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DOPO DUE ANNI DI GOVERNO, FRATELLI D’ITALIA STA IMPLODENDO – DA “GENNY, ULTIMO SCHIAVO DI POMPEI’’ A GIULI, PIFFERO DELL’INFOSFERA GLOBALE”, LO ZOCCOLO DURO DEL PARTITO SI STA RIBELLANDO ALLE SCELTE DI GIORGIA MELONI

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

MENTRE LA BASE DI FDI DA’ SOLO UNA SETTIMANA DI VITA MINISTERIALE AL GIULI-RIDENS E IL REIETTO LOLLOBRIGIDA SI FA LA SUA CORRENTE, LA MELONI È SEMPRE PIÙ NERVOSA IN ATTESA DEL VERDETTO DI DOMANI: UNA DESTRA SCONFITTA IN LIGURIA POTREBBE DAR VITA A UN’ONDA LUNGA E PERICOLOSA

Dopo due anni di governo, pur senza una sinistra capace di fare il suo lavoro di opposizione, Fratelli d’Italia sta implodendo.
Giorno dopo giorno, da Sangiuliano a Giuli, lo zoccolo duro del partito si sta ribellando a Giorgia Meloni e al suo camaleontismo: dall’Atlantismo democristiano a livello internazionale alla scelta di ‘’uno fuori dal partito su un uomo senza tessera, quindi non controllabile, che per giunta nomina un capo di gabinetto Lgbt” (Annalisa Terranova a “Repubblica”).
La paciosa vice direttrice e firma storica del “Secolo d’Italia” dipinge perfettamente lo stato di insofferenza di un partito che dal 4 per cento si è ritrovato a fare il grande balzo fino al 27, prima forza politica d’Italia: “Giuli paga il fatto di non essere un uomo di partito, ma uno che risponde solo alle sorelle Meloni”. Alla domanda di Concetto Vecchio: “L’insofferenza è di Fazzolari?”, la Terranova non ha problemi a rispondere: “No. È della base”.
E lo zoccolo duro dei Fratelli d’Italia che si considera la vera destra che dopo decenni di emarginazione tra grotte e via della Scrofa non si capacita di vedere al vertice del ministero della Cultura un tipino che in modalità Julius Evola straparla di ‘’infosfera globale” e che scrive saggi dal titolo “Gramsci è vivo”.
Un tipino, oggi invellutato e con panciotto, che nel 2007 licenziò per i tipi di Einaudi un libello, “Il passo delle oche”, che faceva a pezzi la destra post fascista in doppiopetto, da Almirante a Fini per finire alla Meloni, rea di essersi attovagliata al potere del “Sistema”.
Eppure qualche anima pia, dopo il no di Pietrangelo Buttafuoco, consigliò invano alla Ducetta di sostituire lo schiavo d’amore Sangiuliano con un intellettuale fuori dal cerchio magico, ma assolutamente non prevenuto nei confronti del governo, che si chiama Giovanni Orsina.
Oggi, al di là di ciò che dicono Arianna e Merlino all’insegna del “troncare e sopire”, la chiacchiera che gira nella base dei fratellini da’ solo una settimana di vita ministeriale al Giuli-ridens.
Intanto, sta nascendo una nuova corrente all’interno del partito ad opera del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, l’ex “Stallone di Subiaco” buttato fuori casa, in maniera impietosa e sbrigativa attraverso un’intervista al “Foglio”, dalla moglie Arianna Meloni.
E mentre una nervosissima Meloni si sente sempre più sotto assalto dei poteri degli apparati dello Stato, quell’interminabile Deep State che va dalla Corte dei Conti alla Consulta passando per il Quirinale, oggi e domani sono aperte le urne per eleggere il nuovo presidente della Regione Liguria.
I sondaggi dei giorni scorsi danno alla pari i due contendenti Orlando e Bucci ma se lunedì sera il conteggio sarà favorevole al “campo largo” della sinistra per la premier del Colle Oppio cominciano i dolori e salteranno gli otoliti, dato che Bucci l’ha voluto lei contro Ilaria Cavo, candidato spinto dell’ex governatore Giovanni Toti, d’accordo con la Lega di Salvini.
Infatti la lista civica di Toti (“Vince Liguria”), che non è da sottovalutare, voterà sì Bucci ma i nomi dei consiglieri appartengono a Toti e Salvini, l’unico che sul palco di Genova nel discorso a conclusione della campagna elettorale venerdì scorso ha citato e difeso Toti, affiancato dal gelo di Meloni e Tajani.
Una destra sconfitta in terra ligure metterebbe in moto un’onda lunga che trascinerebbe il voto in bilico della sinistra in Umbria e rafforzerebbe quello in Emilia Romagna, prossime regioni che nelle prossime settimane saranno chiamate al voto.
(da Dagoreport)

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GIULI SI AGGRAPPA ALLA SORELLA D’ITALIA, ARIANNA MELONI RIBADISCE LA FIDUCIA AL MINISTRO BASETTONI:: “HA IL NOSTRO SOSTEGNO”

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

MA C’È CHI AI VERTICI DI FDI NON CONDIVIDE LE POSIZIONI DI GIULI SU “UNA DESTRA PROGRESSIVA, NON REAZIONARIA”… LO STESSO GIULI, A RADIO3, AMMETTE: “HO OTTIME RELAZIONI CON SCRITTORI, ARTISTI, MIGLIORI DI QUELLI CHE HO CON MOLTI ESPONENTI POLITICI DEL MIO PARTITO”

