Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
CI RIVEDIAMO GIOVEDI’ 6 MARZO
Dopo una tirata ininterrotta di circa sei mesi e raggiunto il traguardo di 17 anni e mezzo
di pubblicazione con oltre 83.000 articoli e piu’ di 3,2 milioni di lettori, ci prendiamo 15 giorni di vacanza, come avevamo programmato.
Ritorneremo a informarvi giovedi 6 Marzo
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da oltre 17 anni tra i primi blog di area in Italia, considerando che siamo notoriamente “scomodi”, è un risultato che premia la nostra coerenza e la nostra indipendenza, ma soprattutto testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, europeista, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
UNA VITA PASSATA A FARE LA VOLONTARIA: “SARANNO SEMPRE NEL MIO CUORE, VADO VIA PIENA D’AMORE”
Ha fatto un viaggio da Milano a Napoli, accompagnata dal nipote, la signora Marisa Tussena di 92 anni, per visitare la nave Mare Jonio dell’associazione italiana Mediterranea Saving Humans, impegnata nel salvataggio in mare delle persone migranti nel mediterraneo centrale. Una vita spesa nel volontariato e il desiderio di visitare di persona una delle navi che salvano vite, come aveva letto tante volte su giornali e libri, e come aveva visto al cinema nel film “Io capitano” di Matteo Garrone.
L’occasione sono stati gli open days della nave Mare Jonio in corso nel porto di Napoli. Così con l’aiuto del nipote, la signora Marisa si è prenotata online per la visita a bordo ed ha assistito anche alle spiegazioni sul funzionamento delle operazioni di salvataggio.
E’ stata accolta con commozione dall’equipaggio e dai dirigenti di Mediterranea Saving Humans che l’hanno accompagnata a visitare gli spazi a bordo, insieme al comandante Filippo Peralta.
“È una delle cose più belle che ho visto in vita mia”
Puntuale la signora Marisa è arriva al molo 21 del porto di Napoli, dove la Mare Jonio è ormeggiata dall’8 febbraio scorso, con oltre 1600 persone prenotate per visitarla che sono arrivate da ogni parte d’Italia.
Suo nipote le aveva promesso che avrebbe visto una cosa straordinaria. Lei a Napoli è venuta per fare due cose: “Devo visitare la nave e devo vedere il Cristo Velato” ha detto appena è arrivata in banchina.
Per lei c’è stata una grande accoglienza con gli attivisti di Mediterranea che l’hanno abbracciata e che si sono voluti fermare a lungo con lei a parlare in banchina. “Io sono venuta con mio nipote – ha detto a Fanpage.it – mi ha detto che avrei visto una cosa che non avrei dimenticato, ed è proprio così, non dimenticherò mai quello che ho visto, tutti saranno nel mio cuore e io farò qualcosa per loro. Penso che sia una delle cose più belle che si possano fare, salvare una persona, è commovente solo pensarci”.
La signora Marisa è salita sulla passerella che conduce a bordo della Mare Jonio ed ha preso posto sotto al tendone di poppa dove i capimissione introducono la visita a bordo.
“Io non conoscevo Mediterranea – ha spiegato la signora Marisa – sapevo quello che si fa in mare con i salvataggi, ho letto, ma non avrei mai immaginato una cosa così spettacolare, cosa sono capaci di fare, sono rimasta allibita, vado via piena d’amore”.
A bordo scorrono le immagini dei salvataggi ed anche delle azioni di disturbo della cosiddetta Guardia Costiera libica, che nell’aprile scorso ha sparato con le mitragliatrici contro i gommoni di soccorso della Mare Jonio impegnati in una operazione di salvataggio.
A 92 anni si è visto davvero tanto, e sicuramente anche tante cose brutte avvenute nel nostro paese. “Sì, ma questa è una delle cose più belle che ho visto in vita mia – ci dice – grazie a Dio”.
Le chiediamo se dopo aver visto tanto si sarebbe mai immaginata di rivedere il razzismo e persone lasciate morire in mare. “No non me lo sarei mai immaginato – ci spiega – ma mi ha aiutato il film “Io Capitano”, ed ho letto molto, perché io leggo tantissimo. Poi io ho fatto la volontaria per tutta la vita, sono portata per il volontariato, sono dovuta venire qui”.
