli perché ho incontrato persone molto ma molto…”.
A distanza di poco dall’alterco, il dem è tornato sui social per raccontare l’accaduto. “Mentre il San Martino è congestionato di barelle, come abbiamo visto, si cerca di buttarla in rissa. A me è capitato pochi minuti fa, e devo dire che in tanti anni di vita politica non ero mai stato così imbarazzato, stupito, sorpreso”, ha denunciato Orlando con un video pubblicato sul suo profilo Instagram.
“Il mio avversario, il sindaco della città metropolitana, nelle sue funzioni, mentre è presente a una cerimonia che inaugura un’Expo, mi ha aggredito, mi ha provocato, ha cercato di buttarla in rissa. Non credo che i liguri meritino questo e non credo neanche che davvero dobbiamo scadere a questo livello da bulletti di terza media”, ha proseguito il deputato.
“Io penso che abbiamo il dovere, per l’età che abbiamo e anche per le funzioni istituzionali che svolgiamo di trovare delle sedi. Il confronto non c’è perché non lo si è mai voluto fino a qui, mi auguro che nelle prossime giornate Bucci si decida ad accettarlo”, ha aggiunto Orlando. “Il confronto per mettere i liguri nelle condizioni di capire ciò che sta accadendo, qual è la partita in gioco. Io penso – ha proseguito – che questa sia l’unica strada utile alla democrazia per evitare di degenerare nella direzione di altre realtà nelle quali la politica si è imbarbarita”. Infine, l’affondo: “Mi sembra che il modello sia quello di Trump e da Marco Bucci si è passati a Donald Bucci”.
(da Fanpage)

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IL LIBRO DI BOCCHINO E’ UN MANUALE DI MISTIFICAZIONE DEL NOVECENTO

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

MA QUALE SOTTILE LINEA PUO’ ESISTERE TRA DE GASPERI E MELONI, PASSANDO PER BERLUSCONI?… ADOTTARLO NELLE SCUOLE? SI’, NELLA COLLANA UMORISTICA

