Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
SE COSÌ FOSSE, SALTEREBBE IL REFERENDUM CHE NON LA FA DORMIRE LA NOTTE (GLI ITALIANI SONO CONTRARI)
Urla e strepiti della Ducetta, così fuori con gli otoliti da minacciare di mollare l’Armata BrancaMeloni, l’immancabile esposto alle autorità di Crosetto, i soliti sospetti di complotti…
E tutto ‘sto casino perché qualche disgraziato di Fratelli d’Italia ha reso pubblico un post della chat di Fratelli d’Italia che chiedeva ai parlamentari tutti di essere assolutamente presenti in aula martedì prossimo, 8 ottobre, per la nomina del nuovo giudice della Corte Costituzionale?
Come mai nel partito della Melona è scattata una disperata caccia alla “talpa” che ha spifferato il blitz sulla Consulta? Per capire come si è arrivati a un tale scombussolamento di otoliti da portare la premier a dire “Mollerò per l’infamia di pochi”, bisogna fare un passo indietro e ricostruire la vicenda.
Sono ormai dieci mesi che alla Corte Costituzionale “manca” un giudice. La massima Corte è composta da 15 membri: 5 li nomina il Presidente della Repubblica, 5 la magistratura (3 Cassazione, 1 Corte dei Conti e 1 Consiglio di Stato) e 5 il Parlamento in seduta comune.
Finora le sette votazioni a scrutinio segreto sono finite con una fumata nera, per giunta con i votanti in calo. Ma questa volta, Giorgia Meloni non può sbagliare: ha un “suo” candidato, Francesco Saverio Marini, di provata fedeltà (è l’autore del “premierato”) e proveniente da una famiglia stabilmente di destra (come scrive “Repubblica, “suo padre è Annibale, ex presidente della Consulta di provata fede aennina che, scaduto quel mandato, fu scelto da Gianfranco Fini anche come membro laico del Csm”).
Ma la ragione per cui la Ducetta ha fretta è un’altra: la Consulta ha in mano tutti i dossier più importanti per il Governo. C’è il premierato, al momento ancora impantanato in Parlamento, ma che dovrà passare le forche caudine della Corte. C’è la norma sulla cittadinanza, per cui è atteso un parere.
E infine, e soprattutto, c’è l’Autonomia: il 12 novembre la Consulta dovrà decidere sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni sulla riforma. La bocciatura, anche solo in parte, della legge tanto cara a Salvini, sarebbe una manna per Giorgia Meloni.
La sora Giorgia è ben consapevole che il referendum sull’autonomia potrebbe essere l’inizio della sua fine: i sondaggi certificano che i cittadini, soprattutto al Sud, sono contrari, e l’affluenza è data in aumento. Ora, se la Consulta bocciasse l’autonomia, o anche solo una parte di essa, l’iter del referendum si bloccherebbe, con grandi festeggiamenti a Palazzo Chigi.
Si arriva così a venerdì 4 ottobre. In mattinata, il sito di Repubblica batte la notizia: “Meloni prova a eleggere un “suo” giudice della Consulta. E convoca i parlamentari di FdI: “Martedì nessuno assente al voto””. L’articolo, firmato Liana Milella, contiene i dettagli (e lo screenshot, di un messaggino fatto circolare nelle chat di Whatsapp del partito, in cui si invitano i parlamentari a non fare cazzate e a presentarsi in formato testuggine per far passare il giudice Marini. Questo perché per ottenere il risultato desiderato la maggioranza non potrà avere defezioni: servono 363 voti, i tre quinti di Camera e Senato in seduta comune.
Quella “fuga di notizie” fa partire l’embolo di Giorgia Meloni che, come ha riportato “il Fatto quotidiano” ieri, si sfoga a sua volta nelle chat di Fdi con un livore mai visto prima verso le sue truppe: “Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per far eleggere sta gente anche no. L’infamia di pochi mi costringe a non avere rapporti con i gruppi. Molto sconfortante”.
Parole a cui è seguito l’annuncio del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che nella stessa chat ha annunciato che farà un esposto alla magistratura, creando ulteriore panico tra i big nel gruppone Whatsapp (chissà come si sente il “Giuda” che ha “tradito” la fiducia della premier, in queste ore).
Certo, non fa mai piacere avere “talpe”, ma la reazione è apparsa spropositata, visto che notizie del genere sono sempre uscite (e sempre usciranno). E allora perché tanta incazzatura?
