Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
ANCHE IL DUPLEX LA RUSSA-GASPARRI SI È INCAZZATO PER LA CACCIATA DEL ”LORO” GILIOLI… E NON PARLIAMO DEL PIO MANTOVANO QUANDO GIULI NOMINA CAPO DI GABINETTO IL GAY SPANO
Aiuto! La fiamma va a fuoco! La catena di catastrofici eventi che ha portato alla nomina di Alessandro Giuli a ministro della Cultura, seguita dalla cacciata-lampo del capo di gabinetto Francesco Gilioli e infine all’arrivo, al suo posto, con successive dimissioni, di Francesco Spano, ha creato le prime scintille di tensione all’interno della cosiddetta “Fiamma Magica” di Palazzo Chigi.
I principali dissapori si sono registrati tra Giorgia Meloni e colui che lei definì il suo “genio”, alias il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari. Il braccio destro (e teso) della Ducetta era infatti, sin dall’inizio, contrarissimo alla nomina del baldo Giuli a ministro. Il curriculum dell’ex giornalista di “Libero” e del “Foglio” non appariva del tutto inaffidabile al custode dell’ortodossia meloniana.
Il controverso passato nel gruppuscolo ultrafascio “Meridiano zero”, il saggio “Il passo delle oche”, edito da Einaudi nel 2007, in cui Giuli, armato di paroloni da azzeccagarbugli, si scaglia violentemente contro il fascismo social-democristiano di Almirante, del suo delfino Fini e della stessa Meloni (vicepresidente della Camera dei deputati dal 2006 al 2008 e nel 2008 fu ministro della Gioventù dell’ultimo governo Berlusconi), tutti accusati di aver “tradito” l’eredità del suo amato Duce avendo cancellato il fascismo con la parola “destra”, accecati dallo loro fame di potere.
Dopo l’einaudito volumetto stampato da Einaudi, il dandy ultrà della Roma ha una mutazione genetica nelle forme della banderuola: entra nelle grazie di Giuliano Ferrara e scala il vertice de “Il Foglio”, nel 2018 lo ritroviamo anche dalle parti della Lega di Salvini quando concede il suo camaleontico scibile alla redazione, in modalità Julius Evola, del programma culturale del Carroccio (dove fu cooptato dal destrissimo Andrea Mascetti, protagonista di un’altra inchiesta di Report nel 2020).
Infine, dopo disastrose disavventure televisive, colui che abbandonò il Fronte della Gioventù dopo una scazzottata con Fabio Rampelli, riciccia per salire sul carro vincitore di Fratelli d’Italia. Il ritorno nelle grazie della Meloni sarebbe avvenuto attraverso l’intercessione della sorella Antonella Giuli, stretta amica di Arianna e storica addetta stampa di Fratelli d’Italia, poi portavoce di Lollobrigida ministro, ora traslocata all’ufficio stampa della Camera.
Un vortice di camaleontismo, anda e rianda, imperdonabile per i duri e puri di Colle Oppio: per Fazzolari era la conferma che Giuli fosse la persona sbagliata nel posto sbagliato per sostituire quell’incapace a nulla di Gennaro Sangiuliano nel palazzo del Collegio romano.
A rafforzare questa convinzione è arrivata la sorprendente cacciata del capo di gabinetto di “Genny Delon”, Francesco Gilioli, giustificata da “fatti gravissimi” e “mani nella marmellata”, cioè l’accusa di aver passato documenti riservati a “Report”, circostanza che sia lui sia la stessa trasmissione Rai hanno smentito seccamente.
Quel che Giuli forse ignorava è che Gilioli non era al ministero per caso: funzionario del Senato era stato caldeggiato a Sangiuliano dal gatto e la volpe, Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri. Un consiglio discutibile, considerando che nella sua carriera Gilioli non aveva mai ricoperto il delicato ruolo di Capo di gabinetto (di solito arrivano dalla Corte dei Conti e dalla Consulta).
In ogni caso, la carriera distrutta di Gilioli, poche settimane dopo il siluro di Giuli, è stata impreziosita dalla nomina, voluta dal Quirinale, a Commendatore della Repubblica.
