Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
VI SIETE MAI CHIESTI PERCHE’ IL 20% CHE VOTERA’ AFD NON FA MANIFESTAZIONI ANALOGHE? PERCHE’ I BUONI BORGHESI AL PRIMO PETARDO SE LA DAREBBERO A GAMBE LEVATE… E BASTA ENFATIZZARE, I SONDAGGI PARLANO CHIARO:: CDU-CSU 31%, AFD 21%, SPD 15%, VERDI 14%, LINKE 5%, OVVERO AFD NON CONTA UN CAZZO (CENTRO 31%, CENTROSINISTRA 34%, AFD 21%)
Demokratie braucht dich, tradotto «la democrazia ha bisogno di te». È il motto intorno
al quale si sono radunati oggi – sabato 8 febbraio – gli oltre 250mila manifestanti (320mila per gli organizzatori) al Theresienwiese, uno spazio pubblico a Monaco di Baviera, per protestare contro l’estrema destra di AfD in Germania.
Le richieste della piazza sono chiare: emarginare Alternative für Deutschland e garantire il cordone sanitario, ovvero escludere ogni collaborazione, sia pure simbolica, con l’ultradestra.
«Se la democrazia viene attaccata dagli estremisti di destra, allora ha bisogno di tutti noi per difenderla», afferma uno degli organizzatori della protesta, che – rivolto alla folla, precisa: «Guardare questa piazza mi dà speranza; voi tutti lo dimostrate molto chiaramente: quando la nostra democrazia ha bisogno di noi, noi ci siamo!».
Era stato Friedrich Merz, il leader della Cdu e candidato cancelliere tedesco, a mettere a rischio la tenuta del muro politico che isola l’AfD. Il 30 gennaio scorso, infatti, Cdu e ultradestra si erano alleati per votare una mozione, seppur non vincolante, con l’obiettivo di inasprire le misure contro l’immigrazione. Un’intesa, conservatori-estrema destra, che era però durata soltanto 48 ore: il giorno successivo, il disegno di legge sulla stretta ai migranti – proposto sempre da Merz, e che se fosse passato sarebbe stato vincolante – non aveva infatti ottenuto la maggioranza al Bundestag nonostante i voti di AfD.
Poi Merz ha corretto il tiro, garantendo che i cristiano-democratici tedeschi vinceranno le elezioni del prossimo 23 febbraio e non collaboreranno «mai» con il partito di Weidel. «Tradiremmo il nostro Paese, io stesso tradirei l’anima della Cdu dando solo un dito a questa forza politica. Chi vuole il cambiamento, non deve votare questo partito. Chi lo fa, deve sapere che il suo voto dopo le elezioni non ha più alcun valore», ha ribadito oggi il papabile cancelliere.
Cosa dicono i sondaggi?
Quanto accaduto la scorsa settimana al parlamento tedesco, con la controversa decisione della Cdu di aprire all’ultradestra di Afd, andando poi sotto con i voti, divide la Germania ma non sembra avere grandi ripercussioni sui partiti coinvolti.
Secondo l’ultimo sondaggio di ARD Deutschlandtrend, pubblicato giovedì 6 febbraio, prima forza resta l’Union di Cdu-Csu con il 31% delle intenzioni di voto (in leggero miglioramento di 1 punto rispetto alle rilevazioni di sette giorni fa), poi Afd al 21% (-1%), la Spd al 15%, i Verdi al 14% e la Linke al 5%.
Merz, stando alle rilevazioni, ha guadagnato significativamente anche in termini di popolarità personale (+4 punti percentuali) e come candidato alla carica di cancelliere (+ 5).
(da agenzie)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
L’ERRORE DEL GOVERNO SUL CASO ALMASRI (“SBAGLIATO NON PORRE IL SEGRETO DI STATO”) E LA BORDATA A NORDIO: “SI È ARRAMPICATO SUGLI SPECCHI. DA MINISTRO DELLA GIUSTIZIA NON HA ALCUN DIRITTO DI SINDACARE LE DECISIONI DELL’AJA”
Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, oggi senatore indipendente del centrosinistra, è convinto che il rapporto Meloni-Trump possa essere «un’opportunità» per l’Italia. Ma anche un enorme rischio, se «il credito» che la premier potrebbe avere col tycoon, «ammesso che ce l’abbia davvero», non sarà speso sulla posta giusta.
«Non biasimo Meloni per essere andata a Mar-a-Lago o a Washington. Il punto è un altro: vogliamo essere la quinta colonna di Trump per indebolire l’Europa o utilizzare il buon rapporto che Meloni ha col presidente Usa per farci carico di un neo-atlantismo da costruire nella relazione tra Ue e Stati Uniti?
Stiamo attenti a non trovarci nella terra del deserto il giorno in cui dovesse scoppiare un conflitto vero tra Europa e America, perché saremmo irrilevanti per gli Usa e isolati in Ue».