Arianna Meloni, sorella della premier e capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia, centellina i commenti con la prudenza di chi sa quanto conti la sua parola all’interno del primo partito di maggioranza del Paese. Per questo non è irrilevante quello che dice a La Stampa nei giorni di passione del Collegio Romano: «Alessandro Giuli ha certamente il sostegno di Fratelli d’Italia, non gli è mai mancato».
È un avviso ai naviganti con un sottotesto evidente, rivolto al futuro: chi ha puntato al logoramento del ministro della Cultura – nell’ombra più che alla luce del sole – deve smettere di farlo. L’ex presidente del Maxxi, del resto, è stato voluto personalmente dalla presidente del Consiglio. Ora, però, persino ai vertici di Fratelli d’Italia, c’è chi comincia a credere che la scelta sia stata incauta.
Che il sostegno a Giuli non sia «mai mancato» è contraddetto dai fatti. Si potrebbero citare le chat in cui esponenti locali rivolgevano insulti omofobi al suo ex capo di gabinetto. Si potrebbe citare, soprattutto, l’evidente mancanza di dichiarazioni solidali con il ministro in questi giorni di travaglio.
È lo stesso Giuli ad ammettere le difficoltà interne in un’intervista che andrà in onda oggi su Rai Radio 3. Ai microfoni de “La lingua batte” con Paolo Di Paolo racconta: «Ho ottime relazioni, alla luce del sole, con scrittori, artisti, cineasti», rapporti persino «migliori di quelli che ho con molti esponenti politici, compresi quelli del mio partito». Rivela, in maniera quanto mai esplicita, la consapevolezza di non essere completamente gradito
Giuli si fa teorico di un futuro prossimo: «In un governo il cui partito di maggioranza ha il 30 per cento deve esserci spazio per una destra progressiva, non reazionaria, allergica a qualsiasi lacerto di nostalgie identitarie, perché in quel 30 per cento c’è una maggioranza che deve riconoscersi nella Costituzione». Una «destra progressiva» che a una parte di Fratelli d’Italia suona immediatamente come un ossimoro. Eppure, è un orizzonte che Giuli rivendica di condividere con la presidente del Consiglio: «Questo è chiaro anche al primo ministro, che mi ha voluto qui, altrimenti non ci sarei».
Le perplessità nei suoi confronti non vengono solo dagli esponenti più vicini ai pro-vita. Tanti, dentro FdI, non hanno intenzione di ritrattare la storia da cui vengono. Magari quelli che non gradiscono che si parli della forza politica come di un partito in cui è ancora necessario prosciugare le «pozzanghere di fascismo».
Il ministro della Cultura, per ora, non ha intenzione di piegarsi. In conversazioni private lo esprime in questi termini: «Non sono qui per fare la marionetta». Ma ha cominciato a dirlo, con chiarezza, anche nelle dichiarazioni pubbliche: «Anche un ministro deve avere dei margini riconoscibili di indipendenza», scandisce a Paolo di Paolo nell’intervista su Rai Radio 3
Giuli si è presentato con il biglietto da visita sbagliato: la brusca cacciata di Francesco Gilioli dal ruolo di capo di gabinetto del ministero aveva irritato persino il presidente del Senato Ignazio La Russa. Il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri, osservatore esterno a FdI e veterano della politica, qualche giorno fa al Senato allargava le braccia: «Semplicemente il ministro non ha ancora esperienza, finora ha fatto il giornalista».
Bruciato dall’affaire Spano, nella scelta del capo di gabinetto mancante, Giuli non potrà più evitare di coordinarsi con i vertici di Fratelli d’Italia. Ora, il problema sta nella disponibilità di candidati: secondo fonti del Mic, gli alti funzionari sondati sarebbero restii ad entrare nei corridoi finora maledetti del Collegio Romano.
(da La Stampa)

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“GIULI? UN TRADITORE CHE HA GIURATO FEDELTÀ AL SISTEMA NEOLIBERALE, NON UNA MA DUE VOLTE”: PARLA RAINALDO GRAZIANI, FONDATORE NEGLI ANNI ’90 DEL GRUPPUSCOLO NEONAZI MERIDIANO ZERO NEL QUALE MILITAVA IL FUTURO MINISTRO DELLA CULTURA