La regina della Garbatella aveva in mente un blitz segreto, con cui cogliere di sorpresa la sinistra: sperava che con l’assenza di molti parlamentari d’opposizione, il voto sarebbe stato facilissimo. Un gioco da ragazzi, come sarebbe stato poi rendere l’autonomia “incostituzionale”, una volta ottenuta l’ambita poltrona per il fido Marini. E invece, la “talpa” di Fdi ha spifferato tutto, e ora il voto è a rischio…
Dettaglio non casuale: anche Forza Italia ha chiamato a raccolta i suoi parlamentari, con un messaggio simile a quello di Fdi. La Lega, invece, non l’ha fatto: la scusa ufficiale era il raduno di Pontida, ma evidentemente anche nel Carroccio hanno annusato il trappolone meloniamo per sfanculare un eventuale e letale referendum sull’autonomia…
(da Dagoreport)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
SPUTANO SULL’EUROPA E PRENDONO SOLDI DALL’EUROPA, PARLANO DI SOVRANITA’ SOLO PER NASCONDERE IL LORO RAZZISMO… LEGGETEVI COSA HANNO DETTO E VI FARETE UN’IDEA
Pontida. Gente poca, fango tanto. Forse pioggia. Si apre Pontida e l’attesa non è per Salvini ma per Orban che ieri sera ha mangiato la tinca. Gli stand pieni sono quelli del meridione, Calabria e Campania. Il generale stivalone Vannacci viene inseguito dall’inviato spiritato delle Iene e dice che forse si prende la tessera. C’è odore di salamelle. Video di Salvini sotto processo. Riccardo Molinari è l’unico che parla di autonomia. Max Romeo sogna la segreteria della Lombardia. Un militante urla “sventolare” per coprire i buchi. Si attende il discorso di Giorgetti il “signor sacrifici”. Si Apre Pontida la prima punkofascia ma il popolo dov’è ? Domina il colore scuro, il nero. Il verde è un ricordo.
Il governatore Attilio Fontana è il più rispettato, “galantuomo”, Calderoli avvisa che i bergamaschi “non sono coglioni” e difende la sua autonomia ma è Vannacci che straparla. Dice: “La nostra italia non vogliamo cambiarla con nessuno altro”; “non vogliamo cedere sovranità alla istituzioni europee”; “noi non svenderemo la cittadinanza perché è una eredità che gli italiani si sono guadagnati sul Carso”. Urla. Bravo. Il Generale si è calato nella parte. “Il Marocco mi da la cittadinanza? La Nigeria?”. E in coro: “No!!!!”. “Non c’è motivo di regalarla agli altri”; “siamo con Salvini”; “noi oggi siamo qui pronti a difenderlo”. Si è montato la testa: “Siamo qui per il nuovo corso della Lega. Siamo qui per onore”. E se la prende con i “voltagabbani”. Ma Vannacci è pure lo storico: “A Lepanto abbiamo sconfitto gli ottomani. Consacrato la supremazia dell’Europa”. E promette: “Io sono qua nella Lega, io credo nella parola data”. Giorgetti, attaccato per la sua intervista a Bloomberg, si difende e promette invece: “Io so fare distinzioni. So chi può fare i sacrifici. Sono figlio di un pescatore e di un operaio tessile”. Stanno per arrivare i punkofasci.
Il delegato ceco, il primo, si genuflette: “Incredibile che un ministro come Salvini sia a processo”. Poi è il turno dell’altro delegato, Petr Macinka, che i leghisti lo prendono in giro “Milka?”, e attacca: “Salvini è la persona più coraggiosa d’Europa. Ci sono leader che hanno a cuore la sicurezza dei cittadini, che non vogliono l’inondazione. Bisogna fare delle statue a queste persone”.
Prima del raduno punk, Luca Zaia ricorda che in democrazia lui ha preso il 77 per cento (il bandierione del Veneto si imbroglia e srotolarlo è una fatica, ma Super Zaia intrattiene: “Olà!”). Fedriga onora le vittime di Israele ma il più trombone di tutti è il ministro dell’Istruzione, Valditara che insolentisce la sinistra e “L’egualitarismo grigio che massimizza le diseguaglianze”.
Quando arriva Marlene Svazek, la vicepresidente austriaca di Fpo, parla in italiano, un invasato grida un “bravaaaaaaa”, un brava che si sente fino a Olgiate Olona. “È questa l’Europa che vogliamo? No! Con ‘coraccio’ come ha fatto Salvini. Un’Europa dove si può ascoltare musica popolare e non penso a Gigi D’Agostino”. Abbiamo anche il sosia del capitano, il portavoce di Vox, Fuster e addirittura paragona “la sinistra ai golpisti”. Bum, bum.
Il sosia di Salvini continua con frasi tipo “Unione di molti forma dighe di contenimento; abbiamo combattuto contro la tirannia nel territorio di Maria. Abbiamo scoperto l’America. Adelante”. Uno spasso.
Bolsonaro spedisce invece la cartolina saudade: “Salvini, in bocca a lupo. Io la mia parte l’ho fatta. A casa nostra entra solo chi vogliamo noi”. Acciaccato.