Presidente Casini, come dovrebbe rispondere la premier alle minacce di Trump sui dazi: ballare da sola, rischiando l’isolamento a Bruxelles, o fare blocco col resto del continente?
«Sui dazi e su tutto il resto, voglio sperare che Meloni non segua Orbán: siamo un grande paese europeo e abbiamo responsabilità a cui verremmo meno. Il mio appello a Meloni è questo: concorra senza esitazioni a tenere in piedi l’Europa, non solo reagendo alle politiche dei dazi americani, ma ponendo la questione delle spese di difesa come elemento della trattativa con Washington».
Lo dice anche al centrosinistra, in larga parte contrario?
«In questa fase c’è un dialogo fra sordi, tra governo e opposizione. Ma non disperdiamo le parole del capo dello Stato. La politica estera dev’essere uno dei pochi momenti di comune intesa. Anche Meloni, che nasce a pane e politica, lo dico in positivo, deve guardarsi dal diventare subalterna ai potentati economici planetari».
Altro terreno di scontro tra Ue e Usa (e Italia) sono le critiche di Trump alla Corte penale internazionale.
§«Per noi è un tema che va molto oltre il caso Almasri. L’amministrazione Trump ha debuttato con una costante ereditata dal primo mandato: la demolizione del multilateralismo. La ragione proclamata è che non funziona, che i suoi organismi, come l’Oms o la Cpi, siano solo lenti carrozzoni.
È chiaro che il multilateralismo sia in crisi, ma questo ci deve indurre a farlo funzionare meglio. Vogliamo davvero essere tra i demolitori dell’ordine internazionale per ricostruirlo su basi nuove? Finiremmo per essere subalterni e irrilevanti».
Su Almasri il governo avrebbe dovuto porre il segreto di Stato?
«Sì ed è stato un grande errore non farlo. Ho visto un insieme di pasticci. Intendiamoci: la politica internazionale non è un pranzo di gala, tante volte per difendere la propria sicurezza, lo Stato deve fare cose non belle.
Ma appunto per questo Meloni doveva porre il segreto di Stato. Invece si sono arrampicati sugli specchi, soprattutto Nordio, che da ministro della Giustizia non ha alcun diritto di sindacare le decisioni dell’Aja».
§Il caso Paragon mette in luce una resa dei conti nell’intelligence, come suggeriva ieri Salvini?
§«Ho un giudizio positivo su Mantovano, persona perbene che conosco da tanto tempo, ma qualche problema ci dev’essere».
(da agenzie)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
DAVANTI AL BULLISMO DI TRUMP, XI JINPING È RIMASTO TRANQUILLO E LA RITORSIONE DI PECHINO È STATA IMMEDIATA … LE SPARATE DEL TRUMPONE STANNO RENDENDO INAFFIDABILE WASHINGTON AGLI OCCHI DEL MONDO, COL RISULTATO DI FAR SEMBRARE IL REGIME COMUNISTA DI XI JINPING, UN INTERLOCUTORE SERIO, PACIFICO E AFFIDABILE PER FARE AFFARI, A PARTIRE DALL’EUROPA… LA SVOLTA PRO-CINA DI URSULA CON SBERLA AL PRIMO BULLO AMERICANO
Dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, Trump ha sbomballato i
paradigmi dell’ordine geopolitico mondiale. Un sommovimento mozzafiato: ha firmato centinaia di ordini esecutivi che hanno smantellato gli apparati statali di Washington, azzerato la propaganda woke, deportato nelle infami galere di San Salvador e di Guantanamo i criminali americani, rispedito in catene i messicani clandestini.
Una volta messo il ciuffo cotonato fuori dai confini di “America First”, l’ex conduttore del reality “Apprentice” ha minacciato di annettere Panama Groenlandia, applicato dazi a Canada, Messico e Cina, abbaiato all’ingrata Unione Europea, con l’intento di spaccarla negoziando le tariffe con ciascun stato.
Per raggiungere i suoi obiettivi, è ricicciata la strategia da immobiliarista di Trump: come Berlusconi trent’anni prima, sa bene che in politica è più importante alimentare i sogni che realizzare fatti, potendo contare anche sulla grancassa propagandistica dei social network: oltre al suo Truth e X di proprietà di Elon Musk, diventati un veicolo incontrollabile di fake news e disinformazione, c’è Facebook, del neo-trumpiano Mark Zuckerberg.
Strumenti utilissimi ad amplificare le proprie posizioni e battaglie, come si è visto nel caso UsAid, con gli account filo-trump che hanno rilanciato anche la propaganda del Cremlino (parlando di presunti milioni ad Angelina Jolie per diffondere notizie pro-Ucraina). Vera o falsa, la prima notizia è quella che rimane.
È una legge dell’informazione che vale per tutto il mondo e che Trump ha certamente interiorizzato, insieme a un altro dogma da immobiliarista senza scrupoli: chi mena per primo mena due volte.
