Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA SUPERCAZZOLA DEGNA DI ‘AMICI MIEI’ PER SPIEGARE LE LINEE GUIDA DEL SUO DICASTERO E L’EDUCAZIONE SENTIMENTALE IN CURVA SUD CON L’AQUILA TATUATA SUL PETTO
In quarta ginnasio al liceo classico Plauto di Spinaceto, Roma, il mio compagno di banco era fascista. Alla fine dell’anno scolastico 1987/88 fu bocciato, poi cambiò scuola. Eravamo amici come lo si è a quell’età e, anche se non lo vedo da più di 30 anni e non so chi sia e cosa faccia oggi, lo ricordo con affetto per quell’anno passato insieme in un tempo dove tutto ha una potenza emotiva che non si dimentica. Ci perdemmo subito di vista. Lo incontrai di nuovo un pomeriggio di qualche anno dopo, sarà stato, credo, il 1992.
Quel sabato, mentre camminavo per viale Europa, mi si avvicina un ragazzo che indossa un giubbino bomber, all’epoca era la divisa dei ragazzi neofascisti, e mi allunga un volantino. Con lui ci sono altri ragazzi, forse otto, forse dieci. Il titolo del volantino è: “Tecnoribellione!”. In fondo c’è una runa e la firma del gruppo: Meridiano Zero. Dire che Meridiano Zero è un movimento neofascista è poco. Facciamo più nazifascista. Siccome li conosco, a Roma sud non sono pochi, e so che talvolta hanno un rude piano B per reagire a chi non accetta di buon cuore il loro volantinaggio, in un istante soppeso il da farsi: mi faccio dare il volantino? Lo rifiuto? Mi immolo mostrando disprezzo? Scarto in un lampo l’ultima opzione, va bene l’antifascismo ma tornare a casa col naso rotto non mi convince come piano, e adotto una specie di compromesso: scanso la mano protesa con il foglio che invita alla tecnoribellione e accelero il passo senza dire niente.
Il pischello con il bomber non ricambia la scelta del silenzio e, alle mie spalle, sento che mi dice qualcosa tipo: “C’hai qualche problema?”. Soprattutto, capisco che mentre parla la voce si avvicina: mi sta raggiungendo. Sento una mano appoggiarsi poco amichevole sulla mia spalla, quando una voce un po’ più lontana fa: fermi, fermi, lo conosco. È il mio ex compagno di banco e non c’era momento migliore per scoprire che si era iscritto a Meridiano Zero.
Non è il momento di godersi l’amarcord e lui, con una freddezza che non gli conoscevo e che mette quasi più paura delle intenzioni degli altri, mi prende da parte e dice: ti consiglio di non farlo più, se non c’ero io finiva male. Sospetto di averlo pure ringraziato per avermi sottratto al trattamento riservato alle sospette zecche (si dice ancora?).
Non ho alcun elemento per sostenere che in quel piccolo plotone di fasci che volantinavano all’Eur ci fosse anche il futuro ministro della Cultura, Alessandro Giuli, anzi lo reputo improbabile, ma onestamente non potrei nemmeno escluderlo con certezza. Siamo coetanei, all’epoca Giuli era un militante di Meridiano Zero e bazzicava quelle zone di Roma.
L’episodio del volantino mi è tornato alla mente dopo aver ascoltato l’audizione di Giuli dell’altro giorno alla Camera, ormai molto nota per via di alcuni passaggi che hanno attirato ironie e sfottò al ministro, nonché molte citazioni della celebre supercazzola che Ugo Tognazzi riservava ai malcapitati in Amici miei.
La differenza con Tognazzi, ha ragione Mattia Feltri ad averlo notato nella sua rubrica quotidiana sulla Stampa, è che il discorso di Giuli non era un accrocchio di parole senza senso. Era la formulazione di concetti con un capo e una coda, sebbene espressi in forma criptica, e forse si può criticare l’ansia di sfoggio culturale – a Giuli non fa difetto la vanità – e tutto poteva essere detto in modo più chiaro, ma svillaneggiarlo per l’uso di un linguaggio complicato non è un segnale di buona salute del dibattito pubblico. Personalmente, però, mi ha colpito altro.
Giuli da ragazzo era un evoliano, inteso come un cultore della lezione del filosofo Julius Evola, teorico di una aristocrazia impegnata a contrastare la modernità e coltivare il culto della Tradizione, maiuscolo.
Dubito che lo sia ancora, almeno non nei termini in cui poteva esserlo a vent’anni, ma certo deve essergli rimasto il vezzo di non dispiacersi se il dibattito si consuma in una cornice elitaria e iniziatica.
Ma soprattutto mi è tornata in mente quella parola, tecnoribellione, che all’epoca era l’invito ai ragazzi e alle ragazze, ma le ragazze in Meridiano Zero erano pochissime, a farsi guerrieri contro la tecnologia che piega e involgarisce lo spirito dell’uomo, e sia chiaro che in questo caso non è un maschile sovraesteso, parliamo proprio di maschio. Quelli di Meridiano Zero erano dei fior di reazionari. Una cloaca mascherata da pose intellettuali.
Ebbene, cosa dice Giuli ministro nel passaggio più citato del suo intervento? Questo: “Con la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della iper-tecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia”.
Ripeto: si poteva esprimere tutto molto più semplicemente ma a capire ciò che Giuli voleva dire possono riuscirci non dico tutti ma tanti, magari rileggendo due o tre volte.
Si usava farlo prima dell’avvento dei reel. Quando ho capito cosa stava dicendo, ho pensato al Giuli del 1992, alla tecnoribellione e al fatto evidente che ora non è più un apocalittista difensivo, etichetta che si poteva ben attagliare ai camerati di Meridiano Zero, cioè uno che sale sulle barricate contro il mondo moderno (“A questo solo si badi, a restare in piedi in un mondo di rovine”, diceva Evola e in questa frase c’è il quadro psicologico di tre generazioni di neo e postfascisti, Meloni compresa). Quanto al problema opposto, l’entusiamo passivo per la tecnologia, non serve essere evoliani per vedere i rischi della iper-tecnologizzazione.
