Destra di Popolo.net

CHE COMICHE: SALVINI DICE CHE A CAUSARE LA PARALISI DELLE STAZIONI FERROVIARIE DI ROMA È STATO L’OPERAIO DI “UN’IMPRESA PRIVATA” CHE HA PIANTATO UN CHIODO SU UN CAVO ELETTRICO E MANDATO IN TILT L’INTERNO SISTEMA

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

MA TRENITALIA LO SMENTISCE E PARLA DI UN BLACKOUT ALLA CIRCOLAZIONE SUL NODO DI ROMA DOVUTO A UN GUASTO A UNA CABINA

“Ho chiesto che emergano le responsabilità e chi ha sulla coscienza i disagi creati oggi a migliaia di persone ne dovrà rispondere. A quanto mi risulta, i tecnici mi dicono esserci stato un errore stanotte di un’impresa privata che ha piantato un chiodo su un cavo e poi diciamo che il tempo di reazione di fronte a questo errore, e conto che il privato ne risponderà, non è stato all’altezza di quello che la seconda potenza industriale d’Europa deve avere”.
Così il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, al termine del question time alla Camera. “Ci stanno lavorando gli ingegneri perché non è possibile investire miliardi di euro per comprare nuove carrozze, i nuovi treni pendolari, gli Intercity, l’alta velocità, la Tav, il Brennero e tutto il resto, e se uno alle tre di notte a Roma pianta il chiodo nel posto sbagliato poi tu rovini la giornata di lavoro a a migliaia di persone – ha aggiunto il vicepremier parlando con i cronisti
Quindi ho chiesto nomi, cognomi, indirizzi e codici fiscali di quelli che non hanno fatto il loro lavoro, quando ci sarà questa conclusione lo saprò e lo saprete”
Il comunicato di Trenitalia
«Questa mattina c’è stato un guasto alla cabina elettrica che alimenta l’impianto di circolazione del Nodo di Roma, un guasto le cui cause, la cui natura è in corso di accertamento», scrive in una nota Trenitalia. In sostanza con il guasto della cabina i treni avrebbero dovuto viaggiare “al buio”: non si poteva vedere in quale direzione andare. L’incidente non ha quindi impedito di per sé lo spostamento dei convogli, ma gli operatori hanno preferito fermarsi o muoversi con prudenza non avendo alcun riferimento in loro aiuto. Il guasto è stato infatti definito come «raro perché si tratta di un impianto che ha ridondanze tecniche» e per questo «sono in corso degli accertamenti per verificarne la natura».
(da agenzie)

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NEL PAESE DELL’EVASIONE FISCALE, SI CONDONA A TUTTA FORZA: IL “RAVVEDIMENTO SPECIALE” PER CONVINCERE LE PARTITE IVA AD ADERIRE AL CONCORDATO BIENNALE IN SCADENZA È LA VENTESIMA SANATORIA TRIBUTARIA MESSA A PUNTO DAL GOVERNO MELONI

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

MA BRUXELLES POTREBBE CONTESTARE UN “CONDONO TOMBALE” DA PARTE DI UN PAESE NEL MIRINO PER L’ALTO TASSO DI EVASIONE – DALLA CANCELLAZIONE DELLE CARTELLE ALLE DEPENALIZZAZIONI PER OMESSO VERSAMENTO: TUTTE LE MISURE DEGLI ULTIMI DUE ANNI