Ad accompagnare in giro per la Mare Jonio la signora Marisa, c’era Sheila Melosu, capomissione di Mediterranea Saving Humans, una delle protagoniste di molte azioni di salvataggio portate a termine dalla nave dell’associazione italiana che ha salvato dal 2018, anno in cui ha iniziato a svolgere attività di ricerca e soccorso, fino ad oggi, 1369 persone.
“La visita della signora Marisa mi ha fatto piangere – spiega a Fanpage – perché pensare che una persona a 92 anni, fa un viaggio da Milano a Napoli, solo per venire a bordo e portarci il suo sostegno ed il suo calore, è una delle cose più importanti che ci spinge ad andare avanti”.
Un sostengo che gli attivisti di Mediterranea Saving Humans hanno raccolto a piene mani a Napoli durante gli open days, che hanno visto anche la presenza a bordo dell’arcivescovo della città,il cardinale Don Mimmo Battaglia.
“Ogni anno pensiamo che non possa andare peggio, ed invece va peggio – sottolinea Melosu – abbiamo iniziato con i porti chiusi e siamo finiti con i decreti Piantedosi che hanno il solo scopo di arrivare a confiscare le navi della società civile. Sembrava assurdo, ma ormai è realtà”.
A fare compagnia nella visita alla signora Marisa anche i ragazzi di Officine Gomitoli, giovani di seconda generazione, nati in Italia da famiglie di migranti, capitati per puro caso nello stesso turno della donna 92enne, realizzando così un mix generazionale inaspettato.
“Una volta che sali qui, che tocchi con mano – spiega la capomissione – che capisci esattamente cosa succede, che vedi una nave che porta con se anche le anime delle persone che ha salvato, capisci che non sono queste le persone da cui difenderci, ma sicuramente dobbiamo difenderci tutti da chi li fa tornare in Libia, dove vengono picchiate, stuprate e torturate. Quando sali a bordo senti l’energia delle persone che sono state qui, ed è difficile scendere senza sentire e portare con te quelle energie”.
(da Fanpage)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
L’EX ATLETA OLIMPICA, PRIMA DONNA VICEPRESIDENTE DEL CONI, PUNTA A GUIDARE LA SUA CITTA’ CON LA STESSA GRINTA CHE NE HA CONTRADDISTINTO LA CARRIERA SPORTIVA
Atleta olimpica nel lancio del martello, prima donna ad essere nominata vice Presidente
Vicario del CONI; commendatore della Repubblica, ambasciatrice di Genova nel Mondo.
E ancora: tra le cento donne più influenti d’Italia per la rivista Forbes e componente dell’ufficio del Safeguarding contro gli abusi nello sport.
Il suo curriculum parla da solo ma Silvia Salis pensa di poter dare molto di più, contribuendo anche alla rinascita della sua città. Tanto, da candidarsi a sindaca.
Genova si prepara a una primavera di cambiamenti con le elezioni comunali del 2025 che si profilano all’orizzonte. E a desiderare la carica di sindaco, c’è anche lei, una figura che incarna perfettamente lo spirito combattivo e la determinazione tipica della città, che non si arrende e che guarda avanti con la forza delle sue tradizioni.
Ma chi è veramente Silvia Salis, capace di passare dalla pedana di lancio alla guida di una città complessa come Genova?
Nata e cresciuta tra le onde e le gradinate, Silvia Salis ha respirato fin da piccola l’aria del campo di atletica Villa Gentile, nel quartiere di Sturla, nel Levante genovese, dove suo padre era custode.
Lì, tra un salto e un lancio, è nata la passione per il martello, una disciplina che richiede forza, tecnica e una buona dose di coraggio.
E di coraggio, Salis ne ha dimostrato da vendere, conquistando dieci titoli nazionali e partecipando a due Olimpiadi, Pechino 2008 e Londra 2012. Un percorso fatto di sacrifici, allenamenti e una ferrea volontà di migliorarsi sempre.