C’è un che di affascinante nello scoprire un tizio che si ritrova a maneggiare da ministro i concetti su cui ha forgiato i suoi vent’anni, certo con le opportune revisioni, forse figlie più della maturità anagrafica che delle svolte politiche. Luigi Manconi ha scritto un paio di anno fa un libro per sostenere che una potente educazione alla democrazia può arrivare spesso anche da esperienze giovanili di rifiuto della democrazia. Una potente verità e non c’è motivo di pensare che valga solo per chi viene da sinistra. Anzi, mi piace pensare che il discorso di Giuli sull’infosfera ne sia una prova. Però c’è un’altra cosa detta dal ministro negli ultimi giorni che ha messo a dura prova il mio ottimismo.
Parlando a una festa locale di Fratelli d’Italia Giuli ha spiegato la sua scelta di militare a destra con un nonno che ha fatto la marcia su Roma e portava la famiglia a Salò. Era insomma un fascistone, e infatti Giuli ragazzo non era “uno di destra”, era a sua volta una fascistone, che resta una cosa molto diversa. Insomma, non è come dire mio nonno era del Pli, o era iscritto al Rotary, e dunque eccomi qui nella grande famiglia della destra liberale e conservatrice.
Se l’audizione sull’infosfera mi ha suscitato un moto di empatia umana, l’aneddoto sul nonno mi ha sconfortato. Ché poi un nonno fascista lo abbiamo avuto in tanti in Italia, il problema è vantarsene come fosse un quarto di nobiltà, e per giunta da ministro.
Mi sa che era un concetto decisamente più censurabile della presunta supercazzola, ma non era facile trasformarlo in meme sui social e non se ne è accorto quasi nessuno. Se Giuli avesse detto: “L’immanenza dei noumeni fascisti trasmessi dai miei avi transeunti in Salò ha formato il mio pensiero trascendente”, magari non tutti avrebbero afferrato al volo, ma almeno col tam tam sul web in tanti avrebbero saputo di cosa si era vantato.
(da La Repubblica)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
IL PREMIER POTRA’ SCAVALCARE LA COMMISSIONE DI VALUTAZIONE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE
“Ve la immaginate Giorgia Meloni che autorizza la Valutazione d’Impatto Ambientale per il ponte sullo Stretto di Messina, nonostante i pareri discordanti tra le amministrazioni dello Stato? È proprio quello che prevede l’articolo 1, comma 1, la norma voluta e inserita, con la ‘manina’ di Salvini, nel decreto ambiente approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. Come è noto, la commissione tecnica sulla Via ha espresso ben 236 osservazioni sul progetto, e alcune autorità dello Stato, come l’INGV, non sono state coinvolte nella valutazione”.
E’ la denuncia di Angelo Bonelli, portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Avs.
“Sembra il terzo atto delle forzature istituzionali, le cosiddette ‘leggi ad operam’. Esse attribuiscono al Consiglio dei Ministri, organo politico privo di competenze tecniche, la “complessiva valutazione” su questioni di interesse ambientale e sociale, nonché sulla sicurezza strutturale.
A cosa servono leggi e approfondimenti sui problemi, quando una riunione tra esponenti politici può decidere su ambiente, sicurezza, espropri, deportazioni, piloni che scivolano su faglie sismiche, e costi astronomici e incontrollati?”, prosegue Bonelli.
“Questo governo si è assunto la responsabilità di far prevalere la politica sulla scienza, mettendo in secondo piano la sicurezza. Ma la premier è stata informata da Salvini che il progetto prevede che il pilone lato Calabria poggi su una faglia sismica attiva, come indicato dalla cartografia dell’ISPRA. È irresponsabile ciò che ha fatto il governo, prevedendo la stessa procedura anche per le centrali nucleari. Questo esecutivo calpesta le norme a tutela dell’ambiente e marginalizza scienziati e tecnici”, conclude.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
SE ORLANDO DOVESSE PERDERE SI SA CHI RINGRAZIARE
Sulla Liguria è finita per perdersi, sconquassata dalle divisioni emerse sul nodo renziano e non solo quello, e sulla Liguria potrebbe ritrovarsi.
È sulla sfida delle Regionali liguri di fine mese, che la coalizione progressista ha trovato l’occasione per ricompattarsi dopo le spaccature e il grande gelo tra i protagonisti del (fu) campo largo delle ultime settimane.
A due settimane dal voto regionale, con gli ultimi sondaggi che fotografano un sostanziale testa a testa tra candidati, a sinistra Andrea Orlando e a destra Marco Bucci, prende quota la possibilità di un ritorno ad una piazza unitaria, con tutti i leader sul palco uno di fianco all’altro, come già successo proprio a Genova non più tardi dello scorso luglio. C’è già una data ipotetica, il 24 ottobre, e ci sono le aperture di tutti: Giuseppe Conte, i leader rossoverdi Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, Carlo Calenda, e “ovviamente” – si precisa con questo termine, dal Nazareno – la segretaria dem Elly Schlein.
Tornato possibile anche e soprattutto con la compattezza ritrovata in Parlamento con il voto sulla Corte Costituzionale, allo scenario di “ricomposizione” tramite un appuntamento comune in piazza ci ha lavorato negli ultimi giorni lo stesso Orlando, che per primo ha patito sulla pelle della propria campagna elettorale i riflessi delle divisioni delle ultime settimane, e per primo ha la consapevolezza della delicatezza della sfida.
