Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
LE IMPRESE ITALIANE POTREBBERO RICEVERE UNA STANGATA FINO A 10 MILIARDI DI EURO
Per alcuni dei settori di punta del Made in Italy, come l’industria del mobile o l’agroindustria (vini, liquori, formaggi, conserve), per non dire della farmaceutica, quello nordamericano è uno dei principali mercati di sbocco, se non il primo. In ballo ci sono decine di miliardi di euro di esportazioni che ora i dazi minacciati da Trump mettono decisamente in pericolo.
Le nostre imprese, infatti, rischiano una stangata che potrebbe arrivare anche a 10 miliardi di euro. Per contrastare i piani di Trump servirebbe una risposta forte dell’Europa, «ma l’Europa in questa fase è assente, dorme» segnalano le imprese.
«Le dichiarazioni di Trump non ci fanno stare tranquilli» commenta Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, settore che esporta oltre il 50% della sua produzione e che ha negli Usa il suo secondo mercato di riferimento per un controvalore di 1,4 miliardi di euro.
Anche per l’agroalimentare il contraccolpo potrebbe essere pesante. Francesco Mutti, amministratore delegato dell’impresa di famiglia, la Mutti spa di Parma, che nel giro di poco tempo sul mercato nordamericano è diventato il primo marchio italiano nel mondo del pomodoro, dice di «vivere molto male» la prospettiva che gli Usa introducano nuovi dazi, «non solo per l’eventuale danno che potrebbe subire la sua azienda, ma soprattutto per la mancanza di visione della nuova Amministrazione Usa. Perché in un momento come questo, con la guerra in Ucraina ancora in corso e la situazione in cui si trova il Medio Oriente, non si può scatenare una guerra commerciale per un po’ di esportazioni».
Su 6 miliardi di euro di export agroalimentare ben 2 arrivano da vini e liquori che hanno negli Usa il loro primo mercato di sbocco, mercato che per i vini vale ben il 29% dell’export ed il 13% per i prodotti a maggiore gradazione alcolica. «La nostra industria ha già sofferto pesantemente a causa di dazi che hanno colpito ingiustamente il comparto – sostiene la presidente di Federvini Micaela Pallini -. È essenziale che produttori e istituzioni collaborino a livello internazionale per proteggere una filiera che rappresenta un importante patrimonio economico e culturale».
Secondo Chiara Soldati, presidente del Comitato Casa di Federvini e ceo della cantina La Scolca di Gavi, l’introduzione di nuovi dazi doganali da parte degli Stati Uniti «metterebbe certamente in grossa difficoltà il nostro settore. Ma un protezionismo di questo tipo – aggiunge – mi sembra poco lungimirante visto che la produzione interna americana non è sufficiente per coprire i loro consumi col risultato che gli Usa avranno comunque bisogno di una quota di importazione di cui andranno a beneficiare quei paesi, come quelli del nuovo mondo che non sono toccati dai dazi. Ad esempio già nei dati di fine anno il Sauvignon neozelandese ha recuperato molte quote di mercato rispetto ai vini europei».
Anche per il Consorzio del Parmigiano-Reggiano gli Stati Uniti sono il primo mercato estero con oltre il 22% di quota export (pari a più di 14.000 tonnellate). «Il rischio – spiega il presidente Nicola Bertinelli – è che ora vengano presi provvedimenti di tutela che influenzano il mercato colpendo in maniera indiscriminata anche chi, come noi, copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto a un prezzo doppio, 20 dollari a libra contro 10, di quello dei “Parmesan” locali.
Non si può pensare che mettendo dei dazi all’importazione di prodotti lattiero-caseari si possa tutelare gli agricoltori americani, anzi. Aumenterebbe solo il prezzo per i consumatori americani, senza proteggere realmente i produttori locali. È una scelta che danneggia tutti».
