Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
IL BLITZ SERALE SARA’ UTILE SOLO ALLA PROPAGANDA DI QUALCHE BEONE RAZZISTA, SIAMO DIVENTATI LA BARZELLETTA D’EUROPA PER DIFENDERE I CONFINI DEL RIDICOLO
In serata è arrivata la firma del provvedimento che porta a norma primaria l’indicazione dei paesi sicuri di provenienza dei migranti. Meloni compie la forzatura, nonostante i moniti e le sentenze dell’Ue. Ma non servirà a evitare il fallimento del piano di deportazione
Prima del Consiglio dei ministri è intervenuta una portavoce della Commissione europea per spiegare l’ovvio: «Tutte le misure devono essere conformi col diritto Ue e non devono indebolirlo».
Per poi aggiungere che sui paesi sicuri in cantiere c’è l’ipotesi di creare una lista Ue così da evitare altri casi Albania. Ma ribadendo che gli standard della protezione internazionale per i migranti sono forniti dal diritto europeo.
Un suggerimento che pare non essere giunto a palazzo Chigi, che ha preferito andare per la propria strada: in serata ha approvato il decreto legge che rende norma primaria l’indicazione dei paesi sicuri per il rimpatrio, e non più secondaria, come lo era il decreto del ministro degli Esteri, di concerto con quelli di Interno e Giustizia, con cui finora è stato annualmente aggiornato l’elenco. Nella lista sono compresi 19 paesi, prima erano 22: cancellati dagli stati sicuri Colombia, Camerun e Nigeria.
Restano l’Egitto, la Tunisia, il Bangladesh e molti altri che di sicuro hanno ben poco persino per il ministero degli Esteri (il sito “viaggiare sicuri” boccia 15 dei 19 Paesi indicati, giudicandoli non scuri…)
Il ministro umoristico della Giustizia Nordio non si smentisce mai e torna all’attacco sei suoi ex colleghi: «La sentenza della Corte europea non è stata ben compresa».
La forzatura, dunque, è compiuta. E spingerà l’asticella del conflitto istituzionale ancor più in alto. Perché sarà questa la conseguenza del decreto legge di risposta alle decisioni del tribunale di Roma di non convalida del trattenimento di 12 migranti nei centri di detenzione.
Un tentativo di porre rimedio a quella che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha definito «esondazione» giudiziaria, che altro non è se non l’applicazione in Italia di una sentenza della corte europea sui paesi sicuri di provenienza dei migranti.
La tensione è alta nel governo: il “modello” Albania vantato in Europa da Giorgia Meloni rischia di crollare ancor prima di entrare a regime. E se così fosse per l’esecutivo sarebbe un problema giustificare il dispendioso progetto: solo per la costruzione e la gestione delle struttura la spesa ha superato i 100 milioni, ma sfiorerà il miliardo nel corso degli anni. C’è chi, come parte dell’opposizione, ha sollevato la questione di un possibile danno erariale.
Insomma, una materia da giurisprudenza che potrebbe trasformarsi in approfondimento da Corte dei conti, come chiesto da parte dell’opposizione.
Il decreto Albania è una pezza cucita di istinto sul disastroso buco dei centri per migranti costruiti tra Shëngjin e Gjader in virtù del protocollo firmato da Meloni e il premier albanese Edi Rama.
Una pezza, peraltro, utile solo a infuocare lo scontro tra maggioranza e magistratura. Come ha spiegato il professore Vittorio Manes sul Corriere della Sera, «la sentenza della Corte di giustizia europea è vincolante».
Manes sul decreto del governo aggiornato periodicamente alle realtà politiche dei vari paesi d’origine dei migranti, dice: «Se la normativa interna si fonda sulle più accreditate fonti sovranazionali è una strada percorribile, in ogni caso il giudice, a cui la Corte di giustizia ha assegnato l’ultima parola, potrebbe ritenere quella elencazione non corretta o non puntualmente aggiornata e decidere diversamente se ha documentate ragioni per farlo».
Il decreto è, dunque, l’ultimo atto di propaganda con l’obiettivo di indicare ai propri elettori l’ennesimo nemico regista di un fantomatico complotto ordito dalla magistratura.
(da Editorialedomani)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
MELONI BOCCIATA IN POLITICA ECONOMICA DAL 60% DEGLI ITALIANI CONTRO IL 31%, IN POLITICA MIGRATORIA DAL 57% CONTRO IL 30%, IN POLITICA ESTERA DAL 49% CONTRO IL 38%
Secondo il sondaggio odierno di Youtrend per Sky TG24, rispetto a un mese fa, crolla il consenso per il governo Meloni: i favorevoli scendono del 5% toccando la quota di appena il 36%. I contrari salgono del 3%, raggiungendo quota 55%.
Non solo, Meloni bocciata dal 55% contro il 45% anche sulla deportazione dei migranti in Albania e sulle politiche migratorie dal 57% contro appena il 30% favorevole.
Giudizio negativo anche sulla politica estera dal 49% contro il 38% di favorevoli.
Un massacro il giudizio sulla politica economica del governo: bocciata dal 60% contro il 31% a favore.
Per quanto riguarda i partiti calano leggermente i primi due partiti, Fratelli d’Italia (28,2%, -0,2%) e Pd (23,2%, -0,3%). Alle loro spalle si avvicina il Movimento 5 Stelle (11%), che resta davanti a Forza Italia (9,8%) e Lega
Seguono AVS (7%) e i partiti dell’ex Terzo Polo, entrambi in discesa: Azione (3,2%, -0,5 punti) e Italia Viva (2,5%, -0,6).
(da Sky)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
E OGGI LA COMMISSIONE EUROPEA RIBADISCE: “L’ITALIA DEVE CONFORMARSI ALLE LEGGI EUROPEE”… PER EUROMEDIA DI GHISLERI CONTRARIO IL 43%, FAVOREVOLE SOLO IL 36%
Il progetto di trasferire i migranti in Albania non convince gli italiani. A rivelarlo sono due sondaggi – uno di Euromedia Research, l’altro di YouTrend – che, pur partendo da quesiti differenti, giungono a conclusioni molto simili.
In questi giorni, il tema dei migranti è nuovamente tornato al centro del dibattito dopo che il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei primi 12 richiedenti asilo trasferiti in Albania, aprendo uno scontro tra governo e magistratura.
La questione ruota tutta attorno al concetto di Paese sicuro. I giudici romani hanno applicato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui non esistono Paesi parzialmente sicuri, facendo prevalere le norme europee sul decreto interministeriale che stilava una lista di Stati idonei al rimpatrio dei migranti.
A tal proposito è intervenuta oggi anche la portavoce della Commissione europea per gli Affari interni, Anitta Hipper, per ricordare che le misure previste dall’accordo con Tirana devono essere conformi ai trattati europei. “Il protocollo Italia-Albania applica il diritto nazionale. Ma, naturalmente, si applicano anche gli standard stabiliti nella protezione e nelle procedure previste dal diritto dell’Ue”, ha spiegato. “Abbiamo anche detto che tutte queste misure che le autorità italiane stanno adottando devono essere pienamente conformi e non devono in alcun modo compromettere l’applicazione del diritto e dei trattati dell’Ue”, ha aggiunto.