Il premio vestito meglio lo vince Andrea Ventura leader portoghese di Chega: “Ci sono tanti motivi per stare qui. Il nostro amico Salvini è perseguitato nel suo paese e non per un motivo qualsiasi, ma per difendere le vostre frontiere. Abbiamo bisogno di più Matteo Salvini. Noi siamo con Israele. Salvini vincerai tu”.
Era vestito meglio ma prima dell’arrivo, virtuale, videocollegato, di Jordan Bardella (che i “giochi di palazzo hanno tenuto lontano dal governo”, dice lo speaker che non è più l’indomabile Daniele Belotti) e che esordisce con “Matteo è perseguitato dalla sinistra. Sul banco degli imputati devono andarci quelli delle ong”.
Sono i magnifici perdenti, dopo Bardella Gert Wilders, l’olandese mesciato, che la spara: “Matteo io ti amo”. Smack. “La prossima settimana tu sarai il nostro eroe. Non sarai mai solo”. Smack. “Tommaso d’Aquino ha detto che il patriottismo è una virtù e voi siete uomini virtuosi”. Manca solo il rosario da esibire.
Alle 13,20, il clou: Orban, panza e presenza. Viene presentato come l’uomo che terrorizza la sinistra. Parte il coro “Orban” e lui, il magiaro crasso, con il traduttore di fianco, inizia: “In Ungheria festeggiamo Salvini come un eroe. Vergogna per la sinistra e per l’Europa. La libertà è insita nel sangue di tutti e due i popoli, italiani e ungheresi, e noi siamo i loro eredi. L’Italia è degli italiani , l’Ungheria è degli ungheresi e i comunisti”. Poi si domanda: “Cosa mai potrò darvi io a voi? Una cosa sola: posso raccontarvi le mie esperienze. L’Europa è invasa dalle politiche di sinistra, viviamo sull’oceano dell’ egemonia di sinistra”. Un leghista: “Riprenditi la Salis”. Orban: “La madre è donna e il padre è padre. Nel nostro paese entra solo chi ha il nostro permesso. In Ungheria il numero dei migranti è zero! I burocrati di Bruxelles puniscono l’Ungheria. Ogni giorno sborsiamo un milione di euro perché non facciamo entrare i migranti. È una vergogna di Bruxelles. Se ci puniscono trasporteremo i migranti e li deponiamo a Bruxelles”. Brividi. Di paura. Prende i soldi dall’Europa ma sputa sull’Europa: “Europa è un posto peggiore rispetto ad anni fa. Noi ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli. Fa paura pensare come sarà Europa tra dieci anni”. La parola spaventosa: Bruxelles va occupata, presa. Ci riprenderemo Varsavia”. In pratica è per invadere la Polonia.
Il finale è per Salvini, un lord a confronto: “Revochiamo la cittadinanza per chi delinque. Nessuno fermerà la santa alleanza dei popoli Europei”. Il Cielo ci pensi.
(da Il Foglio)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
CI SONO 25 PERSONE INDAGATE, TRA CUI L’ATTUALE DG, GIOVANNI LA VALLE, I SUOI TRE PREDECESSORI, DIRETTORI SANITARI E AMMINISTRATIVI. LE ANOMALIE PIÙ EVIDENTI RIGUARDANO LE PRESTAZIONI INTRAMOENIA, MOLTIPLICATE ARTIFICIOSAMENTE PER RISCUOTERE PREMI E BONUS PER “MIGLIORARE LE LISTE D’ATTESA” (MA ERA SOLO UN TRUCCO)
Buchi dichiarati, che in realtà erano voragini. Crediti non incassati da anni. Anche da un milione e mezzo di euro. Conti che sembravano puliti. Obiettivi che apparivano raggiunti, con riscossione di bonus. Ma era – o meglio, sarebbe stata – tutta una grande farsa.
Almeno questa è la tesi della procura di Torino, che ieri ha chiuso un’inchiesta colossale sui bilanci degli ultimi dieci anni dell’azienda ospedaliero universitaria della Città della salute. Sarebbero falsi. Scritti sulla base di omissioni e dichiarazioni non vere
«In modo da indurre – mettono nero su bianco i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni – i destinatari delle comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale andamento economico e patrimoniale» dell’azienda.
I due magistrati torinesi hanno fatto notificare nelle scorse ore 25 avvisi di garanzia a molti vertici – ed ex – della struttura. Per i presunti bilanci falsi sono indagati l’attuale direttore generale della Città della salute, Giovanni La Valle e i suoi predecessori Silvio Falco, Gian Paolo Zanetta e Angelo Del Favero.
