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“LA RUSSIA E’ UNA MINACCIA PER LA FRANCIA E PER L’EUROPA. CHI PUÒ PENSARE CHE PUTIN SI FERMERÀ ALL’UCRAINA?”: MACRON OFFRE ALL’UE L’OMBRELLO NUCLEARE CONTRO MOSCA

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

“SPERIAMO CHE GLI USA RESTINO DALLA NOSTRA PARTE, MA DOBBIAMO ESSERE PRONTI SE NON LO FARANNO. LA NOSTRA GENERAZIONE NON POTRÀ PIÙ GODERE DEI DIVIDENDI DELLA PACE. RESTARE SPETTATORI SAREBBE UNA FOLLIA” – POI ANNUNCIA UN SUMMIT MILITARE E UNA COALIZIONE DEI VOLENTEROSI CON LONDRA PER INVIARE “SOLDATI DI PACE” IN UCRAINA DOPO LA TREGUA

Donald Trump non allenta il pressing su Kiev e dopo le armi interrompe anche la fornitura di intelligence, per portare Volodymyr Zelensky ad accettare l’accordo di pace. La nuova postura degli americani, non più al fianco degli ucraini, viene osservata con preoccupazione dagli europei.
Lo dice chiaramente Emmanuel Macron, parlando di una “nuova era” in cui il Vecchio Continente deve pensare alla propria sicurezza. Lo spettro che aleggia è sempre lo stesso, la Russia, che “è diventata una minaccia per l’Europa” e non solo per l’Ucraina, dice il presidente francese rivolgendosi alla nazione in tv. “Non possiamo rimanere a guardare”, avverte, dicendosi deciso ad “aprire il dibattito strategico” sulla dissuasione nucleare – un ombrello atomico made in France – con gli alleati europei, che incontrerà già domani al vertice di Bruxelles.
L’Europa, secondo l’Eliseo, dovrà avere un ruolo centrale anche sulle garanzie di sicurezza per Kiev. Macron rilancia così la sua idea di una missione di peacekeeping che scongiuri violazioni russe dopo l’accordo. E annuncia un vertice a Parigi dei capi di Stato maggiore dei Paesi che vorranno aderire: la cosiddetta coalizione dei volenterosi al centro del piano Francia-Gran Bretagna a cui, secondo la Cnn, aderirebbe anche la Turchia.
«A partire dalla prossima settimana riuniremo a Parigi i capi di stato maggiore dei Paesi che desiderano assumersi le proprie responsabilità» quanto al dispiegamento in Ucraina di forze europee per garantire un eventuale trattato di pace.
Un annuncio concreto, operativo, all’interno di un discorso di 15 minuti con il quale il presidente francese Emmanuel Macron alle 20 di ieri sera si è rivolto ai concittadini con toni solenni, eccezionali: «La Patria ha bisogno di voi, del vostro impegno. Le decisioni politiche, le attrezzature militari, i bilanci sono una cosa, ma non sostituiranno mai la forza d’animo di una Nazione. La nostra generazione non potrà più godere dei dividendi della pace. Dipende solo da noi che i nostri figli possano invece raccogliere domani i dividendi del nostro impegno. In quel caso ce la faremo, insieme», ha concluso il presidente, alla vigilia del Consiglio europeo di oggi a Bruxelles.
Macron ha voluto parlare ai francesi dopo che negli ultimi giorni all’Eliseo sono arrivati centinaia di messaggi di cittadini in preda all’inquietudine.
«So che siete giustamente preoccupati per gli eventi che stanno sconvolgendo l’ordine mondiale. Gli Stati Uniti, nostro alleato, hanno cambiato la loro posizione sul conflitto, stanno sostenendo meno l’Ucraina e lasciano in sospeso il futuro (…). Stiamo entrando in una nuova era», ha detto Macron, che ha parlato della Russia come di «una minaccia per la Francia e per l’Europa».
«Chi può pensare che la Russia di oggi si fermerà all’Ucraina?». «Di fronte a questo mondo di pericoli, restare spettatori sarebbe una follia».
Quindi il presidente annuncia «investimenti supplementari» nella difesa «senza aumentare le tasse». L’incontro di oggi a Bruxelles servirà ai leader europei per confrontarsi proprio sulle opzioni per finanziare la difesa europea prospettate dalla presidente von der Leyen e per andare un po’ più nel dettaglio rispetto a quanto presentato nella lettera di martedì.
Il summit di oggi a Bruxelles, secondo diverse fonti diplomatiche, sarà molto complicato. È fondamentale dare un’immagine di unità. Interverrà di persona anche il presidente ucraino Zelensky durante il pranzo di lavoro, per poi lasciare la discussione sull’Ucraina ai leader Ue che saranno soli nella stanza e senza telefoni o device per garantire la massima riservatezza e libertà. Ancora ieri Orbán (Ungheria) e Fico (Slovacchia) si opponevano alla parte di conclusioni sul sostegno europeo a Kiev nel processo di pace, e Macron ieri sera ha cercato di convincere Orbán nel corso di una cena all’Eliseo, prima di rivederlo oggi a Bruxelles. Tra gli Stati membri c’è accordo sull’urgenza di accelerare sulla difesa comune, ma restano differenze sugli strumenti da usare.