Quindi ogni giorno va in scena un bombastico “Shock and Awe” (colpisci e terrorizza). Ma nemmeno sotto Lsd, si poteva immaginare l’ultima “cagata pazzesca” inventata dalla destra israeliana e dalla Trump Family: trasformare la Striscia di Gaza in una “Riviera del Medio Oriente”, con resort e casinò, trasferendo con le buone o con le cattive due milioni di palestinesi in Giordania ed Egitto.
A parole i due paesi – che si dicono “fratelli” dei palestinesi ma non vogliono nemmeno uno dei due milioni (temono il terrorismo di Hamas e la destabilizzazione economica) – hanno subito replicato che non accetteranno di mettere la firma su un piano paranazista di deportazione. Al Sisi e il re di Giordania sono così sicuri di sé che si scapicolleranno prossimamente a Washington dove Trump li costringerà ad accettare ‘’Gaza-land‘’, altrimenti bloccherà armi e finanziamenti ai due paesi
Che gli Stati Uniti “prendano possesso di Gaza, con una posizione di proprietà”, come ha detto Trump, non sta né in cielo né in terra, al massimo in un plastico scodellato dagli architetti del genero di Donald, marito di Ivanka, Jared Kushner (“Gaza è una riviera di enorme pregio”). Anche le parziali retromarce del giorno dopo sono solo specchietti per gli allocconi: dire, come ha fatto il Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che i trasferimenti dei palestinesi saranno “temporanei”, significa voler prendere per il naso il mondo.
Soltanto per mettere in piedi la macchina costruttiva, terminare i lavori e trasformare la Striscia in una Singapore mediterranea con resort e casinò serviranno (oltre a una ventina di miliardi abbondanti) 10-15 anni. E tra tre lustri, chi andrà a riprendere i profughi palestinesi fatti evacuare a forza, con Israele a puntellare, e magari allargare, i propri confini? (Oltre al fatto che fra dieci anni non ci sarà più a occupare la Casa Bianca il 78enne presidente Usa.)
Dal 290 gennaio scorso va in onda uno tsunami mai visto. E da Oriente a Occidente, si stanno cagando sotto. Tutti, eccetto uno: la Cina. Al trumpismo senza limitismo, l’unico antidoto non poteva non essere l’impero del Dragone, la sola potenza mondiale che oggi può ribattere ad armi pari al bordello neo-imperialista messo in atto dalla tecnodestra americana.
Davanti al bullismo di Trump, Xi Jinping è rimasto impassibile, tranquillo come un pisello nel suo baccello, senza mai dare segni di paura e di nervosismo. Quando sono stati annunciati i dazi Usa ai prodotti cinesi, la ritorsione di Pechino sul Made in Usa è stata immediata
Pochi media hanno poi sottolineato qual è stata la dura e immediata risposta di Xi Jinping sul progetto di “convincere” due milioni di palestinesi a cambiare aria: “Gaza è dei palestinesi, non una merce di scambio politica, né tanto meno oggetto di qualcosa che si può decidere in base alla legge della giungla”.
§“La legge della giungla”: un altolà secco come un cassetto chiuso con una ginocchiata. Anche perché Pechino è consapevole della fragilità politico-economica di Egitto e Giordania
A parole i due paesi – che si dicono “fratelli” dei palestinesi ma non vogliono nemmeno uno dei due milioni (temono il terrorismo di Hamas e destabilizzazione economica) – hanno subito replicato che non accetteranno di mettere la firma su un piano paranazista di deportazione.
Al Sisi e il re di Giordania sono così sicuri di sé che si scapicolleranno prossimamente a Washington dove Trump li costringerà ad accettare ‘’Gaza-land‘’, altrimenti bloccherà armi e finanziamenti ai due paesi.
Ai mandarini di Pechino non pare vero di avere un presidente come Trump. Intanto, con le minacce di far diventare stati americani Groenlandia e Panama va a farsi fottere definitivamente un ordine internazionale basato su regole. E le ambizioni territoriali della Russia in Ucraina e della Cina a Taiwan subirebbero un’accelerazione.
Secondo: come si legge in un’approfondita analisi di “Politico Magazine”, le sparate del trumpone stanno rendendo inaffidabile Washington agli occhi del mondo, con il risultato di far sembrare il regime comunista di Xi Jinping, un interlocutore serio, pacifico e affidabile.
Il 21 gennaio scorso a Davos, nella cornice del World Economic Forum, è spuntata una inedita Ursula von der Leyen. La fragile ex portaborse di Angela Merkel, calzato l’elmetto, dopo aver premesso che è pronta a fare affari dove si può, ha annunciato che l’Unione Europea ha alternative all’America modello “o me la dai o scendi” di Donald Trump: Cina e India.