C’è da dire che il ministro della Cultura non aveva pianificato per tempo la staffetta Gilioli-Spano. Appena insediatosi, il dandy Giuli aveva in mente un incarico nella comunicazione del ministero per il bel tenebroso avvocato finito nei gay (caso Unar) e portato poi al museo Maxxi da Giovanna Melandri col il ruolo di segretario generale.
Durante i quasi due anni di presidenza di Giuli al Maxxi, il museo di arte contemporanea di via Guido Reni era gestito in tutto e per tutto, anche a livello artistico, da Spano. Poi, il pediluvio: c’è chi spiffera che Giuli fu allertato dalle maldicenze di qualche funzionario del ministero e deve aver cogitato che fosse necessario accompagnare subito Gilioli alla porta. E solo a quel punto, guardandosi intorno, ha puntato su Spano, che Giuli ha definito “bravissimo tecnico”.
Certo, se la scelta di Giuli è stata quantomai frenetica e imprevista, di sicuro è stata scellerata quella di Spano di accettare il ruolo di capo di gabinetto. Ragioni di opportunità avrebbero dovuto convincerlo a desistere, considerati i molti scheletri del suo armadio: primo tra tutti, l’increscioso episodio rivelato dalle “Iene” nel 2017.
La trasmissione Mediaset scoprì che, da presidente dell’Unar, Spano finanziava alcune associazioni Lgbtq che in realtà nascondevano attività di sesso a pagamento. Per questo fu costretto a dimettersi dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Giusto qualche giorno fa, “le Iene” hanno peraltro rivelato di aver vinto una causa civile per diffamazione intentata da Spano.
Tra l’altro, accettando l’incarico, si racconta che Spano abbia avuto un grosso scazzo con la sua ex madrina politica, Giovanna Melandri. Fu la biondissima ex “zarina” del Maxxi a chiamarlo al museo romano come segretario generale. Da quella poltrona, Spano si è comportato per anni come un reuccio, comandando e assegnando incarichi anche al marito, Marco Carnabuci, che peraltro dal 2018 è anche consulente per la compliance aziendale nella fondazione per il sociale presieduta dalla stessa Melandri, “Human Foundation, Do and think tank”.
Il giro di poltrone e veleni al Ministero della Cultura ha indispettito non poco l’ultracattolico Alfredo Mantovano. Il sottosegretario a Palazzo Chigi, considerato l’ufficiale di collegamento tra Meloni e gli apparati del Deep State sempre più incazzati: deve tenere i rapporti con il Quirinale, i servizi segreti, il Vaticano, le Forze dell’ordine e nelle sue mani passano i dossier più caldi del governo. Nei giorni scorsi, peraltro, Mantovano ha dovuto sbrogliare la matassa del decreto migranti: è stato lui a limare il testo della norma sui “Paesi sicuri”, di concerto con i tecnici del legislativo del Quirinale.
Ovviamente il pio Mantovano non era entusiasta della scelta di Spano come capo di gabinetto, al pari del suo gemello diverso Fazzolari, ma il suo proverbiale aplomb gli ha impedito di andare allo scontro su questa nomina.
(da Dagoreport)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
DI COSA DISCUTEVANO? C’ENTRERÀ IL MESSAGGIO INVIATO IN CHAT DAL COORDINATORE DI FDI DEL IX MUNICIPIO DI ROMA, FABRIZIO BUSNENGO, IN CUI SI DEFINIVA FRANCESCO SPANO “PEDERASTA”? E CHE AVRÀ DETTO LA BIONDA ANTONELLA DI COSÌ GRAVE DA FAR URLARE A MOLLICONE “CHE FAI, MI MINACCI?”
Tira una brutta aria dentro Fratelli d’Italia e in particolare attorno alla figura del ministro della Cultura Alessandro Giuli
Al Mic sembra dunque non esserci pace, con Giuli salito a Palazzo Chigi mercoledì 23 ottobre dopo le dimissioni del suo capo di gabinetto Francesco Spano, nominato da neanche 10 giorni tra lo scetticismo per la sua vicinanza col mondo del centrosinistra.
E più o meno negli stessi momenti, per cosa litigavano la sorella del ministro Giuli, Antonella, ora all’ufficio stampa della Camera, e il presidente della commissione Cultura, il “rampelliano” Federico Mollicone, in pieno Transatlantico a Montecitorio?