«Caro ministro, mi piacerebbe che questo libro fosse adottato nelle scuole». È la richiesta che il presidente del Senato Ignazio La Russa ha rivolto al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, in occasione della presentazione di un libro fresco di stampa a opera di Italo Bocchino. Sarebbe certo un’ottima idea, se avessimo intenzione di riscrivere il passato con una splendida opera di mistificazione del Novecento e del tempo presente.
Perché l’Italia è di destra: affermazione a dir poco pretenziosa per un libro che, senza uno straccio di documento, pretende di raccontarci la storia d’Italia post-45 con l’ottica molto personale, e alquanto nostalgica, di ex missino cresciuto nella destra di Almirante, che si è lavato la coscienza nelle acque di Fiuggi, ma non riesce proprio a farsene una ragione di come i fatti sono andati.
Certo, bisognerebbe chiamarsi Eric Hobsbawm (che di mestiere lo storico lo faceva davvero) per avere la pretesa di leggere il passato con la lente del protagonista di un “secolo breve”.
L’autore certo non lo pretende, ma cerca di convincere il lettore dell’esistenza di un amore viscerale per la destra che gli italiani coverebbero da sempre, in una sottile linea nera che unisce Alcide De Gasperi, passa da Silvio Berlusconi e arriva alla presidente Giorgia Meloni.
Gli storici puntualizzano, sottopongono i documenti ad analisi critica, scompongono il linguaggio e sono in genere dei gran rompiscatole, perché le semplificazioni non le amano molto, figuriamoci le narrazioni a posteriori che rimescolano le carte.
Le origini del fascismo
«Il fascismo nasce dal socialismo, non dalla destra storica». Per spiegarci le origini del ventennio l’autore scomoda nientemeno l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con buona pace di Renzo De Felice e Federico Chabod, che tranquilli nella tomba proprio non possono stare.
Che il fascismo fosse il frutto avvelenato della grande guerra, nato e cresciuto in una società disillusa e rancorosa, in mezzo a reduci disperati sopravvissuti per miracolo al fango delle trincee o ex arditi e giovani figli della borghesia, infiammati dal nazionalismo, ansiosi di menar le mani, non sfiora nemmeno per un momento l’autore.
Se il fascismo è venuto al mondo è solo colpa dei socialisti. Del resto Lenin era stato il primo ad esprimere un giudizio positivo su Benito Mussolini. Peccato che lo avesse fatto non a seguito della marcia su Roma, ma nel 1912: ovvero quando i due si erano incontrati in Svizzera e il futuro duce era ancora un astro nascente dell’internazionale socialista.
Nel nuovo manuale di storia contemporanea firmato Bocchino, arriva immancabile la citazione del movimento dei fasci di combattimento, fondato a Milano da Mussolini nel 1919: una sorta di religione anarchica capace di inneggiare alla Repubblica e proporre addirittura il voto alle donne. Come a dire che in fondo il fascismo non è tutto da buttare via perché un po’ di rivoluzione la voleva eccome.
Peccato che l’autore dimostri di non averlo mai sfogliato neppure per sbaglio un manuale di storia contemporanea: avrebbe letto dello stile aggressivo e violento inaugurato dai fascisti proprio a Milano il 15 aprile 1919 con l’incendio della sede dell’Avanti!. L’inizio delle gloriose gesta di uno squadrismo pronto a scagliarsi a colpi di pugnale e manganello, partorendo odio per generazioni, in una lunga scia di sangue.
Le scelte ignorate
Ma il colpo da maestro arriva con il giudizio impalcabile sull’antifascismo e la guerra di liberazione. Non chiedeteci patenti di antifascismo e smettetela di pretendere un’abiura che non arriverà. Siete voi a sinistra che trasformate ogni anniversario del 25 aprile in un’occasione per colpevolizzarci. «Il fascismo è stato un fenomeno di tutti», perché tutti erano stati fascisti (in fondo chi non aveva la tessera del partito in tasca?).
Anche nomi insospettabili nel pantheon della sinistra. L’ex segretario del Pci Alessandro Natta non era stato forse iscritto ai gruppi universitari fascisti da studente della Scuola Normale di Pisa? Verissimo, verrebbe da dire, se non fosse per un paio di particolari che fanno la differenza: che Natta aveva aderito alla rete clandestina del partito comunista già nel 1936 e che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i tedeschi avevano sorpreso lui e i suoi commilitoni sull’isola di Rodi, in Grecia, si era rifiutato di consegnare le armi e giurare fedeltà al Terzo Reich. E proprio la sua scelta lo aveva condannato alla prigionia da internato militare in Germania, schiavo dell’industria bellica nazista.
Poi arriva il turno di Giuliano Vassalli, ex presidente della Corte costituzionale, e che però (particolare non irrilevante) aveva organizzato l’evasione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere di Regina Coeli, per poi essere portato a via Tasso.
Bisognerebbe allora ricordare al caro Bocchino che la differenza fra questi personaggi e quelli che aderirono alla Rsi (pur essendo tutti nati e cresciuti dentro l’Italia di regime) sta proprio nella scelta.
Ovvero in un atto di disobbedienza radicale contro il potere fascista, vissuto in clandestinità negli anni del carcere o al confino, arrivato poi alla decisione di impugnare le armi nella lotta di liberazione, con l’irrompere della guerra in casa.
E al netto delle richieste di parificazione fra vincitori e vinti, fu proprio grazie a quella scelta (dolorosa, non scontata e carica di responsabilità) che il paese, trascinato nella rovina , riconquistò la libertà e anche la dignità. La stessa di cui hanno goduto anche i vinti.
(da editorialedomani.it)