Analizzando i dati dell’export verso gli Usa, però, il settore che rischia più di tutti è quello dei prodotti farmaceutici. «Medicinali e vaccini rappresentano il primo settore italiano per export verso gli Stati Uniti con 7,8 miliardi di euro nei primi dieci mesi del 2024», segnala il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani -. Le nostre esportazioni però sono difficilmente sostituibili, perché la produzione di farmaci su larga scala, per il know-how che serve, non è appannaggio di tutti i Paesi.
L’Italia è il primo produttore europeo ed è un campione mondiale, nella crescita dell’export abbiamo superato anche gli Usa, e quindi anche l’America conosce la rilevanza dell’industria farmaceutica italiana nel servire il loro mercato. Contiamo sul nostro alleato ma soprattutto sul nostro governo per mettere a frutto il buon dialogo politico che caratterizza questo momento in un periodo in cui l’Europa non è presente».
(da La Repubblica)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
BOCCIA DI NUOVO IL TERZO MANDATO PER ZAIA E FA INTRAVEDERE LA POSSIBILITÀ DI UNA PROPRIA LISTA PER LE REGIONALI: “MA NON ANTICIPO L’EFFETTO SORPRESA”… IL GELO DEL “DOGE” ZAIA: “HO ALTRI PROBLEMI CHE STARE A COMMENTARE VANNACCI”
Due giorni di incontri pubblici in Veneto e Roberto Vannacci, principe dei-dico-e-non-
dico, fa saltare i nervi della Liga, la costola regionale del Carroccio. L’eurodeputato indipendente infatti, tra una presentazione del libro e un giro in battello coi fan, boccia di nuovo il terzo mandato per Luca Zaia e fa intravedere la possibilità di una propria lista per le regionali affiancata proprio alla Lega (“ma non anticipo l’effetto sorpresa”, ha spiegato).
Opzione evocata ricordando le sue oltre 70 mila preferenze alle Europee prese in Veneto. Ecco, prima il sindaco di Treviso Mario Conte – zaiano di ferro e possibile candidato presidente se per Zaia non ci fosse un sequel – e poi lo stesso presidente lo liquidano con qualche battuta salace che però rende bene l’idea dell’insofferenza del partito verso il generale sospeso dall’esercito che gioca a provocare.
“Capiremo come viene inquadrato Vannacci nel partito e nella coalizione, se potrà portare un contributo nulla di male purché non cominciano con la storia delle condizioni, quelle le pone il partito e non le forze esterne”, dice Conte parlando alla locale Antenna Tre.
L’ambiguità dell’eurodeputato è risaputa: con un piede dentro la Lega, con l’altro impegnato a costruire il suo movimento, con l’obiettivo di correre alle regionali di Toscana e Veneto. Con il benestare di Matteo Salvini
Quanto all’attuale presidente di Regione, parole altrettanto velenose: “Non mi risulta che Vannacci sia iscritto alla Lega quindi non ho nulla da commentare sulle sue dichiarazioni in merito al terzo mandato. Ho altri problemi che stare lì a commentarlo”.
Nel mentre il Mondo al contrario, comitato ispirato al suo libro, come detto si sta facendo movimento politico in maniera esplicita e punta ai voti della destra più radicale, magari elettori delusi da FdI e Lega. Lui di fronte alle critiche fa spallucce: “Mi piace la logica di Conte: sì a Vannacci se porta voti, ma niente condizioni perché i benefici dei voti di Vannacci li vogliamo solo noi, i dipendenti!”. Titolo del post Facebook: ‘Ius primae noctis’.
(da La Repubblica)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
LE TOGHE SI SONO COMPATTATE NEL SOSTEGNO BIPARTISAN AL PROCURATORE DI ROMA, FRANCESCO LO VOI… SOLIDARIETÀ A CUI SI UNIRÀ ANCHE IL CAPO DELLO STATO, SERGIO MATTARELLA: IL “CASO LO VOI” SARA’ DISCUSSO AL CSM
L’esposto presentato a Perugia sul caso Almasri contro il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, ultimo atto della guerra dichiarata del Governo contro le toghe, ha avuto l’effetto di compattare i magistrati.