“Il nostro messaggio al mondo è semplice”, ha sibilato Ursula, “se ci sono vantaggi reciproci in vista, siamo pronti a impegnarci con voi”. Finale: “Se volete aggiornare le vostre industrie di tecnologie pulite, se volete ampliare la vostra infrastruttura digitale, l’Europa è aperta agli affari“.
Messaggi mai sentiti prima da un esponente apicale di Bruxelles, parole dal forte contenuto politico, diretti come un pugno sulla faccia del primo bullo americano.
(da Dagoreport)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
INSERITO NEL TESTO UN AUMENTO DI RISORSE PER ALTRE CONCESSIONI
Con la cultura forse non si mangia, come recita la vecchia battuta attribuita all’ex ministro Giulio Tremonti, che in realtà smentisce continuamente di aver pronunciato.
In ogni caso con il decreto Cultura c’è una mancia, nel senso che si foraggiano mance a piene mani.
Nel provvedimento, approvato alla Camera e inviato ora al Senato per il via libera definitivo (senza possibilità di correttivi), è stato infatti inserito un potenziamento del cosiddetto “fondo mancia” introdotto dalla manovra economica varata a fine dicembre: sono in totale 65 milioni di euro in più, spalmati sul prossimo triennio.
Lo scopo? Finanziare le misure più disparate che vanno dal turismo alla celebrazione di eventi fino alla ricerca e all’innovazione digitale.
Insomma, non sono soldi messi a disposizione del settore culturale, come si poteva immaginare vista la natura del decreto, magari anche per finanziare il piano Olivetti, fortemente voluto dal ministro Alessandro Giuli per favorire la diffusione della cultura e delle biblioteche nelle periferie e nelle aree con maggiore disagio sociale.
Una bella idea, certo, ma che è una scatola vuota: per attuare il piano bisogna reperire i fondi, che invece vengono dispersi in mille rivoli. Proprio sotto gli occhi del ministro.
Più soldi alle micro misure
Gli stanziamenti, come prescritto dalla finanziaria, possono sostenere interventi a favore degli enti locali, elargire contributi economici ad associazioni, fondazioni ed enti operanti sul territorio, così come possono dare supporto a progetti sportivi e a un generico sviluppo di infrastrutture.
Un salvadanaio da cui attingere in base alle esigenze. Ma evidentemente per la destra non era abbastanza, la dotazione iniziale è stata ritenuta insufficiente.
Nella legge di Bilancio i fondi nel loro complesso ammontavano (dal 2025 al 2027) a 101,7 milioni di euro.
Così è stato individuato il decreto Cultura per rimpinguare la somma a disposizione: con gli incrementi infilati nell’ultimo provvedimento, si sfiorano i 167 milioni di euro.
La distribuzione prevede, nel complesso, una spesa di quasi 37 milioni di euro nel 2026, 70,4 milioni di euro nel 2026 e 59,7 milioni nel 2027. E poco male se le materie dei possibili interventi c’entrino poco o niente con la cultura.
Uno strappo che ha sfruttato l’iniziale distrazione delle opposizioni, peraltro nel pieno vortice del caso-Almasri.
Sono state poche le voci che si sono levate su questo punto, si è sentita quella deputata e capogruppo del Pd in commissione Cultura alla Camera, Irene Manzi: «Questi fondi rischiano di essere utilizzati per sostenere giunte amiche o iniziative mirate esclusivamente a raccogliere consenso, senza una reale valutazione dell’interesse pubblico», ha denunciato dopo il via libera all’emendamento voluto dalla maggioranza, in maniera compatta. La firma in calce è stata quella dei capigruppo della commissione Bilancio, Ylenia Lucaselli (Fratelli d’Italia), Silvana Comaroli (Lega), Roberto Pella (Forza Italia) e Francesco Saverio Romano (Noi Moderati). Insomma, un’iniziativa ben pianificata.
«Stiamo utilizzando un fondo istituito in legge di bilancio in sostituzione di quella che fu, una volta, la legge Mancia, cioè per distribuire marchette», ha spiegato senza mezzi termini, intervenendo in aula a Montecitorio, l’altra parlamentare dem, Maria Cecilia Guerra.
Nel corso dell’esame è emerso un altro rischio: la pioggia di risorse potrebbe essere concessa senza badare troppo ai principi della trasparenza o quantomeno di un confronto parlamentare.
Basta un decreto ministeriale ed ecco che qualche territorio amico o associazione gradita può brindare al finanziamento statale.
Un ordine del giorno di Lucaselli, una delle registe dell’operazione, ha confermato l’intenzione della maggioranza: impiegare i fondi per una serie di micro-misure territoriali. L’atto di Lucaselli è stato in realtà un “tecnicismo”, che ha corretto alcuni precedenti ordini del giorno presentati alla legge di Bilancio. In ogni caso è stato il sigillo all’iniziativa voluta dalla maggioranza.