Devono rispondere dello stesso reato anche direttori sanitari e amministrativi ai posti di comando negli ultimi dieci anni e vari componenti dei collegi sindacali. Per ogni bilancio esaminato dai carabinieri del nucleo investigativo compaiono anomalie. Cifre che non tornano. Il filo rosso che collega i documenti contabili di un decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore della libera professione era di meno 12 milioni e 753 mila euro. Ma in realtà, il “rosso” reale, sarebbe stato – secondo la procura – più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro.
La maggior parte delle cifre “false” per i pm sarebbe relativa alle attività intramoenia dei medici a libera professione. I conti non tornano, secondo gli inquirenti, perché alcuni indagati avrebbero violato la normativa sulla cosiddetta “quota a fondo Balduzzi”.
Anziché incassare il 5 percento del compenso dei liberi professionisti, destinandolo ad attività di prevenzione o alla riduzione delle lunghe liste d’attesa, i direttori della Città della salute avrebbero evitato di riscuotere sette milioni di euro dal 2015 al 2022. I fatti di reato precedenti al 2018 sono prescritti, quindi l’ammanco relativo a questa contestazione è di un milione e 700 mila euro.
Sull’intramoenia si era innescato un circolo vizioso. Più le attività di libera professione si moltiplicavano, più si allungavano i tempi delle liste d’attesa, e viceversa. Le relazioni sulla libera professione sarebbero mandate, con dati falsi, alla Regione Piemonte […], che avrebbe elargito premi e bonus ai direttori, leggendo che avevano raggiunto determinati obiettivi. Tra cui, paradossalmente, quelli del «miglioramento dei tempi di attesa».
Al di là di questo, ci sarebbero altre anomalie nei bilanci dell’ente. Una serie di crediti non riscossi risalenti a vicende giudiziarie, fallimenti, o fatti misteriosi ancora da accertare. Nel 2015, per esempio, gli indagati avrebbero omesso di svalutare i crediti nei confronti del fallimento di Ristor matik, società che gestiva la distribuzione di bibite e alimenti. L’importo complessivo è di un milione e 212 mila euro. Nessuno sa dove siano finiti quei soldi.
(da La Stampa)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
“UNA TASSA TEMPORANEA RIDUCE IL RAPPORTO DEBITO-PIL NELL’IMMEDIATO, È VERO, MA CHE DIFFERENZA FARÀ MAI SE IL NOSTRO DEBITO ANZICHÉ 137,3 PER CENTO È 136 PER CENTO DEL PIL? DOMANI SAREMO DA CAPO” … “AFFINCHÉ LA POLITICA DI BILANCIO RIESCA A FAR CRESCERE L’ECONOMIA È NECESSARIO INNANZITUTTO CHE RIDUCA L’INCERTEZZA”
Il ministro Giorgetti finora ci ha sorpreso, positivamente. Dice ciò che pensa e non si spaventa se le sue proposte vengono accolte dal gelo nel suo partito e nella sua maggioranza.
Ma oggi sta commettendo due errori che non fanno onore alla sua reputazione. Il primo, in realtà, è la ripetizione di un errore che Giorgetti aveva già compiuto nella Legge finanziaria di un anno fa quando varò un taglio del 7% dei contributi previdenziali per i redditi fino a 25 mila euro (e del 6% per i redditi fino a 35 mila) e la riduzione a tre delle aliquote Irpef, finanziando tutte queste misure (costo: circa 20 miliardi l’anno) soltanto per un anno. Quell’anno è passato e, se non si trovano nuove risorse, le misure decadono.
L’idea del ministro dell’Economia e delle Finanze è di trovare le risorse necessarie introducendo qualche nuova tassa temporanea: una tassa una tantum sui profitti delle imprese o tasse, sempre una tantum, sulla ricchezza delle famiglie più benestanti. Non è una buona idea. Entrambe le misure alleggeriscono, sì, la pressione fiscale — e quindi ha senso mantenerle — ma a condizione che siano finanziate stabilmente, non anno per anno.
In realtà non c’è bisogno di trovare tutti e 20 i miliardi. La Legge di bilancio prevede un percorso di spesa, che sta sotto la traiettoria settennale concordata con la Commissione europea: un po’ di spazio lì c’è, ma non basta. È per colmare quel gap che Giorgetti vorrebbe ricorrere, anziché a misure strutturali, ad altre tasse temporanee. Il problema non è tanto la pressione fiscale quanto la capacità di decidere. Mi aspetterei che il ministro Giorgetti evitasse di trasferire incertezza sui cittadini
Il secondo errore è che le nuove regole fiscali europee consentono ai Paesi aggiustamenti anche molto graduali — fino a sette anni — purché le misure che sottostanno a questi percorsi di aggiustamento si dimostrino, appunto, strutturali.