Di fronte al conflitto tra potere politico e giudiziario, pm e giudici si è uniti a supporto di Lo Voi: pieno sostegno all’ex capo della procura di Palermo, finito nel mirino del centrodestra dopo aver indagato Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano e i ministri Nordio e Piantedosi.
Un sostegno bipartisan (anche perché Lo Voi non è affatto una “toga rossa”, ma è iscritto da sempre alla corrente di destra, “Magistratura indipendente”) a cui si unirà anche la solidarietà di Sergio Mattarella, visto che la questione sarà dibattuta al Csm, di cu il capo dello Stato è Presidente…
Sul tavolo del procuratore di Perugia Raffaele Cantone ieri è arrivata la denuncia presentata il 31 gennaio scorso ai carabinieri della Capitale dall’avvocato Luigi Mele contro il suo collega Luigi Li Gotti e il procuratore di Roma Francesco Lo Voi, in merito al caso politico-giudiziario legato alla scarcerazione del generale libico Osama Almasri Nijeem.
Cantone oggi deciderà se l’apertura del fascicolo venga fatta a modello 45, vale a dire senza ipotesi di reato o indagati. Si potrebbe trattare di un passo preliminare che potrebbe preludere all’archiviazione.
Ma è anche possibile che i pm perugini – competenti per i reati commessi o subiti dai magistrati della Capitale – decidano di scorporare le due posizioni.
L’avvocato Mele, infatti, ha chiesto di indagare su Li Gotti per i reati di calunnia aggravata, attentato contro organi costituzionali e vilipendio delle istituzioni, in merito alla denuncia che aveva presentato contro la premier Giorgia Meloni, i ministri della Giustizia Carlo Nordio e degli Interni Matteo Piantedosi, e il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano.
Mentre per Lo Voi ha ipotizzato i reati di omissione di atti d’ufficio aggravata e oltraggio a un corpo politico, perché ha deciso di iscrivere nel registro degli indagati i 4 membri dell’esecutivo (senza fare da “filtro”, secondo Mele) e di inoltrare le carte al Tribunale dei ministri. Non ci sono invece altre denunce nei confronti di Lo Voi arrivate a Cantone in merito alla vicenda Almasri.
Secondo quanto denunciato dall’avvocato Li Gotti, scarcerando Almasri (ricercato dalla Corte dell’Aia), Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano avrebbero favorito la sua fuga e, mettendogli addirittura a disposizione un volo di Stato, avrebbero sperperato denaro pubblico. Lo Voi, come atto dovuto, ha poi deciso di iscriverli sul registro degli indagati per quegli stessi reati.
L’avvocato Mele ritiene che Li Gotti abbia presentato una denuncia priva di indizi di colpevolezza, ma soltanto ritagli di giornale. Per questo sostiene che si configuri nei confronti del suo collega la calunnia aggravata, per aver accusato di specifici reati – «pur sapendoli innocenti» – la presidente del consiglio, due ministri e un sottosegretario.
I reati di attentato contro organi costituzionali e vilipendio delle istituzioni indicati da Mele sono riconducibili al fatto che la denuncia di Li Gotti avrebbe prodotto una pressione psicologica tale da impedire l’esercizio delle prerogative del governo. Mentre a Lo Voi contesta di aver omesso una preventiva valutazione sugli elementi probatori in essa contenuti.
Intanto oggi pomeriggio il sottosegretario alla presidenza del consiglio Mantovano sarà sentito davanti al Copasir sulla vicenda di Gaetano Caputi, il capo di Gabinetto della premier, sul conto del quale l’Aisi aveva cercato informazioni accedendo ad alcune banche dati.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
PER APPROVARE LA LEGGE DI BILANCIO E SUL WELFARE, IL PREMIER HA UTILIZZATO L’ARTICOLO DELLA COSTITUZIONE CHE CONSENTE DI SCAVALCARE IL PARLAMENTO, SALVO UNA MOZIONE DI CENSURA CHE SARÀ VOTATA DOMANI. COSA FARA’ LE PEN? NON LA VOTERA’
Nessun campo largo, va in crisi l’alleanza tra i partiti della sinistra francese. Il partito
socialista si allontana sempre di più dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Il Ps ha infatti annunciato che non voterà la sfiducia presentata da Lfi contro il governo di François Bayrou. Per approvare l’agognata legge di Bilancio e quella sulla Sécurité sociale (il Welfare francese), il premier ha deciso di utilizzare l’articolo 49.3 della Costituzione che consente di varare una legge scavalcando il Parlamento, salvo adozione di una mozione di censura (equivalente alla sfiducia) nelle 24 ore successive.