Sgarbo Quirinale
Al netto delle proteste, forse tardive delle opposizioni, la destra ha tirato dritto per la propria strada. Ha portato a compimento un’operazione temeraria dal punto di vista legislativo con possibili ricadute sui rapporti istituzionali.
La modifica al testo, infatti, rappresenta una mossa che suona come un affronto al Quirinale. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in più di un’occasione ha chiesto al governo, e di conseguenza ai presidenti delle Camere, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, di vigilare sull’attinenza degli emendamenti con i temi trattati dai rispettivi decreti. Dopo le raccomandazioni di sorta, però, si continua a forzare la mano, sia con i voti di fiducia che con i decreti monstre.
Ma tutto il decreto, che ora sarà blindato in secondo lettura al Senato, è stato un grande pasticcio. «Un provvedimento che non avrà alcun impatto concreto sui settori culturali», lo ha definito Manzi. Il ministro Giuli si è soffermato soprattutto sulla creazione di una struttura di missione per il piano Olivetti.Un organismo che però era stato già bocciato dal sottosegretario, Alfredo Mantovano, che aveva corretto la prima versione del decreto.
Alla fine Giuli ha dovuto accontentarsi dell’istituzione di una sola posizione da dirigente. Con un paradosso: parte degli stanziamenti del decreto Cultura riguardano assunzioni di personale o addirittura misure estranee al comparto. Ma che tornano all’eterno tema delle mance da elargire.
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL 20 FEBBRAIO LA SENTENZA SUL CASO COSPITO, MA NON HA INTENZIONE DI DIMETTERSI, D’INTESA CON LA MELONI
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro è accusato di rivelazione di segreto
d’ufficio a Roma. Il 20 febbraio è attesa la sentenza. La storia è quella che risale al 31 gennaio 2023 e coinvolge il coinquilino e compagno di partito Giovanni Donzelli. Il quale si è presentato in parlamento per rivelare le visite ricevute dall’anarchico Alfredo Cospito al 41bis. In particolare quelle degli eletti Pd Debora Serracchiani, Walter Verini e Andrea Orlando. Proprio grazie a informazioni passategli da Delmastro. Che secondo l’accusa non poteva farlo. Delmastro oggi dice al Foglio: «Il tribunale mi condannerà. Me lo sento. Ma non mi dimetterò»
La storia
Delmastro dice che il suo caso e quello di Daniela Santanchè sono diversi. Per questo dice che non intende dimettersi. Anche se è dubbioso: « No, spero di no. Con Giorgia ne parlammo quando iniziò il processo». Donzelli aveva parlato delle registrazioni acquisite nel carcere di Sassari. In cui l’anarchco aveva parlato con boss di camorra e ‘ndrangheta che condividevano con lui l’ora d’aria. Oltre al 41 bis, che i capimafia ovviamente odiano perché non permette loro di avere alcun contatto con l’esterno. Dopo le parole di Donzelli alla Camera Angelo Bonelli di Avs deposita un esposto in procura perché le intercettazioni sarebbero state secretate. L’accusa presenta una richiesta di archiviazione. Ma il Gip lo manda lo stesso a processo attraverso l’imputazione coatta.
La limitata divulgazione
Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari dice che con un rinvio a giudizio «così inconsueto non ci sono le condizioni per un passo indietro». Nell’ultima udienza del processo, l’ex capo del Dap Francesco Basentini difencontro il diritto internazionale e contro un principio della nostra Costituzione, de il sottosegretario. Sostenendo che la «limitata divulgazione» di quell’atto su Cospito era riferita al personale penitenziario, ma non a Delmastro, delegato dal ministro a occuparsi di quell’ambito. Ma in via della Scrofa nessuno pensa che questo basterà per evitare la condanna. Visto che a Roma il tribunale vuole «fare politica». Per questo Delmastro si aspetta la condanna. E per questo Meloni alla fine lo salverà. Lasciandolo al suo posto.
(da agenzie)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
LA PERCENTUALE OVVIAMENTE RAGGIUNGE IL 50% TRA GLI SCAPPATI DI CASA SOVRANISTI
Donald Trump non piace agli italiani. La maggioranza assoluta ha un giudizio negativo della nuova presidenza degli Stati Uniti (52%), contro una minoranza (28%) che invece la apprezza.
A dirlo è un sondaggio di Ipsos oggi illustrato da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera. Secondo il quale c’è una divisione evidente per orientamento politico.
I partiti di maggioranza hanno percentuali di apprezzamento superiori al 50%, anche se un terzo di loro esprime voti negativi. Quelli dell’opposizione sono più netti.
Gli elettori Pd condannano Trump all’87%, quelli del M5s hanno un quarto di loro che lo apprezza. Ma c’è perplessità e paura soprattutto sulle prossime scelte del presidente.