Alla luce del clima di tensione che si è creato attorno all’accordo Roma-Tirana, vediamo qual è il giudizio degli italiani nei confronti del protocollo e perché agli elettori non piacciono i centri voluti dal governo Meloni.
Il 55% degli elettori è contrario ai Cpr in Albania: il sondaggio di Youtrend
Più della metà degli italiani boccia la costruzione dei centri per la permanenza e il rimpatrio dei migranti a Shengjin e Gjadër. Secondo il sondaggio di Youtrend per Sky Tg24 infatti, il 55% degli intervistati si è detto contrario al programma descritto dal protocollo Roma-Tirana che prevede il trasferimento in Albania dei richiedenti asilo soccorsi nel Mediterraneo. Il 45% invece, è risultato favorevole.
Tra chi si oppone, il 32% sostiene che si tratti di un progetto troppo costoso per le casse dello Stato, mentre il 23% ritiene che la deportazione dei migranti violi i diritti umani. Per quanto riguarda i favorevoli, il 20% approva i centri perché crede che così le procedure di asilo verranno gestite meglio, mentre il 20% è convinto che il progetto contribuirò a ridurre il numero degli stranieri che arrivano ogni anno in Italia.
Naturalmente le percentuali di favorevoli e contrari variano a seconda del loro posizionamento politico. Come ci si potrà immaginare, i picchi più alti tra chi approva i centri in Albania si registrano tra gli elettori del centrodestra: il 79% di chi vota Fratelli d’Italia è d’accordo, seguito dal 65% tra i sostenitori di Forza Italia e il 57% tra quelli della Lega.
Viceversa, nel centrosinistra l’opposizione è chiara. Tra gli elettori dem, l’82% disapprova i centri per il trasferimento, così pure tra chi vota il Movimento 5 Stelle, con il 69% contrario.
Sondaggio Euromedia, per 4 italiani su 10 i Cpr sono inutili e dispendiosi
Anche nel sondaggio realizzato da Euromedia Research, il giudizio che emerge nei confronti del modello messo a punto dal governo per la gestione del fenomeno migratorio non sembra premiare l’accordo tra Giorgia Meloni e Edi Rama.
In particolare, il 33,8% del campione intervistato considera l’operazione in sé dispendiosa, contro il 23,2% che la ritiene “necessaria e imprescindibile”. Per il 19,9% è sbagliata e inutile, mentre il 13% la ritiene interessante ma crede che alcuni aspetti andrebbero rivisti. Anche qui il giudizio varia di molto a seconda che gli intervistati siano vicini ai partiti di maggioranza o a quelli dell’opposizione.
Ancora, per il 30% degli italiani il progetto di trasferire i richiedenti asilo nei centri d’accoglienza allestiti in territorio albanese sarà “inutile, insufficiente, sola propaganda elettorale”. A questi si aggiungono coloro che credono che l’accordo sia scarso, circa il 19,3%. Tra coloro che lo approvano invece, il 14,3% lo considera un buon deterrente, mentre il 19,5% sostiene che sia “sufficiente” e “un primo inizio per pianificare qualcosa di nuovo e utile”.
In generale, il parere sul protocollo Italia-Albania è negativo con più di 5 italiani su 10 convinto che i centri non miglioreranno la gestione dell’immigrazione. I restanti sono divisi tra chi crede che porteranno risultati significativi (meno di 3 su 10) e chi non sa o non risponde (quasi 2 su 10).
(da Fanpage)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
“SI PRETENDE CHE I NOSTRI PROVVEDIMENTI SIANO IN LINEA CON L’AZIONE DI GOVERNO ANCHE QUANDO RISULTANO IN CONTRASTO CON IL DIRITTO. I MAGISTRATI SI FANNO DOVEROSAMENTE INTERPRETI DELLE DIRETTIVE EUROPEE. NORDIO DOVREBBE SAPERLO”
«Si pretende che i nostri provvedimenti siano in linea con l’azione di governo anche quando risultano in contrasto con il diritto». La vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati, Alessandra Maddalena, risponde da Città del Capo dove è riunita l’Associazione internazionale dei giudici. Interviene sul muro sollevato dalla maggioranza contro il tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento dei dodici migranti in Albania e precisa: «Noi non facciamo opposizione, facciamo solo il nostro mestiere».
Vicepresidente Maddalena, il ministro della Giustizia Carlo Nordio vuole aprire un’inchiesta sulle «esondazioni della magistratura», cosa vi aspettate?
«Il ministro ha sostenuto che nelle sue parole non c’era alcun riferimento ad azioni disciplinari eppure ha anche definito abnorme il provvedimento del tribunale di Roma e sa bene quali possano essere le conseguenze della abnormità sul piano disciplinare. Comunque non credo sia giusto parlare di attacco ai magistrati».
Di cosa si tratta invece?
«Qui si colpisce al cuore la giurisdizione. Si pretende che i nostri provvedimenti siano in linea con l’azione di governo anche quando risultano in contrasto con il diritto. Farlo significherebbe tradire la nostra funzione di tutela dei diritti e delle garanzie delle persone, di tutte le persone. Si vuole far credere ai cittadini che la magistratura agisca per ostacolare il bene della nazione. È un inganno».
La maggioranza vi accusa di fare politica. Lo scontro è molto duro, soprattutto legato ai provvedimenti di questo governo, si rischia di travalicare?
«La magistratura applica il diritto, nazionale e sovranazionale, senza fare distinzioni, anche quando non piace ad una parte della politica, a prescindere dallo schieramento a cui può appartenere».
Riguardo il caso Albania, secondo Nordio la definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura. Che ne pensa?
«Vorrei solo osservare che la Corte di giustizia europea ha chiaramente detto che non si può designare come sicuro uno Stato se non lo sia per la generalità delle persone. I magistrati si fanno doverosamente interpreti di tale indicazione e delle direttive europee. Facciamo semplicemente il nostro mestiere».
Dovete essere solo la «bocca della legge», come dice Nordio?
«Nordio dovrebbe sapere bene che non c’è legge che non richieda una interpretazione, a volte molto complessa, perché alla normativa nazionale, spesso poco chiara e disorganica, si aggiungono le disposizioni sovranazionali».
La mail di un esponente di Magistratura democratica, Marco Patarnello, ha fatto scoppiare un nuovo scontro tra governo e giudici. Ci vuole più prudenza?
«Nessuno ha scritto che bisogna porre rimedio alla presidente del Consiglio. E se lo avesse fatto sarebbe stato sbagliato. La magistratura non interviene nel dibattito politico, si limita a difendere la propria autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, che è un bene comune. Anche in alcuni passaggi della mail del collega ho colto queste considerazioni: dice chiaramente che non bisogna fare alcuna opposizione politica».
