Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
POI LANCIA L’ALLARME SUI CONTI PUBBLICI: “A RISCHIO L’EQUILIBRIO DEL SISTEMA PENSIONI”… L’ANCI SBATTE LA PORTA IN FACCIA AL MINISTRO GIORGETTI E DICE NO A NUOVI TAGLI CHE DIVENTEREBBERO “ESTREMAMENTE GRAVOSI PER MOLTI COMUNI GIA’ IN CRISI. NELL’ULTIMO DECENNIO ABBIAMO GIÀ DATO 14 MILIARDI”
Bankitalia gela il governo: la crescita del Pil si ferma allo 0,8% nel 2024. La stima al ribasso è arrivata nel corso delle audizioni sul Piano strutturale di bilancio davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, insieme con le parole del capo dipartimento Economia e statistica di Palazzo Koch, Sergio Nicoletti Altimari.
“Nel quadro delle previsioni a legislazione vigente del Piano strutturale di bilancio (Psb) il Pil cresce dell’1,0 per cento quest’anno, dello 0,9 per cento nel prossimo e dell’1,1 per cento nel 2026. La revisione dei conti economici trimestrali pubblicata venerdì scorso dall’Istat, non inclusa nel quadro, comporterebbe – ha spiegato l’economista – una correzione meccanica al ribasso di due decimi di punto della stima per l’anno in corso”.
Inoltre, secondo l’istituto i provvedimenti previsti nella Manovra, tra cui la stabilizzazione della riduzione del cuneo fiscale e gli interventi a sostegno delle famiglie più numerose, “dispiegheranno i loro effetti principalmente nel 2025, innalzando la crescita del Pil all’1,2%. Tali effetti attesi sono in linea di principio raggiungibili, ma una valutazione più compiuta richiede informazioni non ancora disponibili” su risorse stanziate e modalità di attuazione, ha rimarcato Nicoletti Altimari.
I rischi del Psb
“Rispetto agli andamenti tendenziali dei conti, il governo programma misure espansive, accrescendo il disavanzo di circa 0,4 punti percentuali del Pil nel 2025, dello 0,7 nel 2026 e dell’1,1 nel 2027, rispettando al contempo il tasso medio di crescita della spesa netta. Questa strategia è comprensibile, ma non è esente da rischi”.
Che, secondo Bankitalia, sono legati all’andamento delle entrate e all’elevata incertezza delle stime macroeconomiche. “I conti in corso d’anno mostrano un andamento incoraggiante. Nelle stime del Piano l’indebitamento netto sul Pil nel 2024 si ridurrebbe rispetto al 2023; il saldo primario sarebbe nuovamente in avanzo, seppur minimo, per la prima volta dal 2019, mentre l’intero profilo dell’indebitamento netto per gli anni 2024-2027, a legislazione vigente, risulta più favorevole di quanto stimato in primavera”.
Di più. “Riguardo alle misure espansive delineate”, assume rilevanza “l’intenzione di rendere strutturali gli sgravi contributivi sul lavoro. Come già sottolineato in sede di audizione sul Def, verrebbe meno a livello aggregato l’equilibrio tra entrate contributive e uscite, che nel medio periodo – ha concluso Nicoletti Altimari – caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza”.
L’AncI
Anche l’Associazione nazionale dei Comuni italiani mette in guardia il governo. “Ulteriori ipotesi di tagli sul comparto dei Comuni, o comunque di richiesta di contributo per il risanamento della finanza pubblica, diventerebbero veramente estremamente gravosi, soprattutto per tutta una serie di enti che hanno già difficoltà e sono già in crisi di vario genere”: lo ha detto parlando alle commissioni Bilancio di Camera e Senato il delegato dell’Anci per la finanza locale, e sindaco di Novara, Alessandro Canelli.
“I Comuni nell’ultimo decennio hanno già imboccato la strada di forte contenimento e di grande attenzione sulla spesa, di fatto – ha aggiunto Canelli durante l’audizione – stiamo già facendo quanto richiesto dall’Europa. Il peso della spesa pubblica dei Comuni sul totale è passato dall’8,2% nel 2011 al 6,5% attuale e il deficit dal 3% all’1,5%”.
Secondo quanto ricordato dall’Anci al parlamento, inoltre, per gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica i Comuni “hanno già dato circa 14 miliardi di euro”, compresi altri sei del Fondo crediti di dubbia esigibilità, “quindi riteniamo di aver fatto il nostro lavoro. Stiamo facendo il nostro lavoro anche sulla realizzazione del Pnrr, pur con tutte le difficoltà che un piano straordinario di questo genere ha”.
E ancora: “Un’ipotesi discussa con il ministro dell’Economia riguarda la possibilità di prevedere un accantonamento sulla parte corrente dei bilanci comunali, così una volta accertato che non ci sono necessità, si possa spendere per investimenti. Anche questo – ha evidenziato il rappresentante dell’Anci –sarebbe un limite importante per la spesa sul sociale e sui servizi, mettendo in difficoltà tantissimi Comuni”.