Lo sport scuola di vita
Ma lo sport non è solo competizione, è anche scuola di vita. E lei lo ha capito bene, trasformando la sua esperienza in un impegno concreto per la promozione dei valori sportivi e per la crescita delle nuove generazioni. Dal 2021, infatti, ricopre il ruolo di vicepresidente vicaria del Coni, un incarico prestigioso che la vede impegnata in prima linea nella politica sportiva italiana. Un ruolo che si è guadagnata sul campo, come tiene a precisare, senza raccomandazioni o favoritismi.
Sfide sempre più impegnative
Oggi, però, la sfida è ancora più grande: Salis ha deciso di candidarsi a sindaca di Genova, la sua città, quella che porta nel cuore e che vuole risollevare con la stessa grinta che metteva nel lancio del martello.
Una scelta dettata dall’amore per la sua terra e dalla volontà di «tornare a mettere al centro esigenze da tempo inascoltate e opportunità da troppo tempo negate». Con un programma che punta sull’ascolto dei cittadini, sulla valorizzazione del territorio e sulla creazione di nuove opportunità di lavoro e sviluppo.
Nessuna paura a mettersi in gioco
Certo, non sarà facile: Genova è una città complessa, con problemi antichi e nuove sfide da affrontare. Ma l’atleta non si spaventa, anzi, è pronta a mettersi in gioco con la stessa determinazione che l’ha portata a vincere nello sport. E la stessa grinta che mette nella sua vita privata: Salis è sposata con il regista Fausto Brizzi.
Diventare sindaca: il desiderio di Silvia Salis fin da bambina
Una donna indipendente, che non ha paura di esprimere le proprie opinioni e di fare scelte controcorrente, Silvia Salis è una figura che incarna lo spirito di Genova: forte, tenace e orgogliosa delle proprie radici. La sua candidatura è una sfida ambiziosa, ma anche un’opportunità per la città di affidarsi a una leader capace di unire sport, impegno civico e passione per la propria terra. Una campionessa che vuole conquistare Genova, non con la forza, ma con il cuore. Del resto, è da quando è bambina che vuole diventare sindaca della sua amatissima città. Chissà che questa volta, il desiderio non si avveri davvero.
(da IoDonna)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SI RIFIUTA DI RISPONDERE SUL RUOLO DELLA POLIZIA PENITENZIARIA NELLO SPIONAGGIO DEL DIRETTORE DI FANPAGE
E’ UNA MOSSA SENZA PRECEDENTI, LE OPPOSIZIONI PROTESTANO
Il governo Meloni si tira indietro e non risponde sul caso Paragon. La vicenda è quella dello spionaggio effettuato con il software di un’azienda israeliana, che ha colpito il direttore di Fanpage.it e diversi attivisti in Italia. Finora il governo aveva dato risposte vaghe, e le opposizioni domani avrebbero dovuto fare alcune domande al question time per cercare di capire chi, in Italia, poteva usare quel software. In particolare le domande riguardavano la Polizia penitenziaria, l’unico corpo da cui non sono arrivate smentite. Eppure il governo, con una mossa senza precedenti, ha deciso che non si presenterà all’interrogazione parlamentare, suscitando l’ira delle opposizioni.
È stato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a comunicarlo ai deputati interessati con una lettera che Fanpage.it ha potuto visionare. Qui si spiega che il governo Meloni, tramite il sottosegretario Alfredo Mantovano (che ha la delega ai servizi segreti) ha scritto proprio a Fontana, dicendo che sul caso Paragon sono già state date “le uniche informazioni pubblicamente divulgabili” nel corso dell’ultima interrogazione sul tema.
Ogni altro aspetto della vicenda, ha scritto Mantovano, “deve intendersi classificato”, ovvero coperto da segreto di Stato. E per questo il governo non risponderà più in Aula. Ma solamente davanti al Copasir, cioè il comitato parlamentare che cura i rapporti con i servizi segreti.
Il governo ha fatto appello al regolamento della Camera, e in particolare al primo comma dell’articolo 131, che recita:
Il governo può dichiarare di non poter rispondere indicandone il motivo. Se dichiara di dover differire la risposta, precisa in quale giorno, entro il termine di un mese, è disposto a rispondere.