A riaprire la discussione, poi, è stato il leader grillino Conte, impegnato oggi in una lunga giornata genovese a sostegno di Orlando. “Se tornerò mai in piazza con Schlein per la chiusura della campagna? – ha risposto a domanda dedicata, a fianco dello stesso candidato governatore della coalizione – Abbiamo un progetto in comune, non ho alcuna difficoltà a fare la chiusura della campagna elettorale con Schlein e con altri che sono coinvolti in questo progetto politico coordinato”.
A cogliere l’occasione della disponibilità grillina, per primi, sono stati poi Fratoianni e Bonelli. “Bene l’iniziativa unitaria a sostegno di Andrea Orlando, abbiamo tutti il dovere di rendere credibile l’alternativa a questa brutta destra”, è la posizione di Avs. “Abbiamo lavorato sempre per l’obiettivo dell’unità perché è quello che ci chiedono i cittadini, per questo consideriamo positive le parole di Giuseppe Conte anche per il lavoro che abbiamo fatto in questi giorni per portare le forze dell’alleanza ad essere unite anche con iniziative comuni”.
“Certo, che problema c’è? – taglia corto invece Calenda – Se si sostiene un candidato si sostiene un candidato, mi sembra ovvio”.
Mentre dal Nazareno, per rispondere all’apertura contiana, si ricorda il “testardamente unitari” diventato mantra più o meno riuscito di Schlein.
La manifestazione, ancora tutta da organizzare, sarà così un investimento sulla corsa di Orlando, davanti al rischio di una sconfitta che complicherebbe non poco la tornata dei voti regionali d’autunno
(da La Repubblica)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI ESTERI CERCA RASSICURAZIONI DA MARINA… I FIGLI DEL CAV SCALPITANO PER LE MISURE DEL GOVERNO MELONI: IL TETTO AGLI SPOT RAI, LA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI BANCARI E LA MANCATA FUSIONE TRA RAIWAY E EI-TOWERS (PARTECIPATA DA MEDIASET) POSSONO COSTARE ALLA FAMIGLIA QUASI MEZZO MILIARDO DI EURO
Il cognome, irrimediabilmente un brand, come una condanna. A mettere in fila cosa è successo in questi mesi, sembrerebbe proprio che un altro Berlusconi si possa affacciare sulla scena politica italiana. Ma, indagando meglio le intenzioni degli eredi di Silvio, ex premier, padrone di un partito a conduzione aziendale, le cose non sono così semplici e lineari. È piuttosto un gioco di specchi in cui si riflettono da angolature diverse desideri, sensazioni, paure, frustrazioni, attese, smentite, calcoli politici e interessi economici.
Tanti i protagonisti, troppe le voci. Che da Cologno Monzese arrivano fino a Roma, a Palazzo Chigi, alla stanza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. In un momento in cui i sospetti reciproci hanno appesantito i rapporti, tra la premier e i figli del fondatore di Forza Italia, Marina e Pier Silvio, terrorizzati che le ricette economiche del governo possano costar loro oltre mezzo miliardo di euro.
L’intreccio ruota attorno a cosa farà Pier Silvio Berlusconi, il secondogenito, l’uomo a cui il fondatore ha messo in mano il grande giocattolo televisivo, Mediaset. Il padre aveva pensato a tutto: aziende, società, immobili. Tutto diviso, dopo la sua morte. Tutto in famiglia e tra gli amici più stretti, come Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri. Il partito, invece, quasi per inerzia è finito in mano ad Antonio Tajani. Un liquidatore, alla prima impressione, diventato poi un traghettatore e rivelatosi infine un resiliente mediatore capace di tenere in vita una creatura che pareva destinata a soccombere con il suo creatore.
Tajani è un politico puro. Sa decifrare gli enigmi romani e, da ex giornalista, ha un’attenzione quasi ossessiva per la comunicazione e le ricadute mediatiche di ogni parola che viene pronunciata, di ogni notizia, di ogni retroscena pubblicato sui giornali. Per questo non poteva non cercare un chiarimento, e per provare a sciogliere i dubbi su cosa abbiano in mente i Berlusconi è andato direttamente da Marina, la primogenita, la donna a cui il padre ha lasciato la cassaforte, la guida della holding Fininvest.
Da quanto La Stampa è riuscita a ricostruire lo ha fatto due volte: la prima a fine luglio, e l’ultima la scorsa settimana. In un caso Marina ha detto che avrebbe parlato con il fratello, che qualche giorno prima, durante la presentazione dei palinsesti tv, aveva sollecitato Forza Italia a tirare fuori più coraggio per riconquistare i moderati e i liberali, rivitalizzando le indiscrezioni che lo davano pronto ad abbracciare personalmente la sfida politica. Già allora Marina aveva dato rassicurazioni a Tajani. Ma è stata la seconda volta, quest’ultima, che la presidente di Fininvest è apparsa definitiva: «Mio fratello non scenderà in politica, sa bene cosa significa misurarsi con l’esempio di nostro padre».
Il segretario di Forza Italia si è convinto che è così, ma sa bene che c’è sempre una variabile di imprevedibilità che va tenuta in conto, soprattutto quando qualcosa sfugge al controllo diretto di un leader. Una sensazione di ambiguità che sta provando anche Giorgia Meloni, sempre più distante e diffidente, dopo gli imbarazzanti fuorionda di Striscia la Notizia che hanno portato all’annuncio immediato della separazione con l’ex compagno Andrea Giambruno, dopo l’invito su Rete 4 di Maria Rosaria Boccia, la donna che è costata il posto al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e altri imbarazzi personalmente anche alla premier, e dopo l’incontro tra Marina e Mario Draghi, all’indomani della presentazione del rapporto sulla competitività in Europa realizzato dall’ex capo del governo.