(da La Repubblica)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
FATTI E GIUDIZI DEI CRITICI SUL SUO CURRICULUM: POCO CONOSCIUTA ALL’ESTERO, INCARICHI SECONDARI IN ITALIA… I CRITICI: “ACCOMPAGNA L’ORCHESTRA CHE VA DA SOLA, NON LA DIRIGE”
Qual è il curriculum di Beatrice Venezi? Ha senso annoverarla tra i punti di riferimento del podio di ultima generazione? Come pianista (si è diplomata al Conservatorio di Milano) non ha lasciato grandi tracce – segnala Le Salon Musical – vincendo qualche piccolo concorso tra il 2005 e il 2006, quando era adolescente.
Come direttore, sorvolando sul fatto che lei stessa ha raccontato di non essere stata ammessa al biennio di specializzazione in direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano dove si è diplomata (una battuta d’arresto può capitare anche ai migliori), va detto che fuori dall’Italia non è così conosciuta né richiesta.
Per ora la sua carriera è priva di ingaggi di peso, e non può vantare collaborazioni con enti e orchestre di alto livello. L’Olimpo della direzione d’orchestra, insomma, non la contempla.
Se è difficile fare confronti lontani nel tempo visti i pochi precedenti femminili sul podio, per fare qualche illustre esempio Claudio Abbado, nel 1963, appena trentenne, conquistò il prestigioso Premio Mitropoulos della New York Philharmonic. Riccardo Muti, a 26 anni vinse il Premio Cantelli, a 27 era già direttore del Maggio Musicale Fiorentino. Riccardo Chailly, ventenne, era assistente di Abbado alla Scala e a 25 è salito sul podio del Piermarini per la ripresa dei Masnadieri. Lo svizzero Lorenzo Viotti (anch’egli classe 1990) prima ha vinto un Premio a Salisburgo, poi ha avuto successo nel teatro lirico milanese e ora ha un contratto ad Amsterdam.
E intanto si allunga la lista delle direttrici d’orchestra, giovani o meno giovani, affermate a livello internazionale: per fare qualche esempio, oltre alle musiciste già citate, la lituana Mirga Garzinyte-Tila, la statunitense Marin Alsop, la canadese Keri-Lynn Wilson, l’australiana Simone Young, la messicana Alondra de la Parra, la finlandese Eva Ollikainen, Oksana Lyniv, la nostra Speranza Scappucci, che di gavetta ne ha fatta eccome. Oltre alla decana Claire Gibault (classe 1945), che ha debuttato ad alti livelli nel 1976.
Vero che in carriera oggi sono 600 i direttori uomini contro 21 donne e che in Italia le bacchette rosa sono ancora delle eccezioni, ma ciò non spiega la continua e idolatrante esposizione di Venezi. E non basta come punto di merito il fatto di essere la più giovane bacchetta d’Europa (tra l’altro qualcuno fa notare che l’affermazione è facilmente smentibile, basta citare la sua collega all’Orchestra della Toscana, Nil Venditti, che a 20 anni era già impegnatissima in concerti e concorsi).
Le orchestre che ha diretto in Italia, dove ha terreno più facile, sono tutte istituzioni che svolgono un prezioso lavoro a livello locale, ma che non possono essere definite di spicco assoluto nel panorama nazionale, e tantomeno internazionale: Orchestra della Toscana, Orchestra da camera Milano Classica di Milano, Pomeriggi Musicali di Milano (caso a parte per la sua storia prestigiosa che continua), Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, Orchestra Filarmonica Campana, Orchestra da Camera Fiorentina, Orchestra della Magna Grecia, Filarmonica di Lucca, Filarmonica di Benevento, Orchestra Nuova Scarlatti Young.
E, se ha lavorato coi Pomeriggi, con l’Orchestra di Padova e del Veneto, della Filarmonica del Teatro Regio di Torino, dell’Orchestra della Fenice di Venezia, è accaduto per progetti secondari, concerti di Natale o eventi privati finanziati da sponsor.
Nel 2017 è stata nominata dall’allora presidente Alberto Veronesi Direttore Principale Ospite del Festival Pucciniano, ma negli anni successivi Beatrice Venezi non è più apparsa e il progetto a lei assegnato “Pacini Renaissance” non è mai stato realizzato.
Per amor di completezza, va detto che nel dicembre 2021 ha inciso per l’autorevole casa discografica Warner, con cui ha un contratto, e con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, il suo secondo album Heroins, che raccoglie Preludi, Sinfonie, Intermezzi e Suite tratte da opere con figure femminili come protagoniste.
Ma non è un caso che i pezzi usciti su quotidiani e riviste siano stati tutti firmati da giornalisti della musica pop o di costume, mentre i critici della classica abbiano snobbato la pubblicazione.
E all’estero? Come fa notare ancora Le Salon Musical, nel suo curriculum si legge che è “affermata a livello internazionale” e che “si esibisce nei teatri di tutto il mondo”. Ma quel prestigio tanto strombazzato non trova conferme nelle ricerche sul web, così come sono assenti le recensioni di autorevoli critici musicali.
È stata assistente direttore dell’Armenian State Youth Symphony Orchestra, un progetto nato da giovani nel 2005, ammirevole ma non certo di valore eccelso. È salita sul podio dell’Orchestra della Fondazione Bulgaria Classic, dell’Orchestra Filarmonica Nazionale di Odessa, dell’Orchestra e coro del Teatro Bolshoij (non quello di Mosca bensì quello di Minsk).
Ultimo incarico, la direzione di Madama Butterfly all’Opéra-Théâtre de Metz, in Francia (tre recite sino al 6 ottobre). Le grandi formazioni, saranno tutti d’accordo, mancano all’appello.