Insomma, l’esecutivo avrebbe la possibilità di non presentarsi a rispondere semplicemente indicando la motivazione. E in questo caso il motivo sarebbe semplicemente che tutte le informazioni sul caso sono “classificate”. Una spiegazione che di fatto chiuderebbe la vicenda, perché renderebbe impossibile chiedere ulteriori informazioni al governo. E che infatti non è stata accettata dalle opposizioni.
Cosa non torna nella decisione del governo sul segreto di Stato
In sostanza, finora, il governo si è mosso così. Prima, quando è stata presentata un’interrogazione che riguardava anche i servizi segreti, non ha fatto nulla. Non si è parlato di segreto di Stato – cosa che sarebbe stata più ‘normale’, trattandosi di questioni che riguardano l’intelligence. In Aula si è presentato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Ciriani che ha dato risposte molto vaghe, in parte smentite poche ore dopo, e ha evitato di dare spiegazioni sui punti più importanti. In quelle ore, il sottosegretario Mantovano ha fatto la stessa cosa fuori dall’Aula.
Quando invece è arrivata un’interrogazione parlamentare che riguarda la Polizia penitenziaria, allora il governo si è attivato. Quelle stesse questioni che prima non erano coperte da segreto di Stato di colpo sono diventate “classificate”, ed è emerso che quanto detto dal ministro Ciriani sarebbe stato tutto ciò che era “pubblicamente divulgabile”.
Le questioni dubbie sono almeno due. Da una parte, non è chiaro se l’esecutivo abbia il potere di dichiarare il segreto di Stato su questioni che riguardano la Polizia penitenziaria, quindi un normale corpo delle forze di polizia giudiziaria. Dall’altra, c’è il tempismo.
Perché non attivare il segreto di Stato fin da subito, invece di farlo solo quando è stata presentata un’interrogazione sulla Penitenziaria? In questo modo nasce un precedente per cui il governo può secretare le informazioni solo quando le opposizioni iniziano a fare domande ‘scomode’. Un meccanismo che, anche se potenzialmente non va contro le norme che regolano il segreto di Stato (il dibattito è aperto tra i giuristi), sicuramente non ne rispetta i principi. Così, infatti, il segreto sembra essere usato non come strumento per tutelare l’interesse nazionale, ma come arma per evitare che le minoranze in Parlamento possano portare alla luce certi aspetti della vicenda.
Le opposizioni: “Mossa grave e senza precedenti”
Davide Faraone, di Italia viva, parlando alla Camera si è detto “parecchio sorpreso” sia per la mossa del governo, sia perché il presidente della Camera Fontana l’ha accettata. “È una cosa paradossale. “Il governo non aveva messo il segreto di Stato quando a rispondere sul caso Paragon era stata l’intelligence, e invece adesso, che non può essere messo, si sveglia e dice che mette il segreto”. Sembrano, ha aggiunto, “quelli colti con la mano nella marmellata. Perché se non ci rispondono solamente su quei due lì, significa che quelli hanno usato Paragon”.
La sua collega di partito, Maria Elena Boschi, ha detto che “fin qui la responsabilità è stata del governo” ma da oggi se “passa il principio che il governo può decidere quando venire o meno a riferire in Parlamento”, la colpa sarà anche del presidente della Camera che “avalla questa interpretazione”. I cittadini, ha concluso Boschi, “hanno hanno il diritto di sapere se il governo italiano sta spiando dei giornalisti e degli attivisti politici che sono avversari di questo governo”.
Per il Pd è intervenuto Federico Fornaro, che ha chiarito: “Noi chiedevamo una cosa molto semplice, cioè se la polizia penitenziaria avesse mai usato Graphite o software simili, e se nel caso fossero note al ministro delle violazioni”. Se la risposta “era no, non vedo che segreto ci potesse essere. Se avesse detto sì, avrebbe potuto appellarsi al Copasir”. Ma farlo prima di dare la risposta “è inaccettabile. È un precedente gravissimo”.