C’entrerà il messaggio inviato in chat dal coordinatore di FdI del IX municipio di Roma, Fabrizio Busnengo, in cui si definisce proprio Spano «pederasta»? E che avrà detto la bionda Antonella di così grave da far urlare a Mollicone «che fai, mi minacci?»
(da Lettera43)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
COME? SOCIALISTI, LIBERALI E UNA PARTE DI POPOLARI, SONO PRONTI A FAR VEDERE I SORCI VERDI AI FUTURI COMMISSARI, ATTESI AL TOSTO ESAME DELL’EUROPARLAMENTO (FITTO È AVVISATO)
Ursula Von der Leyen farebbe bene a stare attenta, e a dosare i suoi ripetuti sbandamenti verso destra. La presidente della Commissione Ue ha ricevuto un avvertimento chiaro dai quattro moschettieri che comandano l’Europa.
Macron, Scholz, Tusk e Sanchez le hanno infatti “gentilmente” consigliato di non continuare a flirtare con i Conservatori di Giorgia Meloni, pena l’arrivo di un siluro sganciato sotto la sua poltroncina.
La sua partecipazione al mini-vertice voluto dalla Ducetta con soli 10 Paesi, e i ripetuti applausi al fallimentare sistema Albania voluto dalla premier italiana (la cofana bionda tedesca ha parlato di approccio “innovativo”, consigliando di “sviluppare hub di rimpatrio per richiedenti asilo respinti come in Albania”) hanno infatti prodotto una deflagrazione delle tensioni interne alla maggioranza.
Oggi la Von der Leyen ha provato a metterci una pezza correggendo parzialmente: “Monitoriamo da vicino gli sviluppi, ma è un accordo bilaterale, quindi non lo commenteremo”.
Liberali e una bella fetta di popolari non apprezzano che Ursula non abbia ancora preso le distanze nettamente dalla Meloni, e i socialisti fanno la parte dell’ariete di sfondamento.
Non a caso, ieri la capogruppo al Parlamento europeo, Iratxe García Pérez, ha minacciato apertamente di non votare la nuova Commissione: “Siamo contro l’esternalizzazione della gestione della migrazione.
Senza considerare che l’accordo in sé è consdierato una mezza fregatura a Bruxelles: incoraggia ogni Paese a muoversi in maniera autonoma, quando invece servirebbe una normativa comune che dia la rotta agli stati membri.
Insomma, l’ennesima giravolta da camaleonte di Ursula rischia di costare cara a lei e alla sua squadra. L’unico modo che hanno Macron, Scholz, Tusk e Sanchez di vendicarsi è sabotare la formazione della nuova Commissione.
Il “messaggio” è: o la smetti di flirtare con “Io so’ Giorgia”, o saranno dolori durante i “test” con cui il Parlamento è chiamato a esaminare i futuri commissari (l’italiano Fitto, con il suo inglese stentato, è avvisato).
(da Dagoreport)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
NON SONO SERVITE A NULLA DUE INTERPELLANZE AL GOVERNO, CONTINUA IL CLIMA DI OMERTA’ MENTRE FRATOIANNI ACCUSA: “HANNO SPESO 20.000 EURO A MIGRANTE. HANNO PAURA A DIRLO”
“Quanto è costata questa figuraccia?”, ha chiesto durante il question time alla Camera il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. Si riferiva al trasporto di sedici persone migranti nei due centri costruiti in Albania: sono state trasportate su una nave della Marina militare di grandi dimensioni, poi quasi subito quattro di loro sono dovute andare in Italia (due erano minorenni e due fragili), e alla fine pochi giorni dopo anche i dodici rimasti sono stati portati a Bari, su una nave della Guardia costiera, perché i giudici non hanno convalidato il loro trattenimento.
Finora il governo Meloni ha accuratamente evitato di chiarire quanto sia costato il trasporto. Una stima, citata dallo stesso Fratoianni, parla di “un costo vicino a 20mila euro per ogni migrante, solo per portarli avanti o indietro”.