La separazione delle carriere, di cui avete parlato anche a Città del Capo, è un rischio concreto per la magistratura?
«È un rischio concreto per la giurisdizione, quindi per i cittadini.
(da La Repubblica)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
TUTTE LE GIRAVOLTE DELLA MELONI IN DUE ANNI DI GOVERNO
Due anni di inversioni di rotta da far girare la testa. Dal no all’austerità alla firma di un nuovo Patto di stabilità che richiede tagli sostanziali alla spesa pubblica. Dall’altolà alla “grande finanza speculativa” all’accoglienza a braccia aperte riservata al numero uno di Blackrock nella speranza che si compri qualche altro asset strategico (quelli che fino a settembre 2022 andavano protetti a tutti i costi da scorribande straniere). Dall’addio alla riforma Fornero ai piani per tenere al lavoro i funzionari pubblici anche oltre i 67 anni. Dall’abolizione delle accise all’aumento di quelle sul gasolio. Dal rifiuto della Bolkestein alla messa a gara delle spiagge entro il 2027. Sono solo le più macroscopiche giravolte di Giorgia Meloni nei 24 mesi trascorsi a Palazzo Chigi. Una metamorfosi in alcuni casi auspicabile, ma certo difficile da giustificare agli occhi degli elettori che il 25 settembre 2022 hanno fatto di Fratelli d’Italia il primo partito del Paese. E la trasformazione è ancora in corso: sono passate poche settimane, per dire, tra l’assicurazione che “la stagione dei bonus è finita” e il varo del bonus Natale da 100 euro per 1 milione di lavoratori dipendenti selezionati con criteri molto discutibili. Seguito dalla Carta per i nuovi nati inserita in manovra.
Sì all’austerità – “Basta austerità: le politiche imposte dall’Ue sono state un fallimento in Italia e in Europa”. Maggio 2019: in vista delle elezioni Europee di qualche giorno dopo Meloni chiede un “imponente piano di investimenti” da finanziare senza badare ai vincoli di finanza pubblica. A giugno spiega al governo Conte come muoversi per contestare la Commissione che minaccia un’infrazione per deficit eccessivo: “Bisogna andare a vedere il bluff. Andiamo in Europa a chiedere le risorse necessarie per uno choc fiscale e un piano serio di investimenti pubblici, che possa veramente rimettere in moto l’economia italiana”. Arrivata a Chigi il 23 ottobre 2022, la leader di FdI cambia registro. Con la prima legge di Bilancio fa salire il deficit/pil meno di quanto aveva fatto l’anno prima il governo Draghi. La spesa della pa e per gli investimenti cala. A fine 2023, durante le trattative sul nuovo Patto di stabilità, l’Italia accetta obtorto collo un accordo con paletti quasi identici a quelli previsti dalla versione precedente e, in cambio di un occhio di riguardo per gli esborsi legati agli interessi sul debito, ulteriori “salvaguardie” chieste dal fronte dei Paesi frugali. In aprile arriva il via libera definitivo. Per l’Italia le nuove regole si traducono in circa 13 miliardi di tagli o maggiori tasse all’anno di qui al 2031, sempre che otteniamo dalla Ue l’allungamento del piano a sette anni. Il Piano strutturale di bilancio approvato a fine settembre ufficializza il “percorso di aggiustamento”.
Archiviato l’addio alla Fornero – Il superamento della legge Fornero con Quota 41 (la pensione al raggiungimento dei 41 anni di contribuzione) era uno dei quindici punti della piattaforma comune di FdI, FI e Lega in vista delle elezioni. La promessa è stata clamorosamente tradita. Nella prima manovra ha trovato spazio solo Quota 103, cioè l’opzione di lasciare il lavoro con 41 anni di contributi versati ma solo una volta raggiunti i 62 anni di età. L’hanno chiesta in pochissimi, meno di 20mila persone, anche perché il ricalcolo contributivo comporta una penalizzazione sull’assegno. Anche l’anno dopo quota 41 è rimasta un miraggio e, accanto alla conferma del taglio delle indicizzazioni degli assegni oltre 4 volte il minimo, per risparmiare sono arrivati tagli pesanti alle pensioni di centinaia di migliaia di dipendenti pubblici. Vista la rivolta dei medici il governo ha deciso di salvaguardare almeno in parte solo quella categoria. Le uscite anticipate sono state scoraggiate allungando il periodo di attesa tra accettazione della domanda e arrivo della prima pensione e, nel caso dell’Ape sociale, alzando i requisiti di età. Opzione donna è stata limitata solo a caregiver, invalide civili e lavoratici licenziate o dipendenti di imprese in crisi. Ora la coalizione che voleva rottamare la Fornero si appresta a chiedere agli statali di restare in attività anche oltre i 67 anni.
Tappeto rosso alla “grande finanza” – “La Goldman Sachs dice di temere la nostra vittoria e fa bene perché non ci siamo consegnati e non daremo spazio alla finanza speculativa. La speculazione è uno strumento nelle mani dei poteri forti. Alla grande finanza speculativa conviene una classe politica che è pronta a svendere pezzi di Italia pur di mantenere saldamente la poltrona”. Mancano tre mesi alle elezioni politiche del settembre 2022. In comizio a Messina, la leader di FdI in versione underdog giura che in caso di sua vittoria i fondi di investimento non potranno più spadroneggiare comprandosi a piacimento asset nella Penisola. 30 settembre 2024: Palazzo Chigi annuncia l’incontro della premier con Larry Fink, presidente e ad del colosso Blackrock, che gestisce nel mondo attivi per quasi 10mila miliardi di dollari. Al centro del colloquio l’opportunità di investimenti in Italia “nel campo delle infrastrutture nazionali di trasporto e in altri settori di natura strategica“. Nel frattempo Tim, col via libera del governo, ha venduto la rete al fondo Usa Kkr (il Mef ha il 20% del capitale) e si appresta a pagare 2 miliardi l’anno per usare quella stessa infrastruttura. Nel 2020 alla Camera era passata una mozione di FdI stando alla quale la rete, essendo infrastruttura strategica, doveva essere di proprietà pubblica.
Aumento delle accise – “Quando voi fate 50 euro di benzina, 35 euro vanno allo Stato italiano tra Iva e le famose accise, ed è una vergogna. Noi non solo chiediamo che non aumentino, come previsto dalla manovra di questo governo, noi pretendiamo che progressivamente vengano abolite“. Il video, risalente al 2019, è ben noto. Meloni, seduta al posto di guida, chiede il pieno. Un uomo di nero vestito, dotato di valigetta con la scritta “fisco”, si porta via la maggior parte dei soldi che la leader di FdI porge al benzinaio. Segue l’invettiva contro l’imposta. Com’è andata a finire? La Meloni premier ha deciso di non prorogare gli sconti decisi dal governo Draghi quando il prezzo del carburante era salito alle stelle. Ora, nel Piano di bilancio, si impegna ad “allineare le aliquote delle accise per diesel e benzina“: la misura entrerà nel decreto fiscale collegato alla manovra. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato che gli autotrasportatori non saranno coinvolti. Per gli altri automobilisti si profilano maggiori costi per 1 miliardo: le accise sul gasolio (61,7 centesimi al litro) saliranno di qualche centesimo e quelle sulla benzina (72,8 centesimi) saranno tagliate di altrettanto, ma visto che i consumi di gasolio sono ben superiori a quelli di benzina l’erario ci guadagnerà.