Con scarso senso dello Zeitgeist ma piena consapevolezza di edulcorare la realtà, qualcuno al Tesoro l’ha ribattezzato «ravvedimento speciale». La scelta etimologicamente putiniana per definire l’ultimo condono del governo Meloni è imposta dalle sue dimensioni.
Per convincere quasi cinque milioni di partite Iva ad aderire al concordato biennale in scadenza a fine ottobre sta varando in fretta e furia una sanatoria per i cinque anni precedenti: in principio erano sei.
I dubbi del Dipartimento delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate su una misura che mina la fedeltà fiscale degli autonomi non hanno fin qui avuto la meglio. Sotto la copertura dell’iniziativa parlamentare (il condono è arrivato con un emendamento all’ultimo decreto omnibus in Senato) il governo tenterà di ottenere non meno di 2,5 miliardi di «maggior gettito» per finanziare i tagli alle aliquote Irpef dei redditi sopra i trentamila euro.
Non è chiaro se Bruxelles accetterà senza fiatare un condono tombale da parte di un Paese nel mirino per l’alto tasso di evasione. Certo è che le regole europee qualche vincolo in più del passato lo impongono: la sanatoria dell’Iva ad esempio è considerata illegittima. Sia come sia, il concordato biennale sulla carta è una soluzione pragmatica: lo Stato propone ai contribuenti la pianificazione delle tasse da pagare per i prossimi due anni, promette di scordarsi del passato (purché emerga) e minaccia controlli solo a chi non aderisce.
Il problema del condono è in un’utopica premessa: sarà l’ultimo. Nel 2021 Mario Draghi, nel pieno della pandemia, disse sì a una sanatoria per le somme fino a cinquemila euro a chi non ne dichiarava più di trentamila. «Si, è un condono», ammise con rara onestà l’ex presidente della Banca centrale europea. «Ma permetterà all’amministrazione di perseguire l’evasione in modo più efficiente».
La contabilità delle sanatorie varate negli ultimi due anni dal governo Meloni confermano l’aspirazione utopica: più o meno venti secondo la contabilità prevalente in questi mesi. Il numero preciso dipende da dove il contribuente decide di fissare l’asticella morale.
Nel 2023 sono state cancellate le cartelle esattoriali sotto i mille euro, agevolate le «rottamazioni» di quelle più alte, regolarizzate le criptovalute non dichiarate, prorogati i condoni delle sanzioni per i crediti d’imposta non spettanti per ricerca e sviluppo. La fantasia semantica per celare la tendenza al perdono è tornata quella di un tempo: sono state introdotte «definizioni agevolate delle liti pendenti», depenalizzati «parzialmente» i reati di omesso versamento, «ridotte le sanzioni» per omessa dichiarazione o dichiarazione infedele. E’ la traduzione politica dell’invincibile tendenza di (molti) italiani a non rispettare le regole.
Ernesto Maria Ruffini, il direttore dell’Agenzia delle Entrate voluto dai governi di centro-sinistra e tuttora in carica, ha chiesto più volte di trovare soluzione ad oltre mille miliardi di crediti ormai inesigibili: per la macchina burocratica rincorrere quei soldi è più dannoso che rinunciarvi.
Se la riforma della riscossione arriverà in fondo, ci sarà un enorme condono anche di quelle cifre. Si dirà: in Italia dichiarare le tasse è complicato, le sanzioni (erano) altissime e la pressione fiscale resta fra le più alte d’Europa, saldamente sopra il quaranta per cento. Ma c’è anche un’enorme sperequazione fra categorie.
Per quanto tempo ancora il sistema può reggere tutto ciò? Matteo Salvini dice che l’unico modo per combattere l’evasione fra gli autonomi è garantirgli una tassazione comprensibile. Il governo Conte uno (a trazione Lega-Cinque Stelle) introdusse una tassa piatta al quindici per cento fino a centomila euro poi ridotta da quello Conte due (maggioranza Pd-Cinque Stelle) a ottantacinquemila.
I dati delle relazioni indipendenti sull’evasione dicono che la tendenza in questi anni è stata l’opposto dell’auspicio di Salvini: se si introduce una soglia entro la quale è garantita una tassazione agevolata, aumenta proporzionalmente la tendenza dei dichiaranti a restare sotto la soglia.
La speranza per chi crede in uno Stato più equo e in cittadini più fedeli è nella rivoluzione digitale. Un contribuente su due quest’anno ha scelto la dichiarazione semplificata, senza necessariamente ricorrere all’assistenza del commercialista. Una persona su due con meno di 44 anni non usa più il contante. Fra gli under 25 sono già due su tre. Più scende l’uso del contante, più è alta la probabilità che chi riceve il pagamento sia costretto a dichiararlo.
(da La Stampa)

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CONTE TRATTA CON FRATELLI D’ITALIA PER FARE LO SGAMBETTO AL PD : IERI L’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI HA NOMINATO IL CONSIGLIO DELLA RAI CON GIAMPAOLO ROSSI INDICATO COME AD E ROBERTO SERGIO CHE ANDREBBE A RICOPRIRE IL RUOLO DI DIRETTORE GENERALE

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

ADESSO LA PARTITA PASSA IN VIGILANZA DOVE MANCANO I VOTI PER SIMONA AGNES ALLA PRESIDENZA. E QUI ENTRA IN GIOCO “GIUSEPPE”: POTREBBE DARE IL PLACET PER LA AGNES, IN CAMBIO DELLA DIREZIONE DEL TG3, OGGI IN MANO A MARIO ORFEO