Sandro Ruotolo, responsabile Informazione ed eurodeputato del Pd, ha detto che “l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere la verità, di sapere chi ha spiato e per conto di chi. Adesso apprendiamo dal sottosegretario Mantovano che su Paragon c’è il segreto. Perché mettono il segreto solo ora quando chiediamo lumi sul ruolo della polizia penitenziaria e non lo hanno messo prima quando abbiamo chiesto del ruolo dei servizi segreti? Cosa non possiamo sapere?”.
Francesco Silvestri, del Movimento 5 stelle, ha affermato: “È la prima volta che vedo un governo mettere un segreto di Stato in un modo talmente stupido che, facendolo, desta più sospetti”, e ha chiesto che il presidente Fontana “difenda la dignità di queste Aule”. Benedetto della Vedova (+Europa) ha attaccato: “La situazione è totalmente fuori controllo, il governo deve rispondere e farlo in Aula”.
Marco Grimaldi (Avs) ha insistito: “Non si sfugge dalle domande politiche. È di una gravità inaudita. Altro che segreto di Stato: vogliamo risposte. Visto che la presidente del Consiglio è la presidente che meno è venuto in Aula a rispondere al question time, venga la prossima settimana, dia la possibilità ai tutti i gruppi di discutere”. Nicola Fratoianni, deputato di Avs, ha poi aggiunto con una nota: “Non è tollerabile. È come dire che il governo è libero anche per il futuro di violare la privacy di chiunque senza dover spiegare le ragioni dell’accaduto e senza doverne rendere conto ai cittadini e all’opinione pubblica”.
(da Fanpage)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LO SPOT MOSTRAVA UNA FOTO DELL’UOMO PIÙ RICCO DEL MONDO, SORRIDENTE E CON LA CASA BIANCA IN MANO, E LA SCRITTA: “CHI GOVERNA QUESTO PAESE, TRUMP O MUSK?”… BEI TEMPI, QUANDO IL “POST” AGGIUNGEVA IL MOTTO “DEMOCRACY DIES IN DARKNESS” SOTTO LA TESTATA
Il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, avrebbe rinunciato a pubblicare un
annuncio pubblicitario da 115.000 dollari in prima pagina che prendeva di mira il capo della DOGE Elon Musk, in seguito alla nascente “amicizia” tra il fondatore di Amazon e il presidente Donald Trump.
Il gruppo di difesa Common Cause ha annunciato di aver firmato il costoso accordo con il giornale per la pubblicazione di un annuncio che avrebbe coperto l’intera prima e la quarta pagina del giornale di martedì, oltre a una pagina intera all’interno
Il gruppo ha dichiarato di aver pianificato l’acquisto dell’annuncio in collaborazione con il Southern Poverty Law Center Action Fund.
Secondo The Hill, copie del giornale con l’involucro sarebbero state inviate agli abbonati a Capitol Hill, al Pentagono e alla Casa Bianca. Il design dell’annuncio, che è ancora disponibile sul sito web del gruppo, presenta una grande foto di Musk che ride, con la testa inclinata all’indietro, insieme a un’immagine ritagliata della Casa Bianca.
“Chi governa questo Paese? Donald Trump o Elon Musk?”, si chiedeva.
Più in basso nella pagina, l’annuncio presenta un testo più piccolo che recita: “Sin dal primo giorno, Elon ha creato caos e confusione e ha messo a rischio i nostri mezzi di sostentamento. E non deve rendere conto a nessuno se non a se stesso”.
“La Costituzione prevede un solo presidente alla volta”, si legge. Chiamate i nostri senatori e dite loro che è ora che Donald Trump licenzi Elon Musk”. Il testo include anche l’URL FireMusk.org.
Il presidente di Common Cause, Virginia Kase Solomon, ha dichiarato a The Hill che l’addetto alle vendite pubblicitarie del giornale era stato informato della natura dell’annuncio e sembrava fiducioso che la pubblicazione non sarebbe stata un problema. Ma venerdì Common Cause è stata informata che il Post non avrebbe pubblicato l’annuncio avvolgente.