Sì al “Grande fratello fiscale” – “Arriva il Grande fratello fiscale sotto il nome di “anagrafe dei conti correnti bancari”. Così lo Stato guardone saprà in tempo reale cosa compra e cosa fa ogni singolo cittadino con i suoi soldi”. Nel novembre 2018 Meloni è fuori di sé: il governo Conte vuole consentire anche alla Finanza di avere accesso automatico all’archivio che raccoglie saldo iniziale e finale, valori medi e movimentazioni di conti corrente e conti deposito. Non s’ha da fare. Nei suoi due anni da premier cosa è cambiato? Il governo ha adottato una linea improntata all’ambiguità. Da un lato ha varato una lunga serie di sanatorie e condoni – l’ultimo per spingere l’adesione al concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva – strizzando l’occhio a chi vede le tasse come “pizzo di Stato”, dall’altro ha lasciato procedere con il pilota automatico misure messe in campo dagli esecutivi precedenti. Tra cui il prezioso incrocio dei dati a disposizione del fisco, a partire appunto da quelli contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari, in vista di un utilizzo massivo che consenta grazie anche all’impiego dell’intelligenza artificiale di individuare i potenziali evasori. Tutti i documenti ufficiali del governo confermano l’intenzione di proseguire su quella linea.
Risale l’Iva sui pannolini – L’ampliamento della platea dei beni con Iva ridotta, “in particolare con riferimento al carrello della spesa e ai prodotti per l’infanzia”, era nel programma di Fratelli d’Italia. Con la prima manovra il governo Meloni ha in effetti ridotto al 5% l’imposta su alcuni prodotti per l’infanzia e per la cura della persona, come i pannolini. Ma è stato un flop: le aziende hanno aumentato i prezzi e il beneficio per i consumatori si è azzerato. Nel 2024 lo sconto sui seggiolini auto è stato revocato tout court e l’Iva su pannolini, latte in polvere e tamponi è stata portata dal 5 al 10%.
Nuovi cambi in corsa sul Superbonus – “FdI è intervenuta chiedendo che non si cambiassero le regole in corsa e per sbloccare il mercato dei crediti incagliati e favorire la ripresa dei lavori nei cantieri. Ma intende andare oltre per tutelare i cosiddetti esodati del Superbonus, imprese e cittadini rimasti prigionieri delle frequenti modifiche normative”. Così parla Meloni in un video registrato il 17 settembre 2022. Poi il centrodestra – che dall’opposizione ha sempre votato a favore della proroghe della misura – va al governo e fa partire un nuovo valzer di modifiche senza preavviso. Tempo pochi mesi arriva lo stop totale a sconti in fattura e cessione dei crediti, oltre al divieto per gli enti pubblici di comprare quelli già sul mercato: molti proprietari si ritrovano nel limbo dopo aver investito i propri risparmi. A fine 2023, dopo le proteste, arriva una parziale correzione (il credito d’imposta viene riconosciuto per tutti i lavori realizzati e asseverati al 31 dicembre). Nel marzo 2024 vengono eliminate tutte le eccezioni che – per scelta dello stesso governo – consentivano ancora ad alcune categorie di godere degli sconti in fattura o della cessione del credito. Non senza ulteriori ripensamenti (vedi il caso Sismabonus). A maggio arriva anche l’obbligo in parte retroattivo di spalmare i crediti su 10 anni, decisione che spacca la maggioranza.
Sì alla messa a gara delle concessioni balneari – “Chiediamo un intervento immediato con i Comuni affinché attuino l’estensione delle concessioni al 2033 già prevista per legge e un’azione in sede Ue per escludere i balneari dalla Bolkestein: ora o mai più”. Nella primavera 2020 Meloni non aveva dubbi: occorreva agire subito per dare certezze alla lobby dei titolari degli stabilimenti e salvarli dalla messa a gara chiesta dalla Ue. Avanti veloce a settembre 2024, dopo due anni di melina tra tentativi di rinviare l’apertura alla concorrenza, inutili negoziati con Bruxelles e bocciature da parte di Consiglio di Stato e Commissione Ue. La realtà prende il posto degli slogan. In cdm arriva una norma che sancisce la necessità delle gare – da avviare entro il giugno 2027, ma con facoltà per gli enti locali di procedere prima – e prevede sì degli indennizzi per il concessionario uscente ma non pari all’intero valore aziendale. Il voltafaccia fa infuriare la categoria, storico bacino elettorale delle destre. Il commento pubblicato il 6 settembre dalla testata di riferimento, Mondobalneare, è indicativo. Titolo: “I balneari scaricati dal governo amico, che regala altri due anni di agonia”.
Aumentano le rendite catastali – “Noi stiamo facendo una battaglia a 360 gradi contro la riforma del catasto. Se vuoi aumentare le tasse lo devi dire, e ti assumi le responsabilità di quello che stai facendo”. Maggio 2022: Meloni saluta con favore il fatto che nelle trattative sulla delega fiscale la Lega, parte della maggioranza che sostiene Draghi, abbia ottenuto a suo dire di “sventare una patrimoniale mascherata” sulla casa. È una vittoria di facciata ma poco importa visto che a fine luglio Draghi lascia. Il governo Meloni si fa la sua delega, in cui la riforma del catasto non entra. Nella legge di Bilancio per il 2024 entra però la previsione che l‘Agenzia delle Entrate dovrà verificare “sulla base di specifiche liste selettive” se i proprietari di case ristrutturate grazie al Superbonus hanno notificato la variazione dell’inquadramento catastale. Giorgetti, audito in Parlamento sul Piano strutturale di bilancio, ripete il concetto spiegando che si andrà a “verificare” – come già previsto – se gli aggiornamenti sono stati fatti. Perché, evidentemente, finora non è successo. Il risultato è che – doverosamente – chi ha fatto lavori importanti godendo di maxi detrazioni fiscali vedrà salire la rendita su cui vengono calcolate l’Imu sulle seconde case, l’imposta di registro e l’imposta sulle successioni.
Stop alle esenzioni per i giovani che comprano casa – Restando in tema di mattone, il programma elettorale di FdI prevedeva “zero tasse sui primi 100mila euro per l’acquisto della prima casa”. La legge di Bilancio per il 2024 ha ridotto le agevolazioni fiscali per i giovani under 36 che comprano un immobile e hanno Isee sotto i 40mila euro: gli atti sottoscritti dallo scorso gennaio non godono più dell’esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale per gli atti di acquisto, del credito di imposta Iva e dell’esenzione dall’imposta sostitutiva per i mutui.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
LE DICHIARAZIONI DEL BOSS SCOPERCHIANO IL RAPPORTO TRA CRIMINALITA’ E POLITICA
Il sindaco di Poggiomarino (Napoli) Maurizio Falanga e il vicesindaco Luigi Belcuore sono stati arrestati oggi, lunedì 21 ottobre, nell’ambito di una inchiesta della procura di Napoli per voto di scambio politico-mafioso. Arrestato anche Franco Carillo, ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia intermediario tra la politica e il boss di camorra Rosario Giugliano, dal giugno 2023 collaboratore di giustizia.