Nello stesso giorno in cui il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte intona il de profundis del campo largo, a viale Mazzini si insedia il nuovo Consiglio d’amministrazione della Rai. E c’è un filo rosso che sotterraneamente unisce questi due momenti.
L’assemblea degli azionisti ha nominato il consiglio composto da Simona Agnes, Alessandro di Majo, Davide Di Pietro, Federica Frangi, Antonio Marano e Roberto Natale, ed è poi stato indicato il consigliere Giampaolo Rossi – fedelissimo di Giorgia Meloni – per la posizione di Amministratore delegato. Lo stesso Rossi ha indicato Roberto Sergio come direttore generale, mentre il Cda ha eletto a maggioranza Simona Agnes presidente Rai, come chiedeva Forza Italia.
La nomina di Agnes, però, ha bisogno del voto favorevole da parte dei due terzi dei componenti della commissione parlamentare di Vigilanza per diventare effettiva. Deve quindi essere votata anche da un pezzo delle opposizioni ed è qui che entrano in gioco i Cinque stelle, che da settimane trattano con Fratelli d’Italia per trovare un accordo
La decisione di Conte e di Avs di non partecipare all’Aventino deciso dal Pd sulle nomine Rai entra in questo solco. Rappresenta la prima spaccatura nel fronte delle opposizioni, creata per dare il via alla partita che si incardina intorno alla nomina di Agnes. In cambio del via libera, i Cinque stelle chiedono però la direzione di un telegiornale. Non gli basta una vicedirezione. E vogliono la testa di un direttore preciso, Mario Orfeo, per poter occupare il Tg3 e strapparlo al Pd. […] Sembra però che su questa strada stiano incontrando più resistenze del previsto.
L’accordo quindi non è ancora chiuso. Agnes, infatti, ieri ha ricevuto il voto contrario proprio dai consiglieri indicati dal Movimento e da Avs, Alessandro Di Majo e Roberto Natale. Con una precisazione, però, che entrambi si premurano di sottolineare: i loro “no” «non rappresentano una bocciatura delle persone, ma del meccanismo di legge che risponde a logiche partitiche e determina la sudditanza della Rai al governo». Quasi a dire che, in fondo, l’ok dei Cinque stelle e di Avs potrebbe facilmente arrivare in commissione di Vigilanza, nella seconda metà di ottobre, se FdI sarà in grado di saziare i loro appetiti.
Sempre ieri, in Parlamento, si è affacciata la riforma della Rai: al Senato parte ufficialmente l’esame di cinque disegni di legge, tra i quali due del Pd, uno del M5S, uno della Lega e uno di Forza Italia, mentre una sesta proposta, di Avs, è in fase di inserimento. Non c’è ancora, invece, un testo firmato Fratelli d’Italia. Il lavoro sui testi dovrà portare a una riforma entro agosto 2025, per allinearsi alle richieste del Media Freedom Act dell’Unione europea ed evitare che arrivi, altrimenti, una sanzione da Bruxelles
(da la Stampa)

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MASSIMO GILETTI SBARCA SU RAI 3, PROMETTE DI FARE SERVIZIO PUBBLICO E CULTURA, MA IL PUBBLICO LO GUADAGNA LA7, LA RETE CHE LO HA CACCIATO

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

IL NUOVO AD RAI, GIAMPAOLO ROSSI, SI PRESENTA CON UN TALK SPAVENTOSO, CON GILETTI, IL CERVELLO DI RITORNO, STRAFINANZIATO, BATTUTO DA CORRADO AUGIAS SU LA7… ROSSI DOVREBBE ADESSO SPIEGARE PER QUALE RAGIONE UNA TRASMISSIONE, CHE NON HA NULLA DI NUOVO, VIENE PRODOTTA DALLA SOCIETÀ ESTERNA OUR FILMS. GILETTI HA PERFINO STABILITO DA QUALI VERTICI RAI FARSI DIRIGERE