In ogni caso, ieri sera Macron ha ricordato che la Francia possiede una «forza di deterrenza nucleare», e ha ribadito di essere disposto a discutere con gli europei sul modo di mettere questa protezione nucleare a disposizione degli altri Paesi.
«L’avvenire dell’Europa non può essere deciso a Washington o Mosca» dice Emmanuel Macron in un discorso ai francesi che punta a Bruxelles. A poche ore dal Consiglio europeo straordinario con i Ventisette leader dell’Unione, Macron appare in tv per sottolineare il momento storico.
«Abbiamo cambiato era» sottolinea, indicando uno «sconvolgimento dell’ordine mondiale» di fronte al quale «sarebbe folle rimanere spettatori ». Mentre alla Casa Bianca la minaccia russa viene ridimensionata, Macron mostra con un grafico gli spettacolari investimenti bellici di Mosca. «Chi può pensare che la Russia si fermerà?» osserva il leader francese.
«Speriamo che gli Usa restino dalla nostra parte, ma dobbiamo essere pronti se non lo faranno», ha avvertito. Macron cita i «dazi incomprensibili » voluti da Donald Trump che, dice, tenterà ancora di “dissuadere” da lanciare una guerra commerciale con l’Ue. Il presidente francese insiste però su come questa inedita crisi delle relazioni transatlantiche debba portare a una rivoluzione strategica sul continente. Macron ribadisce di voler discutere con gli alleati europei, in primo luogo con il futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz, sulla possibile condivisione della deterrenza nucleare francese.
Una svolta per la Francia, unico paese dotato dell’arma atomica nell’Ue.
Forte di questa posizione, Macron vuole assumere un ruolo di primo piano anche nelle garanzie di sicurezza da fornire all’Ucraina. Il capo dello Stato torna a prospettare il dispiegamento di truppe europee per sostenere Kiev. «Saranno là per garantire il rispetto della pace, una volta raggiunta».
E a dimostrazione che Parigi pensa di guidare con Londra una «coalizione dei volenterosi» nello scenario postbellico, Macron ha annunciato «una riunione dei capi di Stato maggiore dei Paesi che accetteranno di farne parte». Un formato ancora tutto da verificare e di cui si discuterà a Bruxelles nel Consiglio europeo straordinario nel quale è invitato Volodymyr Zelensky.
Il presidente ucraino ha più volte chiesto «truppe europee» per garantire la pace. L’ipotesi atterra sul tavolo dei Ventisette ma molti governi dell’Ue, tra cui l’Italia, chiedono precise garanzie su un appoggio americano, che però al momento mancano. Improbabile quindi che su questo punto emerga oggi una convergenza. Così come sul piano franco- britannico per garantire un cessate- il-fuoco negoziato dagli Usa con la Russia. Macron aveva parlato domenica di una «tregua di un mese nei cieli, in mare e contro le infrastrutture elettriche».
Resta una delle opzioni che Macron e il premier britannico Keir Starmer potrebbero presentare alla Casa Bianca. Forse in un viaggio a Washington insieme a Zelensky. L’ipotesi di una tra sferta a tre – con Francia e Regno Unito a spalleggiare il presidente ucraino dopo l’agguato subito nello studio ovale – è stata smentita nell’attesa di verificare molte, troppe variabili nella strategia di Trump.
L’Ue oggi dovrà dare una prova di unità ma planano i veti dei primi ministri slovacco Robert Fico e ungherese Viktor Orban che ieri è volato a Parigi per una cena di lavoro con Macron. L’Ungheria sembrava pronta a bloccare dalle conclusioni del vertice Ue qualsiasi riferimento a nuovi aiuti per l’Ucraina che infatti non dovrebbero apparire. Per rassicurare Orbán, Macron ha anche scartato l’ipotesi di utilizzare gli asset russi congelati come garanzia per una tregua. Il premier ungherese in cambio ha rassicurato sul sostegno dell’Ungheria al piano ReArm che il leader francese vuole sia però vincolato al buy european. La Francia chiederà oggi che ci sia un chiaro impegno a usare i nuovi fondi Ue per acquisti a industrie belliche del continente.
Un modo, spiegano all’Eliseo, per «ridurre la dipendenza strategica» dell’Ue. Ma è una clausola che rischia di spaventare i partner europei più legati all’industria militare americana e che temono di urtare la suscettibilità dell’alleato Usa.
(da agenzie)