Finanziare una misura per un solo anno evidentemente non lo è. È vero che lo farà la Francia, ma accodarsi alla Francia in questo momento non mi pare una buona idea.
Parigi ha un problema di bilancio più serio dell’Italia e non di poco: il deficit oggi supera il 5% del Prodotto interno lordo, cioè un punto e mezzo più dell’Italia, e il piano concordato con l’Europa prevede che scenda sotto il 3% entro 4 oppure 7 anni.
Affinché la politica di bilancio riesca a far crescere l’economia è necessario innanzitutto che riduca l’incertezza. Perché, nell’incertezza su quanto accadrà l’anno prossimo, famiglie e imprese difficilmente possono programmare i propri investimenti. E poi è necessario che si abbassi la pressione fiscale stabilmente e ciò si può ottenere solo riducendo la spesa altrettanto stabilmente.
Una tassa temporanea riduce il rapporto debito-Pil nell’immediato, è vero, ma che differenza farà mai se il nostro debito anziché 137,3 per cento è 136 per cento del Pil? Domani saremo da capo
Sulla spesa pubblica, Giancarlo Giorgetti si è limitato a parole vaghe tranne che sul Pnrr che sta diventando la fonte principale della nostra crescita. Ma il Pnrr dura 6 anni: vuol dire che nel 2026 gli investimenti si fermano. A quel punto rallenterebbe anche l’economia e il rapporto debito-Pil comincerebbe a salire. Insomma, le regole fiscali europee oggi in vigore hanno corretto tanti errori del vecchio Patto di stabilità. Non mi pare, però, che il governo si sia riposizionato per andare incontro al nuovo ”mondo”.
Francesco Giavazzi
per il “Corriere della Sera”
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
LA MISURA ANDREBBE INCONTRO A FORZA ITALIA: UN MODO PER DISTRARRE DALLE POLEMICHE SULLE NUOVE TASSE ANNUNCIATE DA GIORGETTI (E NEGATE DA MELONI, SALVINI E TAJANI)
Nuovi aumenti in vista per le pensioni minime. Da 614 a oltre 621 euro: ecco di quanto potrebbero crescere gli assegni nel 2025.
Il governo da un lato vuole confermare l’intervento che quest’anno ha portato le pensioni minime a 614,77 euro, dai precedenti 598,61 euro, un incremento del 2,7%, e dall’altro ragiona su un nuovo mini-bonus.
L’idea è di elevare gli assegni di un altro un per cento, così da spingere il prossimo anno gli importi delle minime sopra i 620 euro. Il ritocco andrebbe a sommarsi agli incrementi che saranno determinati dal sistema di rivalutazione.
Sugli assegni per il 2025 è prevista al momento una rivalutazione dell’1,6% (+5,4% nel 2024).
A fronte di un’inflazione in ritirata il governo pensa anche di dare semaforo verde all’indicizzazione piena per tutti gli assegni, compresi quelli più alti. Gli aumenti frutto della rivalutazione a ogni modo saranno contenuti. Per una pensione di 1.000 euro al mese una indicizzazione dell’1,6% si tradurrebbe in un guadagno di 16 euro, che diventerebbero 24 per un assegno di 1.500 euro.
Attualmente l’età media di accesso alla pensione in Italia, grazie alla possibilità di uscire in anticipo rispetto all’età di vecchiaia, è di 64,2 anni. Proprio per questo sul fronte previdenziale l’altra priorità dell’esecutivo è di chiudere, o almeno stringere, il rubinetto delle pensioni anticipate, per evitare squilibri.
Come? Per prima cosa dovrebbero essere riconfermate le regole stringenti stabilite per le uscite dal lavoro con le misure Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) con il ricalcolo contributivo. In parallelo il governo studia come rendere più appetibile, sotto il profilo fiscale, il cosiddetto bonus Maroni.
Quest’anno, infatti, solo poche centinaia di lavoratori hanno preso la decisione di restare al lavoro pur avendo i requisiti per accedere alla pensione anticipata, in cambio della propria quota di contributi (il 9,19% della retribuzione a carico del lavoratore) in busta paga. Ecco perché ora l’esecutivo valuta seriamente l’esenzione fiscale per questi contributi o la riduzione della tassazione. Si ragiona inoltre sul mantenimento della quota di pensione piena per chi decide di continuare a lavorare pur avendo la possibilità di uscire dal lavoro per raggiunti limiti di età.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
LE AVVENTURE EDITORIALI GLI VANNO MALISSIMO: ANCHE SE LE PERDITE SI SONO DIMEZZATE, “DOMANI” È SEMPRE IN PROFONDO ROSSO (QUASI 2 MILIONI ALL’ANNO). MA VANNO MALE ANCHE GLI INVESTIMENTI IN IMMOBILI, SANITÀ E REALTÀ VIRTUALE, AREE IN FORTE ASCESA
Nell’ultimo anno ogni investimento fatto da Carlo De Benedetti con il gruppo Romed che gli è rimasto ha fatto perdere non pochi soldi all’ingegnere che per decenni si era costruito la fama di mago della finanza.