E’ Lo stato delle cose, della Rai, e di Massimo Giletti: sbarca su Rai 3 come San Gerolamo nello studio, promette di fare servizio pubblico e cultura, ma il pubblico lo guadagna La7, la rete che lo avrebbe cacciato perché, dice Giletti, “stavo toccando cose che non si devono toccare”.
Si è convinto di essere Mauro De Mauro dell’ Ora e nessuno gli getta il secchio d’acqua salutare.
Al posto di una limonata, la Rai gli offre la prima serata, anziché lasciargli digerire la sua peperonata mafia-caso Baiardo, la Rai gli consegna le chiavi del ristorante per impiattare tv da incubo. Il nuovo ad Rai, Giampaolo Rossi, al suo primo giorno da ad, si presenta con un talk spaventoso, con Giletti, il cervello di ritorno, strafinanziato (si parla di oltre 350 mila euro a puntata, cifra mai smentita) battuto da La7, da Corrado Augias, in una serata capolavoro, con ospite Giordano Bruno Guerri, inarrivabile. Chi è l’ultimo Giletti?
Uno che confonde i fili della luce, i costi delle sue trasmissioni, da Superbonus 110, con la verità che gli vogliono impedire di raccontare, le sue puntate per i capitoli mancanti di Petrolio, il romanzo di Pasolini, mentre Dell’Utri, Urbano Cairo, e Pier Silvio Berlusconi, sarebbero le sue sette sorelle petrolifere. Tutto questo per sbalordire e invitare, alla fine, su Rai 3, per la sua nuova trasmissione Lo Stato delle Cose, il generale Vannacci e Francesca Pascale, Heidegger e Arendt, gli Essere e Tempo, la Rai di Friburgo. E’ la foresta nera dello spettatore.
Serviva Giletti? Il nuovo ad Rai, Giampaolo Rossi dovrebbe adesso spiegare per quale ragione una trasmissione, che non ha nulla di nuovo, viene prodotta fuori dalla Rai. Il garibaldino Rossi, che ha scelto come dg Rai, Roberto Sergio (Simona Agnes viene indicata presidente Rai) dovrebbe spiegare come si possa definire cultura la trasmissione di Giletti, prodotta dalla società esterna Our Films. Per quale ragione viene permesso a Giletti di decidere quale serata è per lui la più gradita? Per farlo felice si è dilapidato quel piccolo patrimonio di spettatori di Salvo Sottile, di “Far West”, spostato al venerdì.
Giletti ha perfino stabilito da quali vertici Rai farsi dirigere. Il Pasolini con la coppola si è scelto il controllore, la vicedirettrice Pastore, responsabile dell’Unità organizzativa, “Divulgazione e Attualità Culturale”, la stessa che ha seguito per anni Fabio Fazio. E’ una scorciatoia per aggirare il controllo del direttore dell’Approfondimento, Paolo Corsini, il direttore A noi!, di destra, che oggi si staglia come genio Rai.
La trasmissione di Giletti è tutto eccetto che Rai Cultura. E’ un talk da giletti gialli, con la presenza di Peter Gomez, spalla giornalistica, più lampadato di Carlo Conti.
E’ la solita Arena di Giletti, un pub con gli svippati della settimana. La trasmissione, al suo esordio, ha raccolto il 5,02 per cento di share contro il 5,13 di Augias, la sua La Torre di Babele, un programma assemblato con due sedie, materiale delle teche e che ha un costo di produzione imparagonabile al costo di Giletti.
E’ una tv sapiente, con ospiti intelligenti, temi indovinati malgrado Augias che si gonfia, white trombone, a ogni parola.
Quella di Augias è la seconda trasmissione che si inventa in casa La7. Un’altra è quella di Aldo Cazzullo, “Una giornata particolare” che riparte il 9 ottobre.
Per compiacere il Pasolini con la coppola, che cerca l’altra verità, la Rai gli ha ceduto il libretto degli assegni. Giletti ha strappato inviati alle altre trasmissioni con rilanci che Mediaset e La7 definiscono fuori mercato, da fuori canone. Sono passati con Giletti, con la promessa di un futuro da servizio pubblico, redattori, operatori, inviati.[…] L’unico servizio, pubblico, lo hanno fatto a Cairo. La7 si libera, una volta per tutte, del Pasolini con la coppola, la Rai paga ore di televisione spaventosa per far venire voglia di guardare La7.
(da Il Foglio)

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DOVE C’E’ UNA POLTRONA LIBERA, ARRIVA STEFANO ZECCHI: LA RESISTIBILE ASCESA DEL NUOVO SGARBI DEI MAL-DESTRI

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

DAL CDA DELLA TRIENNALE DI MILANO ALL’ULTIMA NOMINA DI GIULI ALLA COMMISSIONE CINEMA, GLI INCARICHI DEL PROFESSORE
LE PAROLE A FAVORE DI SANGIULIANO NEI GIORNI CALDI DELL’AFFAIRE BOCCIA: “HA TENTATO DI ROMPERE I SANTUARI DELLA SINISTRA”