Perché sono scattati gli arresti? Sotto indagine sono le Elezioni Amministrative del 20 e 21 settembre 2020, parliamo di quattro anni fa. Secondo l’accusa – che i coinvolti potranno contestare nella loro linea di difesa – il clan Giugliano si sarebbe adoperato per far eleggere sindaco Falanga «esautorando potenziali candidati» avversari, facendo confluire i voti degli affiliati e imponendo «sulla cittadinanza locale delle condizioni d’intimidazione e di assoggettamento». In cambio di cosa? Affidamento di appalti pubblici, in particolare metanizzazione, ristrutturazione e gestione del cimitero.
L’imprenditore Carillo, che aveva fatto anche candidare la sorella, invece, avrebbe ricoperto il ruolo di raccordo tra la politica e il boss Rosario Giugliano, all’epoca dei fatti appena scarcerato. I carabinieri hanno documentato dai carabinieri incontri fra Carillo e il boss in regime di libertà vigilata). Per il giudice e Dda «fungendo da emissario per conto del sindaco Falanga e del vice Belcuore».
Il sindaco Maurizio Falanga, eletto col centrodestra
Maurizio Falanga, 50 anni, avvocato, già consigliere comunale dal 2016 al 2020, è stato eletto sindaco di Poggiomarino in una coalizione di centrodestra (Rialziamo la Testa, Cambiamo Insieme, Fare civico) con Fratelli d’Italia, Forza Italia e Unione di Centro. Aveva tenuto le deleghe relative a: Politiche Energetiche, Igiene della Città, Politiche Ambientali, Ecologia, Servizi Informativi, Innovazione Tecnologica, Finanziamenti Europei e Pnrr.
Secondo il boss collaboratore di giustizia Giugliano era però la camorra a controllare l’Amministrazione poggiomarinese. L’esponente del clan riferisce di due incontri con l’allora candidato sindaco, in occasione della tornata elettorale del 20 e 21 settembre 2020, in cui si parlò del Piano degli insediamenti produttivi a Poggiomarino, nonché dal progetto di riqualificazione del cimitero. Rosario Giugliano rivela ai carabinieri anche di essere intervenuto «in prima persona…» per far desistere gli altri candidati avversari e spianare la strada a colui che poi effettivamente divenne sindaco.
Il ruolo di Belcuore, vicesindaco con delega ai Lavori pubblici
«Finalmente sei diventato il sindaco di tutti noi! Il “Cittadino tra i cittadini”». Così scrive Belcuore sui social nel 2020 parlando del neoeletto sindaco Falanga. Luigi Belcuore, 34 anni, militare dell’Esercito Italiano, laurea in Economia Aziendale, esponente di Fratelli d’Italia è oggi agli arresti domiciliari.
Anche lui, secondo i carabinieri, venne eletto ottenne la carica di vicesindaco di Poggiomarino, con delega ai Lavori pubblici e al Cimitero grazie alla camorra. Facendo anche in modo di far confluire alcuni appalti alla ditta di famiglia, questa è l’accusa.
Il collaboratore di giustizia Giugliano agli inquirenti dichiara che inizialmente avrebbe preferito Franco Carillo come assessore ai Lavori pubblici per portare avanti i suoi interessi, ma che quest’ultimo rifiutò per il pericolo di esporsi. Dunque Carillo, questo è il racconto, suggerì il nome di Luigi Belcuore. Quest’ultimo trattò per ottenere anche la carica di vice sindaco che puntualmente gli fu accordata.
La reazione di Annunziata (Pd) che fu sconfitto alle Elezioni dal sindaco Falanga oggi arrestato
Il sindaco Falanga vinse al primo turno la tornata amministrativa del settembre 2020 alla guida di una coalizione di centrodestra, ottenendo il 57,93% dei consensi contro il 42,07 del candidato di centrosinistra, Giuseppe Annunziata, esponente del Partito Demoratico. A quattro anni dai fatti, con il bubbone giudiziario esploso oggi, parla Annunziata, attuale segretario metropolitano del Pd: «Gli arresti di oggi segnano una svolta drammatica nella storia politica di Poggiomarino. L’inchiesta che ha portato all’arresto del sindaco Falanga e del suo vice si basa su gravi accuse di voto di scambio politico-mafioso, mettendo in luce una presunta connivenza tra politica e criminalità organizzata. Le rivelazioni del boss pentito, Rosario Giugliano, erano già un campanello d’allarme inquietante»
«Le sue dichiarazioni, risalenti a dicembre scorso, paventavano accordi tra politica locale e clan, accordi che come Partito Democratico avevamo già denunciato, grazie all’europarlamentare Sandro Ruotolo e alle interrogazioni parlamentari presentate da Marco Sarracino e Arturo Scotto – conclude Annunziata -. Con gli arresti di oggi la magistratura arriva prima del Governo. Per Poggiomarino, questa è una brutta pagina della sua storia politica e amministrativa. Nemmeno durante i periodi più difficili della guerra di camorra si era giunti ad arrestare i vertici amministrativi locali».
(da Fanpage)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
“NON SIAMO COLTI COME LEI, MA ABBIAMO LETTO ARBASINO. RICORDA? PRIMA GIOVANI PROMESSE, POI SOLITI STRONZI E INFINE VENERATI MAESTRI. CI VIENE IL SOSPETTO CHE LEI NON SIA PIÙ UNA GIOVANE PROMESSA. E, NONOSTANTE LA INFOSFERA, FATICHI A DIVENTARE VENERATO MAESTRO…”
Caro ministro Giuli, le scrivo per dissociarmi da coloro che la prendono in giro per il suo linguaggio forbito: il problema […] non è che non si capisce una mazza di quel che dice. Il problema è che non si capisce una mazza di quel che fa. Perché, per dire, ha rimosso il capo di gabinetto, Francesco Gilioli persona stimata nonché fresco di nomina a commendatore?
Quali sono i «fatti gravissimi» di cui si sarebbe macchiato? E perché al suo posto ha nominato Francesco Spano, militante dem e Lgbtq, già beccato con le mani nella marmellata a finanziare con soldi pubblici associazioni gay per il sesso a pagamento? Perché ha scelto uno di cui Giorgia Meloni chiedeva la defenestrazione?