Senza dimenticare il pressing sui diritti civili e LGBTQ+, dopo l’intervista estiva della primogenita che ha dato copertura alle nuove battaglie più liberali di Forza Italia, fastidiose per la destra conservatrice di Fratelli d’Italia e Lega.
D’altronde, sono i fatti che, visti uno dopo l’altro, si mostrano ampiamente interpretabili.
Pier Silvio Berlusconi non è rimasto fermo. Ha commissionato sondaggi – che ci sono stati riconfermati, nonostante le smentite –, ha dedicato vertici di marketing politico all’analisi di una sua potenziale leadership, ha fatto quelle dichiarazioni a metà luglio che hanno infastidito non poco Tajani, si è confrontato tanto con Gianni Letta e Fedele Confalonieri, i due principali consiglieri del padre, e con Paolo Del Debbio, conduttore e tra gli ideatori del primo manifesto di Forza Italia.
Matteo Renzi, che aveva provato la scalata da sinistra al centro moderato, dice che potrebbe succedere: Piersilvio sulle orme del padre. Di sicuro è successo anche qualcos’altro che autorizza a fantasticare sulla saga dei Berlusconi in politica. Per esempio, il ritrovato attivismo di Letta, altro elemento che ha destato timori e sospetti in Tajani e Meloni. E di Confalonieri, che avrebbe avuto contatti con parlamentari del Gruppo Misto e altri partiti.
Entrambi sono la prova che i legami tra interessi aziendali, centrodestra e scelte di governo, non si sono mai recisi. Una cifra ci viene consegnata durante le interlocuzioni con le varie fonti consultate, tra Mediaset, Fininvest e Forza Italia: circa mezzo miliardo di euro che verrebbero virtualmente compromessi – nell’ampia galassia dei business diversificati dai Berlusconi – se dovessero passare tre misure economiche ventilate dalla maggioranza e dall’esecutivo guidato da Meloni.
Se mai si farà, la tassa sugli extraprofitti delle banche colpirebbe una delle fonti principali di guadagno di Fininvest, che controlla il 30,08 per cento di Mediolanum, con dividendi che solo nel 2023 sono valsi quasi 121 milioni di euro alla famiglia.
Sempre quest’estate, poi, poco prima che partissero le speculazioni su Pier Silvio è spuntata la proposta di legge della Lega che punta a tagliare il canone Rai fino ad azzerarlo e a ridefinire il tetto alla pubblicità: una svolta che, secondo gli uffici di Mediaset, peserebbe per circa 200 milioni sulle case dell’azienda. Infine, la fusione tra RaiWay, società che gestisce la rete di diffusione del segnale tv, ed Ei-Towers, partecipata da Mediaset, operazione caldeggiata da Pier Silvio: oltre 100 milioni in meno per i Berlusconi, se dovesse saltare
Le prime due misure sono vissute puramente come «una provocazione» da Forza Italia, e Tajani ha più volte ribadito a Marina e a Pier Silvio che non passeranno. Ma dato che, fino in fondo, non si fidano, i Berlusconi hanno richiamato in servizio Gianni Letta. Tajani non sembra apprezzare troppo l’interferenza
(da La Stampa)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
CHI LO RIPAGHERA’ DELLE AMAREZZE E DELLE UMILIAZIONI SUBITE?
Andrea Carletti, ex sindaco di Bibbiano ed esponente Pd, è stato assolto dal tribunale di Reggio Emilia ed esce così dal processo sugli affidi in Val d’Enza. Rispondeva di abuso di ufficio, reato di recente abrogato.
Nella scorsa udienza il collegio aveva respinto la richiesta della Procura reggiana di sollevare in merito questione di legittimità costituzionale.
Carletti nel 2019 venne anche arrestato e finì ai domiciliari, nell’ ambito dell’ inchiesta ‘Angeli e Demoni’ che provocò enormi polemiche politiche e infiammò la campagna elettorale per le scorse regionali in Emilia-Romagna.
Il commento dei difensori
«Per l’ex sindaco Carletti è senza dubbio la fine di un incubo. Ha affrontato questo calvario processuale durato più di cinque anni, restando sempre saldo e coerente con i propri principi e con il suo ruolo di sindaco, ora dismesso per aver terminato il secondo mandato, respingendo con forza ogni ingiusta accusa», hanno commentato Vittorio Manes e l’avvocato Giovanni Tarquini.
«Lo abbiamo accompagnato – hanno continuato – fin dalla tremenda fase di applicazione delle misure cautelari sostenendo con convinzione le sue ragioni in ogni sede ed arrivando a smontare gradualmente le gravi imputazioni, originariamente ben quattro, che lo riguardavano. Questa lunga vicenda processuale ha visto oggi finalmente l’epilogo grazie alla grande dimostrazione di autonomia e competenza del Tribunale di Reggio Emilia al quale va dato atto di aver agito nel pieno rispetto delle leggi e dei diritti di tutte le parti del processo»
Prima di Carletti, un altro volto simbolo dell’inchiesta è stato scagionato. Nel giugno del 2023 la Cassazione ha infatti ribadito l’assoluzione dello psicoterapeuta Claudio Foti, dichiarando inammissibili i ricorsi. Lo psicoterapeuta indagato per la vicenda degli affidi è stato assolto dal reato di abuso d’ufficio con la formula «per non avere commesso il fatto», e da quello di lesioni gravi, «perché il fatto non sussiste».
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
“CONOSCO ARIANNA MELONI DAL 1998, ABBIAMO FATTO POLITICA INSIEME IN AZIONE GIOVANI, E ANNI DOPO ABBIAMO LAVORATO ENTRAMBI IN REGIONE LAZIO. MA LA SCELTA FINALE È STATA DI SANGIULIANO”
Fabio Tagliaferri, presidente e amministratore delegato di Ales, società in house del ministero della Cultura, uomo di Fratelli d’Italia a Frosinone e mister preferenze, è oggetto di interrogazioni parlamentari, dopo quanto emerso dal caso Boccia-Sangiuliano: “Perché proprio un autonoleggiatore?”. “La mia – dice – è una nomina politica, il mio nome è stato fatto al ministro dai vertici di governo e di FdI. Ma la scelta finale è stata la sua”.