Oggi, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha ancora una volta aggirato la domanda, limitandosi a dire: “La legge di ratifica del protocollo con l’Albania ha previsto gli stanziamenti necessari anche per le operazioni di trasporto dei migranti dalle acque internazionali al porto di Shengjin”. Insomma, i soldi erano già stati stanziati: 800 milioni di euro in tutto. Ma non è chiaro quanti ne siano stati spesi per questa operazione
(da Fanpage).
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
SULLA RIMOZIONE DEI TRE COMMISSARI È IN CORSO UNA GUERRA LEGALE, CON TANTO DI ESPOSTO IN PROCURA
«Dai vostri occhi avevo già capito tutto, avevo già capito che c’era qualcosa che non andava». Con queste parole, pronunciate nel corso di un incontro riservato del gennaio scorso, Adolfo Urso ha ribaltato il tavolo dell’amministrazione straordinaria di Condotte d’acqua, una procedura che vale centinaia di milioni.
Tempo pochi mesi e il ministro delle Imprese ha revocato i commissari che per sei anni hanno gestito il colosso delle costruzioni.
Sulla base di documenti inediti, Domani ha ricostruito come si è arrivati al clamoroso ribaltone, deciso per decreto il 6 settembre, e ha scoperto che la nuova terna di professionisti scelta da Urso comprende anche un vecchio amico e partner d’affari del ministro, l’avvocato Francesco Paolo Bello.
I rapporti risalgono a quando, una dozzina di anni fa, il futuro ministro aveva avviato un’attività di consulenza per le aziende italiane a caccia di affari in paesi “difficili”, in primo luogo l’Iran. Bello, che è un avvocato, aveva collaborato con la società del ministro, la Italian World Services, in sigla Iws, e in seguito i rispettivi percorsi professionali si sono incrociati anche in altre occasioni. Fino alla nomina, con decreto del ministro, nella terna dei commissari di Condotte.
Per Urso, che conferma a Domani i rapporti di amicizia e stima nei confronti di Bello, non è il primo infortunio nel delicato settore delle amministrazioni straordinarie.
Ad agosto, come rivelato da Domani, l’avvocato Gianluca Brancadoro, legale amico del ministro, l’estate scorsa si è visto assegnare senza gara un incarico di assistenza giudiziale e stragiudiziale dai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia. Incarico a cui Brancadoro ha rinunciato dopo la pubblicazione dell’articolo.
Nei corridoi del dicastero adesso si sprecano dubbi e sospetti su un provvedimento di revoca di cui non si ricordano precedenti. Per quale motivo, ci si chiede, Urso ha deciso di esporsi personalmente in una vicenda così complicata e giuridicamente piena d’insidie?
La vicenda si è fatta ancora più scivolosa per il ministro dopo che il 18 ottobre il Tar del Lazio ha sospeso la revoca dei tre commissari di Condotte, Giovanni Bruno, Gianluca Piredda e Matteo Uggetti, quest’ultimo, per altro, già dimissionario. Una sentenza confermata a stretto giro, il 19 ottobre, dal Consiglio di Stato, a cui aveva fatto ricorso il ministero.
La battaglia legale, destinata a proseguire nelle prossime settimane, è stata avviata da Bruno e per il ministro i problemi non si esauriscono nelle aule della giustizia amministrativa. Bruno, infatti, nei giorni scorsi ha presentato anche un esposto in procura a Roma che contiene accuse circostanziate.
Per prima cosa chiede “la punizione del dottor Paolo Casalino e di chiunque altro abbia concorso con lo stesso” per il delitto di omissione d’atti d’ufficio per non aver provveduto alla liquidazione dei compensi al commissario Bruno nonostante le diffide inviate a mezzo posta certificata. Casalino è uno dei dirigenti di vertice del Mimit. Responsabile della direzione generale della politica industriale e a capo della struttura che gestisce i fondi Pnrr, è considerato un fedelissimo di Urso.
Bruno ritiene di essere stato vittima di quella che appare come una richiesta accompagnata da una minaccia, quella di ritardare il saldo delle parcelle in caso di mancate dimissioni della terna di professionisti. Una denuncia, questa, che a breve potrebbe portare i magistrati a mettere sotto la lente le motivazioni che secondo il ministero avrebbero giustificato la rimozione dei commissari.