Ultimo capitolo: il valore artistico. Gli addetti ai lavori hanno seguito Venezi all’inizio della carriera con una certa curiosità, ma poi l’hanno progressivamente ignorata.
Il critico musicale Angelo Foletto, non usa giri di parole: «Difficile valutare consapevolmente il direttore Beatrice Venezi dovendosi fidare di qualche video preso a strascico su internet e di un paio di occasioni pubbliche con orchestre milanesi di consistenza media (o in formazione rimediata, perché non impegnate in concerti ufficiali di stagione)».
Ed entrando più nel merito aggiunge: «Certo, già il gesto con cui chiude l’accordo nella pubblicità “tricologica”, e che in esecuzione non sarebbe tecnicamente utile, può dare un’idea. Il braccio crea un disegno e la musica ne “suona” un altro, non insieme. Ma se non altro, rispetto ad altri spot che scomodano la figura del direttore d’orchestra – e in fiction tv recenti ambientate in Conservatorio s’è visto di peggio – il portamento nello spazio è fisicamente attinente».
Il problema è semmai che l’orchestra di fronte al direttore lucchese dia sempre l’impressione di procedere per conto suo. «Dalle (poche ripetiamo) occasioni dal vivo, e sempre tenendo conto che il lavoro vero del direttore è in prova, si ricava la sensazione che il direttore Venezi non abbia del tutto in mano l’esecuzione. Ma si limiti ad assecondare le geometrie e le linee principali della partitura – i cantabili o il ritmo – senza orientarle. Da cui il movimento della bacchetta che non distingue con chiarezza i punti di riferimento obbligati come il battere/levare mentre fraseologia e accentazione del discorso musicale, affidati quasi solo al braccio destro, sembrano non anticipare intenzioni e suono degli strumentisti».
Una immaturità che può forse essere imputata alla giovane età, in una professione che richiede anni e anni di studio e approfondimento.
Ma, allora, perché non lavorare sodo a testa bassa e senza clamore, invece di dar vita alla narrazione del grande direttore donna in carriera che non corrisponde all’evidenza dei fatti?
(da MusicPaper)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
A UN MESE DAL VOTO LA VICEPRESIDENTE DEM È IN VANTAGGIO SU DONALD TRUMP FRA I 2 E I 3,4 PUNTI PERCENTUALI. MA CI SONO ANCORA 7 STATI IN BILICO: KAMALA E’ IN TESTA IN PENNSYLVANIA, MICHIGAN, WISCONSIS E NEVADA E A UN SOFFIO DA TRUMP IN NORTH CAROLINA E GEORGIA
Le elezioni Presidenziali americane sono dietro l’angolo: Kamala Harris e Donald Trump si daranno battaglia alle urne il prossimo 5 novembre ed entrambi puntano a quota 270, ovvero la metà più 1 di 538: si tratta del numero di grandi elettori che a ciascun candidato serve per vincere ed essere dichiarato 47° presidente degli Stati Uniti d’America.
Secondo un sondaggio di Npr-Pbs News-Marist, Harris incassa il 50% dei consensi contro il 48% di Trump. Secondo la media di The Hill, invece, la vice presidente ha un vantaggio a livello nazionale pari al 3,4%. Ma con l’avvicinarsi al voto, è tutto un proliferare di sondaggi, sia nazionali che relativi ai singoli Stati.
Gli Stati in bilico in vista delle elezioni Usa
I giochi sono ormai quasi al capolinea, ma restano ancora sette Stati in bilico che saranno determinanti per chi aspiri a succedere al presidente uscente Joe Biden.
Gli Stati in cui tutto può ancora accadere sono North Carolina, Pennsylvania, Nevada, Georgia, Arizona, Michigan e Wisconsin.
In generale, Harris ottiene la fiducia degli Stati della cosiddetta Rust Belt, ovvero quelli post-industriali del nord fra cui Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Nella cosiddetta Sun Belt, ovvero negli Stati del sud che vanno dalla costa atlantica alla costa pacifica, avanza Trump.
Kamala Harris è in testa in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin dall’inizio di agosto, anche se di misura. Questa la situazione negli Stati in cui il voto sembra ancora contendibile:
Stato Kamala Harris Donald Trump
Pennsylvania 48,8% 47,5%
Michigan 48,7% 46,8%
Winsconsin 49,4% 47,5%
North Carolina 47,9% 48,1%
Georgia 47,9% 48,6%
Arizona 47,3% 48,6%
Nevada 48,9% 47,1%
(da agenzie)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
AVESSE ALMENO LE PALLE DI SOSTENERE LA SUA TESI, INVECE PER PAURA DI PERDERE LA POLTRONA SI DA’ DELLO SCEMO DA SOLO
Alessandro Verri, lei era in prima fila davanti allo striscione contro Antonio Tajani “scafista”. Non ha fatto una bella figura. “Non so cosa dirle” risponde imbarazzato ma cortese il capogruppo della Lega in Consiglio comunale a Milano e coordinatore dei giovani leghisti lombardi.
Avete fatto infuriare il leader Matteo Salvini. Pentito?
“Beh, in realtà ci sono modi migliori per esprimere le nostre critiche. Noi rimaniamo convinti che la cittadinanza non si regala. Abbiamo un po’ esagerato. Mi spiace. Con il senno di poi la situazione poteva essere gestita meglio…”.