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

DAL PADRE LELLO, FONDATORE DI ORDINE NUOVO, AL FIGLIO RAINALDO CHE SOSTIENE UNA VISIONE NEO-PAGANA DELL’ESISTENZA

Report ha intervistato il referente della destra extraparlamentare neofascista e neonazista Graziani. Ci ha raccontato le origini della vita politica del ministro della Cultura: “figura brillante” in Meridiano Zero, movimento di ispirazione neonazista.
Già il titolo è tutto un programma: «Tecniche di comunicazione contro il mainstream». Rainaldo Graziani, figlio dell’esponente del movimento di estrema destra extraparlamentare Ordine Nuovo Clemente Graziani, pubblica sul suo profilo Facebook l’intervista di Report. L’incontro lo registra anche lui. La definisce una «tecnica contro la comunicazione mainstream». Poi anticipa l’intervista, che andrà in onda domani su RaiTre. E mette tutto sui social.
Sullo sfondo l’inchiesta di Report sul ministero della Cultura e sul ministro Alessandro Giuli che in passato ha militato nell’organizzazione neonazista Meridiano Zero. Rainaldo Graziani la fonda a inizio Anni 90. E lui di certo non rinnega nulla. Giuli? «Un traditore bianco». E il post, a corredo del video, è tutto un susseguirsi di paroloni e sentiment nostalgico e rivendicazioni letterarie, da Artù e Il Signore degli Anelli.
«In molti mi chiedono quali concetti ho espresso e quali idee ho sostenuto nell’intervista a Report…», scrive Graziani. Ecco il video. E otto punti, che «a prescindere dalle posizioni assunte dai rappresentati delle istituzioni, delle lobby e dai “grand commis” della infosfera, riassumono ciò che ho affermato». Al settimo punto arriva a parlare dell’attuale ministro Giuli.
Negli Anni 90 era tra i militanti di Meridiano Zero. «Eravamo centinaia di centinaia – ricorda Graziani – Se lui l’ha confermato, sicuramente era una delle figure brillanti. Altrimenti chi mai vorrebbe dare un ministero se non a una figura brillante. Purtroppo, non avevamo Sangiuliano».
C’è stato un voltafaccia? L’attuale ministro ha rinnegato sé stesso? «Un autore sudamericano l’avrebbe definito come il traditore bianco. Ha giurato fedeltà al sistema neoliberale, non una ma due volte. Quindi essendo stato candeggiato dalle lavatrici del sistema neoliberale è così bianco che più bianco non si può». Meridiano Zero si scioglie. Con Giuli, dice Graziani, non si sono mai più incontrati.
Il gruppo Meridiano Zero in cui militava il giovane Alessandro Giuli futuro ministro aveva simpaticamente scelto come data di nascita l’8 settembre 1991, per festeggiare il giorno dell’occupazione nazista in Italia.
Il 4 ottobre ’91 i militanti di Meridiano Zero si scontrarono con gli appartenenti ai collettivi studenteschi di sinistra nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma. Volarono botte da orbi. Alla direzione politica del nuovo movimento si pose Rainaldo Graziani, figlio del carismatico leader di Ordine Nuovo, Clemente Graziani.
La tradizione conta nei partiti e nei movimenti di destra e il testimone della politica spesso passa di padre in figlio. Clemente detto Lello era stato leader dei Far, dei Fronti d’azione rivoluzionaria, fondati dall’antisemita Julius Evola e da Pino Rauti.
Il papà di Rainaldo era nato a Roma il 17 marzo 1925, aveva perso suo padre da piccolo, aveva sempre vissuto alla Garbatella futuro quartiere di Giorgia Meloni. Nel 1944 si era arruolato volontario nella milizia della Repubblica sociale italiana ed era stato un militare di collegamento tra la prima linea e le retrovie durante la battaglia di Montecassino.
Era meccanico e, appena finita la guerra, trovò lavoro in un’autorimessa. L’impegno in politica era stato la sua ragione di vita: nel dopoguerra dei vinti, così scialbo e poco illuminato dai vecchi ideali, la politica rappresentava per lui una fatale attrazione per cui partecipò con entusiasmo alla fondazione del Movimento Sociale Italiano, ma non ne prese subito la tessera.
Graziani diventerà poi l’animatore del Centro Studi Ordine Nuovo, il laboratorio di idee che fonderà con Rauti in cui figuravano Paolo Signorelli, Stefano delle Chiaie, Giuliano Bracci e Marcello Perina.
Nel mirino della polizia per le sue attività sovversive finirà la sua vita da latitante in Paraguay. Il figlio Rainaldo continua la sua battaglie e la sua opera. C’è Ernst Jünger all’origine del nome Meridiano Zero con lo scritto il “Trattato del Ribelle” e c’è anche la decisione del regime fascista di istituire un proprio meridiano zero passante da Battipaglia, da contrapporre a quello di Greenwich.
Il movimento ha come simbolo Algiz (la runa della vita, già utilizzata dal Deutsches Frauenwerk, movimento nazista femminile) e decide di caratterizzarsi con la cosiddetta “tecnoribellione”, una specie di luddismo.
Meridiano Zero con i suoi giovani militanti come Giuli inizia la sua opera nelle scuole e nelle università dove riscuote qualche successo: “Il potere tecnocratico vuole uccidere l’uomo, profanando il mondo, rendendo artificiale l’esistenza, arrestando il corso della storia”, predicavano gli adepti, (sopprimendo ogni forma di cultura, cancellando ogni senso di appartenenza, ogni etnia, ogni nazionalità).
I ragazzi di Meridiano Zero celebravano una visione neo-pagana dell’esistenza, officiando al sole il culto della costituzione di “Uomini Nuovi”. Rainaldo è un ammiratore di Aleksandr Dugin.
Al controverso consigliere dell’autocrate Vladimir Putin, nel 2021 Graziani Junior squaderna un libro a più voci per AGA Editrice dal titolo significativo per il rinvio al nazismo così ammirato anche da Dugin: “Solstizio d’inverno. Dialoghi alla luce del Sole di mezzanotte”, autori Dugin, Rainaldo Graziani, Lorenzo Maria Pacini.
Così viene il volume descritto dalla Feltrinelli: “La prima parte è trascrizione del simposio tenutosi la notte del solstizio d’inverno 2020, un dialogo filosofico che ha ruotato attorno il concetto del Sole di Mezzanotte con sguardo prospettico sulle dinamiche innescate dal ciclo della post-modernità…
(da Dagoreport)

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“OGNI GIORNO IL NOSTRO PRESIDENTE È VITTIMA DI UN COMPLOTTO”: L’EPICA PRESA PER IL CULO DI “STRISCIA LA NOTIZIA” ALLA MELONI

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

IN UN VIDEO SATIRICO REALIZZATO CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, IO SO’ GIORGIA CHIEDE AGLI ITALIANI DI AIUTARE ECONOMICAMENTE LA SUA FONDAZIONE “MELETON” SULLA RICERCA DEL COMPLOTTO: “GIORGIA, ARIANNA, IGNAZIO, MATTEO SONO PERSONE CORAGGIOSE. TUTTI I GIORNI COMBATTONO UN NEMICO DEVASTANTE, LA MAGISTRATURA…”

“Cari italiani, sono il presidente e sono sotto attacco quotidiano”. Inizia così il video satirico creato da Striscia la Notizia e il Grande Flagello. Nel finto spot, creato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, la premier chiede di aiutare economicamente la sua fondazione “Meleton” sulla ricerca del complotto: “Ogni giorno il nostro presidente è vittima di un complotto. Giorgia, Arianna, Ignazio, Matteo sono persone coraggiose. Tutti i giorni combattono un nemico devastante, la magistratura.
A causa di questi magistrati, la loro politica non è più come le altre. Il complotto è ovunque, anche vicino a te. Ma la Costituzione è un pericoloso ostacolo e i magistrati osano applicare la legge. Chiama il numero che preferisci e con €10 al mese sostieni la Fondazione Meleton che finanzia la ricerca su nuove forme di complotto, dossieraggio, inchiesta e cambio shimano. Tu puoi fare qualcosa per loro. Chiama ancora il numero che preferisci e sostieni la ricerca. Fai nascere i complotti. Perché? Perché ci servono. Dona ora. Grazie”.
(da La Stampa)

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INTERVISTA AD ALESSANDRA MUSSOLINI: “MATERNITA’ SURROGATA, CRIMINE UNIVERSALE? UN’ASSURDITA, IO SONO PER LA FAMIGLIA IN TUTTE LE SUE FORME'”

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

MELONI-GIAMBRUNO: “MI SA CHE SI SONO SOLO LASCIACCHIATI…”