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IL CHIODO E LA PARETE

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

LA REGOLA DI SALVINI: PRENDERSELA SEMPRE CON L’ULTIMA RUOTA DEL CARRO

Prendersela sempre con l’ultima ruota del carro: è la regola del Salvini.
I migranti, ultimi della Terra; gli scafisti, che sono manovalanza criminale, certo non i boss con il conto in Svizzera; il (presunto) piccolo spacciatore della periferia bolognese da molestare al citofono, con telecamere al seguito; adesso l’operaio che pianta il chiodo sbagliato e provoca un infarto al sistema ferroviario.
Provate a dirmi un solo bersaglio “alto” del Salvini, a parte il generico e astratto campo dei poteri forti o dei radical chic, che sono fumogeni ideologici da sparare in curva, comodità da complottisti, mai cose serie e strutturali, mai bersagli importanti e identificabili. Non ne troverete uno.
Se la prende sempre con i pesci piccoli, o con i piccoli e basta, li addita alla sua claque per vantare le sue doti di sceriffo, di servitore della Nazione.
Mai una parola riflessiva, meditata che dimostri un minimo, un briciolo, una molecola di analisi su quanto davvero accade: per esempio sul trend di sub appalti, e sub-sub appalti, che gioca al ribasso sul lavoro, sui servizi, sulla sicurezza, su tutto. E mica solo nel settore pubblico.
Trovare il responsabile di qualcosa è sempre più difficile. Se ne sta nascosto dietro una sequenza micidiale di deleghe, abbandoni di responsabilità, alienazioni a terzi.
Ma il Salvini non vede la parete, vede solo il chiodo. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo: giorno dopo giorno, parola dopo parola, è la dimostrazione vivente che la differenza tra destra e sinistra esiste, ed è macroscopica.
La sinistra pensa solo alla parete, e spesso non si accorge del chiodo. La destra pensa solo al chiodo, e la parete neanche sa che esiste.
(da La Repubblica)

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IO SO’ GIORGIA E AUMENTO LE TASSE, IL GOVERNO MELONI HA GIÀ AUMENTATO LE IMPOSTE, E LO CERTIFICA L’ISTAT: NEL SECONDO TRIMESTRE DEL 2024 LA PRESSIONE FISCALE È SALITA AL 41,3%, CONTRO IL 40,6% DELLO STESSO PERIODO DEL 2023

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

PER LA DUCETTA TROVARE SOLDI PER LA MANOVRA SARÀ UN’IMPRESA ARDUA: IL PIL AUMENTA A UN RITMO PIÙ BASSO DI QUANTO PREVISTO, E I SOLDI NON CI SONO. O TAGLIANO LE SPESE, O SI INVENTANO ALTRI TRIBUTI, SMENTENDO LE PROMESSE