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IL VERTICE A PALAZZO CHIGI CON I RAPPRESENTANTI DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI È STATO UN FLOP

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

MELONI HA AVUTO PURE IL CORAGGIO DI RINFACCIARE LE “SENTENZE POLITICHE” SULL’ALBANIA (I GIUDICI NON APPLICANO NORME ILLECITE)… IL PRESIDENTE DELL’ANM, CESARE PARODI: “OGNUNO ANDRÀ PER LA SUA STRADA. SIAMO PRONTI AL REFERENDUM CONTRO LA RIFORMA DELLE CARRIERE”

Nessun passo avanti. Zero aperture verso il dissenso delle toghe: la riforma sulla separazione delle carriere tra pm e giudici «andrà avanti» e pure spedita. «Nessuna sostanziale modifica. Ma almeno adesso è tutto più chiaro», allarga le braccia Cesare Parodi, il presidente dell’Anm, uscendo a sera da Palazzo Chigi. E se il bluff del governo era previsto, la cronaca consegna un faccia a faccia dall’esito anche peggiore tra la presidente Meloni, i ministri e l’Associazione nazionale magistrati.
Con punte d’asprezza: con le toghe che hanno chiesto «rispetto» e stigmatizzato l’aggressività piovuta su tanti giudici «perché avevano emesso sentenze sgradite» e la premier che replica: ma anche io sono stata attaccata. Rievocando le «sentenze politiche» sull’Albania, i «post di magistrati» asseritamente prevenuti, criticando anche la scelta dell’Anm di appropriarsi dei «simboli di tutti».
«Esibire il tricolore, issare la Costituzione — ha chiesto con sorriso affilato la premier — significa raccontare che il governo li vuole colpire?». Di fronte a lei, dieci magistrati: tutti col tricolore sul bavero. Le distanze restano. L’obiettivo, per entrambe le parti, ormai è uno solo: fare campagna per il referendum. Ecco com’è finito l’atteso incontro tra giudici e governo.
C’è delusione, a sera, tra i dieci guidati da Parodi. «Quando ho detto che siamo avviliti per come alcuni magistrati sono stati bersagliati, la premier ha risposto che la politica a sua volta sente di essere attaccata».
Le toghe lasciano il mini dossier in otto punti: richieste «per migliorare davvero la giustizia», assunzioni, tecnologia, depenalizzazione, intervento sulle carceri. Meloni assicura «interesse»
Due ore di confronto comunque non sono servite a nulla. Di là tutta la giunta Anm, oltre a Parodi, tra gli altri, il segretario Rocco Maruotti, i due vice Marcello De Chiara e Stefano Celli; di qua Meloni con il ministro Nordio, il sottosegretario Mantovano, i vice Tajani e Salvini («È grazie all’Anm se i tre si sono visti d’accordo su un tema, in queste ore», ironizza un big di maggioranza, fuori Chigi). Lei cita ancora Borsellino, battibeccano un po’ su Falcone («lui non pensava a questa separazione», in coro l’Anm).
Parodi espone tutti i rischi, chiede conto della voce secondo cui «vorreste sottrarre il controllo della polizia giudiziaria al pm». Meloni scuote la testa: secco no. Maruotti chiede: se non volete il pm sotto il potere politico, perché avete bocciato l’emendamento che lo impediva? Risposta: «Era chiaramente provocatorio».
Nordio cita Shakespeare: le buone ragioni cedano il passo alle ottime ragioni. Parodi tira una linea: «Un fallimento, l’incontro? No: siamo più motivati ancora a spiegare tutti i rischi ai cittadini». E sabato, nel comitato direttivo, l’Anm affronterà le prossime mosse.
(da agenzie)