Sia chiaro: quando parla lei fa ridere. Ma temo sia la sua parte migliore. L’infosfera globale infatti si può anche spiegare. Ciò che è difficile spiegare è altro: perché Spano, che era da licenziare in tronco, adesso diventa suo capo di gabinetto? Perché uno che finanziava il sesso on line Lgbtq merita di essere premiato, nonostante 15.000 firme di Pro Vita che chiedono il contrario?
E perché il suo ex capo di gabinetto Gilioli viene rimosso, ma non licenziato? Se quest’ultimo ha commesso «fatti gravissimi» […] non dovremmo sapere quali sono? E non dovremmo evitare che li commetta ancora, passando ad altri uffici?
Che ci vuol fare, caro Giuli? Noi non suoniamo il flauto di Pan nei campi, non pratichiamo il paganesimo, non abbiamo il culto del lupo, non abbiamo mai definito il Fronte della Gioventù «mammolette», non abbiamo nonni che hanno fatto la marcia su Roma e non abbiamo scritto libri su Gramsci, tanto meno presentati da Sabrina Ferilli.
E non siamo neppure dandy come lei, né collezionisti di sigari, non siamo così eleganti e forbiti da conquistare Lilli Gruber e i salotti chic. Amiamo la centralità del pensiero solare, certo, ma ameremmo ancor di più capire che cosa vuol fare, oltre che occupare la poltrona sempre con la giusta mise.
Per esempio: i 175 milioni di tagli al ministero della Cultura. Dove prenderà quei soldi? «Non ci saranno salassi», ha detto. E questo mi pare più criptico dell’ontologia intonata alla rivoluzione permanente.
A differenza sua, siamo abituati a parlare chiaro. E quindi le chiediamo: davvero sarà in grado di gestire quel ministero meglio di Sangiuliano? Il dubbio è lecito: quando le hanno affidato qualche programma in Rai, non ha avuto gran successo (ne ricordo uno chiuso per disperazione alla seconda puntata, roba da far invidia a Monteleone).
E quando le hanno affidato il museo Maxxi ha lasciato dietro di sé un calo dei biglietti del 30%. Ora farà sicuramente meglio, visto che peggio è impossibile: ma ci spiega come? Perché vede, noi non siamo colti come lei, però abbiamo letto Arbasino. Ricorda? Prima giovani promesse, poi soliti stronzi e infine venerati maestri. E a noi viene il sospetto che lei non sia più una giovane promessa. E, nonostante la infosfera, fatichi a diventare venerato maestro….
Mario Giordano
per “La Verità”
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
VOLEVA “FARE LA STORIA” E RIFARE L’ITALIA, INVECE VIVACCHIA E DIFFIDA DEI SUOI… E ALLA TERZA MANOVRA SENZA SOLDI ED IDEE RISCHIA ANCHE LEI
Palazzo Chigi come un fortino assediato. E lei, da sola, rinchiusa nel suo bunker. Sospettosa, stanca, a volte furiosa. Con gli alleati e i fedelissimi di un tempo. Di cui ormai non si fida più. Uno sceneggiatore scriverebbe così il copione dei primi due anni del governo di Giorgia Meloni. Settecentotrenta giorni passati, in buona parte, in difesa. Dai suoi ministri gaffeur che, se potesse, cambierebbe il prima possibile ai “fratelli” d’Italia che, a suo dire, non hanno “capito la responsabilità di governare”. Quelli che, per utilizzare il suo linguaggio nelle chat di partito, sono “infami” che prima o poi la costringeranno a “mollare”. E quindi: c’è l’ex cognato “Lollo” che fa fermare un treno a Ciampino, il presidente del Senato Ignazio La Russa che non tiene mai la bocca chiusa, Guido Crosetto che denuncia complotti dei Servizi, Sangiuliano costretto a dimettersi per una (non) consulenza all’amante fino a Daniela Santanchè, in bilico per due indagini per falso in bilancio e truffa. Per non parlare di Sgarbi, Montaruli (entrambi silurati), il caso Delmastro-Donzelli e la new entry Giuli, che si è fatto notare per supercazzole e un repulisti al ministero non gradito a Chigi.
Gli alleati, Salvini e Tajani, non sono da meno. Il leghista prova a coprire la sua destra rubandole alleati ed estremisti: da Vannacci a Orban, ormai il “patriota” è lui. Il ministro degli Esteri invece ha intrapreso la strada del centrista piantagrane: Ius Scholae, carceri, banche. Ma non è lui il protagonista: dietro Tajani c’è l’ombra dei Berlusconi, ormai in rotta col governo e con ambizioni politiche. Per arrivare a fine legislatura Meloni ha scommesso tutto sulle riforme: premierato, autonomia e separazione delle carriere. Se anche una di queste verrà meno, il castello di carte crollerà. Sperando, nel frattempo, che i consensi, ancora alti, non inizino a scendere dopo la terza legge di Bilancio senza una lira. Prima o poi qualcuno potrebbe accorgersene.
Esteri Nessuna iniziativa, solo fedele esecutrice di politiche Usa
Dice Giorgia: “Abbiamo ridato all’Italia il posto che le spetta nel mondo”. Le è bastato un vertice G7 ben organizzato per una sentenza così roboante. In realtà Meloni non fa altro che gestire il ruolo che l’Italia ha già: fedele esecutrice della politica estera Usa, scarsa iniziativa in Europa, poca o nulla incidenza nel resto del mondo. Il colpo che le è riuscito, come a tutti i presidenti da De Gasperi in poi, è stato farsi benvolere da Joe Biden. Poi, il copione è stato sempre lo stesso: nessuna iniziativa sull’Ucraina, sul Medioriente, sceneggiata sulla Cina, dove gli strali contro il Memorandum di Conte sono stati sostituiti da una Partnership strategica. In politica estera l’Italia resta un attore muto, nonostante le potenzialità nel Mediterraneo. Dove l’unica iniziativa è stata quella di firmare accordi di rimpatrio con regimi come quello di Tunisi. Mentre il piano Mattei è soprattutto una patina ideologica. Poca roba.
Economia Tagli e condoni, si torna alla stagione dell’asfissia fiscale
“Stiamo con i mercati rionali, non con quelli finanziari”, diceva nel 2017. Era la poesia dell’opposizione. Nella prosa di governo Meloni ha riportato l’Italia nella stagione dell’austerità già sperimentata dopo il 2011, interrotta solo dal Covid; ha accettato il nuovo Patto di stabilità impegnandosi a una stretta fiscale da 13 miliardi l’anno fino al 2031 (in manovra ci sono tagli per 7 miliardi ai ministeri e 5 a Comuni e Regioni). Da due anni la politica economica si riduce, in sostanza, alla proroga del taglio del cuneo fiscale (in buona parte ereditato da Draghi) e del mini taglio Irpef. Aumenti miseri alla sanità, sulle pensioni inasprita la Fornero, sul fisco una dozzina di sanatorie, uno scudo penale, meno sanzioni a chi evade e il mega condono del concordato biennale alle partite Iva. Mentre la crescita langue l’immagine del disarmo resterà la tassa su banche e assicurazioni trasformata in un prestito temporaneo.