Il 58% degli intervistati pensa che l’economia mondiale e gli scambi commerciali non vedranno benefici dal nuovo corso Usa. Anche la sicurezza globale non migliorerà.
Così come i rapporti con l’Ue: prevale nettamente chi dubita che potranno esserci miglioramenti (57%), contro il 22% che scommette invece sul contrario.
Sulla fine delle guerra in Ucraina e Medio Oriente, il 44% dubita che Trump avrà successo. Mentre quasi un terzo pensa al contrario che si potranno vedere risultati concreti. Il 43% pensa che Trump miri a indebolire l’Unione Europea. Il 51% pensa che Trump voglia favorire politiche sovraniste, anti-ambientaliste, anti-immigrati e contrarie alle politiche di inclusione.
(da agenzie)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
“SONO VENUTA A COMPRARE LE SIGARETTE” MA SGUSCIA AL TERZO PIANO PER PREPARARE LA SUA DIFESA POLITICA
Che ci fa così spesso Daniela Santanchè al terzo piano di Palazzo Madama? Dicono le
malelingue: va dal suo avvocato. E cioè? Ma ovvio: il presidente del Senato, caro amico e compagno di partito, Ignazio La Russa. D’altronde La Russa, avvocato lo è davvero. Con lui però la ministra non prepara una memoria difensiva – per quello il legale incaricato è Niccolò Pelanda – ma la strategia di una difesa politica sulla quale ha tutta l’intenzione di mettere la faccia. Lunedì alle 14, infatti, a Montecitorio si discuterà la mozione di sfiducia contro di lei presentata dal M5s. La novità delle ultime ore è questa: Santanchè – che ieri ha disertato il Consiglio dei ministri – sarà in Aula per affrontare le opposizioni che la vogliono mandare via dal governo dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio nell’inchiesta Visibilia. Ma la presenza della ministra è un segnale anche alla sua maggioranza. Improbabile ovviamente che lei prenda la parola, anche se ne avrebbe facoltà. In teoria il voto sulla mozione dovrebbe essere mercoledì. Non è detto però che il calendario dei lavori lo consenta. La maggioranza sogna di prendere tempo.
In ogni caso, a Palazzo Madama in tanti hanno notato negli ultimi tempi la presenza sempre più assidua della ministra, che è anche senatrice di FdI. “Ministra ma cosa ci fa sempre da queste parti?”, le hanno chiesto più volte i cronisti che hanno avuto la fortuna di incrociarla alla buvette. “Vengo per comprare le sigarette”, sguscia lei. Poi però, si dice, preso l’ascensore, la ministra si reca al terzo piano, in una delle stanze dove si trovano gli uffici del gruppo parlamentare di FdI. E’ in questa sorta di gabinetto d’emergenza, di ufficioso ufficio, che avverrebbero gli incontri con La Russa che ha i suoi, di uffici, nella stessa identica ala del pur labirintico Palazzo Madama, ma un piano più in giù. A distanza solo di quindici secondi di ascensore o due rampe di scale. Il rapporto tra la ministra e il presidente del Senato non è certo un segreto. Antica amicizia e diarchia politica in terra lombarda. “Ministra o meno, resterà mia amica”, assicurava una settimana fa La Russa ai cronisti che lo incalzavano sul futuro di Santanchè. Adesso però si lavora affinché questa sincera amicizia rimanga anche ben sigillata dentro le istituzioni italiane
La linea è nota. La ministra l’ha ribadita anche negli scorsi giorni. Non lascerà per il rinvio a giudizio subito nel processo Visibilia per falso in bilancio: “Non ho mai pensato di dimettermi per questo: sarò assolta, è un reato valutativo che si basa su perizie”, ha detto . Altro discorso invece verrebbe fatto in caso di rinvio a giudizio sulla seconda questione che la riguarda. Quella sulla presunta truffa della sua azienda sulla cassa integrazione straordinaria per il Covid: “Su quello capisco che ci sarebbero implicazioni politiche”, ha detto. Su questo procedimento Santanchè aveva chiesto alla Cassazione di spostare il fascicolo da Milano a Roma per vizio di competenza. In caso di successo avrebbe fatto ripartire le indagini da zero. Nei giorni scorsi, però, la Cassazione le ha dato torto. Ciononostante è difficile che una sentenza possa arrivare prima di settembre.
Solo se quel giorno fosse rinviata a giudizio, dunque, Santanchè farà un passo indietro da sola. Altrimenti dovrà essere la premier Giorgia Meloni a chiederlo. E con difficoltà. Santanchè infatti potrebbe farsi forte dell’approccio che FdI si appresta a tenere sul caso Andrea Delmastro. Il sottosegretario alla Giustizia non dovrebbe lasciare il ministero anche in caso di condanna nel processo per rivelazione del segreto d’ufficio (potete leggere l’articolo di Simone Canettieri). Insomma, se contano il merito delle questioni, l’opportunità politica, più che le condanne o i rinvii a giudizio, allora questo principio dovrà valere anche per lei.