Onorevole Mussolini, il suo recente post su Instagram recita così: “Maternità surrogata. Roccella annuncia controlli ai confini. Neonati fermati in dogana come narcotrafficanti. L’inquisizione ora frugherà nelle culle”. Fa una certa impressione: una delle voci più critiche sulle scelte di Giorgia Meloni sui diritti e la morale sessuale è quella di una donna nata e cresciuta a destra, e – se mi consente – con un cognome ancora più di destra, nonostante la sua recente adesione a Forza Italia. Non è che la prossima volta sul carro del Gay Pride ci sale lei? Se li immagina i titoli dei giornali? Altro che Annalisa…
“Perché no? Lo farei volentieri a patto di vestirmi da drag queen con ciglia finte, zatteroni e una tutina di paillettes arcobaleno”.
Beh, anche su quest’argomento la sua posizione è chiara. Leggo un altro suo post: “Come si commenta la notizia di un esponente di Fratelli d’Italia che celebra il matrimonio tra un uomo e una donna transgender? Facendo gli auguri agli sposi. L’amore vince e vincerà sempre”.
“Ribadisco. L’amore vince su tutto, anche se si trasforma. Cambia, si perde, a volte ritorna anche più grande di prima. Perché noi per primi siamo un cambiamento costante”.
Tra i suoi follower c’è chi la incita ad andarsene da un’altra parte: “Alessandra cosa aspetti molla tutto e prendi la tessera del Pd”.
“Non esageriamo, eh! La verità è che ormai dico quello che penso e che sento. Stando a Strasburgo e non più a Montecitorio mi sento più libera e non ho necessità di trincerarmi dietro gli steccati di bandiera”.
E lo ius scholae?
“Lo benedico, quelli nascono e studiano in Italia: sono più italiani di me, tra un po’. I diritti non vanno concessi, ma condivisi. Dopodiché, però, proprio perché ora sto in Europa, dico che la magistratura ha fatto male a intromettersi sulla storia dei migranti portati in Albania e fatti tornare indietro”.
Ma erano solo 16! Non è soprattutto propaganda?
“Era solo l’inizio, bisognava dare tempo. E comunque non trovo giusto che un problema così epocale come quello dei flussi migratori debba essere gestito solo dall’Italia. È l’Unione europea, tutta insieme, che deve farsene carico”.
Maternità surrogata ormai crimine universale. In teoria, potremmo arrestare anche Elon Musk che piace alla destra ma l’ha molto praticata.
“Ecco questo, invece, lo trovo assurdo. Ma quale crimine universale! Io sono per la famiglia in tutte le sue forme e diversità. Un esempio? Chi siamo noi per impedire a una donna di diventare madre, perché magari ha dovuto congelare gli ovuli prima di sottoporsi a una chemioterapia, ma dopo la malattia non è più in grado di portare avanti la gravidanza? Perché anche di questo si parla. Del resto, la Roccella io la conosco bene”.
Avete lavorato insieme.
“Sì o, meglio, entrò lei e uscii io dalla Commissione che doveva occuparsi di fecondazione assistita. Io sostenevo la diagnosi preimpianto, per poter puntare sulle cellule meno a rischio in caso di malattie genetiche. Gli altri, invece, volevano che gli ovociti venissero impiantati tutti insieme, “Semmai dopo c’è l’aborto”, dicevano: cosa aberrante, visto gli strascichi che questa scelta ha sulla vita di una donna. Il risultato fu che Gianfranco Fini, che ancora non aveva fatto la sua “svolta” liberal, tolse me e mise Roccella”.
Abbiamo vissuto un anno di separazioni “politiche”. E non parliamo di Renzi e Calenda, ma delle sorelle Meloni. O di love story con epiloghi tristi, come quella di Gennaro Sangiuliano.
“Secondo me Giorgia si è lascicchiata…”
Pensa che, quando non sarà più premier, si rimetterà insieme a Giambruno?
“Se è lui l’uomo che vuole, sarei contenta per lei. Dipende dalle priorità. L’amore fa strani giri… Nel mio caso, ad esempio, la priorità è sempre stata tenere insieme la famiglia che è quella che mi dà gioia ed equilibrio, che mi fa andare avanti nella vita. È la cosa più importante che ho”.
Però con suo marito Mauro ci sono stati momenti molto difficili…
“Guardi, con Mauro festeggiamo 35 anni di matrimonio. E tutto il resto ora non conta. Conta invece vedere i miei tre figli, Caterina, Clarissa e Romano, misurarsi con la vita che si stanno costruendo. Sono una mamma chioccia anche ora che sono grandi”.
Dell’affaire Sangiuliano-Boccia che idea si è fatta?
“Quando l’ho visto al Tg1 fare quell’intervista non potevo crederci, tutto rosso in faccia, col cerotto in fronte. Ma come gli è venuto in mente! Raccontare i fatti suoi in quel modo: fino a quel momento nessuno si era permesso di dare una connotazione sessuale a quella brutta storia. Devo dire che ha fatto bene a dimettersi”.
Lei e suo marito vi siete innamorati al mare, facendo surf. Due ragazzini. Ma anche sua madre Maria, che è la sorella di Sophia Loren, ha detto sì ad Ostia a Romano, figlio di Benito Mussolini. La brezza marina sembra una costante negli amori di famiglia.
“Il mare è il luogo del cuore. Da 50 anni abbiamo una casetta a Marina di San Nicola, vicino a Roma, e io ogni volta che ci metto piede mi sento in pace col mondo”.
È la casa che sua mamma comprò a rate e di cui sua nonna Romilda, disse che non aveva mai visto un’acqua così nera. Sua mamma e sua nonna non hanno avuto un rapporto semplice.
“Sì e su questo ho scritto un libro, Il gioco del buio. In realtà è la storia del matrimonio dei miei che si sono separati quando io avevo solo quattro anni: mio padre era adorabile ma anche tanto donnaiolo. Ma più di tutto è un libro scritto dopo la morte di papà e che parla del dolore di mamma che da sempre si è sentita la figlia di serie B”.
Certo non deve essere facile essere la sorella di Sophia Loren, monumento nazionale.