Lo stesso Urso è stato tirato in ballo da Bruno nel suo esposto. I documenti consegnati in procura raccontano anche di una riunione dell’8 gennaio 2024 al ministero delle Imprese. All’incontro partecipa anche Urso, che si dimostra molto critico nei confronti dell’operato dei commissari, accusati senza mezzi termini di cattiva gestione.
Lo scontro si è consumato sulla cessione della quota del 15 per cento controllata da Condotte nella società Eurolink, il consorzio che dovrà realizzare il Ponte sullo Stretto. Ad aggiudicarsi quel 15 per cento è stato il gruppo Tiberiade controllato dall’immobiliarista romano Walter Mainetti. Il collegio commissariale di Condotte, con Bruno in testa, aveva seguito una procedura condivisa, almeno fino a un certo punto, con il ministero, che il 29 marzo del 2023 ha autorizzato la vendita della partecipazione in Eurolink.
Nel giro di poche settimane, però, il ministro fa marcia indietro e a settembre dell’anno scorso avvia un’istruttoria per verificare le modalità del “processo di cessione dei complessi aziendali”. In sostanza, finisce nel mirino la vendita di Eurolink, che secondo Urso e i suoi collaboratori sarebbe stata di fatto svenduta.
Il sospetto del ministro emerge con chiarezza in una registrazione, ottenuta da Domani, dell’incontro dell’8 gennaio. L’accusa è che il prezzo di vendita non abbia tenuto conto del fatto che il governo, con una delibera del 16 marzo 2023, quindi poco prima della cessione, aveva rilanciato il progetto del Ponte sullo Stretto. Una decisione definita dal ministro, durante la riunione, come «la grande svolta di questo governo».
Secondo Urso, i commissari sarebbero quindi colpevoli di aver svenduto la partecipazione di Condotte senza considerare che di lì a poco proprio Eurolink sarebbe tornata in prima linea per realizzare il Ponte.
Bruno e i suoi colleghi respingono l’accusa, perché, come ribatte uno dei professionisti durante l’incontro con Urso, al momento in cui è stata conclusa la vendita, «non vi era allo stato nessuna prevedibile aspettativa di ipotizzare che ci fosse una qualche sorta di prelazione a favore di Eurolink per avere un affidamento dei lavori» per il Ponte.
Quindi, secondo i commissari, al momento della vendita non c’era nessun fatto nuovo tale da influire in concreto sul prezzo di vendita di quel 15 per cento.
Del tutto diversa è la posizione di Urso che, interpellato da Domani, spiega di aver deciso di non confermare la terna commissariale «in ragione della scarsa diligenza dimostrata nella gestione della vendita della quota in Eurolink».
Nel corso dell’incontro dell’8 gennaio, il rapporto tra il ministro e la terna di professionisti arriva al punto di rottura. Urso li accusa di mostrare scarsa fiducia nei suoi confronti e conclude che, dunque, la fiducia, “non c’è nemmeno da parte mia”.
Rivelando così uno dei motivi che saranno alla base del decreto di revoca dell’incarico ai commissari. Ma è su questa parola, “fiducia”, che ora si disputerà la partita giudiziaria. I commissari straordinari, infatti, nominati in procedure fallimentari possono essere rimossi solo per giusta causa. Non si tratta di nomine, perciò, su base fiduciaria come può essere quella di un portavoce o di un capo di gabinetto.
Le motivazioni che risultano dai documenti ufficiali spiegano il cambio della guardia con l’esigenza da parte del ministero di affidare la fase conclusiva della procedura a tre commissari con “professionalità specificamente orientate alle finalità liquidatorie”.
Nei mesi che precedono il provvedimento di revoca, che risale al 6 settembre, lo scontro si consuma sulla valutazione del prezzo di cessione della quota di Eurolink. Qual è il prezzo giusto? Si decide di cercare un tecnico a cui affidare una nuova perizia per ridefinire il valore della partecipazione.