Un’uscita a vuoto pesante.
“Cosa vuole, siamo giovani. Devo ancora mangiarne di pastasciutta…”.
Salvini ha detto che quello che è successo è opera di “quattro scemi”. Si considera tale?
“Si’, un po’ scemo lo sono, visto com’è andata”.
Ma lo dice alla Fantozzi, si martirizza per il Capo?
“Ma no, abbiamo davvero esagerato”.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL DEGRADO MORALE CHE EMERGE DALLE ESTERNAZONI DI BAMBOCCI MAL CRESCIUTI
Hanno finalmente trovato gli scafisti, quelli della Lega. Secondo i giovani che hanno partecipato alla sguarnita cerimonia annuale di Pontida lo scafista sarebbe niente di meno che Antonio Tajani, leader di Forza Italia, ministro di governo nonché alleato degli stessi leghisti.
Che Matteo Salvini sia corso a porre le proprie scuse è un particolare di poco conto. Il capo dei leghisti fa esattamente quello che fanno i suoi alleati: pugno duro tra i suoi fedelissimi e bella faccia con i compagni di governo.
Ma l’utilizzo della parola “scafista” rivolta a Tajani ci dice molto di più. Nell’agone politico odierno funziona l’iperbole a ogni costo, si deve massimizzare tutto per riempire la pancia dei propri elettori.
Se Tajani diventa uno scafista è inevitabile che l’azione politica contro gli scafisti di cui si è vantata Giorgia Meloni sia una boutade, una sciocchezzuola da dare in pasto ai maiali.
Dice molto anche Giorgia Meloni che nelle chat di partito si dica stupita che con Salvini ai Trasporti non siamo finiti a percorrere l’Italia sui dorsi dei muli. L’armata Brancaleone che guida il Paese è zeppa di odiatori seriali che si accoltellano alle spalle appena si presenta l’occasione.
Alla luce del veleno che emerge in queste ultime ore si può facilmente comprendere come gran parte delle iniziative legislative non siano nient’altro che sgambetti, piccole zuffe da cortile condominiale, magre vendette di bambini mal cresciuti.
Nemici sempre, nemici ovunque. È la stessa aria che tira sul resto del Paese, dove perfino la sofferenza delle guerre è un campo di scontro tra presunti influencer. Nella nostra lingua c’è una parole che descrive bene la situazione, si dice degrado morale.
(da lanotiziagiornale.it)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL RISCHIO DI PERDERE 300.000 EURO ANNUI DI CONSULENZA E LO SCUDO GIUDIZIARIO
“Ora fermiamoci con le carte bollate, voglio sconfiggere Conte sul piano mediatico…”. Se lo scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte per il controllo del Movimento 5 Stelle fosse una guerra, potremmo definire quella attuale una fase di stallo. Sì, perché a quanto apprende l’Adnkronos da fonti beninformate, il garante e co-fondatore del M5S avrebbe deciso di togliere il piede dall’acceleratore per quanto riguarda l’offensiva legale contro l’ex presidente del Consiglio e di tenere un profilo più basso, pur senza rinunciare a qualche stilettata via social.
Questo cambio di strategia sarebbe dovuto a diversi motivi. Di natura economica, innanzitutto: parliamo della parcella chiesta a Grillo dall’avvocato Pieremilio Sammarco (spese che il comico genovese avrebbe proposto di onorare attraverso un crowdfunding, una raccolta fondi) ma soprattutto del rischio, più che concreto, di perdere lo scudo legale garantito dal M5S e il contratto di consulenza da 300mila euro l’anno che lega Grillo al Movimento.
Senza trascurare le ragioni prettamente giuridiche: nel parere richiesto dal garante, infatti, l’avvocato Sammarco in buona sostanza avrebbe spiegato a Grillo che le sue speranze di impugnare un eventuale voto degli iscritti su nome, simbolo M5S e regola del doppio mandato sono ridotte al lumicino.
Ma andiamo con ordine e proviamo a ricostruire le ultime fasi della diatriba legale che vede contrapposti ‘l’Elevato’ e l’ex premier.
Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre si infiamma lo scontro ai vertici del M5S e il co-fondatore del Movimento 5 Stelle decide che è arrivato il momento di passare alle aule di tribunale. È l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, fedelissima di Grillo e principale esponente dell’opposizione interna a Giuseppe Conte, a favorire l’incontro tra il comico e l’avvocato Sammarco, titolare dello studio nel quale la stessa consigliera capitolina ha lavorato in passato. Il primo faccia a faccia tra Grillo e il professor Sammarco avviene a Roma il 4 di settembre, in territorio neutro: non presso lo studio Sammarco – situato a pochi passi da Piazza Cavour – ma in zona Parioli, lontano da occhi e penne indiscrete.
Il legale, che nel corso della sua carriera professionale ha già affrontato cause relative all’uso di simboli partitici, elabora su richiesta di Grillo un parere nel quale mette nero su bianco quali sono le vie percorribili e quali, invece, gli ostacoli insormontabili in questa lunga guerra di logoramento: da un lato, apprende l’Adnkronos, Sammarco intravede la possibilità concreta di sfilare il simbolo del M5S all’associazione presieduta da Conte; dall’altro fa capire a Grillo che impedire il voto degli iscritti sui “tre pilastri” (nome, simbolo e regola del doppio mandato) è molto, molto difficile, ammesso che l’iter procedurale impostato da Conte per arrivare al voto dopo l’assemblea costituente sia lineare e privo di intoppi (e le opacità, secondo alcuni fedelissimi di Grillo, non mancherebbero, a partire dalla questione degli iscritti aventi diritto al voto).