Presidente Tagliaferri, lei ha gestito un autonoleggio con quattro o cinque dipendenti, perché è stato scelto come presidente e amministratore delegato di Ales che di dipendenti ne ha 2300?
“Il mio curriculum non è solo questo. La mia attività pubblica è retrodata al 1998 mentre la mia attività privata di autonoleggiatore, di cui ancora detengo le quote, perché quando sarà tornerò alla mai vita, è datata 2017. Sono stato consigliere comunale e assessore di Frosinone e sono funzionario in regione Lazio, adesso in aspettativa”.
E questo cosa c’entra con la cultura?
“Ales non fa cultura. Ales fornisce servizi per la cultura: manutenzione nei siti archeologici, biglietteria, gestione del personale per l’erogazione di servizi”.
Chi l’ha chiamata per nominarla presidente e ad di Ales, incarichi per cui guadagna 146 mila euro? Conosceva il ministro Gennaro Sangiuliano?
“Lo avevo incontrato per esempio a una festa di Atreju e mi ha fatto piacere scambiare delle considerazioni con lui”.
Un po’ poco per essere chiamato per un incarico così importante, non trova?
“Il 29 novembre ho ricevuto la telefonata del ministero per fissare un incontro con Sangiuliano. Una scelta che presumo sia frutto di un confronto con i vertici di governo e di partito, come è sempre accaduto”.
Quindi è stato il partito a fare il suo nome? La sua è una nomina politica?
“È di sicuro una nomina politica fatta sulla base delle mie esperienze nella pubblica amministrazione e delle mie capacità”.
Lei è molto vicino ad Arianna Meloni? La segretaria politica di Fratelli d’Italia che ruolo ha avuto nella sua nomina?
“Ho un rapporto con Arianna Meloni come lo hanno tantissimi iscritti del nostro partito, nessun rapporto preferenziale o diverso. Un rapporto ordinario limitato e confinato alle dinamiche interne e a manifestazioni pubbliche. Niente di più e niente di meno. È una persona che stimo profondamente”
Vi sentiti spesso?
“No”.
Da quanto tempo la conosce?
“Dal 1998, ma la scelta finale della mia nomina è di Sangiuliano. Con lei abbiamo fatto politica insieme in Azione giovani, era una comunità umana. E anni dopo abbiamo lavorato entrambi in regione Lazio, io nella parte amministrativa lei nel gruppo consiliare”.
Tornando al tema oggetto anche di interrogazioni parlamentari. Chi l’ha scelta? Arianna Meloni, la premier Giorgia Meloni o il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari?
“Io non so chi ha dato per primo il mio nome a Sangiuliano. Ripeto. Immagino siano stati i vertici di governo che coincidono con i vertici di partito. Ma in FdI nessuno millanta, quindi nessuno è venuto da me a dirmi: ‘Ti ho scelto io’”.
Italia viva chiede un report delle assunzioni fatte in Ales. Almeno due risultano essere persone di Frosinone? Sono anche di Fratelli d’Italia?
“Le assunzioni non le decide Ales. Si fanno sulla base degli importi economico-finanziari a disposizione della committenza e delle necessità del committente”.
La domanda era sulle assunzioni di persone di Frosinone?
“Non ho assunto io le 2 persone di Frosinone, ma non avendo trovato al mio arrivo in Ales né un addetto ai trasporti e logistica né la segretaria del presidente si è provveduto con una somministrazione attraverso un’agenzia di lavoro interinale”.
È un caso che siano di Frosinone?§
“No, li ho scelti io, sono di mia fiducia”.
Nel suo piano di ristrutturazione da cinque dirigenti vuol passare a nove. Voleva procedere con assunzione diretta ma è stata bloccata dal ministero. Che farà adesso?
“A seguito di approfondimenti normativi e di confronto con il ministero abbiamo capito che è necessario procedere con concorsi pubblici. Avrei voluto procedere con l’assunzione diretta per promuovere persone interne ad Ales e quindi risparmiare. Dal momento che non è possibile, al posto di quattro assunzioni ne farò due a parità di costi”.
Da assessore ai Lavori pubblici di Frosinone come poteva non sapere che il dirigente ai Lavori pubblici, come rivelato dalla Stampa, firmava contratti di lavoro con la cooperativa sociale, la Essegi 2012, che fa riferimento a Germana De Angelis, la moglie dell’ex Nar Luigi Ciavardini?
“Ho letto che per anni ci sarebbe stata un’interlocuzione, ma io non ne so nulla. Sono ruoli distinti e separati, il dirigente non deve informare l’assessore”. “ io queste persone non le ho mai viste né incrociate. Io non ho conosciuto i dirigenti delle cooperative che gestivano la manutenzione del verde perché non ero io assessore all’ambiente, ma era Massimiliano Tagliaferri. Si tratta di un grave scambio di persona”.
Però le delibere non sono solo sull’Ambiente. Lei ha ereditato una società con 7 milioni di utili e un fatturato da 100 milioni. Riuscirà a mantenere la crescita che Ales ha visto in questi anni?
“Mi piace l’idea di essere giudicato non sulla base di pregiudizi ma di post giudizi. Ho trovato un’azienda solida, ma crescendo così tanto un’azienda si deve dotare di un’organizzazione più complessa altrimenti rischi l’implosione. Tra un anno farò il primo bilancio”.