Non appena il premier ha fatto l’annuncio, il deputato di Lfi Eric Coquerel ha presentato la censura che sarà messa al voto domani. A due mesi dalla caduta del governo dell’ex premier Michel Barnier, i parlamentari dell’Assemblée Nationale sono chiamati di nuovo a votare la sfiducia sulla legge di Bilancio. Barnier non era sopravvissuto. Bayrou – nonostante un esordio complicato e tra molte gaffe – potrebbe invece farcela.
Anche grazie al ministro dell’Economia, Eric Lombard, arrivato nel dicastero chiave con il compito di trovare un compromesso politico con i socialisti. Amico di lunga data del segretario del Ps, il ministro dell’Economia – già presidente della Cassa Depositi e in Generali France – ha portato lo storico partito della sinistra a sganciarsi da Mélenchon.
I socialisti ripetono che non c’è un vero e proprio “patto di non sfiducia”, quando piuttosto una scelta dettata per “senso di responsabilità” e “nell’interesse del Paese”. Una prima svolta c’era stata in occasione del discorso di insediamento di Bayrou, quando i socialisti non avevano votato la sfiducia presentata da Lfi.
Non è ancora chiara la posizione del Rassemblement National. Il partito di Marine Le Pen deciderà nelle prossime ore l’indicazione di voto: alcuni deputati come Jean-Philippe Tanguy, membro della commissione Finanze, sono orientati a votare la sfiducia. Ma oggi il presidente del partito Jordan Bardella ha detto che il Rn è orientato a non votare la sfiducia a Bayrou sulla finanziaria per non aggravare “l’instabilità” in Francia, aggiungendo che la mozione di censura non ha “matematicamente” nessuna chance di essere adottata dopo il rifiuto dei socialisti di votarla.
Dopo la decisione dell’ufficio nazionale del partito socialista francese, Mélenchon ha decretato un divorzio nell’alleanza di partiti di sinistra che erano arrivati in testa alle legislative di luglio. “Il Nuovo Fronte Popolare si è ridotto di un partito”, ha scritto il leader di Lfi, sul suo blog.
Per la sinistra francese significa una rivoluzione negli equilibri con conseguenze sulle prossime scadenze elettorali, a cominciare dalle amministrative fino alla presidenziale. La decisione di tagliare con l’ala più radicale era promossa da mesi dall’ex presidente François Hollande.
Qualche giorno fa, anche l’ex premier Lionel Jospin, che parla solo in rare occasioni, si era pronunciato per non far cadere l’esecutivo Bayrou. Scegliendo la strada della “responsabilità” i socialisti cercano di sottrarsi dall’egemonia di Mélenchon, cercando di ritrovare una loro leadership a sinistra. Il Ps dovrà però affrontare entro l’estate un congresso che non sarà facile per via delle molte correnti interne e concorrenti.
(da La Repubblica)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
BOCCHINO: “FAI IL PASSACARTE DEI MAGISTRATI, TI DANNO I PEZZI DI CARTA PER CONDANNARE E SPUTTANARE”… IL DIRETTORE DEL “FATTO” NON CI VEDE PIÙ E AZZANNA BOCCHINO ALLA GIUGULARE: “LAVATI LA BOCCA! IO SCRIVO QUESTE COSE DA QUANDO HO INIZIATO A FARE IL GIORNALISTA. NON CAMBIO IDEA A OGNI STORMIR DI FRONDA COME FAI TU”
Trascrizione dello scazzo tra Italo Bocchino e Marco Travaglio ad “Accordi e Disaccordi” – Nove
BOCCHINO: “Tu sei uno dei responsabili delle distorsioni, perché ti danno i pezzi di carta per condannare e sputtanare le persone preventivamente. Tu le sputtani preventivamente.