“Certo: nonna, che era una pianista, aveva puntato tutto su zia Sophia che ha rappresentato probabilmente il suo riscatto. Anche nonna era stata una donna bellissima: aveva vinto il concorso per sosia di Greta Garbo, era identica, ma i genitori le proibirono di andare in America per prendere parte alle tappe successive. In più mamma fu riconosciuta da suo padre, Francesco Scicolone, solo da grande. E grazie a 5000 lire guadagnate da zia Sophia con i primi film. Nonna disse a Francesco, che era stato il suo amante: ‘Quanti soldi vuoi per dare il cognome anche a Maria? Ti bastano 5000 lire?’ E gli gettò i soldi per terra”.
E lui?
“Si chinò e li raccolse”.
Sua mamma ha molto sofferto.
“Sì ma è stata anche una donna grandiosa, moderna, emancipata. Ad un certo punto ha lasciato la bellissima casa di mia nonna in via di Villa Ada a Roma, ha chiesto il divorzio a papà e ha portato me e mia sorella Elisabetta in una casetta a Montesacro. Pochi soldi, niente baby-sitter, ma ha ricominciato da capo disegnando borse meravigliose”.
Ha tirato fuori il carattere…
“Hai voglia! Ma in quanto a carattere nonna Romilda non l’ha mai battuta nessuno. Una volta all’ora del pisolino io ed Elisabetta facevamo rumore, lei arrivò e diede un calcio alla porta. Lasciando il buco come monito. Un’altra a Riccione – non so cosa avessi fatto – mi diede uno zoccolo in testa. Sa di quelli pesanti, Anni Settanta? Ancora me lo ricordo… era verde con le fragole rosa”.
Ecco da chi ha preso il temperamento: le sue litigate, i suoi scontri in tv hanno fatto storia. A cominciare da quello con Vittorio Sgarbi, passando per Katia Bellillo, ex ministro per la pari opportunità, e Pina Picierno, europarlamentare in forza al Pd. Si è mai pentita?
“E perché? Vuol dire che in quel momento sentivo di doverlo fare”.
Anche di aver detto a Vladimir Luxuria “Meglio fascista che frocio”? Che poi cozza con la sua svolta sui diritti.
“Quella volta ho perso le staffe. Odio chi prepara i dossier contro qualcuno e in trasmissione attacca l’altro ospite sulla base delle cartuccelle che si è portato da casa. Capisco che serve, è un po’ come studiare i calciatori avversari prima di scendere in campo. Ma ripeto, non sopporto gli steccati a priori”.
A proposito di calcio, suo figlio Romano ha giocato nella Lazio e ora è in prestito in Serie B alla Juve Stabia. Che mamma è? Di quelle che incitano i figli fuori dal campo?
“Mamma muta. Lo vado a vedere ma soffro in silenzio. E poi Romano mi ha fatto promettere di non parlare mai di lui e del pallone. Posso solo dire che è stato mio padre a chiedermi che mio figlio portasse oltre al suo nome anche il nostro cognome”.
A proposito, abbiamo parlato tanto di nonna Romilda, e di nonna Rachele cosa ricorda?
“Una donna dolcissima, semplice, faceva dei cappelletti in brodo meravigliosi. Era una donna solida, con la forza delle donne della campagna romagnola. Ma capivi che aveva avuto un passato drammatico, di cui non parlava mai. Ma proprio mai”.
Quindi triste?
“No, no. Nonna faceva di tutto per rendere Villa Carpena un luogo accogliente, specialmente per noi bambini che lì potevamo scorrazzare, andare in bicicletta, fare su e giù per le grandi scale in peperino”.
Ma veniamo al capitolo felicità. Lei ha detto che la felicità è come lo zucchero filato. Dolce ma effimera. Il momento più felice della sua vita?
“Quando è nata la mia prima figlia. La guardavo e pensavo. Ma davvero sono riuscita a fare questo?
E il più brutto?
“Il primo lutto. Quando nonna Romilda è morta. Pensi il caso. Mamma aveva vissuto tutta la vita con lei ma Romilda è morta tra le braccia di zia Sofia che era venuta a Roma a trovarla. Avevo trent’anni, zia mi chiamò al telefono: “corri che nonna non riesce a respirare!”. La trovai per terra, ho capito subito che era morta. Sa io sono medico…”.
E come sarebbe stata la sua vita col camice bianco?
“Negli anni in cui l’ho indossato – sono chirurga – qualcuno svegliandosi dopo l’anestesia mi riconosceva e sgranava gli occhi. Non era la mia strada, ma ho una libreria in camera da letto piena di medicina e do consigli a tutti. L’intuito in medicina non mi ha mai abbandonato”.
Elly Schlein ha detto che la politica la vede come una parentesi e che le piacerebbe fare la regista.
“La capisco, sono una che nella politica è entrata e uscita. E partecipare a programmi come Ballando con le stelle o Il cantante mascherato mi ha divertito tantissimo. Una fatica! Sono convinta che si può avere voce in capitolo o fare qualcosa per la società anche stando su un palco”.
A proposito di tv, tutti ricordano i suoi duelli con Antonio Bassolino, quando correvate per il ruolo di sindaco di Napoli nel 1993.
“Quella campagna è stata l’esperienza più bella che ho fatto in politica. Ci siamo fatti largo facendo tutti e due la guerra ai vecchi politici: non avrei mai pensato che al secondo turno la sfida sarebbe stata tra noi due. Ci guardava tutta Italia e io avevo solo 29 anni. A dirla tutta, avevamo molti progetti in comune, le idee per Bagnoli, Napoli museo all’aperto… Sa che le dico? Visto che vinse lui, sarei stata un’ottima vicesindaco di Bassolino!”.
Nonna Rachele i tortellini, sua mamma la pizza fritta. E lei? Coda alla vaccinara?
“No no, ai fornelli preferisco le ricette napoletane: una passata d’aglio la do sempre. In realtà quando mi sono sposata non sapevo fare niente: neanche un uovo al tegamino! Ho imparato guardando di nascosto mia madre, e ora ai fornelli mi rilasso, se non è un obbligo di tutti i giorni. Ammetto che a volte non disdegno i robottini per fare prima: ne ho due”.
Il suo cavallo di battaglia?
“Adoro fare il pane, e farlo bene non è scontato, perché è materia viva. Devi maneggiare con cura l’impasto, rispettare i tempi del riposo e la natura diversa degli ingredienti che usi. Proprio come dovrebbe accadere con gli uomini e i loro diritti”.
(da agenzie)