(da La Repubblica)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DEL GIOVANE ARABO
“So che suona paradossale, ma in quel periodo era cresciuto dentro di me un germe dettato dalla tanta rabbia che vivevo. Sentivo il dovere di frequentare questi gruppi neofascisti per spiegare loro cosa significasse essere italiani, perché ci tenevo”, spiega Leil.
A raccontare non è un ragazzo italiano con pieno di odio verso i migranti ma Leil, un giovane di origine araba che, all’età di 13 anni, ha deciso di iscriversi a CasaPound, movimento di estrema destra conosciuto per la sua retorica anti-immigrazione e la difesa dell’identità italiana.
La storia di Leil inizia lontano dall’Italia, in un paese arabo dilaniato dalla guerra. Arrivato in Italia nel 2002, quando aveva solo cinque anni, si stabilisce con la sua famiglia in una piccola città del Centro Italia. Una zona “rossa”, dove i neofascisti sono piuttosto isolati e faticano a trovare uno spazio.
Il padre era già emigrato in Italia negli anni Settanta e a casa l’arabo era la lingua predominante. Fuori, invece, Leil si trovava immerso in una realtà italiana che gli appariva estranea. Questo dualismo culturale ha segnato profondamente la sua crescita. “Mi sentivo dentro al coro, e fuori dal coro”, spiega. Leil ha sperimentato il senso di alienazione che spesso accompagna chi vive in questa dualità, e impegnarsi in politica in un gruppo con un’identità così forte lo avrebbe addirittura aiutato a trovare un equilibrio.
Quando ha scelto di raccontarci la sua storia, ovviamente gli abbiamo chiesto come fosse visto all’interno dell’organizzazione il suo background migratorio, e la risposta ci ha lasciato abbastanza spiazzati: “Ero accettato soprattutto per una ragione di classe. Ero un immigrato di serie A, ma soprattutto andavo orgoglioso della mia identità e origine, e questo per loro era un modo per dimostrare come non fossero in realtà dei razzisti decerebrati come raccontavano gli antifascisti”.
Si sente accolto e accettato. Non manca qualche uscita razzista, certo, così come le posizioni dure nei confronti dell’immigrazione, ma lui è diverso da quelli arrivati “sui barconi” e che dormono nei “centri d’accoglienza”.
“L’idea di poter stare in mezzo a queste persone, gente con la svastica tatuata in testa e altro, e riuscire a farmi accettare da loro, mi faceva camminare a testa alta.” Era insomma una dimostrazione di forza e di integrazione in una società che spesso marginalizza persone con un background migratorio. “C’erano momenti in cui mi chiedevo se fossi veramente accettato o se fossi solo tollerato perché potevo essere utile. Alcuni vedevano le mie origini come un possibile simbolo antirazzista, mentre altri lo trovavano strano o poco credibile.”, aggiunge.
A tenerlo dentro l’organizzazione di estrema destra anche una certa vena nichilista. Quando scoppia la guerra nel suo paese d’origine, comincia a partecipare con empatia a eventi che prima gli sembravano lontanissimi. “Mi sentivo impotente pensando al mio amichetto d’infanzia armato, mentre io vivevo una vita normale in Italia, e parlavo continuamente di andare a morire combattendo, di imbracciare un fucile appena avessi finito la scuola. Questo era molto apprezzato dai capi”.
Leil trova nei locali che fanno da sede al gruppo una comitiva di amici, ma anche un gruppo disciplinato, con un vincolo di obbedienza totalizzante. “Quando indossavi una maglietta del movimento o riconducibile a CasaPound, non potevi fare come ti pareva, perché ogni gesto o azione poi poteva essere accollato a tutti”. E poi bisogna arrivare in orario agli appuntamenti, versare i soldi ogni mese e attacchinare i manifesti che arrivano da Roma. “Per noi in provincia non c’era tanta autonomia, si vedeva a quello che succedeva nella capitale, si ascoltavano i capi a livello nazionale e si agiva di conseguenza, anche perché noi sul territorio non eravamo poi molto forti”, spiega.
“La città dove vivevo era fortemente antifascista. Scegliere di appartenere a CasaPound non era una scelta ben vista neanche al liceo”. Leil cresce, e continua il suo percorso politico all’estrema destra nonostante tutto. Si sposta per partecipare alle manifestazioni nazionali, va ai concerti e ascolta la musica che circola nell’ambiente, a Grosseto ogni anno la festa nazionale è un appuntamento fisso. E da militante semplice viene promosso ad avere qualche responsabilità: “Ho preso anche una denuncia per una manifestazione, ero però contento di essere io adesso a poter dire almeno ai più piccoli cosa fare”.
Una cosa c’è però che non lo convince tanto “la scelta di candidarsi alle elezioni”, anche perché nella sua città “non c’era nessuna speranza di farcela”. In generale il percorso elettorale scelto per una fase dal movimento non lo affascinava, e convinceva molto poco anche quelli del suo gruppo. Cosa ti affascinava allora? Gli chiediamo a questo punto. E anche questa volta la risposta ci stupisce un po’: “Ero molto attratto dal paganesimo. Ho letto diversi libri sull’argomento, e poi c’erano dei riti per il solstizio. C’era anche chi dall’8 dicembre fino al 21 dicembre si asteneva dal sesso e dalla masturbazione, non mangiava carne e seguiva altre regole per purificarsi in attesa del rito”.
Chiediamo a Leil se abbia mai preso parte a spedizioni punitive, scontri e azioni violente. Ci risponde di no, anche se “il clima interno era spesso teso”, e la violenza fosse “considerata una parte naturale della lotta politica e sociale, non gratuita ma strumentale”.