Le obiezioni di Sammarco non frenano Grillo, anzi. Il garante è determinato come non mai: “Faremo come Highlander, ne rimarrà soltanto uno. Dobbiamo fermare il Mago di Oz…” avrebbe scherzato il comico con i suoi.
Ma è quando Sammarco presenta il conto della parcella che Grillo inizia a essere tormentato dai primi dubbi. Dopo aver appurato che l’avvocato romano non avrebbe lavorato pro-bono, il comico tira fuori dal cilindro l’idea del crowdfunding: in pratica, una colletta sul web per raccogliere i soldi necessari a onorare le spese legali. L’idea, riferiscono fonti vicine al dossier, non vede Sammarco particolarmente entusiasta.
Passa qualche giorno e Grillo chiede al prof. Sammarco di sospendere qualsiasi azione giudiziaria contro Conte. E forse non è un caso che, quando il 20 settembre l’Adnkronos intercetta Sammarco all’entrata del suo ufficio legale, l’avvocato paventi la possibilità che la querelle tra Conte e Grillo (derubricata a “lite moglie-marito”) possa risolversi fuori dalle aule di tribunale.
A raffreddare l’animo barricadero di Grillo, però, sarebbe stata soprattutto la minaccia della sospensione del contratto da 300mila euro e della manleva legale garantita dal M5S. Conte avrebbe fatto recapitare un messaggio molto preciso a Grillo, sintetizzabile più o meno così: al primo atto giudiziario che intraprendi contro di me e il Movimento, annullo il contratto di consulenza e faccio cadere lo ‘scudo’ che ti esenta dal pagamento delle spese legali per le cause.
Senza escludere un risarcimento danni e quindi il versamento degli arretrati. Una doccia gelata per Grillo, che scende a più miti consigli senza però rinunciare alla sua proverbiale vis polemica.
Via web, infatti, ‘l’Elevato’ continua a pungolare Conte. Sul suo blog il garante inaugura la “bacheca del mugugno” raccogliendo gli sfoghi di iscritti e militanti contro il leader pentastellato; e in ultimo, posta sui social una foto che lo ritrae con la barba lunga, accompagnata dalla didascalia “sto ancora aspettando le risposte di Conte…”. Ma le schermaglie, assicura chi conosce bene Grillo, non finiranno certo qui.
M5S, cresce pressing su Raggi: “Spieghi se sta sabotando Conte”
Nel Movimento 5 Stelle, a quanto apprende l’Adnkronos, starebbe crescendo l’insofferenza nei confronti dell’ex sindaca di Roma, componente del Comitato di garanzia pentastellato
“Virginia Raggi spieghi a questo punto se sta conducendo una guerra sotterranea per contrastare Conte e sabotare la costituente e soprattutto dica se è stata lei a favorire l’incontro tra Beppe Grillo e l’avvocato Pieremilio Sammarco”.
Nel Movimento 5 Stelle, a quanto apprende l’Adnkronos da fonti beninformate, starebbe crescendo l’insofferenza nei confronti dell’ex sindaca di Roma Raggi, componente del Comitato di garanzia pentastellato, considerata da molti la principale esponente, con Grillo, dell’opposizione a Giuseppe Conte e alla linea politica dell’ex premier, che non esclude eventuali alleanze nel campo progressista.
A far deflagrare il sospetto sulle recenti mosse della consigliera capitolina quanto riportato oggi dall’Adnkronos a proposito del primo incontro tra Grillo e Sammarco, una notizia che alimenterebbe la tesi di una “strategia” che “nasce da lontano” e che anziché manifestarsi nelle forme di “posizioni limpide e trasparenti di dissenso politico – dicono le fonti – agirebbe “sottotraccia in sintonia con le posizioni di Grillo” ma senza avere “il coraggio di esporsi” come il garante e chiarire il proprio pensiero agli occhi degli iscritti.
In molti ora, negli ambienti pentastellati, provano a mettere in fila i fatti: il 15 giugno l’incontro all’Hotel Forum tra Raggi e Grillo; il 17 giugno l’intervista al Corriere della Sera nella quale l’ex prima cittadina di Roma invoca un “ritorno alle origini”; il 10 settembre l’ospitata in tv da Maria Latella, per lanciare un messaggio a Conte (“se lo statuto dà dei poteri a Beppe Grillo e lui li esercita fa bene”). Segue poi la pubblicazione della corrispondenza tra Conte e Grillo sui giornali (Corriere della Sera e Il Foglio, siamo metà settembre) e il post social del 17 settembre, dove Raggi – per smentire le voci sul fatto che fosse stata lei a divulgare le mail – dichiara di non voler prendere “la guida di nessun partito” né di voler “partecipare a congiure di palazzo”.
Parole che non avrebbero scacciato i dubbi di Campo Marzio, dove ancora ci si chiede come sia partita la fuga notizie sullo scambio delle pec, dopo che anche dall’entourage di Grillo era giunta la conferma di non aver diffuso nulla.