Giustizia La rivincita dell’impunità, meno reati e bavaglio ai cronisti
Riforme della Giustizia sotto il segno dell’impunità: cancellazione dell’abuso d’ufficio e svuotamento del traffico d’influenze; interrogativo preventivo a chi è a rischio arresto: già trafficanti a piede libero e testimoni degli “arrestandi” minacciati. Sono stati cancellati dall’elenco dei reati ostativi ai benefici carcerari i reati corruttivi, persino associativi. Inoltre, l’ostativo non più assoluto ma relativo (per le pronunce della Consulta) permette a mafiosi detenuti (non al 41 bis) di poter accedere ai benefici anche se non collaborano e con meno paletti rispetto ai pentiti: per loro né ravvedimento né verifica su eventuali menzogne in merito al patrimonio. Bavaglio extralarge per i giornalisti: vietato pubblicare intercettazioni e ordinanze di custodia cautelare, maggioranza e renziani vogliono dal governo anche la censura di molti altri atti pubblici e multe salatissime non solo per i cronisti ma anche per gli editori.
Infrastrutture 15 mld al ponte mentre le ferrovie sono nel caos
La battuta sul governo che dimostra di non essere fascista facendo arrivare in ritardo i treni illumina il disastro a cui si assiste da un paio d’anni. Sotto la spinta di Matteo Salvini il governo ha resuscitato il ponte sullo Stretto di Messina, un regalo osceno al costruttore Webuild, monopolista degli appalti pubblici, censurato pure dall’Anac. L’esecutivo rischia di passare alla storia per aver impegnato 15 miliardi in una maxi opera irrealizzabile mentre fatica rimborsare gli alluvionati dell’Emilia-Romagna e il sistema ferroviario è nel caos e non si vede una soluzione. Salvini s’è ridotto a incolpare in tv l’errore (un “chiodo”) di un singolo per l’ennesima giornata di ritardi e paralisi in mezza Italia. La realtà è quella di una rete ingolfata con i ritardi ormai quotidiani, mentre il Pnrr impegna miliardi in nuove tratte e la manutenzione di Rfi è appaltata all’esterno con i risultati (e le tragedie) sotto gli occhi di tutti.
Immigrazione Stretta sull’asilo, sberle in tribunale e il caso Tirana
L’operazione coloniale dei centri in Albania è arrivata al momento della verità: non sarà risolutiva ma sull’immagine il governo si gioca tutto. Per il resto, abbandonata l’idea dei porti chiusi, il governo ha fatto la guerra alle Ong del soccorso in mare e arretrato il più possibile Guardia Costiera e Finanza (si è visto a Cutro, febbraio 2023: 94 morti sotto costa), affidandosi a libici e tunisini. Ha stretto le maglie dell’asilo rimediando sberloni nei tribunali, non ha semplificato gli ingressi legali dei lavoratori richiesti dalle imprese, ha congelato le pratiche di cittadinanza e ha prodotto norme criminogene come l’ultima che nega il telefonino a chi non ha il permesso di soggiorno. Così, oltre all’esercito degli irregolari, crescerà pure il mercato nero delle sim. Certo, i 54 mila sbarchi del 2024 non arriveranno ai 158 mila del 2023 (+50% sul 2022), ma le dinamiche generali pesano più delle politiche italiane.
Sanità Ritardi e molta propaganda: senza risorse, l’agonia prosegue
La crisi del Servizio sanitario nazionale è figlia di anni di tagli e degli appetiti dei privati che affondano nel ventre molle delle Regioni. Ad invertire la rotta non poteva essere un tecnico come l’ex rettore di Tor Vergata Orazio Schillaci, ben referenziato ma senza peso politico. Così le risorse sono quelle che sono: meno di un miliardo in più per il 2025, i tre miliardi chiesti dal ministro sono rimandati se va bene al 2026. Si attendono le promesse assunzioni, ma molti medici preferiscono il privato e gli infermieri li cerchiamo all’estero. Dopo molti spot è ancora atteso l’intervento sulle liste d’attesa, aumenta solo la spesa sanitaria privata delle famiglie. I pronto soccorso esplodono, la riforma della medicina territoriale è su un binario morto. Inseguono le emergenze: lo dimostrano ritardi e confusione sull’anticorpo contro il virus sinciziale dei bimbi piccoli; se va dato a tutti hanno perso tempo, ma in ogni caso sarà un affare per il produttore Sanofi.
Cultura Bufera sul tax credit e sui disastri Rai
Molte ombre e poche luci. L’ex ministro Sangiuliano ha riformato il ministero eliminando il dg e accorpando dipartimenti, accentrando potere e togliendo autonomia ai musei. E proprio le nomine in alcuni musei sono state accusate di rispondere alla vicinanza politica più che ai curricula. Proteste poi per la riforma del tax credit, il sistema di crediti d’imposta e agevolazioni fiscali introdotte da Franceschini per i film. Per Sangiuliano, con le risorse a pioggia troppe pellicole sovvenzionate. Grande successo, invece, per l’apertura dei musei nei festivi. Poi il “caso Boccia”, l’addio imposto a “Genny” e l’arrivo di Giuli. Cultura vuol dire anche Rai: che, dopo la fuga di diversi “campioni”, colleziona flop
Scuola/Università Niente alloggi, flop made in Italy
Si attendevano decine di migliaia di nuovi posti letto per gli universitari. Ma dopo un anno non ci sono ancora. Nel frattempo la ministra dell’Università Bernini sta facendo un regalone alle telematiche: studenti raddoppiati e il minimo di lezioni in presenza al 15%. Il collega dell’Istruzione, Valditara, è stato invece deferito alla Corte Ue per l’eccesso di precari. Dice di aver alzato gli stipendi degli insegnanti del 17%, per i sindacati è per lo più taglio del cuneo. E poi: il Liceo del made in Italy non decolla, la riforma dell’istruzione tecnica porta le aziende in cattedra, alle medie torna il voto in condotta. Almeno abbiamo pene più severe per le aggessioni agli insegnanti e lo stop ai cellulari in classe.
Europa Asse con Ursula anche senza votarla: l’Ue a destra fa felice Chig
Sull’Unione europea il governo Meloni ha giocato a carte coperte, ma per poco. Alla fiera impostazione sovranista degli inizi è seguito l’adattamento, obbligato dalle regole monetarie, e un lavorìo di convergenza con la presidente della Commissione e con il suo partito di riferimento, il Ppe. Così Meloni ha potuto votare contro Ursula e ottenere una vicepresidenza esecutiva per Fitto. Il centrodestra italiano si adegua ai diktat, si pensi al Patto di stabilità, ma il quadro europeo si sposta a destra, basta guardare al consenso progressivo che raccoglie la politica anti-immigrati italiana. Anche lo spostamento a destra del governo francese aiuterà.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 21st, 2024 Riccardo Fucile
LE VOCI SONO PASSATE DALLE 513 DEL 2018 ALLE 625 DEL 2024, CON UN MANCATO GETTITO PER LO STATO CRESCIUTO DA 54 A 105 MILIARDI… GABANELLI: “NEGLI ANNI I GOVERNI HANNO INFILATO DI TUTTO DENTRO ALLE AGEVOLAZIONI. SPESSO PER FAVORIRE GRUPPI DI INTERESSE”
Sulle agevolazioni fiscali non ci batte nessuno: in gergo tecnico le voci che permettono di pagare meno tasse si chiamano «spese fiscali». Il loro numero è di 625. Il più elevato tra i Paesi Ocse. Ben 207 riguardano l’Irpef sulle persone fisiche, 110 l’Ires per le imprese, 76 l’Iva, 64 le imposte di registro, bollo e catasto, 63 i crediti di imposta, 35 le accise su energia elettrica, carburanti, alcolici, tabacchi, 34 l’imposta sostitutiva, 14 le donazioni e successioni, e infine 22 che riguardano qualunque cosa.