E poi cosa succede? Che la scuola finisce, lo studio lo porta lontano dalla città d’origine e scopre che, non ha voglia di andare a morire in guerra ma di studiare, conoscere, viaggiare. E nella nuova città evita di legarsi di nuovo a CasaPound, dopo i primi approcci capisce che non è più quella la sua strada. “Lasciare il gruppo è stato difficile I tatuaggi e la simbologia rappresentavano un legame profondo con quella parte della mia vita, e non erano facile da cancellare”.
“A volte faccio sogni in cui confronto le mie scelte passate con le persone del passato, cercando di spiegare le mie ragioni”, spiega Leil che ora è quanto più lontano da quelle idee, ma ci tiene a spiegarsi a farsi capire. E poi dice una cosa che ci sembra significativa: “Certo la politica e le elezioni, ma quello che CasaPound fa è organizzarti la vita, darti delle certezze: che musica ascoltare, in che pub andare, cosa devi pensare, che marca scegliere. Assomiglia più a una setta che ti fa allontanare dagli altri che a un movimento politico.”.
E sulla possibilità che i movimenti di estrema destra vengano sciolti? Su questo anche Leil sembra avere le idee chiare: “Non sono sicuro che sciogliere un gruppo come CasaPound sia la soluzione. Potrebbe essere un modo per mettere a tacere una parte del problema, ma potrebbe anche portare alla creazione di nuovi gruppi più estremisti. È essenziale affrontare le cause alla radice, piuttosto che semplicemente eliminare il sintomo.”
(da Fanpage)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
COME NO, E’ NOTO CHE LA STORIA LA FAI CON LOLLOBRIGIDA, SANTANCHE’ SANGIULIANO, NORDIO E DELMASTRO
Anche negli ultimi giorni i “Fratelli d’Italia” non hanno mancato di propinare ai cittadini un florilegio di sciocchezze. Ha iniziato il solito ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida il quale – nell’elogiare il progetto del ”servizio civile agricolo” da lui promosso – ha incredibilmente affermato che “per la prima volta i giovani potranno servire la Patria con un’attività di valore agricolo… invito i giornalisti a leggere la Costituzione. Quando si parla di servire la Patria significa rispettare la Costituzione”.
Forse questo gaffeur seriale non sa che soltanto in due articoli la Costituzione parla di “Patria”: all’art. 52, per il quale “la difesa della Patria è sacro dovere dei cittadini”, e all’art. 59 che prevede la nomina a senatore a vita dei cittadini “che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti”.
Non c’è chi non veda che trattasi di due situazioni straordinarie, eccezionali, distanti anni luce da quella del “servizio volontario agricolo”.
A sua volta, il “Fratello d’Italia” Fabio Tagliaferri – nominato amministratore delegato dell’Ales, società del ministero della Cultura con duemila dipendenti, e che si occupava di autonoleggio e assicurazioni con un massimo di dieci dipendenti – ha voluto ribadire il suo entusiasmo per i suoi “sponsor” affermando: “Ho il mito di Giorgia Meloni, passo le giornate a vedere i suoi video. Essendo uno che vuole imparare, lei è una che insegna”.
Evidentemente il “meloniano” non ha nulla di meglio da fare che “passare le giornate” ad ascoltare le continue distorsioni della realtà da parte della Meloni che – nel denunciare congiure e complotti contro il governo (anche da parte della magistratura) – è giunta ad affermare contro il vero: “Quando i nostri avversari non hanno trovato nulla per attaccarci, hanno dovuto inventarsi di sana pianta notizie false per farlo” aggiungendo: “Siamo sempre stati i giudici più implacabili di noi stessi e dobbiamo continuare a esserlo”.
Soprattutto il Tagliaferri “passa le giornate” ad apprendere dalla Meloni che “noi stiamo facendo la storia”.
A parte che si sfiora il ridicolo quando si afferma che “stiamo facendo la storia” con Lollobrigida, Santanchè, Sangiuliano, Nordio, Delmastro ecc. va detto che c’è del vero nell’affermazione della Meloni perché si “sta facendo” la peggiore “storia” dell’èra repubblicana: essa, da un lato sarà ricordata per aver portato alla massima estensione possibile la (già praticata) perversa pratica di familismo, di favoritismo, di occupazione sfrenata delle cariche degli enti pubblici con particolare riguardo all’informazione e alla cultura (da ultimo: il meloniano Giuli, ministro della Cultura senza laurea); dall’altro lato, questo momento storico sarà ricordato come quello di un governo che ha proposto e fatto approvare le leggi-bavaglio che limitano per i giornalisti il diritto costituzionale di informare e, per i cittadini, quello di essere informati; come quello di un governo che ha fatto approvare le leggi che incidono profondamente sul diritto al dissenso, criminalizzando le proteste che trovano origine nel disagio sociale; come quello di un governo che ha fatto approvare le demenziali leggi quali quella che abroga il reato di abuso di ufficio, consentendo così ai pubblici amministratori di violare impunemente la legge e privando i cittadini di tutela di fronte agli abusi e ai soprusi dei pubblici ufficiali, e l’altra secondo cui il giudice deve avvertire l’indagato che sul suo capo pende una richiesta di arresto del Pm, con tutte le conseguenze assurde e nefaste che ne derivano.
Ciò posto, si pone un interrogativo: riuscirà il fedele e sagace “meloniano” – che “è uno che vuole imparare” – ad apprendere, “passando le giornate” ad ascoltare il “Verbo” del “Mito”, qualcosa di diverso dalla sistematica, sterile, esaltazione del governo e del suo “Capo”? Crediamo proprio di no.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA TENTAZIONE DEL VOTO ANTICIPATO
Lo stop al governo per l’elezione a giudice costituzionale di Francesco Saverio Marini deve tramutarsi in un contropiede: nei confronti delle opposizioni, ma anche degli alleati di maggioranza. Questo è l’obiettivo di Fratelli d’Italia e della premier Giorgia Meloni, che è decisa a mantenere la promessa fatta al suo consigliere giuridico e non intende fare passi indietro nei confronti di nessuno.