Sarà che il nome porta sfortuna dopo il clamoroso flop governativo dell’anno scorso. Sarà che il concetto di per sé appare sfuggente: a che livello i guadagni di un’azienda diventano straordinari e quindi meritevoli di una tassazione supplementare?
Fatto sta che al momento la preoccupazione maggiore dalle parti di XX settembre a Roma, nella sede del ministero dell’Economia, sembra quella di cancellare dal dibattito il fastidioso termine “extraprofitti”.
Il problema, però, è che Giancarlo Giorgetti, titolare del Mef, è alla ricerca, una ricerca che appare di giorno in giorno più affannosa, di fondi supplementari per tappare i buchi della manovra. E allora, in qualche modo, i soldi vanno presi dove ci sono, come lo stesso ministro ha ricordato
Che fare dunque? La parola magica, questa volta, è “crediti d’imposta” e riguarda in primo luogo le banche. In sostanza, gli istituti scaglionerebbero su un arco di tempo più lungo di quanto previsto finora i crediti d’imposta derivanti dalla conversione delle cosiddette DTA, una sigla che sta per Deferred Tax Assets”. Queste ultime sono in sostanza tasse che sono state messe a bilancio in vista di utili futuri.
Negli anni scorsi le norme che riguardano queste particolari voci contabili sono state più volte riviste e adesso i tecnici del Mef stanno valutando un intervento che permetta allo Stato di ritardare il pagamento alle banche.
La materia è complessa, ma secondo indiscrezioni, il provvedimento allo studio potrebbe fruttare fino a un paio di miliardi. Questa soluzione ha guadagnato punti soprattutto dopo le parole di Carlo Messina, il manager a capo di Intesa, la più grande banca italiana, che giovedì ha detto che per contribuire alla soluzione del debito pubblico si potrebbe “lavorare sulle attività fiscali differite”.
Certo è che la misura sulle Dta non basterà . Mancano ancora all’appello almeno una decina di miliardi ed è per questo che la giostra delle ipotesi gira da giorni all’impazzata.
Ieri si è rimbalzata nelle cronache anche una possibile tassa supplementare sulle sigarette, pari a cinque euro a pacchetto. La proposta potrebbe fruttare circa 14 miliardi da destinare al Servizio sanitario nazionale sempre più a corto di risorse.
Intanto, si parla anche di una nuova Ires, l’imposta sugli utili societari, che verrebbe riformata con l’introduzione di aliquote differenziate in base ai profitti. Già da alcuni anni le banche pagano un’Ires maggiorata di 3,5 punti percentuali, ma la misura allo studio adesso prevede, a quanto si è capito, la creazione di veri e propri scaglioni di reddito come per l’Irpef. Solo ipotesi, per il momento
Nel frattempo, però, le statistiche più recenti rivelano che il peso delle tasse è aumentato proprio con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. I dati diffusi ieri dall’Istat fissano al 41,3 per cento la pressione fiscale nel secondo trimestre di quest’anno, contro il 40,6 per cento dello stesso periodo del 2023.
Del resto, già nei giorni scorsi, dalla lettura del Piano strutturale di bilancio a sette anni appena pubblicato dal Mef, era emerso che la pressione fiscale arriverà al 42,8 per cento nel 2025, mezzo punto percentuale in più rispetto a quanto stimato nel 2024. Insomma, alla voce fisco, il governo finisce per smentire le sue stesse promesse elettorali.
Ancora più preoccupante, in prospettiva futura, appare un altro dato pubblicato dall’Istat. Questa volta è il Pil che aumenta a un ritmo inferiore rispetto a quanto accreditato dalla propaganda governativa. La crescita acquisita nella prima metà dell’anno non supera lo 0,4 per cento, un numero rivisto al ribasso rispetto allo 0,6 per cento calcolato in precedenza. La correzione è l’effetto della revisione generale dei conti nazionali resa nota lo scorso 23 settembre.
Alla luce di questo aggiornamento sembra sempre più difficile centrare l’obiettivo di crescita dell’1 per cento fissato dal governo. Insomma, la crescita rallenta e le tasse aumentano. Non è proprio l’Italia promessa da Meloni.
(da Domani)

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L’ALLINEAMENTO DELLE ACCISE SUL DIESEL, MESSO NERO SU BIANCO DAL GOVERNO NEL PIANO STRUTTURALE DI BILANCIO, SI TRADURREBBE IN UN AUMENTO IMMEDIATO DEI PREZZI AL CONSUMO DI 13,5 CENTESIMI AL LITRO

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

IN TOTALE, IL MAGGIOR ESBORSO ARRIVEREBBE A QUASI 2 MILIARDI DI EURO (70 A FAMIGLIA). E POI CI SONO GLI EFFETTI DEVASTANTI SULL’AUTOTRASPORTO, CHE GIÀ PROMETTE BATTAGLIA