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MEGA RISSA NELLA CHIESA DI SAN MICHELE DI CHERKASY, IN UCRAINA, DOVE UN’ORDA DI FEDELI UCRAINI SI È SCONTRATA CON ALCUNI POPE DELLA CHIESA ORTODOSSA, ACCUSATI DI FARE PROPAGANDA RUSSA E DI GIUSTIFICARE L’INVASIONE DA PARTE DI “MAD VLAD”

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

DOPO SEI ORE DI LANCIO DI SEDIE E PIETRE, HANNO AVUTO LA MEGLIO GLI UCRAINI

Mega rissa tra centinaia di fedeli e alcuni pope all’interno di una chiesa in Ucraina.
Orde di cristiani filoucraini si sono scontrati con i pope che tentavano di “impossessarsi” della cattedrale di San Michele, di Cherkasy. Lo scontro è scoppiato perché gli ucraini vogliono reprimere l’influenza della Chiesa ortodossa russa, che sostiene Putin e l’invasione dell’Ucraina .
Pare che i sostenitori del Patriarcato di Mosca abbiano tentato di assaltare la cattedrale dopo che i fedeli avevano scelto di appartenere alla Chiesa ortodossa ucraina. Le immagini mostrano i due gruppi contrapposti lanciarsi pietre e sedie e combattere con bastoni per più di sei ore.
Alla fine, i sostenitori della chiesa ucraina indipendente hanno vinto questa bizzarra battaglia, prendendo il controllo della cattedrale e bandendo i fedeli alla chiesa affiliata a Mosca.
Padre Nazari Zasansky, uno dei nuovi cappellani della chiesa, ha dichiarato al “Times”: «È stato un caos totale. La chiesa allineata a Mosca è uno strumento dei servizi di sicurezza russi e rappresenta un pericolo per il nostro Paese. Hanno cercato di convincere la gente che la Russia non è il nemico, che siamo tutti fratelli e sorelle e che non dovremmo combattere. Ma è pura propaganda».
(da agenzie)

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STASERA “REPORT” MOSTRERÀ IN ESCLUSIVA LA FOTO DEL CAPOCCIONE DI GENNARO SANGIULIANO, SPACCATO COME UNA MELA DA UNA PROFONDA FERITA

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

COSA È SUCCESSO AL MALCONCIO GENNARINO DOPO L’ASSALTO CONTUNDENTE DELLA BOCCIA IN MODALITÀ JENA DI POMPEI? I SELFIE NEL BAGNO DELL’ALBERGO SANREMESE, IL PRECIPITOSO RITORNO A ROMA SEMPRE AFFIANCATO DALLA FACINOROSA BOCCIA, LA BALLA CHE RIFILA AGLI AMICI, LA MOGLIE CHE PRENDE CONTATTO CON UN CHIRURGO PLASTICO

Il ministero della Cultura è stato attraversato dallo scandalo nato dai post su Instagram di Maria Rosaria Boccia che ha provocato le dimissioni di Gennaro Sangiuliano.
Dopo aver rimesso l’incarico, l’ex ministro ha poi denunciato l’imprenditrice di Pompei anche per aggressione.
La prova principale sarebbe la foto di questa profonda ferita in testa che Report vi mostra in esclusiva.
Secondo quanto scrive Sangiuliano nella sua denuncia gli sarebbe stata causata lo scorso 16 luglio in una stanza dell’Hotel Nazionale di Sanremo da Maria Rosaria Boccia dopo un’accesa discussione nata dopo l’annuncio del ministro di voler chiudere la loro relazione e di non voler lasciare la moglie.
Cosa è successo dopo l’assalto contundente in modalità Jena di Pompei? “Genny Delon” ha tamponato nel bagno dell’hotel sanremese la profonda ferita, quindi si è sparato come souvenir un paio di selfie sulla testa sfregiata (che poi consegnerà alla Procura di Roma come prova dell’aggressione e che “Report” mostrerà stasera, anticipati da Dagospia).
Una volta coperto il taglio con un cerottone, il ministro partenopeo e parte di Pompei è subito tornato, sempre in compagnia della Boccia furiosa, a Roma.
Alla moglie Federica Corsini, rimasta basita alla vista della ferita, Gennarino si premura di raccontare la balla di essere inciampato su un disgraziato tappeto della stanza d’albergo e scivolando di aver colpito con la testa lo spigolo acuminato di un tavolinetto (stessa fregnaccia racconterà all’indomani agli amici e ai dipendenti del Collegio Romano).
Ma a quel punto, occorrono i punti. E quella santa donna della moglie ha la buona idea di prendere un appuntamento con un chirurgo plastico che, armato di ago e filo, ricuce la testolina di Gennarino applicando ben 13 punti (uno ogni centimetro del taglio) – sono chiamati “punti plastici” perchè si riassorbono ed evitano la sgradevole visione della cicatrice.
E per due lunghe settimane, quel povero cristo del ministero della Sventure Culturali se n’è andato in giro con il “graffio” della Boccia-ridens coperto da un cerotto “trasparente”, che ha il color della pelle, quindi invisibile a uno sguardo non attento.
Ma la storiaccia scoperchiata il 26 agosto da Dagospia e che ha portato, per la prima volta nella storia repubblicana italiana, alle dimissioni di un ministro, è ancora priva di un capitolo, quello più misterioso: perché Sangiuliano intorno a Ferragosto ha dato ordine al capo di gabinetto Francesco Giglioli di stracciare il contratto che aveva firmato venti giorni prima che arruolava Maria Rosaria Boccia come Consulente a titolo gratuito ai Grandi Eventi del ministero. Alla prossima puntata…
(da Dagoreport)

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IL RAPPORTO ANAC: “CON GLI APPALTI SENZA GARA 350 MILIONI DI COSTI IN PIU'”