È diventato il nuovo Vittorio Sgarbi della destra professorale. Recordman di incarichi e poltrone nell’intellighenzia sparuta di quell’area culturale. Sta di fatto che nel silenzio generale il professore Stefano Zecchi – sulla cresta dell’onda mediatica già dall’era del Maurizio Costanzo Show, ovvero dagli anni Novanta – ha inanellato una tale quantità di nomine da fare invidia a quasi tutti i suoi colleghi accademici.
L’elenco è maestoso quanto una bibliografia sulla sua amata Estetica, di cui è stato per anni ordinario a Milano.Il presidente uscente del Muse di Trento, infatti, è attualmente nel cda della Triennale di Milano (indicato nell’ottobre 2023 da Mauro Mazza e dall’ex ministro Sangiuliano), consigliere comunale di Venezia con delega alla Cultura (nomina del sindaco leghista Brugnaro nel giugno 2023), nel comitato di coordinamento (per il Miur) della Società Dante Alighieri, nel comitato scientifico della Fondazione Italia-Usa, e presidente – ma in questo caso almeno la Fondazione è proprio sua – dell’Accademia Internazionale di Scienza della Bellezza.
Il professor Zecchi ha una dialettica decisamente positiva, tanto da candidarsi con Fratelli d’Italia alle ultime Regionali in Lombardia, presenziare ai 50 anni del Giornale (di cui è editorialista) con Meloni e La Russa, e partecipare a convegni sul merito nella scuola di Valditara. A novembre 2023, ad aprire i lavori non mancarono i saluti del capogruppo FdI alla Camera Tommaso Foti e di Fabio Roscani, il presidente di Gioventù nazionale, la cantera del partito di maggioranza accusata di neonazismo dopo l’inchiesta di Fanpage.
Nato politicamente con il liberalsocialista Brunetta con cui si candidò a Venezia nel 2000, l’espressione eternamente imbronciata, come a voler dire ‘che ci faccio qui con voi che non avete idea dell’ermeneutica’, il professor Zecchi nella destra post fascista ha un posticino tra Evola e Tolkien. Pare che nella sezione di Colle Oppio, dove la premier si è formata, circolasse un suo saggio del 1993, “Sillabario del nuovo millennio”. A Giorgia Meloni, premier, ha consigliato “Ippia maggiore” di Platone e “Cuore” di De Amicis. Sicuramente le invierà con dedica il suo romanzo storico religioso “Resurrezione”, appena uscito per Mondadori.
“Ho sempre guardato con un certo fastidio gli intellettuali che predicano bene e non si mettono mai alla prova”, rivelò quando corse per un seggio al Pirellone. Nei giorni caldi dell’affaire Sangiuliano-Boccia, non abbandona il ministro in difficoltà: “Ha tentato di rompere i santuari della sinistra”. Ma per una nuova egemonia culturale è ancora presto: “La destra deve ancora dimostrare di avere una classe dirigente”, il j’accuse. Sarà per questo che se c’è un incarico da affidare, chiamano sempre lui
(da agenzie)

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LA “PIÙ GRANDE” MOSTRA DEL FUTURISMO ALLA GALLERIA NAZIONALE È UN FLOP PRIMA ANCORA DI INIZIARE E L’INAUGURAZIONE SLITTA AL 2 DICEMBRE

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

FORSE GENNARO SANGIULIANO, CHE L’HA FORTEMENTE VOLUTA, NON SARÀ COSÌ DISPIACIUTO DI NON ESSERCI: BUDGET RIDOTTO, PRESTITI RITIRATI, CURATORI IN FUGA O COSTRETTI AL SILENZIO

-Con più di seicento opere, era stata annunciata circa un anno fa come la più grande rassegna mai vista dedicata al futurismo.
L’esposizione Il Tempo del futurismo, che aprirà i battenti alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 2 dicembre (la data ha subito uno slittamento), all’origine fu congegnata come un frutto della rivoluzione culturale di ottobre del governo di destra- centro, voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e dalla premier Giorgia Meloni.
Proprio perché avrebbe dovuto futuristicamente sorprendere, era stato ordinato al curatore, Gabriele Simongini, e ai membri del comitato scientifico: «Bocche cucite!»
Nessuno adesso ammette di aver parlato, però, sempre più di frequente, trapelano indiscrezioni. Gli esperti incaricati di disegnare il percorso della manifestazione hanno visto parecchie diserzioni.
Mentre ha dato le dimissioni una delle maggiori studiose e collezioniste del futurismo, Claudia Salaris, è entrato Osho, al secolo Federico Palmaroli, vignettista del quotidiano Il Tempo e amico della famiglia Meloni, il quale pare essere un grande appassionato di Depero, Palazzeschi & company.
Il budget è stato rifilato, così dal MoMA non arriverà nessuna tela, i collezionisti italiani stanno mandando poco e la direttrice della Gnam, Renata Cristina Mazzantini, frugherà negli scantinati del suo museo.
In una lettera al Giornale dell’arte, il curatore ha assicurato che ci sarà «un’attenzione alla matrice letteraria del movimento marinettiano che non ha precedenti in questi termini. Inoltre saranno esposti aerei, automobili, motociclette d’epoca e soprattutto strumenti scientifici »
Pochi quadri, molte carte e tanti oggetti, insomma. Le mostre sul futurismo, a partire da quella di alcuni anni fa curata da Germano Celant per la Fondazione Prada con oltre 800 documenti, sono state spesso così ben nutrite di opere che sul movimento letterario e artistico fondato 115 anni fa sembra esserci poco di nuovo da scoprire.
L’unicità de Il Tempo del futurismo l’aveva però anticipata Sangiuliano.
Nella prospettiva di Genny il futurista, come qualcuno ha soprannominato l’ex ministro, la mostra avrebbe dovuto rappresentare una rivisitazione della “identità italiana”. Il futurismo aveva in odio però proprio l’identità e si scagliava contro gli emblemi dell’italianità, prendendosela con gli scrittori passatisti, con Venezia e pure con la pastasciutta.
Il movimento ha poi influenzato, con i molteplici linguaggi – pittura, scultura, architettura, letteratura, musica, teatro, grafica pubblicitaria, fotografia, cinema, moda, arredo, editoria –, la nostra modernità, sfuggendo alla cancrena della detestata italica eredità.
Filippo Tommaso Marinetti, infine, di cui proprio il 2 dicembre ricorrono gli 80 anni dalla morte, nella sua formazione aveva assai poco dell’“identità italiana”: era nato ad Alessandria d’Egitto, aveva studiato dai gesuiti francesi e scriveva le poesie nella lingua di Mallarmé.
Adesso che Genny il futurista ha dato le dimissioni, le consegne della mostra voluta dal ministero di via del Collegio Romano vanno ad Alessandro Giuli che è stato presidente del Maxxi e che di arte moderna dovrebbe intendersi. Il nuovo ministro può uscire dal precedente tracciato, dalla riscoperta di questi artisti utilizzata come un randello ideologico, e può liberare i curatori dalla consegna del silenzio. Una mossa da governo libero e futurista, perché no?
(da agenzie)