Nell’ipotesi «estrema» che l’allineamento delle attuali aliquote si traducesse nell’equiparazione dell’accisa sul gasolio a quella della benzina, secondo i petrolieri dell’Unem, calcolando anche l’Iva ci sarebbe un aumento immediato dei prezzi al consumo del gasolio di 13,5 centesimi di euro al litro.
Questo rialzo per le famiglie comporterebbe un maggior esborso paria quasi 2 miliardi di euro, ovvero circa 70 euro per ognuno dei 26 milioni di nuclei. Oltre a questo andrebbero poi calcolati gli impatti sulla filiera dei trasporti, già pronta a scendere sul sentiero di guerra, e quindi sulla distribuzione.
Il piano strutturale di bilancio parla esplicitamente di riallineamento, il governo dopo le prime proteste si è affrettato a precisare che non ci saranno aumenti. «Lavoreremo sui valori medi, non ci sarà impatto sui consumatori» ha spiegato ieri il sottosegretario all’Economia Lucia Albano.
Ciò non toglie però che oltre ai consumatori – i primi a protestare contro i possibili rialzi – anche per tutto il settore dell’autotrasporto sia suonato l’allarme. E del resto, spiega l’Unem, l’aumento del gasolio avrebbe un effetto anche sul trasporto merci e passeggeri con mezzi che non usufruiscono delle agevolazioni di accisa come i mezzi pesanti inferiori alle 7,5 tonnellate e quelli ante Euro 5.
«Per il settore dell’autotrasporto, lo stop allo sconto sulle accise del gasolio si traduce in una stangata da oltre 350 milioni di euro l’anno – protesta il segretario generale di Assotir, Claudio Donati -. Sarebbe un salasso ingiustificato, del tutto iniquo. Ma oltretutto non possiamo fare a meno di ricordare che alla vigilia elettorale le forze dell’attuale maggioranza avevano addirittura promesso di ridurre il costo delle accise”.
Concorda il presidente dei Confartigianato Trasporti, Amedeo Genedani: «No a penalizzazioni per le imprese di autotrasporto con aumenti delle accise sul gasolio».
A suo parere, infatti, «è fondamentale chiarire subito che l’Italia è al primo posto tra 27 paesi dell’Unione europea per il livello delle accise applicate sul gasolio (0,62 centesimi al litro) e vista la significativa incidenza del costo del carburate per le imprese di trasporto occorre evitare qualsiasi intervento che possa avere effetti negativi per un comparto strategico».
(da agenzie)

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PER CHI LAVORAVA CARMELO MIANO? L’HACKER 24ENNE ARRESTATO NEL SUO APPARTAMENTO DELLA GARBATELLA (“IL PIÙ BRAVO MAI VISTO IN ITALIA”) HA CONFESSATO DI AVER BUCATO I SISTEMI INFORMATICI DI PROCURE, FINANZA, TIM E TELESPAZIO

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

LA POSTALE GLI DAVA LA CACCIA DA QUATTRO ANNI: A FREGARLO È STATO L’ACCESSO A UN SITO PORNO. POI SI È COLLEGATO AL PORTALE RUSSO “RUSSIANMARKET99”, DOVE SI SMERCIANO PASSWORD, DATI BANCARI E CARTE DI CREDITO…AGIVA PER CONTO DI QUALCUNO? IL LAVORO, COMUNQUE, RENDEVA: AVEVA UN PATRIMONIO IN BITCOIN DI 7 MILIONI DI EURO