L’ingegnere sembra invece oggi una sorta di Re Mida al contrario: dove mette i soldi spesso ottenuti con precedenti investimenti finanziari, si aprono piccole o grandi voragini in cui lentamente vengono assorbiti.
Così oggi De Benedetti riesce a perdere con l’editoria, con gli immobili, con le tecnologie per curare i tumori, con la realtà virtuale, con la chirurgia dell’occhio e con i dispositivi medici per curare l’ipertensione.
Se De Benedetti ironizza spesso anche pubblicamente sulla incapacità di gestire i gruppi editoriali da lui guidati per anni (Repubblica-Espresso) e poi lasciati prima ai figli e venduti successivamente a John Elkann, non è che la sua nuova vita da editore abbia brillato: l’Editoriale Domani che pubblica l’omonimo quotidiano non ha fatto che perdere soldi dalla sua fondazione, anche se le perdite sotto la direzione di Emiliano Fittipaldi si sono quasi dimezzate (-1,9 milioni di euro nel 2023).
Va male anche la mini-holding di partecipazioni interamente controllata dalla Romed spa. Si chiama «Per spa» e controlla quello che resta della vecchia finanziaria «M&C». Nel 2023 non ha incassato manco un centesimo e ha perso 198.344 euro. Alla fine del 2023 De Benedetti ha sciolto, dopo avere perso soldi, ogni anno anche la sua immobiliare «Umbria srls»: la spugna è stata gettata per «sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale».
L’ingegnere negli ultimi anni ha investito i proventi di Romed rilevando partecipazioni di minoranza più o meno grandi in start up che stavano sviluppando tecnologia medica in vari campi spesso acquisendo a loro volta partecipazioni in società israeliane specializzate.
In nessun caso è ancora però arrivato un ritorno dell’investimento. La prima partecipazione è stata nella BetaGlue Technologies, “azienda italiana che sta sviluppando una nuova piattaforma di radioterapia per il trattamento localizzato e mirato di tumori solidi non resecabili”.
Altro investimento della holding di De Benedetti è stato nella «Twh Eye srl», che nel luglio 2021 la ha acquistato per 7,6 milioni di euro una partecipazione di minoranza in BeyeOnics, gruppo israeliano operante tramite due distinte società, rispettivamente BeyeOnics Surgical nel segmento chirurgia ortopedica e neuro e BeyeOnics Vision nel segmento chirurgia oftalmologica con tecnologie di Augmented Reality e Virtual Reality.
Il piatto però piange: nel 2023 zero ricavi e perdita operativa di 118.284 euro. Non arrivano buone notizie nemmeno dall’altro investimento di Romed, fatto acquistando una partecipazione in Twh Hypertension, società che a sua volta ha una partecipazione nella israeliana Sonivie Ltd, «operante nel settore dello sviluppo di dispositivi medici per il trattamento dell’ipertensione resistente, dell’ipertensione polmonare e della bronco-pneumopatia cronica ostruttiva». Nell’ultimo anno anche da qui sono arrivati 66.044 euro di perdite.
(da Open)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
IL CONDUTTORE TV HA ABBANDONATO L’EVENTO A ROMA IN POLEMICA CON L’ORGANIZZAZIONE
«Cambiano le stagioni, ma l’anima profonda della Rai resta sempre dalla stessa parte». È uno sfogo al veleno quello che Bruno Vespa condivide sui social, spiegando di aver abbandonato la celebrazione dei 100 anni della radio e dei 70 della televisione al Palazzo dei Congressi di Roma. «Indignato per il trattamento riservato a Porta a porta», aggiunge il giornalista e conduttore tv.
«Accanto al doveroso omaggio a monumenti dell’informazione televisiva come il Tv7 di Sergio Zavoli e il Quark di Piero Angela, sono stati ricordati giustamente tra gli altri programmi, come Mixer di Giovanni Minoli e Chi l’ha visto, dalla compianta Donatella Raffai all’attuale conduttrice Federica Sciarelli», spiega ancora Vespa, «non una parola, né una immagine sui 30 anni di Porta a porta».
Una decisione che il giornalista non ha mandato giù, imputandola all’«anima profonda della Rai», che gli sarebbe ostile, nonostante l’attuale maggioranza in Parlamento e l’alternanza dei governi in questi 30 anni di programma.