In aggiunta filtrano i timori per un presunto tentativo della Raggi di spingere il Comitato di garanzia a schierarsi con Grillo per boicottare lo svolgimento dell’Assemblea costituente. Sempre le medesime fonti, poi, si starebbero chiedendo chi abbia diffuso tra alcuni consiglieri comunali la notizia che Grillo avrebbe aperto a un superamento della regola dei due mandati solo per gli eletti nei Comuni.
Infine, la questione del coinvolgimento dell’avvocato Pieremilio Sammarco, per il quale Raggi ha lavorato in passato. L’incontro tra Grillo e il legale sarebbe stato propiziato proprio dall’ex sindaca, facendo rimbalzare una domanda: “Raggi ha partecipato all’incontro tra i due per preparare la causa contro Conte?”.
Offensiva legale che, scrive l’Adnkronos in un retroscena odierno, si sarebbe arenata sia per questioni economiche (la parcella chiesta da Sammarco a Grillo) che per ragioni di opportunità.
Nel parere chiesto dal comico genovese, il professor Sammarco avrebbe infatti spiegato che pur essendoci buone possibilità per ‘sfilare’ il simbolo M5S all’associazione presieduta da Conte, le speranze del garante di impugnare il voto degli iscritti su simbolo e doppio mandato sarebbero ridotte al lumicino.
(da Adnkronos)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
I DAZI ANTI-CINESI FINIREBBERO PER COLPIRE L’EXPORT ITALIANO. ANCHE LA RICHIESTA SULLE SPESE MILITARI SAREBBE DIFFICILE DA ONORARE: LE CASSE SONO VUOTE E NON C’È UN EURO NEMMENO PER LA MANOVRA
Fosse solo per i Patrioti nazionalsovranisti riuniti sul pratone di Pontida, Giorgia Meloni sentirebbe di avere tutto sotto controllo. La premier non ritiene infatti che Viktor Orbàn e Matteo Salvini possano costringerla davvero ai margini della destra europea. È lei a sedere a Palazzo Chigi, è con lei che bisogna parlare quando è necessario concordare la linea con Roma: vale per Bruxelles, come per Washington. Il problema, semmai, è che si scrive Orbàn, ma si legge Trump. Ed è qui che la situazione si complica.
La premessa è che la premier non tifa (apertamente) per Kamala Harris, né potrebbe: il corpaccione di FdI si esalta alla sola vista del cappellino rosso fuoco di Trump. Meloni, però, intravede alcuni potenziali rischi di una vittoria del tycoon. Il nodo non riguarda la necessità di ricostruire il rapporto con il candidato conservatore, che pure fatica a perdonarle il bacio in fronte di Joe Biden.
No, la presidente del Consiglio è cauta sull’eventuale ascesa di Trump — e su quella dei suoi fan continentali guidati da Marine Le Pen, Orbàn e Salvini — per una ragione assai più pragmatica: con un trionfo repubblicano l’Italia potrebbe entrare in crisi sul fronte commerciale.
Per comprendere i contorni di questo timore, bisogna fare un passo indietro. E tornare a un’elegante sala dell’hotel Peninsula di New York. Fine settembre, a Manahattan. La premier deve partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Riservatamente, riceve alcuni dei principali amministratori delegati delle grandi società tecnologiche, oltreché non meglio precisate personalità vicine alla creativa galassia che ambisce a costituire la prossima amministrazione Trump
Appena tornata a Roma, Meloni convoca alcuni consiglieri a Palazzo Chigi. E attorno a un tavolo fa la sintesi dei colloqui: l’American First che ha in mente Donald Trump — è il senso del messaggio — potrebbe metterci in difficoltà a causa dei dazi e della linea ostile alle relazioni commerciali con la Cina. Un grosso scoglio, per chi deve gestire il governo avendo a disposizione casse dello Stato vuote.
Le dinamiche politiche, come detto, c’entrano poco. Secondo la presidente del Consiglio, infatti, l’eventuale vittoria del candidato repubblicano creerebbe al massimo qualche fibrillazione nell’esecutivo. L’ansia di Meloni, semmai, è per le eventuali crepe nella bilancia commerciale, facendo saltare conti già in rosso. Se Trump dovesse punire i prodotti italiani, costringerebbe Roma ad affrontare tempi difficili. Al termine del primo mandato di Trump e con l’avvento dell’amministrazione Biden, l’export italiano verso gli Usa subì un’impennata: +16% il primo anno, +31,9% quello successivo. Il timore è che lo schema dei dazi si ripeta, aggravato da un pressing politico per ridurre le relazioni commerciali con Pechino
Il sovranismo di Trump e dei Patrioti è invece meno complesso da gestire se si discute di Ucraina. La premier, infatti, ha già iniziato un millimetrico, ma progressivo distacco da Kiev. Continuerà almeno fino al 4 novembre, in attesa di conoscere l’esito delle Presidenziali. Semmai, la vittoria di Trump metterebbe Roma di fronte a un altro problema pratico: il repubblicano esige un drastico aumento delle spese militari. Anche in questo caso, un incubo per chi fatica a trovare risorse per la prossima legge di bilancio.