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IL MINISTERO DELLA CULTURA HA PRESTATO ALLA FONDAZIONE DI MAURIZIO LUPI IL DIPINTO DI CARAVAGGIO “NARCISO”

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

LA PREZIOSA OPERA, IN ARRIVO DALLA GALLERIA NAZIONALE DI PALAZZO BARBERINI, SARÀ ESPOSTA NELLA CITTADINA DI MERATE, CUORE DEL COLLEGIO ELETTORALE DI LECCO, DOVE IL DEPUTATO MODERATO È STATO ELETTO“MAI ERA ACCADUTO CHE UN PRESTITO DI COSÌ ALTO LIVELLO VENISSE CONCESSO DA UN MUSEO PUBBLICO ALLA FONDAZIONE PRIVATA DI UN POLITICO, PERALTRO UN ESPONENTE DI SPICCO DI MAGGIORANZA

Evento eccezionale a Merate, cittadina brianzola di 15 mila abitanti dove sta per materializzarsi un dipinto del Caravaggio direttamente dalla galleria nazionale di Palazzo Barberini. Non al museo o alla galleria di Merate e neppure alla biblioteca. In effetti il comune di Merate proprio non l’ha chiesto, quel Caravaggio
Il “Narciso” attribuito a Caravaggio arriva nella cittadina brianzola perché il ministero della Cultura lo ha prestato a Maurizio Lupi, che lo porta nel cuore del suo collegio elettorale di Lecco, dove è stato eletto con il 54,80% dei voti. Lo fa tramite la sua fondazione “Costruiamo il futuro”, di cui è segretario l’ex vicesindaco di Merate, Giuseppe Procopio.
E il ministero è così orgoglioso di questo prestito che farà una conferenza stampa, con Lupi e il ministro, il 9 ottobre. Il comune di Merate invece, con la nuova giunta, si trova un Caravaggio da gestire, esposto (da solo) in una villa che non ha mai affrontato eventi simili.
I prestiti museali sono normali, ma di norma vengono fatti a istituzioni di pari livello, per mostre con finalità scientifica o motivazioni straordinarie. Vero è che la norma – scritta anche nei regolamenti ministeriali – negli ultimi anni in Italia è stata stracciata più volte per opere finite da sole al Vinitaly, allo stand di Bottega Veneta alla Milano Fashion Week o in aeroporti.
Mai era accaduto che un prestito di così alto livello venisse concesso da un museo pubblico alla fondazione privata di un politico, peraltro un esponente di spicco di maggioranza.
È proprio la fondazione di Lupi, nata del 2001, a “donare” il Caravaggio di Palazzo Barberini al Comune di Merate, per una sorta di ostensione che inizierà il 25 ottobre. Lo fa grazie a generosi sponsor – tra cui Intesa Sanpaolo, Sea, Pwc e altri – che solo nel 2024 hanno contribuito per oltre mezzo milione alle sue attività sociali e “mecenatistiche”
Palazzo Barberini, da qualche mese retto da un nuovo direttore museale alla prima esperienza, spiega così la scelta: “L’esposizione gratuita per un solo mese del Narciso in Lombardia contribuirà ad avvicinare le scuole e i giovani all’arte di Caravaggio”. “Costruiamo il futuro” ha versato alla Galleria un contributo per ottenere il prestito: 30.000 euro. Poi 33.500 per trasporto climabox e assicurazione, tutto a carico della Fondazione, con fornitori “tutti specializzati e qualificati nel trasporto di opere d’arte”. Costo tutto sommato limitato, per un Caravaggio, seppur d’attribuzione contesa
Palazzo Barberini assicura che la fondazione si occuperà anche dei costi di custodia ma il Comune di Merate da un mese a questa parte cerca disperatamente volontari per garantire la fruizione della mostra: il 6 settembre un appello alle associazioni del territorio, il 25 una call pubblica su social e i giornali.
Le condizioni di sicurezza non sono un tema irrilevante. Nel 2008 Villa Confalonieri era sede del Comune. La notte tra 11 e 12 agosto subì il furto di 33 beni tra cui un quadro che era parte dell’ornamento del palazzo. “Ma abbiamo fatto dei lavori su questo” assicurano dal comune ospitante.
Quello che non si può comprare è il senso scientifico della mostra. L’anno scorso, per dire, la Fondazione di Lupi si era fatta prestare un dipinto di Marco D’Oggiono dalla Pinacoteca Ambrosiana di Milano (privata), ritrovato dai carabinieri nel 2021 e appena restaurato, per esporlo proprio a Oggiono, con un collegamento sia con il dipinto sia con il territorio: Caravaggio invece è nato a Milano e ha vissuto parte della giovinezza nella Bergamasca
“L’idea di fondo è la valorizzazione delle connessioni tra le province, forze motrici di questo Paese, e i grandi centri culturali”, spiega la fondazione. Il “Narciso” quest’anno è già stato al Pompidou di Metz e l’anno prossimo sarà probabilmente esposto alla mostra “Rivoluzione Caravaggio” in occasione del Giubileo. Nel mezzo, una curiosa fermata a Merate.
(da Fatto Quotidiano)