(da agenzie)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
LA RESPONSABILE DEL LAVORO E’ STATA PRESIDENTE DEI CONSULENTI DEL LAVORO PRIMA DI PASSARE IL TESTIMONE AL MARITO… IL FARMACISTA GEMMATO E L’EDITORE DI LIBRI SUL FISCO LEO
L’espressione conflitto di interessi è impronunciabile al governo. Ministri e sottosegretari trovano un comodo rifugio nella legge Frattini, che con le sue maglie larghe consente di fare un po’ come si vuole. Insomma, tutto è legittimo. Tuttavia, dalla Difesa con Guido Crosetto alla Salute fino al Lavoro con il duo Marina Elvira Calderone e Claudio Durigon non mancano situazioni dubbie.
Un esecutivo avvolto nelle ombre del conflitto di interessi, sebbene non in termini di legge, con casi che si estendono ai tecnici, ai collaboratori come Gaetano Caputi – capo di gabinetto di Giorgia Meloni – o al giornalista Raffaele Barberio arruolato tra i collaboratori del sottosegretario meloniano Alessio Butti. Di fronte al vuoto normativo, ormai ci si appiglia solo alle «ragioni di opportunità». L’incompatibilità non scatta.
Crosetto e Leonardo
Uno dei casi più rumorosi è stato ed è appunto quello di Crosetto, ministro della Difesa con trascorsi da presidente dell’Aiad, la Confindustria dell’aerospazio e della sicurezza. Per questo ruolo il co-fondatore di Fratelli d’Italia ha incassato, come consulente, centinaia di migliaia di euro da Leonardo, come raccontato in esclusiva da Domani. La vicenda ha scatenato le ire di Crosetto, che ha annunciato querele o cause civili verso chi sollevava la questione del conflitto di interessi.
Ma la notizia era vera e quindi il ministro ha optato per l’esposto in Procura con lo scopo di conoscere le fonti dei giornalisti che hanno portato a galla le ragioni di opportunità dello switch di un ex consulente di un’azienda che vende armamenti alla casella politica più vicina alla produzione di armi, quella del ministero della Difesa.
Certo, da un punto di vista pratico il dicastero non si occupa degli acquisti di sistemi d’arma, perché fa capo all’esercito. Ma qualcosa gli arriverà all’orecchio, anche solo per sbaglio.
Calderone di famiglia
Crosetto è comunque in buona compagnia a palazzo Chigi. La locuzione di conflitto di interessi è stata spesso associata alla ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone: prima della nomina governativa è stata per 17 anni presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro. Un organismo in cui può considerarsi di casa. E ancora oggi lo è probabilmente: a capo del Consiglio dei consulenti del lavoro è stato eletto il compagno di vita della ministra, Rosario De Luca.
Insomma, non è stato fatto granché per allontanare i sospetti e le polemiche. Nello stesso ministero, seppure con il ruolo di sottosegretario, c’è Claudio Durigon che è protagonista di una situazione diversa ma che innesca comunque un cortocircuito: ha acquistato una casa a prezzo molto conveniente dall’Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura (Enpaia). E su questo ente è chiamato a svolgere un ruolo di vigilanza il ministero del Lavoro in cui il neo-vicesegretario della Lega è appunto sottosegretario.
Non si può non menzionare, poi, la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, che si muove sul crinale per l’attività imprenditoriale svolta (prima dell’ingresso nel governo) tra le altre cose al Twiga, storico stabilimento balneare gestito con Flavio Briatore. Le ramificazioni di quote societarie, per quanto dismesse, mettono Santanchè sotto i riflettori ben oltre i suoi problemi con la giustizia.
La carica dei sottosegretari
Fin qui i casi più roboanti. La questione non riguarda comunque solo i ministri di primo piano. Un esempio lampante è il sottosegretario alla Salute, il meloniano Marcello Gemmato, che possiede quote della farmacia di famiglia, battendosi per garantire un ampliamento del perimetro di azione delle farmacie. La battaglia è iniziata con il disegno di legge Semplificazioni, incardinato alla Camera. A Domani ha spiegato che l’Anac ha dato il via libera.
L’Autorità anti corruzione non può fare altrimenti: deve esprimere pareri tenendo in considerazione la normativa vigente che prevede la compatibilità del doppio ruolo. A conferma che il problema è a monte: il vuoto normativo. Sono infatti archiviati i tempi in cui il conflitto di interessi era al centro del confronto politico. Una querelle che riportava inevitabilmente al nome di Silvio Berlusconi, imprenditore e leader politico, molto attento agli affari di famiglia.
La scomparsa dell’ex Cavaliere non ha cancellato il problema, ha solo fatto derubricare la questione, visto che gli eredi, in testa Marina e Pier Silvio Berlusconi, non hanno un ruolo politico. Si limitano ad avere un peso specifico notevole dentro Forza Italia.