“È perché siamo critici nei confronti di ciò che sta accadendo con Elon Musk? È giusto pubblicare sul Post cose che non facciano arrabbiare il Presidente o che non lo facciano chiamare da Jeff Bezos per chiedergli perché ciò è stato permesso?
Il Post non ha mai fornito una spiegazione per la sua decisione di non pubblicare l’annuncio, ha detto, e la pubblicazione ha una politica di non parlare delle sue decisioni interne relative a specifiche campagne pubblicitarie.
Secondo le linee guida generali del giornale per la pubblicità, gli inserzionisti sono responsabili del rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti in materia di pubblicità politica, compreso l’utilizzo di eventuali dichiarazioni di non responsabilità.
Il Post accetta pubblicità per tutti i punti di vista, ma si riserva il diritto di richiedere la giustificazione di affermazioni concrete. Il Post richiede inoltre agli inserzionisti di ottenere “i permessi necessari” quando utilizzano nomi o immagini di persone.
Tuttavia, Solomon ha dichiarato che il rifiuto è stato una “sorpresa” perché il campione di immagini ricevuto dal Post per avere un’idea di ciò che è accettabile era un annuncio pubblicitario finanziato dal gruppo dei produttori americani di carburanti e prodotti petrolchimici che evidenziava la promessa di Trump di “porre fine al mandato per i veicoli elettrici il primo giorno”.
L’annuncio mostrava una grande foto di Trump che mostrava un pollice in su, ha detto. Questo ci preoccupa”, ha detto a proposito del rifiuto del giornale.
Hanno paura del suo rifiuto?”, ha detto di Trump.
Solomon ha sottolineato che il giornale si è rifiutato di pubblicare un endorsement dell’ex vicepresidente Kamala Harris prima delle elezioni presidenziali e ha deciso di non pubblicare una vignetta che mostrava caricature di Bezos, Topolino e altri che offrivano borse di denaro a Trump
Ha fatto notare che l’annuncio da 115.000 dollari era una spesa “enorme” per il suo gruppo, ma poiché il Post ha deciso di non pubblicarlo, né Common Cause né il Southern Poverty Law Center devono pagare.
Nel frattempo, Common Cause ha organizzato migliaia di telefonate al Congresso e alla Casa Bianca per esprimere le proprie preoccupazioni sul ruolo di Musk nel governo federale, riducendo le posizioni. Ha raccolto 60.000 firme per una petizione di protesta contro la posizione di Musk.
Il gruppo, insieme al Southern Poverty Law Center Action Fund e a End Citizens United, ha lanciato la campagna Fire Elon Musk il 3 febbraio.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA CLAUSOLA È PREVISTA DAL NUOVO PATTO DI STABILITÀ: IN CASO DI “RECESSIONE ECONOMICA”, SI PUÒ SFORARE IL 3% NEL RAPPORTO DEFICIT-PIL. MA SUL COME ATTIVARLA ITALIA E FRANCIA SI RITROVANO CONTRO LA GERMANIA… L’IPOTESI DI USARE IL MES PER FINANZIARE GLI ESERCITI (COSI’ DA SPINGERE L’ITALIA, UNICO PAESE UE A NON AVERLO APPROVATO, A DARE L’OK) E QUELLA DI NUOVO DEBITO COMUNE COME PER IL RECOVERY FUND
Escludere dal deficit le spese per la Difesa. Il principio di fondo annunciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è stato confermato ieri nel corso della riunione dell’Eurogruppo (cui partecipano i ministri finanziari dell’area euro). Ma su come applicare questo aiuto è in corso un braccio di ferro.
La clausola è prevista dal nuovo Patto di Stabilità in caso di «recessione economica». In queste circostanze si può sforare il 3 per cento nel rapporto deficit/pil. Ci sono, però, due possibilità. La prima — sponsorizzata dagli Stati più “flessibili” come Francia e Italia — consiste nell’attivazione di una clausola generale che non distingue tra i 27. Tutti, cioè, possono sforare i bilanci nella quota dei soldi destinati agli acquisti per la sicurezza. Si tratta di una sospensione delle regole — solo in questo settore specifico — che vale per tutti. Un po’ come era accaduto durante il Covid.