Il documento, siglato da Roberto Mazzei, arriva sul tavolo del ministero il 18 giugno 2024 e di fatto conferma il contenuto della precedente perizia, quella in base alla quale era stata definita la vendita nel marzo 2023. Un risultato che però non ha convinto il ministro, il quale, come spiega a Domani, ha sottoposto la stima a una valutazione di un esperto nominato dal ministero. Secondo questo nuovo esame, il valore della partecipazione è compreso in un range tra 43,15 milioni e 14,24 milioni, cifre molto più elevate rispetto a quelle che risultano dalla perizia Mazzei, comprese tra 4,5 milioni e un importo negativo di 5,2 milioni.
Questione chiusa, dunque? Macché. Il capo di gabinetto di Urso, Federico Eichberg, e il suo vice convocavano i commissari per il giorno successivo 19 giugno. Eichberg, è scritto nell’esposto, in quella sede ha informato i commissari che il rapporto fiduciario con il ministro ”era irreparabilmente compromesso”.
Ma c’è di più, nel racconto di Bruno, così come risulta dalla denuncia, è stato “rappresentato ai commissari che se avessero rassegnato le dimissioni spontaneamente ci sarebbe stato adeguato riconoscimento al lavoro svolto attraverso una tempestiva liquidazione dei compensi. Pertanto, i commissari venivano invitati a rassegnare le dimissioni, paventando in difetto, la loro sostituzione”. In altre parole: o date le dimissioni voi e avrete le parcelle alla svelta, oppure vi silura il ministero e chissà quando vi pagherà.
Uggetti, uno dei colleghi di Bruno, segue le indicazioni informali del braccio destro di Urso e si dimette l’8 agosto. Tempo poche settimane e si scopre che la terna dei nuovi commissari comprende anche Francesco Paolo Bello, che così come Uggetti lavora per Deloitte, il colosso internazionale della consulenza. Bruno e Piredda, invece, vengono revocati per decreto. Con lo stesso provvedimento oltre a Bello viene ratificata la nomina di Alfonso di Carlo e Michele Onorato.
Chi è il regista di questa manovra? Lo rivela la registrazione di un’altra riunione al ministero, con il capo di gabinetto di Urso che ammette davanti ai commissari: «La decisione è stata assunta dal ministro…è stata una determinazione del ministro», ripete più volte Eichberg durante l’incontro.
Restano molti interrogativi senza risposta in questa storia oscura di nomine revocate e potenziali conflitti di interessi sfociata in una guerra di carte bollate, una vicenda che rischia di esporre il ministero a verifiche della magistratura. Di certo, però, sappiamo che almeno uno dei beneficiari delle nuove nomine ha più volte incrociato Urso nel suo percorso professionale.
Bello, l’avvocato che è partner di Deloitte legal, vanta infatti un’amicizia di lunga data con il ministro, con cui in passato ha anche collaborato. A cominciare da quando, una dozzina di anni fa Bello ha avuto rapporti con la Italy World Services, in sigla Iws, la società di consulenza fondata dal futuro ministro con il figlio Pietro.
(da Domani)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“SERVE SOLO AD ALZARE L’ASTICELLA DELLO SCONTRO CON LA MAGISTRATURA”
“Con il nuovo Decreto Legge sui Paesi sicuri non cambia tecnicamente nulla”, lo dichiara l’avvocato di Asgi Salvatore Fachile, a difesa di uno dei 12 richiedenti asilo che hanno inaugurato l’accordo Italia-Albania, ai microfoni di Fanpage.it.
“I giudici dovranno continuare a disapplicare la norma, che – anche se adesso è decreto legge e non più ministeriale – è comunque contraria alla normativa europea. Il nuovo Decreto Legge alza solo l’asticella dello scontro mediatico tra governo e magistratura”, continua.
Lo scontro mediatico era nato il 18 ottobre scorso, in seguito alla decisione del giudice di Roma di non convalidare il fermo delle dodici persone trattenute nel centro per richiedenti asilo di Gjader, in Albania. Lo stesso giorno le commissioni territoriali avevano rigettato le richieste d’asilo dei 10 bengalesi e 6 egiziani, che avevano fatto domanda di protezione in Italia non appena sbarcati nel centro di Shengjin all’alba del 16 ottobre.
Due decisioni opposte, seppur su due materie di diversa competenza, che accendono lo scontro politico tra governo e opposizioni e soprattutto l’ira della maggioranza contro la magistratura che ha, però, fatto quello che doveva fare: applicare il diritto europeo.