L’obiettivo adesso è capire per chi lavorasse e a chi girasse le informazioni sensibili Carmelo Miano. Di certo, il ragazzo prodigio è riuscito a guadagnare 5 milioni di euro in criptovalute, conquistati sui black market della droga. A insospettire è anche il fatto che, da utente registrato, si sia collegato a un portale russo che commercia informazioni sensibili. Spiega il gip che i file ritrovati sul suo pc sono solo una minima parte di quelli prelevati dai pc “target’, perché «l’attaccante era solito cancellarli dopo averli inviati all’esterno».
L’hacker agiva dal suo appartamento alla Garbatella, a Roma. È lì che è stato sorpreso, nonostante le mille cautele adottate e l’anonimato mantenuto per anni. A tradirlo è stata la traccia del suo Ip, lasciata navigando su un sito porno.
È il 4 giugno scorso, quando attraverso l’attività di monitoraggio del computer dell’hacker, gli uomini della postale lo intercettano, attraverso il suo pc, mentre si collega: «A partire dalle ore 12.08 alle ore 12.59 senza effettuare l’accesso», Miano si collega alla pagina web di login della sala stampa della Finanza.
Si legge nell’ordinanza: «Subito dopo l’indagato ha effettuato l’accesso al portale Russian Market99 il quale, da accertamenti Osint, risulterebbe essere un vero e proprio portale di e-Commerce del Criminal Hacking, dedicato alla vendita illegale di informazioni sensibili, come password, dati bancari e carte di credito, particolarmente orientato all’Italia».
Sottolinea il gip nell’ordinanza: «La circostanza appare di assoluto rilievo non solo per le sue implicazioni transnazionali, ma anche per il fatto che il Miano vi avesse fatto regolare accesso “in chiaro”, circostanza che dimostra come lo stesso sia con ogni probabilità un utente registrato sul market ed avesse già utilizzato in precedenza i suoi “servizi”».
Nell’aprile del 2023, Miano ha visualizzato, «prelevandolo» da una cartella accessibile dal suo pc, due documenti di Telespazio spa. In particolare uno dal titolo “Servizi satellitari flotta aeronavale guardia di finanza architettura generale e servizi”.
Spiega il gip che il “furto” presenta elementi dì connessione con l’attacco ai sistemi della Finanza. Infatti, accedendo illecitamente alla rete Gdfnet, Miano avrebbe utilizzato «come “ponte” postazioni di lavoro ubicate a bordo di due imbarcazioni, connesse proprio alla rete satellitare gestita da Telespazio».
Il giudice conclude: «Appare evidente come questi avesse dapprima violato la rete satellitare di Telespazio, per poi utilizzare le macchine compromesse per accedere alla rete interna della Finanza». Il documento acquisito, in pratica, conteneva «la descrizione dell’architettura della rete satellitare di Telespazio e dei servizi offerti, con informazioni sulle vulnerabilità.
È il 21 maggio del 2021 quando, in un’attività «frenetica» Miano usa le password di un magistrato per inserirsi nel portale giustizia. Si legge nell’ordinanza: «L’indagato effettuava un ulteriore collegamento in desktop remoto, copiando e incollando le credenziali di accesso da un file di testo aperto sul suo pc, riusciva a fare accesso ad una macchina non meglio identificata, utilizzando un account utente effettivamente esistente nel dominio Giustizia e verosimilmente ricollegabile ad un magistrato della procura della Repubblica di Napoli». Una vicenda sulla quale indaga la procura di Roma.
(da il Messaggero)

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LA SICILIA DI MELONI E DI SCHIFANI: POTERI SPECIALI E CARROZZO PER UNA REGIONE ZIMBELLO DEL MONDO

Ottobre 5th, 2024 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE E’ COMMISSARIO A TUTTO, MENTRE LA REGIONE ANNASPA: INDAGINI, NOMINE, VECCHI GATTOPARDI DELLA POLITICA