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

GLI AFFIDAMENTI DIRETTI: L’80% DEI CONTRATTI E’ SENZA CONCORRENZA

In un certo senso l’aumento dei costi è il rischio di tutte le norme “sblocca cantieri”. Di sicuro non è imprevedibile. Fatto sta che l’innalzamento delle soglie per evitare le gare negli appalti pubblici potrebbe aver causato un mancato risparmio per la Pubblica amministrazione che si aggira sui 350 milioni di euro solo tra il 2021 e il 2023. È questo infatti l’ordine di grandezza che ipotizza un report dell’Anac in via di pubblicazione che si è concentrato sui contratti pubblici siglati negli ultimi anni. Un primo tentativo di stimare il costo di alcune scelte politiche per eliminare lacci e lacciuoli nel settore degli appalti pubblici con la speranza di ridurre i tempi.
Dal 2020 le soglie per gli affidamenti diretti, senza cioè dover ricorrere a un minimo di competizione tra offerte, sono state innalzate. Ha iniziato il governo Conte-2 in piena crisi pandemica ma, come nella migliore tradizione, la modifica temporanea è diventata la norma: prima è stata ampliata dal governo Draghi e poi resa permanente dal nuovo Codice degli appalti voluto da Matteo Salvini. Prima delle modifiche, quelle per l’affidamento diretto erano fissate a 40 mila euro. Nel 2020 sono state state alzate a 150 mila euro per gli appalti di lavori e a 75 mila per servizi e forniture, poi saliti a 139 mila euro con il decreto “sblocca cantieri” del maggio 2021.
Anac ha provato a calcolare l’effetto in termini economici. Innanzitutto ha confrontato l’andamento dei ribassi medi tra il 2017 e il 2020, con le vecchie soglie, e quelli del 2021-2023. Il risultato è un calo medio dal 9 al 7%, trainato dal tonfo registrato dai ribassi per gli appalti di lavori (servizi e forniture sono rimasti sostanzialmente stabili). Risultato: un mancato risparmio tra i 352 e i 370 milioni a seconda che si usi la media aritmetica o ponderata per gli importi in appalto. L’ipotesi dei tecnici dell’Autorità Anticorruzione è che alla base del minor risparmio per la P.A. ci sia l’assenza di concorrenza che si ha negli affidamenti diretti. Per provare a isolare ancora di più l’effetto delle modifiche normative da altre cause, hanno provato allora ad analizzare il cambiamento nelle modalità di scelta del contraente adottate dalle stazioni appaltanti. Si vede che nel 2021-2023 la quota di affidamenti diretti è più che raddoppiata, arrivando al 77% per i lavori e al 71% per i servizi. Il risultato cambia di poco: un mancato risparmio di circa 350 milioni. “È ragionevole ipotizzare che un più diffuso utilizzo dell’affidamento diretto abbia un impatto sui costi di approvvigionamento”, scrivono gli esperti dell’Authority, che ritengono i risultati una base di partenza, parziale, da affinare con analisi più complesse e più dati. A inizio 2023, mentre si discuteva il nuovo Codice appalti, il presidente dell’Anac Giuseppe Busia aveva auspicato inutilmente un ritorno alle vecchie soglie. “Così si riduce la trasparenza e aumentano le situazioni di illegalità – aveva spiegato il giurista, nominato dal governo Conte – Il rischio è di rivolgersi alle imprese che si conoscono e non alle migliori facendo lievitare i prezzi senza risparmiare tempo”, peraltro aumentando le zone opache e di illegalità. Per tutta risposta la Lega gli aveva chiesto di dimettersi. Il nuovo Codice ha perfino elevato a 500 mila euro la soglia sotto la quale le stazioni non qualificate (cioè i piccoli comuni) continueranno a gestire appalti senza doversi rivolgere a enti con le competenze necessarie.
Il risultato si è visto subito. Secondo Anac, nei Comuni sopra i 15 mila abitanti l’85% degli appalti nel 2023 non è passata da procedure aperte. Alla fine di quell’anno i dati mostravano che l’83% degli appalti del Pnrr (e del piano complementare) era stato assegnato a imprese di fiducia, senza neppure il bisogno di confrontare due o più preventivi.
(da ilfattoquotidiano.it)

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MEDICI E INFERMIERI CONTRO LA MANOVRA

Ottobre 27th, 2024 Riccardo Fucile

“LO SCIOPERO? CI FERMIAMO UN GIORNO PER NON DOVERCI FERMARE PER SEMPRE”