Dalle parti della maggioranza, insomma, nessuno ha la benché minima intenzione di mettere mano a una normativa più stringente. In questa direzione è stata affossata la proposta di legge del Movimento 5 stelle, a prima firma di Giuseppe Conte, che voleva incardinare il percorso di un’ampia riforma. La destra ha spedito la palla in tribuna.
E si torna al punto di partenza, quello che – per esempio – consente a un altro meloniano, Maurizio Leo, viceministro all’Economia, di ricoprire due ruoli in commedia. Da un lato è il grande architetto della riforma fiscale – sta scrivendo tutti i decreti attuativi – e dall’altra risulta tuttora socio (con il 40 per cento di azioni) di Progetto impresa, società che si occupa di pubblicare libri in materia «fiscale, societario, legale e amministrativo». Le nuove leggi e la loro divulgazione è tutto home made, in casa Leo.
Dalle tasse all’informazione, il passo è breve quantomeno in termini di ragioni di opportunità. Il sottosegretario all’Editoria è infatti Alberto Barachini, una vita da giornalista Mediaset e ora figura chiave per il mondo dell’informazione, un settore in cui comunque l’azienda della famiglia Berlusconi ha voce in capitolo. Nei palazzi si racconta che Forza Italia abbia voluto piazzarlo in quella casella per blindare Mediaset.
Incarichi tecnici
L’abitudine si estende poi ad altre figure, che non sono politiche nel governo. Ma che hanno comunque una funzione chiave all’interno dell’esecutivo. Basti pensare al capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi, che oltre ad affiancare la presidente del Consiglio Meloni è un collezionista di incarichi che non lo pongono comunque in una condizione di incompatibilità.
Ma sollevano i soliti dubbi sulle ragioni di opportunità. Caputi, come riferisce lui stesso sul portale della presidenza del Consiglio, è componente dell’organismo di vigilanza di Ismea (istituto che fa capo al ministero della Agricoltura), ma ha ricevuto una consulenza (da 50mila euro all’anno) con la società Notartel, impegnata nell’erogazione di servizi ai notai, e dalla Enasarco (l’incarico sarebbe in scadenza proprio in questi giorni, il 10 ottobre) e con Fondartigianato. Di questo passo diventa difficile anche tenere il conto.
Nell’ambito dei consulenti rientra la vicenda di Raffaele Barberio, a cui il sottosegretario all’Innovazione Butti nello scorso febbraio ha rinnovato una consulenza (fino a gennaio 2025) da 80mila euro all’anno. Lo stesso Barberi, già direttore della rivista online Key4biz, che spesso ha elogiato il sottosegretario per le sue iniziative.
In un clima del genere non sorprende che al vertice dell’Enit, che gestisce la macchina pubblica del turismo, ci sia Ivana Jelenic, socia di aziende che operano proprio nel comparto turistico. Ma che per la manager voluta da Santanchè non rappresentano un problema: per lei sono «inattive». Insomma, sono lontani anni luce i tempi in cui Meloni e i suoi sodali si scagliavano contro i conflitti di interessi altrui.
«Ogni giorno emerge un nuovo conflitto di interessi di un ministro, ma è l’intero governo (Renzi, ndr) ad essere in perenne conflitto di interessi», tuonava la leader di Fratelli d’Italia di fronte al caso Tempa Rossa dell’allora ministra Federica Guidi. Chissà cosa direbbe Meloni, versione opposizione, dei casi Crosetto, Calderone e Gemmato.
(da editorialedomani.it)
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Ottobre 6th, 2024 Riccardo Fucile
SONO 500MILA IMMOBILI, CON UN COSTO MEDIO DI 250MILA EURO CIASCUNO. CON LA STESSA CIFRA, SI SAREBBERO POTUTI REALIZZARE 1,2 MILIONI DI NUOVI ALLOGGI PUBBLICI
Difficile non considerarlo un fallimento, i numeri messi dalla Cgia di Mestre sono impietosi. Circa 123 miliardi di euro di Superbonus 110% sono stati spesi per interventi su appena il 4,1% degli edifici residenziali italiani. Si tratta di 500 mila immobili, con un costo medio di quasi 250 mila euro per edificio.
Con la stessa cifra si sarebbero potuti realizzare ben 1,2 milioni di nuovi alloggi pubblici. Per il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, però, «occorrerebbe ribaltare il discorso e domandarsi quanti potrebbero essere gli italiani in grado di sostenere i costosissimi lavori che la direttiva “case green” indirettamente impone.
Il governo ha votato contro quella direttiva e si è impegnato a lavorare per modificarla. Confidiamo che lo faccia, anche per evitare di concentrare sul green a scapito della sicurezza sismica le poche risorse che saranno dedicate agli incentivi edilizi».
(da Il Corriere della Sera)
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