TRAVAGLIO: Allora io vorrei ricordare a Bocchino che a) lui non ha querelato il Fatto Quotidiano per diffamazione, perché il Fatto Quotidiano non ha mai diffamato Bocchino, ha fatto la cronaca di un processo.
BOCCHINO: “Certo che mi ha diffamato”
TRAVAGLIO: Si chiama cronaca giudiziaria, non diffamazione. E credo che se dirige un giornale o fa il direttore editoriale forse dovrebbe saperlo
BOCCHINO: Sì, sì, eccomi con atti segretati… Sei un bugiardo
TRAVAGLIO: Secondo, io scrivo queste cose da quando ho iniziato a fare il giornalista. Non cambio idea a ogni stormir di fronda come fai tu. Io scrivo queste cose da vent’anni, prima che esistessero i 5 Stelle. Quindi lavati la bocca, voltagabbana che non sei altro. Io sono coerente, tu sei un voltagabbana al servizio di chi ti paga…
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL REPORT ANNUALE DI LEGAMBIENTE
È ancora una volta Frosinone la città italiana con la peggiore qualità dell’aria secondo il
rapporto Mal’aria di Legambiente. Nel corso del 2024, nel capoluogo laziale sono stati registrati 68 giorni in cui i valori di Pm10 hanno superato i limiti di legge, fissati a 50 microgrammi ogni metro cubo. Il centro ciociaro domina una triste classifica che come di consueto vede ai primi posti i centri medi e grandi della Pianura Padana. A Frosinone segue Milano (68 sforamenti). Scendendo ancora ci sono Verona (66), Vicenza (64), Padova (61), Venezia (61). Poi Cremona, Napoli, Rovigo, Brescia, Torino, Monza, Modena, Mantova, Lodi, Pavia, Catania, Bergamo, Piacenza, Rimini, Terni, Ferrara, Asti e Ravenna.
Le nuove regole nel 2030 (e la deroga per la Pianura Padana)
In totale, sono 25 i capoluoghi di provincia, su 98 di cui erano disponibili i dati, ad aver superato i limiti per almeno 35 giorni l’anno i 50 µg/mc. Tuttavia, fa notare Legambiente «lo scenario cambierà con l’entrata in vigore della nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, a partire dal 1° gennaio 2030. Per il PM10, sarebbero infatti solo 28 su 98 le città a non superare la soglia di 20 µg/mc, che è il nuovo limite previsto. Al 2030, 70 città sarebbero dunque fuorilegge». Tuttavia, quando all’inizio dello scorso anno è stato dato il via libera alle nuove regole europee, le città della Pianura Padana hanno ottenuto una deroga, che consentirà loro di applicare i nuovi limiti dal 2040 se rispetteranno alcuni requisiti da qui ai prossimi cinque anni.
Come migliorare la qualità dell’aria
La deroga è stata concessa principalmente per via delle particolari condizioni morfologiche della valle del Po. Quasi interamente circondata da montagne, la pianura del Nord Italia è soggetta a un basso ricambio dell’aria. L’alta densità abitativa, i trasporti a motore, i riscaldamenti e gli allevamenti intensivi fanno il resto, rendendone l’aria una delle peggiori d’Europa. La situazione è migliorata nel corso degli anni, ma non abbastanza. Per questo, Legambiente chiede che vengano intensificati gli sforzi, per alleggerire le strade dai veicoli inquinanti, le campagne dagli allevamenti intensivi, e le tasche dei cittadini dalle bollette del riscaldamento, che potrebbero scendere con un adeguato isolamento degli edifici.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
FRANCO ROCCELLA (PADRE DELL’ATTUALE MINISTRA EUGENIA), SI FECE APPLICARE UN CATETERE PER NON ESSERE COSTRETTO AD ABBANDONARE LO SCRANNO PER GLI INEVITABILI QUANTO IMPELLENTI BISOGNI FISIOLOGICI
Il record lo stabilì Marco Boato, deputato radicale capace di parlare senza sosta dal suo scranno alla Camera per 18 ore e 5 minuti. Ma altri parlamentari legati a Marco Pannella (anche lui maestro di oratoria torrenziale), da Franco Roccella a Massimo Teodori, non sono stati da meno (16 ore). E lo storico leader del Movimento Sociale, Giorgio Almirante, allora? Si conquistò il soprannome di «vescica di ferro» per aver inchiodato i colleghi ad ascoltarlo per oltre dieci ore.