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E ANCHE OGGI LE NOMINE IN RAI LE FACCIAMO DOMANI: È SCONTRO APERTO IN RAI TRA IL PRESIDENTE FACENTE FUNZIONI, IL LEGHISTA ANTONIO MARANO, E L’AD GIAMPAOLO ROSSI SULLE NOMINE DELLE DIREZIONI CHE NON ARRIVERANNO IN CDA NEMMENO OGGI

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

MARANO HA ACCUSATO ROSSI PER LO STALLO E ROSSI SI È INFURIATO, PARLANDO DI REALTÀ RIBALTATA: MARANO AVREBBE BLOCCATO LE NOMINE CHE NON COMPRENDEVANO ROBERTO PACCHETTI, IN QUOTA LEGA, ALLA TGR … IERI SERA ROSSI E’ ANDATO A PALAZZO CHIGI

È scontro aperto in Rai tra il presidente facente funzioni Antonio Marano (Lega) e l’ad Giampaolo Rossi (in quota FdI) sulle nomine delle direzioni, che neanche questa volta arriveranno al cda di oggi. Un tema per la prima volta reso pubblico da Marano che, alle agenzie di stampa, ha riversato la responsabilità su Rossi.
«Personalmente sono molto dispiaciuto che non siano arrivate proposte per procedere con le nomine alle direzioni attualmente in interim, cosa che io e la consigliera Simona Agnes chiediamo da tempo. Riteniamo che stabilizzare queste direzioni sarebbe stato un primo passo per garantire un’operatività serena all’azienda. Spero che dall’ad non vi siano ulteriori tentennamenti».
Rossi si infuria, per l’ad in quelle parole c’è realtà ribaltata. Secondo fonti interne, un primo pacchetto di nomine in realtà era pronto per andare in cda, ma sarebbe stato bloccato proprio da Marano perché non comprendeva la conferma di Roberto Pacchetti alla TgR, in quota Lega, rivendicata dai salviniani con le direzioni di Gr Radio e Prime Time. In assenza di questa concessione, Marano avrebbe rifiutato di firmare l’ordine del giorno e avrebbe addossato la colpa all’ad.
Quanto al coinvolgimento di Agnes, citata da Marano, è stata Forza Italia a smentirlo, con Maurizio Gasparri.
Rossi pensa di procedere nel prossimo cda, utilizzando una clausola che gli permetterebbe di intervenire sull’ordine del giorno. Ma c’è chi dice che il vero asso nella manica di Rossi sia un intervento sulla Lega della premier Giorgia Meloni. In serata la voce di un avvistamento dell’ad a Palazzo Chigi.
Lui non conferma, ma spiegherebbe la sua fiducia nell’arrivo delle nomine almeno la prossima settimana. Tra queste la guida del Tg3 che, se si chiudesse con Terzulli in quota opposizioni, potrebbe sbloccare il voto sulla presidenza, con il via libera ad Agnes.
(da agenzie)

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“IL CAPO DEL PENTAGONO PETE HEGSETH INCITA DELIBERATAMENTE ALLO SCONTRO IDEOLOGICO”: IL MINISTERO DEGLI ESTERI CINESE ATTACCA HEGSETH CHE, IN UN’INTERVISTA A FOX NEWS, HA DETTO “GLI USA NON VOGLIONO LA GUERRA MA SIAMO PRONTI”

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

“STA AMPLIFICANDO LA RETORICA DELLA MINACCIA CINESE. GLI STATI UNITI DEVONO SMETTERE DI PROIETTARE LA MENTALITÀ EGEMONICA E VEDERE LE RELAZIONI BILATERALI CON LA LENTE OBSOLETA DELLA GUERRA FREDDA. NON C’È ALCUN VINCITORE IN UNA GUERRA COMMERCIALE: SE GLI STATI UNITI SEGUIRANNO LA STRADA SBAGLIATA, NOI LA SEGUIREMO FINO IN FONDO. MA LA GUERRA COMMERCIALE STA CREANDO SOLO DANNI”