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L’EX PROCURATRICE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE DELL’AJA: “ISRAELE IN LIBANO AGISCE FUORI DALLA LEGALITA’ INTERNAZIONALE E IN PIENA IMPUNITA'”

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

“FRUTTO DI DECENNI DI SILENZIO INTERNAZIONALE”… VIETATO CRITICARE UN GOVERNO CRIMINALE

“Bisogna isolare Israele fino a quando non si convincerà che, se vuole rimanere Stato, deve avere la dignità di Stato, quindi rispettare l’ordinamento giuridico internazionale”. Silvana Arbia è una giurista italiana che ha ricoperto importanti incarichi nelle istituzioni internazionali. È stata procuratore della Corte Penale Internazionale all’Aia e ha svolto un ruolo cruciale presso il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Oggi non ha dubbi: “Israele agisce fuori dalla legalità internazionale e in piena impunità”.
Quali limiti giuridici internazionali vincolano Israele nel contesto di questa invasione del Libano?
È necessario fare una premessa. Israele da tempo, ma soprattutto dopo il 7 ottobre, è uno Stato che si è posto completamente al di fuori del diritto internazionale. Non ci sono solo violazioni del diritto umanitario e crimini di guerra, ma anche un disprezzo delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu. Sono state emesse ordinanze con misure precise rispetto a quanto accade a Gaza, e Israele non le ha rispettate. Anzi, le reazioni sono state di totale disprezzo per gli organi internazionali. È un Paese che si è messo fuori dalla legalità, quindi è un fuorilegge.
Nel caso dell’attacco in Libano contro Hezbollah?
La motivazione che viene data è la necessità di proteggersi dalle minacce provenienti dal Nord. Tuttavia, questa difesa si concretizza in un’aggressione. Quando uno Stato bombarda un altro Stato o ne viola l’integrità territoriale, si parla di aggressione. Non esiste un quadro giuridico che giustifichi un’aggressione come legittima difesa. Ci sono altri mezzi, e l’uso della forza è vietato dal diritto internazionale consuetudinario. Esistono delle eccezioni, ma per esse è necessaria un’autorizzazione. Tutto questo è stato messo da parte.
Israele si pone al di sopra del diritto internazionale?
Sì, e non solo. Disprezza anche le Corti che richiamano lo Stato, come nel caso dei mandati di arresto, a rispettare le leggi che valgono per tutti gli altri. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono vincolanti, ma anche queste vengono disattese da Israele. È uno Stato che si sta danneggiando da solo, perché sta mettendo in discussione lo stato di diritto e, per questo, ha delle responsabilità.
Cosa pensa dell’immagine in cui si vede il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ordinare un bombardamento su Beirut dalla sede dell’Onu?
È un fatto che deve preoccuparci. Esplicita la complicità di altri Stati in ciò che Israele sta facendo. Finché gli vengono fornite armi e le sue azioni vengono giustificate, Israele si sentirà incoraggiato. Se ci sono Stati che mantengono un senso di responsabilità internazionale, dovrebbero far scattare un sistema di sanzioni economiche come è stato fatto, ad esempio, contro la Russia. Qui, invece, non ci sono sanzioni economiche, né embargo, né misure che possano scoraggiare Israele.
Israele lamenta di non poter agire diversamente, poiché è minacciato.
Anche Libano, Iran e Siria devono rispettare gli obblighi internazionali, soprattutto quelli consuetudinari. Quindi parliamo delle regole sull’uso della forza e del terrorismo. Il problema è la radicalizzazione della teoria israeliana che identifica in ogni libanese o palestinese un terrorista, una minaccia. Questa è un’idea di stampo genocidario.
Tutto parte dall’attacco di Hamas dello scorso anno?
Il 7 ottobre non è l’inizio. Considerarlo tale è un errore. Lì è cominciata una fase terminale di decenni di crisi profonda che la Comunità Internazionale non ha affrontato. Ci sono anni di impunità e complicità che durano fino a oggi. La prima conseguenza è che Israele è uno Stato fuorilegge e quindi, se vogliamo spingerci alle estreme conseguenze, non è neanche più uno Stato.
Ci sono casi simili nella storia recente?
Penso di no. Per l’accumulo di violazioni, abusi, arroganza e per il disconoscimento di ciò che può essere una ragionevole relazione tra Stati, credo che non ci siano precedenti.
(da Il Fatto Quotidiano)