Ma dentro l’arco costituzionale i primi a praticare l’ostruzionismo, che in questi giorni riaffiora in Parlamento per l’iniziativa dei deputati 5 Stelle di intervenire in 36 sul dl Cultura pur di parlare del caso Almasri, sono stati nel primissimo Dopoguerra i comunisti e i democristiani. Su tutti, tra i primi, Giancarlo Pajetta. E tra i secondi, incredibile a dirsi, Giulio Andreotti
Le regole parlamentari sono cambiate dagli anni Ottanta. Proprio l’exploit oratorio di Marco Boato, tra il 7 e l’8 febbraio del 1981 (parlò ininterrottamente dall20 fino alle 14,05 del giorno dopo) indusse l’allora presidente della Camera Nilde Iotti a stabilire che ogni intervento potesse durare al massimo 45 minuti.
E così, addio ostruzionismo (prodotto importato dall’anglosassone filibustering). Ma che imprese a quei tempi. Boato, per esempio, conquistò il record faticando a battere il collega radicale Massimo Teodori che solo un paio di giorni prima si era prodotto in 16 ore filate di discorso. E va ricordato che bisognava parlare a braccio e non era consentito appoggiarsi ai banchi. Insomma, una fatica non da poco anche dal punto di vista fisico.
Tant’è che c’è chi ricorda che un altro deputato radicale, Franco Roccella (padre dell’attuale ministra Eugenia), si fece applicare un catetere per non essere costretto ad abbandonare lo scranno per gli inevitabili quanto impellenti bisogni fisiologici.
Il missino Almirante, invece, in virtù della sua maggiore resistenza durante i suoi fluviali interventi si fregiò dell’appellativo di «vescica di ferro» di cui andava orgoglioso.
Meno legato ad imprese «individuali» ma non meno rilevante l’ostruzionismo praticato anche da i due principali partiti della Prima Repubblica.
Il Partito comunista nel 1949 tenne inchiodato il Parlamento per «tre giorni e tre notti» (così raccontano le cronache dell’epoca) per cercare di scongiurare l’adesione dell’Italia alla Nato, mentre nel 1953 nella battaglia in Aula contro la cosiddetta Legge Truffa (legge elettorale maggioritaria voluta dall’allora ministro dell’Interno Mario Scelba) si distinse per vigore, non solo oratorio, Giancarlo Pajetta.
(da corriere.it)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
IL PIÙ CELEBRE È QUELLO A DARYA DUGINA, FIGLIA DEL NAZIONALISTA ALEXANDER DUGIN, UCCISA DA UNA BOMBA PIAZZATA SULLA SUA AUTO NEL 2022, A MOSCA… LO SCORSO DICEMBRE GLI 007 DI KIEV HANNO ACCOPPATO CON UNA BOMBA PIAZZATA IN UN MONOPATTINO IGOR KIRILLOV, COMANDANTE DELLE TRUPPE DI DIFESA NUCLEARE, CHIMICA E BIOLOGICA DELLE FORZE ARMATE RUSSE
Nessun ha per ora rivendicato l’uccisione a Mosca di Armen Sarkisian ma tutto sembra
indicare che dietro vi sia la mano degli 007 ucraini. Gli stessi che da molti mesi inquietano i sonni del Cremlino, in particolare quelli dei dirigenti dei servizi segreti russi che non riescono a porre argine a una sequela di omicidi mirati in patria.