Il capo del Pentagono Pete Hegseth “incita deliberatamente allo scontro ideologico e amplifica la cosiddetta retorica della minaccia cinese”. E’ l’accusa del portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian dopo che Hegseth ha detto in un’intervista a Fox News che gli Usa non vogliono la guerra, ma “siamo pronti: chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra”.
Gli Usa “devono smettere di proiettare la mentalità egemonica e vedere le relazioni bilaterali con la lente obsoleta della Guerra Fredda. Che si tratti di guerra tariffaria o commerciale, fredda o calda, non deve essere combattuta e non può essere vinta”, ha aggiunto Lin.
Non c’è alcun vincitore “in una guerra commerciale: se gli Stati Uniti seguiranno la strada sbagliata, noi la seguiremo fino in fondo. Ma se invece vogliono imboccare la strada giusta e se vogliono risolvere i problemi dovrebbero incontrare la nostra controparte al momento appropriato”.
Così il ministro del Commercio di Pechino Wang Wentao, in merito alle tensioni con Stati Uniti dopo l’ultima tornata di dazi incrociati. “Occorre risolvere i problemi attraverso il dialogo e le consultazioni basate sull’uguaglianza”, ha aggiunto Wang in un briefing con i media a margine dei lavori del Congresso nazionale del popolo
– La guerra commerciale Usa “sta creando danni all’economia globale”. E’ quanto ha detto il ministro del Commercio cinese Wang Wentao, nel corso di un breiefing con i media a margine dei lavori annuali del Congresso nazionale del popolo.
(da agenzie)

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LA GERMANIA TORNA LOCOMOTIVA D’EUROPA, IL BAZOOKONE DI FRIEDRICH MERZ DA 1000 MILIARDI PUÒ RISOLLEVARE LE SORTI DELL’ASFITTICA ECONOMIA TEDESCA: LE STIME SONO STATE GIÀ CORRETTE DALLO 0,8% PREVISTO NEL 2025 A UN IPOTETICO 2% NEI PROSSIMI ANNI

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

MERZ NON HA PERSO TEMPO: LA PROSSIMA SETTIMANA IL BUNDESTAG VOTERÀ LA RIFORMA COSTITUZIONALE PER AGGIRARE IL FRENO AL DEBITO. UN “TRADIMENTO” DEL RIGORE ECONOMICO IDEATO DAL SUO MENTORE, SCHAUBLE, FONDAMENTALE PER NON PARALIZZARE LA GERMANIA…

In meno di un mese, prima ancora di diventare cancelliere, Friedrich Merz ha scardinato tre punti fermi della politica tedesca. Ha votato con l’AfD sulla migrazione. Ha detto che l’Europa si deve rendere autonoma dagli Stati Uniti «passo dopo passo». E ha rotto il tabù del debito, aprendo a un maxi pacchetto di investimenti in difesa e infrastrutture da mille miliardi.
Su tutte e tre le questioni, fino a poco fa Merz aveva idee opposte. Ma se rispetto alla disruption trumpiana può sembrare poca cosa, per l’ordinata politica tedesca questo esordio di Merz è, probabilmente, il più grande sovvertimento degli ultimi decenni.
La svolta sul debito era nell’aria, meno le sue dimensioni. La Cdu per anni ha rifiutato di collaborare con la Spd sul tema. Invece, sono bastati 9 giorni dopo le elezioni per trovare un’intesa.
Un ruolo l’ha avuto il consigliere economico di Olaf Scholz, l’ex banchiere di Goldman Sachs Jörg Kukies, che a sorpresa si è presentato ai negoziati sul nuovo governo. Come consulente, si capisce ora.
1) Tutta la spesa del budget difensivo, se eccede l’1% del Pil, sarà esonerata dal freno del debito. Se per esempio, la Nato decidesse di aumentare le spese per la difesa al 3%, allora il 3%-1%, ossia il 2% del Pil sarebbe esentato (un punto del Pil in Germania sono 44 miliardi)
2) Sarà istituito un fondo speciale per modernizzare l’infrastruttura obsoleta, di 500 miliardi in 10 anni, fuori dal freno del debito
3) Anche i 16 Länder avranno un esenzione dello 0,35% del Pil, oltre 15 miliardi
È una svolta epocale. La Germania di Olaf Scholz era diventata simbolo dell’immobilismo, il Paese del G7 con la minor crescita, incapace di trovare una via d’uscita dalla crisi. Così come ha sorpreso la capacitàdi Cdu e Spd di lavorare insieme.
La Deutsche Bank descrive il maxipacchetto di stimolo come «uno storico cambio di paradigma, tra i maggiori nella storia tedesca del dopoguerra», aggiungendo che la «velocità con cui sta avvenendo e la misura dell’espansione fiscale ricordano la riunificazione tedesca». Si sono corrette le stime per la crescita, dallo 0,8% previsto nel 2025 a un ipotetico 2% nei prossimi anni, secondo l’Istituto di politica macroeconomica.
Friedrich Merz, che si ritiene un uomo coraggioso e ha usato le parole di Mario Draghi «whatever it takes», mostra l’ambizione di rispondere alla sfida del suo tempo. Mette Berlino al centro del riarmo europeo, seppellendo il credo del suo maestro Wolfgang Schäuble e il suo pareggio di bilancio, che negli ultimi anni ha servito male la Germania. Ma forse, professandosi europeista, Merz ha piuttosto in mente anche un altro Schäuble: il vero architetto della riunificazione tedesca agli ordini di Kohl, che dovette disegnare con grande velocità e decisione un Paese nuovo, e imprevisto.
(da Corriere della Sera)