Con la sentenza del quattro ottobre scorso, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che non possono essere considerati paesi sicuri tout court quei paesi in cui anche solo una parte degli stessi non è sicura. Così per l’Egitto, e così per il Bangladesh, motivo per cui il trattenimento dei dodici migranti nel centro italiano in Albania, non è stato convalidato. Tutti loro, adesso, faranno ricorso al rigetto della loro richiesta d’asilo dall’Italia.
“I migranti non sapevano che stavano andando in Albania. Ma gli avevano spiegato solo che stavano tornando in Italia”, continua l’avvocato Fachile, “all’inizio non riuscivamo a contattarli perché non avendo cellulare, sono arrivati a Bari e sono stati messi a bordo dei pullman, ma non sapevamo dove stessero andando”.
Solo l’altro ieri alcuni operatori sociali di Bari e degli avvocati di Asgi sono riusciti ad incontrare i richiedenti asilo che stanno adesso al Cara di Bari. Un centro, quest’ultimo, da cui è possibile uscire al contrario del centro per richiedenti asilo di Gjader. Qui i 10 uomini del Bangladesh e i 6 egiziani avranno un tempo massimo di 14 giorni per fare una nuova richiesta di asilo. Un tempo che adesso stringe anche a causa dei ritardi dovuti all’impossibilità di contattare sin da subito i propri assistiti, da parte degli avvocati italiani. “Lunedì torneremo al Cara di Bari, e nei prossimi due o tre giorni faremo i ricorsi”, conclude l’avvocato.
Venerdì prossimo dovrebbe arrivare un altro gruppo di persone migranti al centro di Shengjin, e al più tardi domenica sapremo cosa ne sarà di loro: se saranno costretti in detenzione amministrativa nel centro di Gjader, in attesa della risposta alla loro domanda d’asilo, o se saranno – come già successo – immediatamente riportati in Italia. In entrambi i casi si tratta di un progetto che ha già dimostrato di essere fallimentare ma soprattutto, e cosa più importante, estenuante e ingiusto per le persone trasportate da una sponda all’altra dell’Adriatico per mera propaganda politica.
(da Fanpage)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
COSA SUCCEDE ADESSO? LA MELONI VUOLE TIRARE DRITTO E FAR PARTIRE ALTRI MIGRANTI VERSO L’ALBANIA: OLTRE A INTASARE I TRIBUNALI, RISCHIA DI ESSERE UNA CAPORETTO TOTALE (A SPESE DEI CONTRIBUENTI): I GIUDICI POTRANNO ANNULLARE DI NUOVO I TRATTENIMENTI E I MIGRANTI SARANNO RIPORTATI IN ITALIA
Neanche il tempo di farlo approvare dal Quirinale che la Corte di Giustizia Ue ha già smontato il cosiddetto decreto legge “Paesi sicuri”. Per la Corte di Lussemburgo, infatti, le sentenze europee “sono immediatamente vincolanti per gli Stati membri”. E così pare nato già morto il provvedimento che, tra l’altro, va a intasare le Corti d’appello italiane, inserendo un grado di giudizio intermedio sui trattenimenti dei migranti nei cpr e scatenando la rabbia unanime dei 26 presidenti dei tribunali di 2° grado.
Una caporetto su tutto il fronte. È arrivato ieri in serata il testo definitivo del dl studiato da Chigi per superare il decreto del Tribunale di Roma che venerdì ha annullato il trattenimento di 12 migranti, di nazionalità egiziana e bangladese, presso il cpr di Shengjin, in Albania.
Per i giudici romani, infatti, quelli di origine non possono essere definiti “paesi sicuri”. La fonte della sentenza è la direttiva Ue 2013/32 per cui non si può definire “sicuro” uno Stato “qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali”.
È basilare la norma del diritto pubblico che le leggi di un ente sovranazionale prevalgono sempre su quelle nazionali. Ma Giorgia Meloni e i suoi sono comunque andati allo scontro.
Alle 21 di ieri il testo definitivo del decreto non era ancora arrivato al Quirinale per il vaglio, anche se dal Colle è trapelata l’intenzione sostanziale di procedere al via libera.