Sbu e Gur, i due servizi segreti del governo e quelli militari di Kiev, hanno condotto dall’inizio della guerra diverse operazioni contro esponenti russi, rivendicandone alcune o lasciando intendere di aver avuto un ruolo centrale in quelle più scottanti.
Tanto che lo scorso maggio Mosca avrebbe ordito un piano, sventato, per eliminare i due capi: Vasyl Malyuk dell’Sbu, Torquemada dei collaboratori ucraini di Mosca, e Kyrylo Budanov del Gur, l’intelligence militare, oltre al presidente Volodymyr Zelensky.
Tra i principali assassinii mirati attribuiti agli 007 ucraini spicca quello di Darya Dugina, figlia del nazionalista russo Alexander Dugin, uccisa da una bomba azionata a distanza piazzata sulla sua auto il 20 agosto 2022, nella periferia di Mosca. Kiev non ha mai confermato il suo coinvolgimento, ma secondo fonti americane sarebbe stato proprio lo Sbu ad eliminarla, forse per errore perché il vero obiettivo dell’attentato sarebbe stato il padre.
Qualche mese prima, gli 007 di Zelensky avrebbero ucciso Denis Kireyev – che aveva fatto parte della squadra negoziale ucraina – accusato di tradimento e colpevole, secondo l’intelligence, di aver passato informazioni a Mosca. E sempre lo Sbu è sospettato di aver eliminato il noto blogger ultranazionalista pro-Russia Vladlen Tatarsky, ucciso nell’aprile del 2023 in un bar di San Pietroburgo dall’esplosione di una statuetta imbottita con oltre 200 grammi di Tnt che gli era stata appena regalata da una ragazza.
L’ultimo, forse più eclatante attentato è quello contro il generale Igor Kirillov, comandante delle truppe di difesa nucleare, chimica e biologica delle Forze armate russe. Il 17 dicembre scorso il militare era uscito di primo mattino con il suo assistente nella zona del Viale Ryazansky di Mosca, a una manciata di chilometri dal Cremlino. Un ordigno, piazzato su un monopattino elettrico parcheggiato nei pressi, viene azionato a distanza ed esplode, uccidendo i due uomini.
Nella bomba c’era l’equivalente di un chilogrammo di dinamite, la deflagrazione mandò in frantumi le finestre di diversi appartamenti danneggiando anche l’entrata dell’edificio. A queste operazioni si aggiunge poi un elenco lunghissimo di sabotaggi e attacchi che hanno preso di mira fabbriche, impianti industriali e militari, infrastrutture civili. Tra gli ‘schiaffi’ a Mosca gli attacchi al ponte Kerch che collega la Crimea alla Russia, fiore all’occhiello dello zar, e l’affondamento di diverse navi russe nel Mar Nero.
(da agenzie)
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Febbraio 4th, 2025 Riccardo Fucile
RISCHIA DI ESCLUDERE I GIOVANI MENO ABBIENTI, LIMITANDO L’ACCESSO ALLA CULTURA E AMPLIFICANDO LE DISUGUAGLIANZE… IL CALO DEI BENEFICIARI E IL CONFRONTO CON LE POLITICHE CULTURALI EUROPEE EVIDENZIANO LA CRITICITA’ DI QUESTA RIFORMA
Ha appena compiuto un anno, ma emergono già segnali chiari: nella sua nuova configurazione, il Bonus Cultura non sta ottenendo i risultati sperati.
Quella che un tempo era la 18App, oggi divisa in Carta Cultura Giovani e Carta del Merito, sembra non essere all’altezza del suo predecessore. Dei 190 milioni stanziati per il 2024, solo 108 sono stati effettivamente utilizzati: a prima vista questo potrebbe sembrare una differenza trascurabile, ma in realtà potrebbe tradursi in un duro colpo per l’intero comparto culturale.
Se si confrontano i dati con il 2023, infatti, il calo degli incassi legati alla misura è quasi dimezzato. Non solo, con i nuovi requisiti il bonus rischia di creare ancor più disuguaglianze tra i giovani.