(da La Repubblica)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
IL 29% DEI MAMMOGRAFI HA PIÙ DI 10 ANNI E NON PERMETTE UNA VISIONE APPROFONDITA DELLE PATOLOGIE TUMORALI… IL 44% DEI MACCHINARI PER LA RISONANZA MAGNETICA HA UNA TECNOLOGIA SUPERATA (CON PICCHI DEL 77% IN SICILIA)… LE STRUTTURE PRIVATE CONVENZIONATE NON SONO MESSE MEGLIO DI QUELLE PUBBLICHE
Chi di noi quando va a fare un esame si chiede se stanno utilizzando un apparecchio nuovo o obsoleto? Con le liste d’attesa che ci sono, buona grazia se l’esame te lo fanno in tempi decenti. Eppure nella diagnosi delle malattie più gravi il livello di precisione del macchinario può fare la differenza.
Mammografi, risonanze magnetiche, Tac, ecc. vengono utilizzati per svolgere 65,5 milioni di prestazioni l’anno, di cui il 58% negli ospedali pubblici e il 42% nelle strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. La sostituzione di queste «grandi apparecchiature», come sono chiamate in gergo tecnico, può rendersi necessaria per l’usura dovuta all’età, la modalità di utilizzo, il numero di guasti, i costi di gestione, lo sviluppo di tecnologie più all’avanguardia.
Occorre dunque valutare quando le attrezzature in là con gli anni espongono il paziente a diagnosi meno precise, o a più radiazioni del dovuto. Per l’Associazione italiana degli ingegneri clinici, pur non esistendo un riferimento univoco, il limite dei dieci anni di vita di un macchinario rappresenta uno spartiacque. Ecco perché il ministero della Salute, insieme agli ingegneri clinici, ne monitora con regolarità l’obsolescenza.
Vediamo i dati principali, ancora inediti, elaborati da Agenas al 31 dicembre 2023. I numeri dimostrano che i privati accreditati, contrariamente alla percezione comune, di norma non hanno percentuali inferiori di macchinari oltre i limiti di età rispetto al pubblico: in entrambi i casi più di uno su 3 è obsoleto. Nella diagnosi delle malattie più gravi il livello di precisione del macchinario può fare la differenza. Per l’Associazione italiana degli ingegneri clinici il limite dei dieci anni di vita di un macchinario rappresenta uno spartiacque.
I mammografi
I programmi di screening mediante esame mammografico, avviati oltre trent’anni fa, rappresentano la più efficace forma di prevenzione secondaria, con una riduzione del 35% del rischio di morte.
Oggi in Italia sono eseguite 1,6 milioni di mammografie all’anno. Un mammografo con meno di dieci anni permette una visione più accurata e approfondita delle patologie tumorali: la mammella è analizzata da diverse angolazioni grazie a un’acquisizione a strati in 3D, il che consente di esaminare parti di tessuto che altrimenti rischiano di rimanere nascoste.
Il 29% dei mammografi, però, ha più di dieci anni. Guardiamo dentro ai grandi ospedali romani. Le aziende ospedaliere pubbliche Umberto I, San Camillo Forlanini, Sant’Andrea e Tor Vergata sono tutte dotate di due mammografi, di cui solo uno, a Tor Vergata, con più di dieci anni. Il San Giovanni invece ne ha 3, di cui uno vecchio. Il Gemelli, che è uno degli ospedali privati convenzionati più grande d’Europa, ne ha 4, di cui uno obsoleto. Gli Istituti fisioterapici ospitalieri (Ifo), infine, ne hanno 3, di cui uno troppo vecchio. Complessivamente nel Lazio ce ne sono 105 nelle strutture pubbliche e 161 nel privato accreditato di cui il 35%, però, è fuori età, contro il 14% del pubblico.
In Lombardia, vediamo la situazione nei centri di riferimento per la cura del tumore al seno di Milano, dove ogni anno vanno a curarsi pazienti da tutta Italia. All’Istituto nazionale dei tumori i mammografi sono 2, di cui uno con più di dieci anni, mentre il Policlinico è dotato di 3 mammografi, tutti di ultima generazione.
Passando ai privati accreditati, invece, l’Istituto europeo di oncologia (Ieo) può contare su 5 macchinari, di cui uno troppo vecchio, e l’Humanitas di Rozzano ne ha 7, ma 4 obsoleti.
Risonanze magnetiche
Allo stesso modo, una risonanza magnetica eseguita con un macchinario «ad alto campo» fornisce una qualità di immagini più dettagliata e una durata dell’esame inferiore. Ogni anno si svolgono oltre 4,6 milioni di risonanze: il 44% dei macchinari supera i dieci anni.
In particolare, le Regioni che avrebbero il dovere assoluto di acquistarne di nuovi sono il Molise e la Valle d’Aosta, perché risulta che non ne possiedano nemmeno uno abbastanza recente. La percentuale di macchinari obsoleti è preoccupante anche in Sicilia (73%), a Trento (67%), in Toscana (66%), in Liguria (64%) e in Sardegna (62%).
Tomografie computerizzate
Veniamo alle Tac: la differenza di radiazioni emesse da una con più di dieci anni di vita e una di ultima generazione arriva fino all’80%, e la diagnosi è anche più approfondita per la capacità diagnostica di visualizzare meglio il cuore tra un battito e l’altro, come pulsa il cervello, e di individuare con estremo dettaglio le lesioni oncologiche.