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PERCHÉ MARINE LE PEN NON VOTA LA MOZIONE DI SFIDUCIA DELLA SINISTRA DI MELENCHON AL NEO GOVERNO DI MICHEL BARNIER? LA DUCIONA DI FRANCIA TIENE IN PIEDI IL GOVERNO VOLUTO DA MACRON PERCHE’ HA UNA FOTTUTA PAURA DI FINIRE IMPANATA E FRITTA NEL PROCESSO SUGLI ASSISTENTI PARLAMENTARI PAGATI DAL SUO PARTITO CON I FONDI EUROPEI

Ottobre 2nd, 2024 Riccardo Fucile

RISCHIA FINO A 10 ANNI DI CARCERE. E UNA VOLTA CONDANNATA, ADDIO AI SOGNI DI ELISEO. QUINDI: MEGLIO TENERSI BUONI I GIUDICI

Dopo l’insediamento del Governo di Michel Barnier, in Francia, le opposizioni di sinistra, guidate da Melenchon, hanno subito preparato una mozione di sfiducia per far cadere l’esecutivo voluto da Macron.
Il meccanismo parlamentare francese è diverso da quello italiano: il voto di fiducia non è indispensabile per l’insediamento di un Governo che può, sì, chiederlo, ma è tenuto a dimettersi se non ottiene poi la fiducia.
I governi che si reggono su maggioranze parlamentari traballanti, solitamente, evitano di chiedere il voto di fiducia e confidano di poter navigare a vista, nella speranza che le opposizioni non siano sufficientemente forti da trovare i numeri da far passare una mozione di sfiducia.
E qui torniamo a Melenchon: la sua iniziativa, teoricamente, avrebbe dovuto trovare un immediato consenso da parte di Marine Le Pen e il suo Rassemblement National. Invece la Duciona di Francia ha optato per un approccio “costruttivo”, affermando di voler prima capire quale sarà il programma economico del nuovo Governo.
In realtà, il traccheggiamento della Le Pen è strettamente legato al processo che la vede imputata, con altri 24 dirigenti del suo partito, sul cosiddetto caso degli assistenti parlamentari: è sospettata di aver utilizzato impropriamente i fondi del Parlamento europeo per pagare collaboratori che non lavoravano a Strasburgo ma a Parigi.
In questo processo, la figlia di Jean-Marie rischia l’ineleggibilità e fino a 10 anni di carcere
Tradotto: addio ai sogni di Eliseo. Per sua fortuna, i giudici che la dovranno giudicare non sono di sinistra ma di orientamento moderato. E Marine Le Pen, per salvarsi la pellaccia, ora è costretta a mantenere un profilo basso e filo-governativo.
Molti pensavano che fosse lei a tenere in scacco Macron dopo il buon risultato elettorale ottenuto alle europee. Vuoi vedere che è quel volpino di Emmanuel a tenere per la crocchia la valchiria francese…
(da agenzie)

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