(da il Foglio)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
SULLA MOZIONE DI SFIDUCIA L’IMBARAZZO IN FDI SU CHI DOVRA’ ESPORSI… FORZA ITALIA A E LEGA SI SFILANO
L’unica certezza è la data d’inizio della partita in aula, lunedì prossimo. Ma per il resto, tutto ciò che ruota attorno alla mozione di sfiducia dei Cinque Stelle per la ministra Daniela Santanchè è fatto di ipotesi, cattivi pensieri e soprattutto assenze: assolutamente volute. A partire da quella già in archivio della stessa big di Fratelli d’Italia, che ieri ha disertato il Consiglio dei ministri, ufficialmente “per impegni pregressi” secondo la vaga versione del suo staff.
Ma il punto è un altro, ossia la voglia di marcare visita nella discussione alla Camera sulla ministra di tanti big di FdI, come del centrodestra tutto. Perché tra i meloniani nessuno ha urgenza di difendere pubblicamente la veterana che dietro le quinte hanno tutti già abbandonato. E figurarsi gli alleati, che meditano addirittura di non dire una parola in aula. Della serie: il voto contro la mozione per ragione di governo sarà un sacrificio più che sufficiente. Ma metterci la faccia no, avanti qualcun altro.
Un mantra diffuso nella Lega come in buona parte di Forza Italia, dove però qualcuno ribalta così il ragionamento: “Noi di FI siamo garantisti, ma il rischio è di trovarci quasi da soli a difenderla”. Anche perché, spiegano dal partito di Antonio Tajani, non è stabilito da nessuna parte che tutti i partiti debbano intervenire durante la discussione e il voto su una mozione di sfiducia dell’opposizione. Il problema, si spiega, è solo di FdI. Nell’attesa, in queste ore si discute su chi dovrà bere l’amaro calice della difesa d’ufficio di Santanchè. Il candidato naturale sarebbe Gianluca Caramanna, suo consigliere politico e di cui si fa il nome per diventare il successore della ministra. Ma così non sarà, per schivare imbarazzi. Così alla fine il cerino potrebbe restare nelle mani del capogruppo di FdI, Galeazzo Bignami.
Ma è un po’ tutto in bilico sulla mozione. Perfino la data in cui si andrà alla conta, visto che non è scontato che il voto arrivi entro giovedì prossimo, come è per ora previsto. “Ci sono tante proposte di legge da discutere in questi giorni” fanno notare voci dal centrosinistra. Tradotto: tutta questa fretta di votare prima della prossima settimana non c’è. Anche perché tutte le altre spine della maggioranza, dalla questione Almasri all’oscura vicenda Paragon, hanno spinto il caso della ministra sullo sfondo. Quindi, attendere un altro po’ non sarebbe poi così grave. Tanto più che le opposizioni stanno ancora trattando, con Pd e Alleanza Verdi e Sinistra che valutano di sottoscrivere la mozione del Movimento.
Sia i dem che Avs avrebbero preferito un documento comune, e accusano fuori taccuino i 5Stelle di “andare troppo spesso per conto proprio”. Un problema verificatosi anche sul caso del torturatore libico, con il M5S che ha scelto la via dell’ostruzionismo parlamentare senza prima consultare gli altri partiti progressisti, e che continua a scuotere il capo contro la proposta del Pd di una mozione di sfiducia per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, suggerita da Elly Schlein come leva per portare in aula Giorgia Meloni. Ma il campo progressista voterà in ogni caso unito, pur sapendo che non sarà la mozione a togliere la poltrona alla meloniana. A cui non sarà certo dispiaciuto leggere sul Corriere della Sera di qualche giorno fa che l’udienza preliminare a Milano del processo a suo carico per truffa, fissata per il 26 marzo, potrebbe scivolare a settembre, causa carenza di giudici in tribunale.
In ambienti di centrodestra se ne parla come della migliore carta per la ministra: “Se davvero se ne riparlerà dopo l’estate, con tutti i casini politici che tengono banco ora, potrebbe trincerarsi ancora di più nel suo ministero. Anche perché chissà come ci arriveremo a settembre…”. Però alle opposizioni fa comunque gioco insistere sul governo che fugge o si rifugia nel segreto del Copasir quando deve dare conto dei suoi guai. Per questo Giuseppe Conte batte ancora quel tasto: “Il governo si deve assumere le sue responsabilità sulla ministra, gli elementi della truffa ai danni dello Stato sull’utilizzo dei fondi Covid sono già emersi molto chiaramente”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
BASTA RICEVERE UN FILE PDF O UN’IMMAGINE CON INFILATO UN TROJAN PER ESSERE INFETTATI, ANCHE SENZA CLICCARE. A QUEL PUNTO, GLI SPIONI HANNO ACCESSO TOTALE AL DISPOSITIVO: SONO IN GRADO DI USARLO PER REGISTRARE, FILMARE, FOTOGRAFARE, E LEGGERE I MESSAGGI INVIATI TRAMITE APP CRITTOGRAFATE, COME WHATSAPP E SIGNAL… UN SERVIZIO MOLTO DELICATO TANT’È CHE I CLIENTI DELLA “PARAGON” SONO SOLO GLI STATI (NON I PRIVATI)
Paragon Solutions è l’azienda produttrice dello spyware Graphite, di cui si è letto negli
ultimi giorni dopo che è emerso che questa tecnologia sarebbe stata usata per prendere di mira 90 persone, fra cui attivisti e membri della società civile.