Da 18App alle nuove carte: il cambio di paradigma
Lanciata nel 2016, la 18App nasceva con un obiettivo chiaro: avvicinare tutti i giovani alla cultura. Con 500 euro a disposizione, ogni diciottenne poteva allora acquistare libri, biglietti per musei e spettacoli, corsi di musica e lingue straniere, abbonamenti a quotidiani e periodici. Nel 2023, però, la Legge di Bilancio 2023 del Governo Meloni ne ha disposto l’abolizione, sostituendo questo modello con un sistema basato su criteri selettivi, così dal 2024 esistono due nuove carte: la Carta Cultura Giovani, riservata a chi ha un ISEE inferiore a 35mila euro e la Carta del Merito, destinata ai diplomati con il massimo dei voti (100/100). Entrambe valgono 500 euro e sono cumulabili, ma non garantiscono più un accesso universale alla cultura.
Se il fine dichiarato infatti era quello di sostenere economicamente le famiglie meno abbienti e premiare il merito scolastico, la realtà sembra essere un’altra: il diritto alla cultura, che dovrebbe essere un diritto di tutti e non un lusso per pochi, in questo modo, viene trasformato in un criterio di selezione. La 18App non era un sussidio al reddito, ma un investimento nell’educazione culturale dei giovani. Limitare l’accesso a strumenti come il bonus cultura rischia di ampliare ulteriormente il divario tra chi può permettersi di coltivare il sapere e chi ne resta ai margini.
Settori in difficoltà
L’allarme arriva da ogni ambito del settore culturale: dall’editoria alla musica, dal cinema agli spettacoli dal vivo. I numeri parlano chiaro: mentre nel 2023 il bonus era stato assegnato a 458.400 diciottenni, quest’anno i beneficiari sono appena 117.699 (un dato che comunque risulta assolutamente sovrastimato, visto che le due carte sono cumulabili).
Le conseguenze sono evidenti: la Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI) segnala un crollo degli introiti, mentre l’Associazione Italiana Editori (AIE) stima una perdita di 32,7 milioni di euro per il mercato del libro. Anche l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS) conferma un calo significativo. Durante le audizioni alla Commissione Cultura della Camera, queste e molte altre associazioni hanno sottolineato la necessità di monitorare l’impatto del nuovo sistema, chiedendone una revisione; ogni proposta di modifica però è stata respinta, compresa quella che prevedeva una proroga per l’ottenimento delle carte. “Siamo amareggiati”, ha dichiarato Innocenzo Cipolletta, presidente dell’AIE, sottolineando come la decisione del governo sia stata “più politica che tecnica”. Per l’Associazione Italiana Editori l’auspicio è che il dialogo con il ministro della Cultura Alessandro Giuli possa continuare, perché “la battaglia riguarda l’intera filiera culturale”. Il bonus, infatti, da incentivo alla cultura per tutti, si è oggi trasformato in una misura selettiva basata su criteri di reddito e merito, restringendo l’accesso per moltissimi giovani.
Il confronto con l’Europa
L’Italia sembra aver fatto un passo indietro rispetto ad altri Paesi europei, che puntano su politiche culturali più inclusive: in Spagna, per esempio, il Bono Cultural Joven, introdotto nel 2022, garantisce 400 euro a tutti i diciottenni, senza distinzioni: il budget è suddiviso tra libri, strumenti musicali e attività culturali come concerti e spettacoli. La Germania ha lanciato il Kulturpass nel 2023, un voucher da 200 euro, destinato anche lui a tutti i giovani senza alcun requisito di merito o reddito. In Francia, invece è attivo dal 2021 il Pass Culture, un buono con un credito di 300 euro, che inizialmente ha ricevuto numerose critiche per la mancanza di controlli sulle spese, con fondi utilizzati per attività non strettamente culturali. Anziché restringere il numero dei beneficiari, però, il governo francese sta lavorando a una riforma che mantenga l’universalità dello strumento, introducendo solo un’eventuale modulazione degli importi in base alle condizioni economiche.
(da Fanpage)
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