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ORA MUSK VUOLE FARE LICENZIARE I DIPENDENTI PUBBLICI DALLA INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

OGGI IN EUROPA UN SOFTWARE SIMILE SAREBBE VIETATO

Ormai non passa giorno senza che Elon Musk non ci stupisca con effetti speciali nel suo nuovo ruolo di capo del DOGE, l’ufficio governativo creato per incrementare l’efficienza dei dipendenti pubblici statunitensi. Tra le iniziative più discusse dell’imprenditore di origine sudafricana rientra sicuramente il progetto di creare un software da utilizzare per decidere in maniera automatica chi licenziare e chi no, sulla base di una serie di informazioni raccolte dall’intelligenza artificiale.
Quello che sta facendo Elon, il Doge americano, in Europa è vietatissimo
Un approccio del genere – accompagnata da un uso disinvolto, già in queste prime settimane, del potere di licenziamento, sulla base di prassi impensabili in qualsiasi ordinamento del nostro continente – non sarebbe in alcun modo consentito nei Paesi dell’Unione Europea, dove l’utilizzo dei sistemi di intelligenza sui luoghi di lavoro è soggetto ad alcune regole precise. Il tema è stato regolato, in particolare, dall’Unione Europea con la Direttiva sul lavoro tramite piattaforma (2024/2831), che regola l’attività dei lavoratori impiegati tramite le piattaforme digitali. Questa Direttiva, approvata in via definitiva il 23 ottobre 2024, dovrà essere recepita entro due anni all’interno di ciascuno Stato Membro dell’Unione Europea, e ha una sezione specifica che affronta la questione dell’interazione tra sistemi di gestione del personale e personalità umana in tutti i campi lavorativi. Con rifermento a questo aspetto, in coerenza con i principi già affermati in altre misure precedenti, la Direttiva vieta l’utilizzo di sistemi automatici digitali per il trattamento dei dati personali dei lavoratori (come i dati biometrici oppure il loro stato emotivo) e, soprattutto, afferma la necessità di garantire una supervisione “umana” su tutte le decisioni prese da strumenti digitali automatizzati.
I paletti stretti sull’utilizzo della intelligenza artificiale nei rapporti di lavoro
Questo principio sembra indirettamente rispondere alle iniziative di Musk perché fissa un paletto molto chiaro e significativo: è possibile usare sistemi di intelligenza artificiale nella gestione dei rapporti di lavoro – dalla selezione del personale sino agli avanzamenti di carriera e alla valutazione della performance – ma questo utilizzo trova un limite invalicabile nella supervisione umana. Spetta all’uomo, e non alla macchina, l’ultima parola nelle decisioni, anche quando gli elementi utili ai fini delle scelte sono raccolti dall’intelligenza artificiale. Tanto più che nella materia dei licenziamenti le regole comunitarie e degli stati membri sono incompatibili con qualsiasi processo automatizzato, essendo sempre richiesta una motivazione, che si tratti di licenziamento disciplinare o di tipo economico, per rompere un rapporto di lavoro. Tutto a posto quindi? Possiamo concludere pensando che le regole europee ci mettono al riparo da un futuro che sembra disegnato da uno sceneggiatore di Black Mirror, la fortunata serie di Netflix che ha anticipato l’avverarsi di scenari che solo pochi anni prima sembravano fantascienza? Purtroppo, no, non è tutto a posto. I sistemi di intelligenza artificiale diventano ogni giorno più potenti; hanno una grandissima diffusione in tutti i contesti della società, perché sanno fare tantissime cose a costi ridotti e con risultati incredibili.
Anche la selezione del personale fatta dalla IA è vietata dalla legge
Per rimanere nel campo del lavoro, sono ormai molto diffusioni i sistemi di selezione digitale del personale che fanno colloqui ai candidati rilevandone anche i comportamenti, il tono della voce e l’atteggiamento. Per non parlare della montagna di dati che possono offrire i sistemi di monitoraggio della prestazione o le c.d. wearable Technologies, gli oggetti digitali che si possono indossare (occhiali, orologi, ecc.). Per non parlare dei meccanismi che analizzano gli infortuni sul lavoro e consentono di prevenire la loro ripetizione, o di quelli che rilevano la produttività del lavoro. Molti di questi sistemi oggi non devono fare solo i conti con la regola della prevalenza della decisone umana, ma sono vietati in quanto ledono la dignità dei lavoratori e compromettono il loro diritto alla riservatezza.
I divieti però non sono una barriera sufficiente, e i sistemi giuridici dovranno aggiornarsi
Tuttavia, pensare che la grande potenza che accompagna questi strumenti si possa fronteggiare solo con un pacchetto di divieti è, purtroppo, illusorio; perché questi divieti sono messi sotto pressione (e violati) ogni giorno, sotto la spinta potentissima dell’innovazione tecnologica. I sistemi giuridici dovranno continuamente aggiornarsi, nei prossimi anni, nel tentativo costante di conciliare la spinta sempre più forte per l’utilizzo dei sistemi digitali con l’esigenza di tutelare la dignità umana, limitando un’invasione eccessiva delle macchine sull’uomo. Come andrà a finire? Non è possibile dirlo: forse ci darà la risposta la nuova serie di Black Mirror.
(da agenzie)