Si tratta di un’azienda israeliana, fondata dall’ex premier israeliano Ehud Barak, che sarebbe stata recentemente venduta a una società di private equity statunitense, AE Industrial Partners.
In Italia, il direttore di Fanpage Francesco Cancellato è stato il primo a riferire di avere ricevuto notifica da WhatsApp di un attacco al suo dispositivo. Mercoledì, inoltre, la ong Mediterranea ha fatto sapere che venerdì 31 gennaio Meta ha informato Luca Casarini, tra i fondatori dell’organizzazione, che anche il suo telefono è stato violato da un’operazione di spyware ad alto livello, attraverso l’uso di un software definito “tra i più sofisticati al mondo”.
Lo spyware Graphite è una tecnologia di sorveglianza di livello militare in grado di penetrare anche in smartphone criptati. Il Guardian, che ha seguito la vicenda fin dall’inizio, spiega che ha capacità paragonabili allo spyware Pegasus di un’altra azienda israeliana, la NSO Group, che è emerso che fu usato per spiare attivisti, giornalisti e leader politici: come Pegasus, Graphite di Paragon può infettare un telefono cellulare all’insaputa dell’utente e senza che clicchi su un link o un’e-mail dannosi.
Una volta infettato un telefono con Graphite, l’operatore dello spyware ha accesso totale al dispositivo, compresa la possibilità di leggere i messaggi inviati tramite applicazioni crittografate come WhatsApp e Signal. Secondo WhatsApp il cosiddetto vettore, cioè il mezzo con cui ‘l’infezione’ è stata trasmessa ai dispositivi degli utenti, è stato un file pdf ‘malicious’ inviato a persone aggiunte a chat di gruppo.
WhatsApp ha dichiarato di poter affermare con “sicurezza” che Paragon era collegato a questo obiettivo. Esperti citati dal Guardian evidenziano gli attacchi dello spyware per introdursi nei dispositivi sono ‘zero-click’, il che significa che i bersagli non hanno bisogno di cliccare su nessun link per essere infettati.
Il software di hacking di Paragon è usato da clienti governativi, sottolinea il Guardian, che cita una fonte vicina all’azienda secondo cui Paragon ha fra i clienti 35 governi. Secondo la fonte, tutti questi governi possono essere considerati democratici e Paragon non fa affari con Paesi precedentemente accusati di abuso di spyware. La testata britannica sottolinea che “non è ancora chiaro chi siano gli specifici clienti governativi dietro i presunti attacchi”.
WhatsApp ha fatto sapere che tutti i tentativi di hacking sono stati scoperti a dicembre, in parte grazie all’aiuto del Citizen Lab dell’Università di Toronto, che segue le minacce digitali contro la società civile. Non è noto per quanto tempo gli individui siano stati sorvegliati o quali siano i clienti governativi coinvolti in ciascun caso.
il Guardian ha riferito che Paragon Solutions ha posto fine ai suoi rapporti con l’Italia: la testata cita una fonte coperta dall’anonimato secondo cui Paragon aveva “per eccesso di cautela” inizialmente sospeso il contratto con Roma quando è emersa la prima accusa di potenziali usi impropri dello spyware, venerdì scorso; la decisione di rescindere completamente il contratto è stata poi presa mercoledì, dopo che Paragon ha stabilito che l’Italia avrebbe violato i termini di servizio e il quadro etico concordato ai sensi del contratto.
Paragon sarebbe stata recentemente acquisita da un’azienda statunitense chiamata AE Industrial Partners, che sul suo sito web viene descritta come una società di investimenti privati con 5,6 miliardi di dollari di asset in gestione, focalizzata su mercati che includono la sicurezza nazionale. Il Guardian aggiunge che l’anno scorso Paragon ha stipulato un contratto di 2 milioni di dollari con l’ICE, l’agenzia Usa per l’immigrazione e l’applicazione delle leggi doganali. Il contratto, stipulato sotto l’amministrazione Biden, sarebbe stato sospeso mentre l’amministrazione cercava di determinare se fosse conforme a un ordine esecutivo che limitava l’uso di spyware da parte del governo federale.
(da agenzie)
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