La seconda ipotesi, invece, (sostenuta dai “falchi”) consiste nella attuazione di una clausola «nazionale». Ogni Paese deve richiedere singolarmente la procedura di esenzione. Ammettendo la difficoltà e sottoponendosi ad un controllo più puntuale. Va tenuto presente che nel nuovo Patto di Stabilità le spese per la Difesa sono considerate già una «attenuante».
Von der Leyen sembra essere orientata a ricorrere alla clausola “generale” per dare il senso dell’emergenza che l’Europa sta vivendo. Tra i 27, però, non tutti sono favorevoli. […] Ma oltre a queste soluzioni, ce ne sono altre che possono essere integrate. E ieri è stato anche ipotizzato il ricorso al Mes, il Meccanismo di stabilità ancora bloccato dall’Italia. Si tratterebbe di un modo anche per convincere palazzo Chigi a sbloccare il suo niet. Soluzione indicata a chiare lettere dall’esponente spagnolo, Carlos Cuerpo
Sullo sfondo rimane “l’arma fine di mondo”. Nuovo debito comune come per il Recovery Fund.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE HA PUBBLICIZZATO E POI RITIRATO L’APPOGGIO ALLA MINEA VIRTUALE $LIBRA, ALTERANDONE IL VALORE IN MANIERA SOSPETTA
Il presidente dell’Argentina Javier Milei rischia di essere messo in stato d’accusa per
quello che i media locali già definiscono critpogate. Nel corso del weekend, El Loco ha pubblicizzato sul proprio profilo X la criptovaluta $Libra. Risultato, il valore è schizzato alle stelle, con un aumento del mille percento. Poco tempo dopo, il presidente ha cancellato il post, facendo crollare la quotazione, e perdere ingenti somme di denaro a chi aveva investito nella moneta virtuale spinto dall’entusiasmo del leader ultraliberista. Alla luce di quanto accaduto, l’opposizione accusa il presidente argentino di truffa e la procura indaga, ipotizzando che il post poi cancellato fosse uno stratagemma per poter guadagnare rapidamente prima di vendere le sue quote
Milei paragona le criptovalute al gioco d’azzardo
Dopo un fine settimana all’insegna dello scandalo e perdite complessive vicine ai 100 milioni di euro tra centinaia di investitori, Milei si è difeso ieri al canale argentino Todo Noticias. «Lo hanno fatto volontariamente», ha detto il presidente parlando di coloro che hanno acquistato la criptovaluta. «Se vai al casinò e perdi soldi, di cosa ti lamenti? Si sa che investire comporta dei rischi», ha aggiunto Milei specificando che in questo caso «lo Stato Argentino non c’entra nulla». Secondo le denunce presentate a centinaia dagli investitori beffati, il capo dello Stato potrebbe aver commesso i reati di associazione per delinquere, frode, truffa e violazioni dei doveri di pubblico ufficiale.
Cos’è $LIBRA
$LIBRA è una criptovaluta, presentata come parte di un progetto privato «per finanziare piccole imprese e startup argentine». Quando Milei l’ha pubblicizzata era appena nata. In seguito al post cancellato il presidente aveva dichiarato di non essere realmente consapevole di come funzionasse l’operazione. Secondo quanto riporta la testata argentina Pagina 12, la procura sospetta che il leader ultraliberista possa essere coinvolto in un’operazione meticolosamente orchestrata assieme ad altri potenziali truffatori. Mentre l’inchiesta prosegue, l’opposizione si lancia all’attacco di Milei che ora rischia l’impeachment.
(da agenzie)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
ACCUSARE LE OPPOSIZIONI DI ESSERE NEMICHE DELLA PATRIA E’ UN CLASSICO DEI REGIMI
Erano russi gli oppositori avvelenati o morti in carcere, come Navalny. Sono russi anche i russi costretti all’esilio per sopravvivere senza essere eliminati. Sono russe le femministe Pussy Riot, perseguitate dal regime e accusate di “attivismo antireligioso” (come in Iran!). Era russa Anna Politkovskaya, assassinata sotto casa per avere scritto dei crimini orribili dei militari russi in Cecenia.