Mezzo mondo fa titoli sulla Sicilia da terzo mondo, mezzo mondo ride della Sicilia, a ottobre, senza acqua: presidente Meloni, mezzo mondo chiede che mondo sia la Sicilia di Renato Schifani, il governatore dai poteri inauditi, il Bertolaso Massimo.
E’ commissario ai rifiuti, è commissario per il completamento dell’autostrada A19, può derogare il codice degli appalti e ha ricevuto denaro, competenze che mai nessuno ha ricevuto. Per farne cosa? Si vede già presidente della Repubblica e per arrivarci sta pensando di imitare Mattarella, passare dalla Consulta.
A Siracusa, durante il G7 agricoltura, i rubinetti erano a secco, ma Schifani pensava a scegliersi il direttore d’orchestra, il sovrintendente del Teatro Massimo.
La Sicilia non è solo una regione. La Sicilia è la finestra che apre il mondo e Meloni si sta perdendo la Sicilia. Indisturbato, a Palermo, abita questo presidente che è il potere speciale incarnato. Si sollazza tagliando nastri e partecipando alle feste da gattopardino, da Bagaglino con la meusa.
Quel presidente è Schifani, uno che deve la sua elezione a Ignazio La Russa, uno che è riuscito a farsi consegnare una delega in bianco da Antonio Tajani, farsi nominare come coordinatore del partito il suo segretario particolare, uno che ha nominato il suo rivale, perdente alle elezioni, Gaetano Armao (lo avevamo lasciato calendiano) consulente per curare i rapporti con Bruxelles e presidente della Commissione tecnica specialistica. E’ la commissione che rilascia le autorizzazioni ambientali di competenza regionale, commissione, come si legge dal sito della regione, “fortemente voluta dal presidente Schifani”.
Il Sole 24 ore, del 3 ottobre, ha aperto il giornale con il titolo “Sicilia, in due milioni senza acqua” e non serve spiegare a Meloni che un titolo di un giornale finanziario significa altri dieci articoli, copia-incolla, in Inghilterra, Germania, America, Francia.
L’acqua manca e non si può dire ai giornali “avete travisato”. In Sicilia, a Brucoli, arriva la sorella d’Italia, Arianna Meloni, per un raduno di FdI e si augura che almeno lei possa avere dell’acqua da rubinetto. La prima a essere scontenta di Schifani è la premier ma la premier forse non sa che Schifani si fa forte della Meloni golden power. Fa da collaborazionista a una parte di FdI siciliana, tratta con il più assoluto disprezzo Forza Italia, perché lui, in Sicilia, parla direttamente con gli ex mascariati, Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro. Fino a pochi mesi fa, Schifani, aveva anche un vice leghista, Luca Sammartino, che è appena stato rinviato a giudizio e che si è dimesso dalla carica di vicepresidente.
Naturalmente qualsiasi siciliano, Schifani per primo, dirà: “Il problema acqua? Antico è!”. E’ vero, la Sicilia negli anni non ha recepito le leggi sull’autorità di bacino per una lite tra assessorati regionali: quello all’Energia non voleva cedere competenze a quello dell’Ambiente. Il ritardo è di almeno trent’anni ed è un motivo in più per correre. Gli agricoltori non pagano le bollette dell’acqua ma in Sicilia l’agricoltura è un formidabile serraglio di consorzi di bonifica. Cosa accade? Il governo chiede di riformare, ridurre il serraglio, ma l’Ars di Schifani boccia la riforma. La Sicilia paga perfino 300 milioni di euro di sanzione all’Ue perché non ha mai costruito depuratori, ma come può costruirli uno che fa il presidente di regione, il commissario a tutto e che nel tempo libero si occupa di allocare amici nei teatri o negli istituti di credito? Un anno fa, Schifani aveva nominato l’imprenditore Tommaso Dragotto a Irfis ma Dragotto si è dovuto dimettere (è partita un’indagine) salvo dire: “Mi dimetto perché l’impegno è troppo gravoso”. Un teatro. E a teatro, nel cda della Fondazione Teatro Massimo, è finita la moglie dell’imprenditore. Adesso si deve nominare il nuovo sovrintendente e il melomane Schifani sogna la bacchetta per Andrea Peria, uno che ha musicalmente sfasciato la Fondazione Orchestra Sinfonica siciliana anche perché era troppo impegnato: aveva un altro incarico. L’assessore all’Economia siciliano è Alessandro Dagnino, partner dello studio Pinelli-Schifani e Schifani non è un omonimo.
E’ lo studio di Schifani, presidente della regione Sicilia. Oggi lo studio è retto dal figlio Roberto Schifani che è anche consulente del Trapani calcio, società che ha ottenuto 300 mila euro dalla regione. In silenzio è scomparso il lago di Pergusa, il lago di Ovidio, in silenzio nel dl Omnibus è stato donato a Schifani un nuovo super potere: può costruire impianti dei rifiuti in deroga. Per farne cosa? In Sicilia non si può dire è colpa della sinistra. In Sicilia si può solo dire che la destra ha finora beneficiato del silenzio della stampa: due milioni di abitanti che devono desiderare l’acqua sono il bicchiere vuoto di governo, la siccità di Meloni.
(da ilfoglio.it)

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