La possibilità per il Viminale di ricorrere in appello è stata introdotta in extremis nonostante ieri i 26 presidenti delle Corti d’appello abbiano diffuso un documento molto critico, lamentano un sovraccarico eccessivo del lavoro e il rischio di non raggiungere gli obiettivi del Pnrr per il comparto giustizia.
Ma la beffa maggiore per il governo è arrivata proprio dal Lussemburgo, dove ieri pomeriggio all’Ansa un portavoce della Corte di Giustizia Ue ha precisato che “le sentenze della Corte di Giustizia Ue sono immediatamente vincolanti per gli Stati membri”. Tradotto: nessuna legge nazionale potrà mai aggirare il pronunciamento della Corte, specie se ha come fonte una direttiva Ue.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA GIORNALISTA RIVELA IL MANIACALE CONTROLLO SULL’INFORMAZIONE NEGLI STUDI TELEVISIVI RAI: “CI SONO REGOLE ASSURDE, CONTROLLANO TUTTI I SERVIZI, TUTTI I TESTI. AVREBBERO BOICOTTATO GLI OSPITI”
Ancora Antonio Ricci, ancora un fuorionda di quelli che lasciano il segno. Questa volta è (di nuovo) Bianca Berlinguer a finire nel mirino
Domenica scorsa durante la registrazione di È sempre Cartabianca (in onda su Rete4) la conduttrice — sottovoce, ma non abbastanza per i microfoni — si è abbandonata a una clamorosa confessione sul suo trasloco dalla Rai a Mediaset: «Ringrazio Dio di non essere rimasta lì. Oggi sicuramente non sarei più in onda. Non avrei accettato le regole, e quindi avrebbero trovato il modo di non farmi… Mi hanno detto che ci sono regole assurde, tipo controllano tutti i servizi, tutti i testi. Che poi se fai un talk, che te voi controlla’. Avrebbero boicottato gli ospiti, figurati…».
Parole — rivelate ieri sera nel corso di Striscia la notizia — che sono destinate a fare rumore in tempi in cui TeleMeloni non sta nemmeno raccogliendo particolari giovamenti — in termini di ascolti — dal nuovo palinsesto che ha visto vacillare in questi ultimi giorni programmi come quello di Antonino Monteleone (l’ultima puntata era all’1% di share) e quello di Luca Barbareschi (1,8% con la versione discount di Temptation Island ).
Il ragionamento (catturato) di Bianca Berlinguer sarebbe che una come lei con gli attuali vertici Rai avrebbe avuto vita difficile, se non breve. A far riflettere è soprattutto la rivelazione del maniacale controllo che verrebbe attuato su servizi, testi e ospiti per avere un controllo capillare sull’informazione che esce dagli studi televisivi Rai per arrivare nelle case dei telespettatori.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
I DUE SONO CANDIDATI NELLA LISTA RICONDUCIBILE ALL’ORGANIZZAZIONE NEOFASCISTA “GENERAZIONE POPOLARE”, POI SI DICONO PENTITI (GRANDE COERENZA)… LA PRESIDE: “LA SCUOLA PRENDERÀ A BREVE I GIUSTI PROVVEDIMENTI”
Due studenti, candidati alla rappresentanza studentesca in Consiglio d’Istituto al Liceo Montessori di Roma nella lista “Riscatto”, sono stati fotografati in una classe mentre facevano un saluto romano di fronte ad uno striscione che recitava “Prendi nota prendi atto, è ora di riscatto!”
A dare la notizia è la Rete degli Studenti Medi di Roma, secondo cui quello del Montessori “non è un caso isolato: la stessa lista, infatti, riconducibile all’organizzazione giovanile neofascista Generazione Popolare, è presente anche in altri istituti della città con liste candidate alla rappresentanza d’Istituto che, apparentemente anonime e apolitiche, nascondono al loro interno una matrice neofascista”.
Sulla vicenda è intervenuta la preside, Anna Maria De Luca: “la scuola prenderà a breve i giusti provvedimenti. Ho parlato personalmente con i due ragazzi che mi hanno assicurato di non far parte di organizzazioni fasciste e di non aver considerato in pieno la valenza e le possibili conseguenze del gesto”
(da agenzie)
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