Oggi i 5 milioni di esami annui sono effettuati con strumenti obsoleti nel 36% dei casi. Negli ospedali pubblici del Molise, 7 macchinari su 7 sono vecchi, nel privato 5 su 9. In Lazio vince il pubblico: solo il 21% delle Tac è obsoleto, contro il 38% del privato accreditato. In Liguria, la percentuale di macchine vecchie è del 24% che sale al 47% nel privato accreditato.
Radioterapia
Le sedute di radioterapia sono 6 milioni l’anno. I nuovi acceleratori lineari irradiano la parte malata in modo più preciso, preservando maggiormente i tessuti sani. Ebbene, il 46% dei macchinari è fuori limite d’età. In Lombardia, 30 acceleratori su 72 sono nel privato accreditato, dove però la percentuale di macchine vecchie raggiunge il 73%, contro il 40% del pubblico.
L’Istituto nazionale dei tumori ne conta 5, di cui 3 con più di dieci anni. Tra i privati, l’Humanitas ne utilizza 5 recenti e 3 obsoleti, mentre l’Istituto europeo di oncologia 4, di cui uno sopra i limiti di età. In Lazio, gli ospedali Gemelli, Tor Vergata, Sant’Andrea, Umberto I li hanno tutti sotto i dieci anni; San Camillo e San Giovanni ne hanno a disposizione 2 buoni e uno vecchio; gli Istituti fisioterapici ospitalieri 3, di cui 2 vecchi.
Cosa ci attende nel futuro
Abbiamo raccolto i dati sopra riportati per sollecitare i cittadini a informarsi sempre sulla qualità dei macchinari utilizzati nella prevenzione o cura delle loro malattie. Si sbaglia chi pensa che facendo un esame a pagamento vengano utilizzati strumenti di ultima generazione: la diagnostica viene fatta con l’apparecchiatura disponibile in quel momento. Va detto che un miglioramento è in corso: nelle strutture pubbliche il rinnovo delle apparecchiature è iniziato grazie ai fondi del Pnrr (1,2 miliardi), e nel primo quadrimestre del 2024 c’è stato un ricambio di circa 300 macchinari (inclusi nei numeri sopra riportati).
Nel privato accreditato, che mira al profitto e deve metterci soldi suoi, le grandi apparecchiature sostituite nello stesso arco di tempo sono state 164.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 7th, 2024 Riccardo Fucile
QUASI IL 30% DEL TERRITORIO E’ A RISCHIO, NESSUNA REGIONE E’ STATA RISPARMIATA
Negli ultimi anni migliaia di italiani sono stati costretti a trasferirsi perché vittime delle «catastrofi ambientali» e del cambiamento climatico. Dal 2008 al 2022, scrive Serena Uccello sul Sole24Ore, gli spostamenti interni sono stati 147mila, gran parte dovuti ai terremoti che hanno interessato la Penisola. Se si analizzano, invece, i numeri relativi alle voci «Alluvione», «Movimenti di massa secca e bagnata», «Incendio e tempesta» il dato arriva a 28.400, che diventa 71mila nel 2023. È la fotografia che restituiscono i numeri dell’Internal displacement monitoring center (Idmc).
Frane e inondazioni
Per quanto riguarda frane e inondazioni, il Rapporto periodico (primo semestre 2024) realizzato dall’Irpi-Cnr restituisce una fotografia tutt’altro che positiva. Tra il 1973 e il 2022 i morti sono stati 1.616, i dispersi 40, i feriti oltre 1.800 e gli sfollati 334.245. Se poi si considera il periodo compreso tra il 2019 e il 2022, gli sfollati sono stati 55.917, 91 morti e 139 feriti. E più di recente da gennaio a luglio 2024, le persone sfollate sono state 655 (7 morti, 5 feriti).
Le aree di pericolosità
Tutte le 20 Regioni d’Italia sono «a rischio». Ciò significa che nessuna porzione di territorio del Belpaese è stata risparmiata dalle «catastrofi ambientali». Più nello specifico, le aree a pericolosità idraulica elevata in Italia, secondo la mappa dell’Ispra, rappresentano il 5,4% di tutto il territorio nazionale, che arrivano a quasi il 30% se si aggiungono il 10% delle aree a pericolosità media e il 14% a pericolosità bassa. E se prendiamo in esame i dati del Cnr nel periodo 1973/2022 e 2019/2023 emerge come tutte le 20 regioni italiani siano state colpite. Per quanto riguarda il pericolo alluvione gli italiani che vivono in un’area a elevato rischio sono 2,4 milioni, in area a medio rischio 6,8 e a basso rischio oltre 12,2. In totale più di 21 milioni. Se si considera il rischio frana, le persone in pericolo sono 5,7 milioni.
Pochissime case assicurate
In Italia le polizze a copertura dei danni causati da catastrofi naturali ed eventi atmosferici sono ancora poco diffuse, precisa il quotidiano economico-finanziario. Solo il 6% delle abitazioni è infatti coperto contro i rischi catastrofici e solo il 5% delle imprese ha una polizza. Secondo l’autorità europea di vigilanza su assicurazioni e fondi pensione, che ha misurato il rapporto tra esposizione al rischio e grado di copertura assicurativa, l’Italia si posizione – assieme alla Grecia – in cima alla classifica per mancata copertura. Una situazione pericolosa per i conti pubblici, visto che lo Stato finora ha dovuto sborsare cifre sempre più ingenti per aiutare popolazioni e imprese vittime di alluvioni o altri eventi naturali come i terremoti.
(da agenzie)
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