Nel frattempo si è tramutato in veleno. Matteo Renzi ha rivelato la notizia di un pranzo avvenuto tra Ignazio La Russa e la senatrice di Italia Viva, Dafne Musolino, nel ristorante di Palazzo Madama, un’occasione per fare pressione e chiederle di passare in maggioranza, votando Marini. Contattata da Repubblica, Musolino ha confermato dicendosi sotto shock: «Proposta irricevibile».
Nessun passo indietro, dicevamo. La linea viene espressa per bocca del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, che, parlando con Il Foglio e Il Messaggero, spiega che si andrà avanti a oltranza a votare fino a sfiancare le opposizioni, anche a costo di tirare in ballo il Quirinale, tacciando l’opposizione di ignorare i moniti di Sergio Mattarella sulla necessità di eleggere presto un giudice.
La mossa, rischiosa, di utilizzare il Colle come arma contro le opposizioni, muove da una convinzione: dal presidente della Repubblica non arriveranno richiami, né moral suasion. Sergio Mattarella si è già espresso chiedendo di fare presto e, formalmente, la maggioranza sta facendo proprio questo. Sostanzialmente, però, è certo che eleggere un giudice senza sedersi al tavolo delle trattative con le opposizioni è impossibile, vista la necessità di maggioranza qualificata dei tre quindi.
Con il Quirinale “silenzioso”, dunque, ecco il contrappasso nei confronti del fragile campo largo. La maggioranza scommette sul fatto che, appena un gruppo entrerà in aula, sarà liberi tutti. E, nel segreto dell’urna, i numeri potranno essere trovati. Del resto il muro ha già iniziato a franare, con Carlo Calenda che si è smarcato dicendo che al prossimo voto Azione sarà in aula.
L’elezione del giudice della Consulta è diventata un paradigma della crescente frustrazione della premier, sia verso i suoi sia nei confronti degli alleati. A irritare la premier è stato anzitutto il tradimento di trovare i suoi messaggi via chat pubblicati sui giornali e divulgati da una “talpa”, un «infame» lo ha definito Meloni, che addirittura le ha fatto dire che «alla fine mollerò per questo».
Sono seguite anche le bizze degli alleati, da cui è filtrato un certo distacco nei confronti del blitz: hanno partecipato sì, ma gli assenti, soprattutto leghisti, sono sembrati un po’ troppi nonostante la precettazione.
E anche Forza Italia, che sta combattendo sul tavolo parallelo della Rai, ha dimostrato in queste ultime ore di essere pronta a mettere sul tavolo una lista di suoi nomi alternativi a Marini. Tre pronti: il vicepremier Francesco Paolo Sisto, il senatore Pierantonio Zanettin o addirittura la ministra Elisabetta Casellati. Inutili, per ora, visto che l’indicazione è quella di andare avanti con il costituzionalista apprezzato da Meloni.
I voti
Ma i fronti aperti sono molti. C’è la ratifica della nomina della presidente Rai, che FI vorrebbe fosse Simona Agnes. Anche in questo caso, per superare lo scoglio della commissione di Vigilanza, la maggioranza ha bisogno di più voti di quelli disponibili. Voti che il centrodestra non riesce a trovare. Così anche la riunione convocata per oggi andrà deserta.
Nel frattempo si è aperto lo scontro sulla nomina del nuovo presidente della Giunta per le autorizzazioni dopo le dimissioni di Enrico Costa. Di prassi il posto tocca all’opposizione ma il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, ha fatto capire che non sarebbe più così scontato, dopo l’Aventino per la Consulta: «Sulla Corte costituzionale vale il principio del veto? Se questo è lo schema la maggioranza saprà farne tesoro».
Una convinzione, tuttavia, alberga in Meloni: la stabilità del governo nei sondaggi dipende da lei e da come è stata capace di mantenere la fiducia degli elettori. Con il partito che sfiora ancora il 30 per cento dei consensi, secondo l’ultimo sondaggio Swg, la premier sa di essere l’unica dei tre leader di centrodestra a poter contare su un consenso personale per ora inscalfibile.
Altrettanto non possono dire né il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, né il leghista Matteo Salvini, alle prese con l’ascesa del generale Roberto Vannacci e un partito sempre più in difficoltà. «Salvini e Tajani da soli non vanno da nessuna parte», dice una fonte di FdI interpellata sull’ipotesi di una rottura dell’alleanza del centrodestra.
Anche da questa convinzione nascerebbe lo sfogo delle sue dimissioni consegnato alla chat interna del partito, con la ragionevole consapevolezza che poteva uscire. Nei momenti di massima frustrazione a palazzo Chigi si ragiona sul fatto che eventuali elezioni anticipate regalerebbero a FdI di nuovo la maggioranza relativa, rendendo ancora più evidente la distanza con gli alleati.
Se si tornasse alle urne con l’attuale legge elettorale il risultato rimarrebbe invariato, e anzi favorirebbe ancora di più FdI. Al netto del muro eretto per eleggere il giudice costituzionale, le opposizioni non sono ancora state in grado di organizzare una alternativa credibile e tra il Pd e il Movimento 5 stelle la distanza in questi giorni è solo aumentata.
Con un paradosso, però. Lo schema rimane vero con il Rosatellum e con un sistema parlamentare, mentre altri scenari si aprirebbero se venisse approvato il premierato – la «madre di tutte le riforme» – che costringerebbe a riscrivere la legge elettorale, anche con l’ipotesi di doppio turno.
Risultato: Meloni sa che, a sistema invariato, la sua leadership avrà vita ancora lunga. Anche se, per garantirsela, fosse necessario iniziare a ragionare seriamente di elezioni anticipate.
(da La Repubblica)
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