IL RAPPORTO ANAC: “CON GLI APPALTI SENZA GARA 350 MILIONI DI COSTI IN PIU'”
GLI AFFIDAMENTI DIRETTI: L’80% DEI CONTRATTI E’ SENZA CONCORRENZA
In un certo senso l’aumento dei costi è il rischio di tutte le norme “sblocca cantieri”. Di sicuro non è imprevedibile. Fatto sta che l’innalzamento delle soglie per evitare le gare negli appalti pubblici potrebbe aver causato un mancato risparmio per la Pubblica amministrazione che si aggira sui 350 milioni di euro solo tra il 2021 e il 2023. È questo infatti l’ordine di grandezza che ipotizza un report dell’Anac in via di pubblicazione che si è concentrato sui contratti pubblici siglati negli ultimi anni. Un primo tentativo di stimare il costo di alcune scelte politiche per eliminare lacci e lacciuoli nel settore degli appalti pubblici con la speranza di ridurre i tempi.
Dal 2020 le soglie per gli affidamenti diretti, senza cioè dover ricorrere a un minimo di competizione tra offerte, sono state innalzate. Ha iniziato il governo Conte-2 in piena crisi pandemica ma, come nella migliore tradizione, la modifica temporanea è diventata la norma: prima è stata ampliata dal governo Draghi e poi resa permanente dal nuovo Codice degli appalti voluto da Matteo Salvini. Prima delle modifiche, quelle per l’affidamento diretto erano fissate a 40 mila euro. Nel 2020 sono state state alzate a 150 mila euro per gli appalti di lavori e a 75 mila per servizi e forniture, poi saliti a 139 mila euro con il decreto “sblocca cantieri” del maggio 2021.
Anac ha provato a calcolare l’effetto in termini economici. Innanzitutto ha confrontato l’andamento dei ribassi medi tra il 2017 e il 2020, con le vecchie soglie, e quelli del 2021-2023. Il risultato è un calo medio dal 9 al 7%, trainato dal tonfo registrato dai ribassi per gli appalti di lavori (servizi e forniture sono rimasti sostanzialmente stabili). Risultato: un mancato risparmio tra i 352 e i 370 milioni a seconda che si usi la media aritmetica o ponderata per gli importi in appalto. L’ipotesi dei tecnici dell’Autorità Anticorruzione è che alla base del minor risparmio per la P.A. ci sia l’assenza di concorrenza che si ha negli affidamenti diretti. Per provare a isolare ancora di più l’effetto delle modifiche normative da altre cause, hanno provato allora ad analizzare il cambiamento nelle modalità di scelta del contraente adottate dalle stazioni appaltanti. Si vede che nel 2021-2023 la quota di affidamenti diretti è più che raddoppiata, arrivando al 77% per i lavori e al 71% per i servizi. Il risultato cambia di poco: un mancato risparmio di circa 350 milioni. “È ragionevole ipotizzare che un più diffuso utilizzo dell’affidamento diretto abbia un impatto sui costi di approvvigionamento”, scrivono gli esperti dell’Authority, che ritengono i risultati una base di partenza, parziale, da affinare con analisi più complesse e più dati. A inizio 2023, mentre si discuteva il nuovo Codice appalti, il presidente dell’Anac Giuseppe Busia aveva auspicato inutilmente un ritorno alle vecchie soglie. “Così si riduce la trasparenza e aumentano le situazioni di illegalità – aveva spiegato il giurista, nominato dal governo Conte – Il rischio è di rivolgersi alle imprese che si conoscono e non alle migliori facendo lievitare i prezzi senza risparmiare tempo”, peraltro aumentando le zone opache e di illegalità. Per tutta risposta la Lega gli aveva chiesto di dimettersi. Il nuovo Codice ha perfino elevato a 500 mila euro la soglia sotto la quale le stazioni non qualificate (cioè i piccoli comuni) continueranno a gestire appalti senza doversi rivolgere a enti con le competenze necessarie.
Il risultato si è visto subito. Secondo Anac, nei Comuni sopra i 15 mila abitanti l’85% degli appalti nel 2023 non è passata da procedure aperte. Alla fine di quell’anno i dati mostravano che l’83% degli appalti del Pnrr (e del piano complementare) era stato assegnato a imprese di fiducia, senza neppure il bisogno di confrontare due o più preventivi.
(da ilfattoquotidiano.it)
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