Con la legge di bilancio 2025, l’articolo 32 della Costituzione rischia di essere ancora una volta tradito. L’universalismo, l’uguaglianza e l’equità del nostro Sistema sanitario nazionale saranno ulteriormente minati dalla manovra che, al di là dei proclami di Giorgia Meloni – “non ci sono mai state così tante risorse sulla sanità” – stanzia fondi assolutamente insufficienti secondo tutte le principali associazioni di categoria. Alle Regioni resteranno solo due opzioni: o tagliare altri servizi garantiti ai cittadini o alzare le tasse, aumentando l’addizionale Irpef. Il 20 novembre, lo sciopero nazionale di 24 ore di medici, infermieri e professionisti sanitari, proclamato dai sindacati Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up, servirà a far rendere conto a decisori politici e cittadini cosa vuol dire vivere in un Paese in cui non esiste più la sanità pubblica.
I professionisti sanitari incroceranno le braccia per 24 ore (saranno comunque salvaguardate le prestazioni di urgenza) e si ritroveranno a Roma per una manifestazione a cui sperano possano partecipare anche tanti cittadini. “Protestiamo per il diritto alla salute di tutti”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed. “Per questo invitiamo i cittadini con noi in piazza, speriamo si possa instaurare un rapporto di complicità. Ci fermiamo per un giorno per non fermarci per sempre”.
Dopo gli annunci iniziali che parlavano di risorse complessive superiori ai 3 miliardi, la manovra prevede per la sanità solo 1,3 miliardi, sufficienti a malapena a finanziare i rinnovi dei contratti del personale. “Già in condizioni di normalità le risorse stanziate sarebbero insufficienti. Nell’emergenza in cui viviamo non sono solo inique, sono inutili, soprattutto perché sono diluite negli anni”, commenta Di Silverio. In ogni caso, secondo Anaao, indipendentemente dalla quantità di fondi stanziati, la finanziaria non affronta le priorità del Ssn: “Non si investe sui professionisti, né sull’integrazione della medicina del territorio con quella ospedaliera, né c’è la volontà di ammodernare il Sistema o renderlo più credibile agli occhi del cittadino. Non c’è traccia di norme sulla depenalizzazione dell’atto medico, né risorse per riorganizzare la sicurezza dei professionisti sanitari”, elenca Di Silverio. “L’unica a uscire trionfante da questa manovra è la sanità privata”.
Come sottolineato anche da un’analisi della Fondazione Gimbe, le risorse stanziate non consentiranno di mettere in pratica il piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri di cui avrebbe bisogno il Ssn e che il ministro Orazio Schillaci aveva promesso. Né tantomeno permetteranno di eliminare il tetto di spesa per il personale sanitario, contrariamente a quanto previsto dal decreto legge sulle liste di attesa. Ma “il piano di assunzioni sarebbe stato comunque inutile”, commenta Di Silverio. “I concorsi già oggi si fanno ma vanno deserti. Prima bisogna rendere appetibile la professione, valorizzare chi sceglie di lavorare nel pubblico. Invece otteniamo solo aumenti di stipendio risibili”. Il riferimento è all’indennità di specificità medica sanitaria inserita nella manovra: nel 2025, 17 euro netti al mese per i medici e 14 euro per i dirigenti sanitari; l’anno successivo, 115 euro per i medici e zero per i dirigenti sanitari. Ma ancora peggio è andata agli infermieri, i professionisti sanitari che più scarseggiano nel nostro Paese. Nelle loro tasche entreranno (forse) circa sette euro nel 2025 e 80 nel 2026. L’uso del “forse” è d’obbligo perché, come specifica il presidente di Anaao Assomed, le indennità, sia per i medici che per gli infermieri, arriveranno soltanto dopo la firma dei contratti nazionali validi per il triennio 2025-2027. Contratti la cui discussione, nella migliore delle ipotesi, comincerà tra due anni. Prima, infatti, le parti sociali dovranno firmare il contratto nazionale precedente, quello del triennio 2022-2024, che scadrà tra poco più di due mesi e su cui ancora non c’è accordo.
Per Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed, i 17 euro promessi ai medici nel 2025 non sono altro che “un’elemosina”, “una provocazione voluta”. “A queste condizioni i colleghi fanno bene a uscire dal Ssn”, commenta Quici a Ilfattoquotidiano.it. “Chi fa le prestazioni sono i professionisti. È su di loro che serve investire. Con i miliardi del Pnrr posso comprare macchinari di ogni tipo, come tac o risonanze magnetiche, ma se non ho il personale per farli funzionare, comunque non sarò in grado di garantire un’offerta sanitaria adeguata”. Il risultato è che chi ha abbastanza soldi si rivolge al privato, gli altri smettono di curarsi. Per Quici questo risultato è il frutto di un “piano ben preciso volto ad arricchire, sulle spalle dei malati, il privato”, le assicurazioni, le cooperative e le multinazionali della salute. Con questa legge di bilancio “a rate”, che diluisce le poche risorse negli anni, “il governo dimostra di non capire che l’emergenza è adesso”, spiega Quici. Sulla bontà del lavoro del ministro della Salute però non ha dubbi: “Il ministro si è impegnato tanto per ottenere lo sblocco del tetto di spesa per le assunzioni del personale, ma nella manovra non ce n’è traccia. Come sono sparite anche le 30mila assunzioni straordinarie promesse nei mesi scorsi”.
Senza assunzioni sarà impossibile ridurre il carico di lavoro dei dipendenti e migliorare le condizioni, oggi proibitive, di chi opera negli ospedali. “Ogni anno il Mef, con i suoi burocrati, continua a mettere tagliole alla sanità. Mentre i soldi per altro si trovano sempre. Penso, negli ultimi due anni, a Telecom o al mondo del calcio”, commenta Quici, che conclude: “È una presa in giro aumentare di tre euro le pensioni minime e poi costringere le fasce più povere della popolazione a spendere centinaia di euro per visite mediche private e analisi altrimenti inaccessibili nella sanità pubblica”.
Allo stesso modo, per Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up, la legge di bilancio 2025 ha messo in piedi “il solito teatrino”: “Il governo ha scelto di non valorizzare i contratti degli infermieri, commenta a Ilfattoquotidiano.it. Non ci garantisce né stipendi dignitosi, né la sicurezza di non essere presi a botte a ogni turno sul luogo di lavoro. Così è impossibile che i giovani si avvicinino alla professione”. E di nuovi infermieri l’Italia ne avrebbe molto bisogno. Ne mancano più di 175mila e non c’è alcuna prospettiva di ridurre questo gap in futuro, visto che tra i Paesi Ocse siamo terzultimi per numero di laureati in Scienze Infermieristiche. “Noi siamo l’ossatura portante del Ssn, ma ci arrivano sempre solo le briciole. Addirittura quella misera indennità che ci hanno concesso non sarà neanche estesa alle ostetriche”, prosegue De Palma.
Il sindacato aveva chiesto che per l’indennità di specificità fossero messi a disposizione almeno 453 milioni, ma ne arriveranno solo 320. Risorse che, come detto, sono legate a un contratto nazionale la cui discussione inizierà tra almeno due anni. “Chissà quando arriveranno davvero questi soldi nelle tasche degli interessati”, si chiede De Palma. “Sono anni che siamo invisibili, nonostante la vera carenza di personale sanitario in Italia si riscontri proprio tra gli infermieri e nonostante l’età media della popolazione del nostro Paese continui a crescere. Chi si occuperà dell’assistenza dei pazienti anziani?”. Un’anticipazione di questa prospettiva, assicura De Palma, la si avrà già con lo sciopero del 20 novembre. “L’impatto sarà dirompente, ma la protesta è necessaria per rivendicare, prima che le nostre istanze di lavoratori, il diritto alla salute per tutta la popolazione. Siamo certi che la cittadinanza ci sosterrà”.
(da ilfattoquotidiano.it)

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