Fossero anche, i russi che si oppongono a Putin nel nome della democrazia e della libertà di parola e di pensiero, una esigua minoranza, in buona parte sottoterra, basta la loro esistenza a rendere bugiarda e odiosa l’accusa di “propaganda antirussa” che i pappagalli del regime ripetono contro chiunque attacchi Putin.
Essere contro Putin non vuol dire essere “antirussi”, vuol dire essere anti-Putin. Anche un idiota capirebbe la differenza. Un nazionalista, no. Il nazionalismo è una delle vie più dirette verso la stupidità.
Tra i tanti imbrogli ideologici dei quali si macchiano i nazionalismi, questo è forse il più odioso e il più inaccettabile, nonché il più frequente, e non solo in Russia: accusare le opposizioni di essere “nemiche della Patria”, come se la Patria fosse in concessione esclusiva di una sua sola parte politica.
Una truffa che può fare presa, bene che vada, sul popolino sprovveduto, eterna vittima degli imbrogli del potere. Non su chi ha avuto in concessione un cervello, e prova a usarlo.
Disse la figlia di Politkovskaja: “purtroppo i russi non sono abituati a pensare”. È la più filorussa delle frasi, ma per capirlo bisogna essere – appunto – abituati a pensare.
(da repubblica.it)
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Febbraio 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL BRANO E’ UN CONCENTRATO DI STEREOTIPI SUGLI ITALIANI (CON RIFERIMENTI ALLA MAFIA, ALLA PASTA, E ALL’ITALIANITÀ CHE OSTENTA LA SUA RICCHEZZA), RAPPRESENTERÀ L’ESTONIA ALL’EUROVISION
Se il nome Tommy Cash non vi dice nulla, sappiate che presto ne sentiremo parlare un bel
po’. È lui infatti, praticamente in contemporanea con il nostro Olly, ad essersi guadagnato un posto all’Eurovision, vincendo l’Eesti Laul 2025, il Festival di Sanremo in salsa estone.
Proprio ieri sera, infatti, all’Unibet Arena di Tallinn, si è tenuto l’Eesti Laul, con sedici diversi cantanti che si sono esibiti contendendosi il diritto di andare a rappresentare il proprio paese a quell’Eurovision. Tommy Cash lo farà con una canzone cantata quasi tutta in italiano, pure se lui italiano non è, dal titolo Espresso Macchiato.
Tomas Tammemets, in arte appunto Tommy Cash, è un rapper, cantante e artista estone di 33 anni, con all’attivo un curriculum importante nel suo Paese. Suona e pubblica dischi dal 2012, ha partecipato a festival importanti, ha alle spalle collaborazioni con artisti quotati. […] Ma prima di giudicarlo vale la pena di dare un’occhiata al brano che porterà all’Eurovision 2025.
La canzone, accompagnata da un immancabile balletto e da una tazza di caffè lungo da passeggio (più americana che italiana, in effetti) è un concentrato di stereotipi italiani riassunti una frase (detta male) dopo l’altra: bella mia, mio amore, por favore, spaghetti e, ovviamente, mafioso (uff).
La canzone è una sorta di inno all’italianità che ostenta la sua ricchezza (Mi like to fly privati / With 24 carati) e all’Italian Way of Life, che nell’immagine stereotipata che c’è all’estero è tutto rilassatezza e bella vita (Life is like spaghetti/ Hard until you make it / No stresso, no stresso / It’s gonna be espresso).
Un flow di rime da far tremare realmente i nostri rapper, che dovrebbero stare attenti al fiato sul collo di Tommy Cash, che poco lontano da qua intona: Ciao bella sono Tommaso / Dipendente dal tabacco / Mi piace il mio caffè molto importante / Non ho tempo per parlare mi scusi / Le mie giornate sono molto impegnate / E ho solo questo piccolo ristorante / La vita può darti dei limoni
.Insomma, una canzone che restituisce un’immagine caricaturale dell’Italia, e che forse proprio per questo dovrebbe pure farci storcere un po’ il naso. E invece, chissà come mai, non riusciamo più a togliercela dalla testa.
(da VanityFair)
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