Il minor gettito per lo Stato nel 2024 è di 105 miliardi (su 648 di entrate tributarie previste nel recente Piano strutturale di bilancio). Con l’aiuto degli economisti Leonzio Rizzo e di Riccardo Secomandi dell’Università di Ferrara entriamo nel dettaglio
Le esenzioni
Le esenzioni escludono in partenza alcuni redditi dall’imponibile su cui dobbiamo pagare le imposte. Per esempio i lavoratori altamente qualificati, e da almeno 3 anni residenti all’estero, che si impegnano a trasferirsi in Italia per 5 anni, possono abbattere del 50% la loro busta paga (con il limite di 600mila euro). Solo questa misura vale 1,3 miliardi all’anno.
Poi ci sono le esenzioni per l’assegno unico (5,5 miliardi); le pensioni reversibili e le minime (3,5 miliardi); l’assegno familiare (700 milioni). Vanno ad aggiungersi altre 93 voci di piccola taglia che fanno arrivare il minor gettito per lo Stato a 17,6 miliardi.
Le deduzioni
Invece le deduzioni abbassano il reddito imponibile su cui applicare l’aliquota per l’imposta da pagare. L’elenco è piuttosto lungo: si deduce la rendita catastale dell’abitazione principale (3,6 miliardi di euro); i contributi versati alle forme di previdenza complementari (2,6 miliardi); le spese mediche in caso di disabilità, i contributi per colf, baby sitter e badanti (510 milioni di euro); i contributi ai fondi sanitari integrativi fino a un massimo di euro 3.615,20 (720 milioni); gli assegni di mantenimento dell’ex coniuge (260 milioni). E sono previste altre 11 piccole deduzioni Irpef per 110 milioni di euro.
Lo Stato sta pagando poi ancora il conto delle deduzioni delle imprese che, fino al 31 dicembre 2019, potevano abbattere la base imponibile Ires togliendo il costo per l’acquisto dei macchinari e di altri beni. La spesa da portare in deduzione poteva essere aumentata dal 40 al 150% rispetto a quella sostenuta.
Le detrazioni
Una volta definito l’imponibile, si calcola l’imposta lorda, dalla quale vanno sottratte le detrazioni. Le più comuni sono quelle per i cosiddetti «oneri personali», che permettono di togliere dall’Irpef il 19% delle spese sanitarie (4 miliardi), degli interessi passivi sul mutuo (910 milioni), dei costi per l’istruzione (610 milioni), dei premi assicurativi per morte o invalidità permanente (270 milioni), delle spese funebri (160 milioni); poi da 150 a 300 euro di affitto per determinate soglie di reddito (350 milioni); e le indennità di fine rapporto di importo minimo (210 milioni). Si aggiungono altre 27 detrazioni per 490 milioni di euro.
Il grosso riguarda i bonus edilizi che da soli valgono 41,1 miliardi di mancate entrate. Si va dalle ristrutturazioni alla riqualificazione energetica, dal rifacimento delle facciate fino al Superbonus del 110%. Sulle ultime due voci ci sono stati dei cambiamenti: il bonus facciata è stato eliminato, e il Superbonus è stato ridotto al 70%, ma anche in questo caso il loro effetto sulle casse dello Stato è destinato a continuare per qualche anno.
Buona parte di queste detrazioni sono state cedute come crediti di imposta a imprese e banche: vuol dire che le aziende e gli istituti bancari possono vantare un credito nei confronti dello Stato, da utilizzare negli anni in compensazione con le imposte da versare: «Devo 100, ho un credito di 20, pago solo 80». Oggi anche la cessione del credito non è più possibile in seguito al decreto legge 39 del 29 marzo 2024. […] Tutte le detrazioni pesano complessivamente sui conti dello Stato 54,1 miliardi.
I vantaggi fiscali
Arriviamo, infine, alle imposte sostitutive, ai regimi speciali e alle riduzioni di aliquota che, per semplificare, significa una tassazione più bassa rispetto all’ordinaria. Qui troviamo la Flat tax per gli autonomi (con l’estensione ai ricavi da 65 a 85 mila euro il minor gettito è di 3,1 miliardi); la Flat tax incrementale (810 milioni); la cedolare secca sugli affitti (2,9 miliardi); le imposte sui finanziamenti di lungo e medio termine (2,5 miliardi); e quelle per i premi di produttività (590 milioni). Perdita complessiva per lo Stato: 23,5 miliardi.
L’«effetto termiti»
Nel corso degli anni i governi hanno infilato di tutto dentro alle agevolazioni fiscali. Spesso per favorire questo o quel gruppo di interesse a puro scopo elettorale. Le voci sono passate dalle 513 del 2018 alle 625 del 2024 con un mancato gettito per le casse dello Stato cresciuto da 54 a 105 miliardi
La Commissione per le spese fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze scrive: «Le spese fiscali creano un’elevata dipendenza da cui è complicato liberarsi. Serve un’azione seria e programmata per restituire trasparenza, semplicità ed efficacia al sistema fiscale».
Le misure fin qui adottate per contenerle sono paragonabili a chi beve il caffè amaro, perché è a dieta ma poi mangia il bombolone con la crema. Con la Legge di bilancio 2020 del governo Conte II oltre i 240 mila euro di reddito non è più possibile detrarre nulla, ad esclusione delle spese sanitarie e dei mutui, mentre tra i 120 e 240 mila euro più cresce il reddito meno si detrae.
Con la Legge di bilancio 2024 del governo Meloni viene fissata una franchigia di 260 euro per le detrazioni oltre i 50 mila euro di reddito. In entrambi i casi l’esito per le casse pubbliche è stato marginale: recuperati 31 milioni con il primo intervento e 220 con il secondo (qui pag. 21). Scrive ancora la Commissione del Mef: Le agevolazioni fiscali sono «vere e proprie termiti che possono lentamente indebolire il funzionamento di qualsiasi sistema tributario, lasciando come opzione solo quella di aggiungere ai regimi promossi dal governo precedente, altri regimi di favore». Se il governo Meloni intende distinguersi è venuto il momento di dimostrarlo.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
per il “Corriere della Sera”
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