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IL GOVERNO SPALANCA LE PORTE A MUSK: LA CAMERA HA DATO IL VIA LIBERA AL DDL SPAZIO, CHE ORA PASSA AL SENATO: DOVE SONO FINITI I SEDICENTI PATRIOTI?

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

APPROVATO ANCHE L’ARTICOLO 25, IL PIÙ DISCUSSO, PERCHÉ PERMETTE AGLI OPERATORI STRANIERI (OVVERO STARLINK) DI GIOCARE UN RUOLO IMPORTANTE NEI SISTEMI DI COMUNICAZIONE DIGITALE IN ITALIA … IL PD ATTACCA: “UNA LEGGE SU MISURA PER STARLINK, L’ITALIA DIVENTA RICATTABILE”. I CARTELLI DI AVS: “GIÙ LA MUSK”

La maggioranza tira dritto sul ddl spazio e spalanca le porte a nuovi affari per Starlink in Italia. Oggi, giovedì 6 marzo, la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge sulla space economy, con 133 voti favorevoli e 89 contrari. Il dibattito in Aula è ricominciato proprio dall’articolo 25 della proposta di legge, il più discusso, perché permetterebbe agli operatori stranieri – e in particolare a Starlink – di giocare un ruolo importante nei sistemi di comunicazione digitale in Italia, specie con la creazione di una Riserva di capacità trasmissiva nazionale da affidare anche a privati. Il ddl ha creato forti tensioni tra maggioranza e opposizioni, con queste ultime che accusano il governo di Giorgia Meloni di voler fare un regalo all’azienda di Elon Musk con un provvedimento ad personam che rischia di mettere l’Italia in una posizione di ricatto da parte di Starlink. Sono stati bocciati gli emendamenti presentati dalle opposizioni che chiedevano di affidare il servizio preferibilmente a soggetti europei e istituzionali. Il ddl passa ora all’esame del Senato.
Cosa dice l’articolo 25 del ddl spazio
L’articolo 25 del ddl Spazio istituisce per l’Italia una «Riserva di capacità trasmissiva nazionale», vale a dire un sistema di trasmissioni da utilizzare in caso di calamità naturali, conflitti o altre situazioni di emergenza. L’opposizione ha presentato una serie di emendamenti volti a impedire che questa riserva sia affidata a Starlink. Come? Proponendo che i soggetti di Paesi Nato (quindi anche americani) vengano coinvolti solo se istituzionali e solo qualora l’Europa non si dovesse dimostrare in grado di realizzare una propria rete. Queste proposte sono state bocciate durante l’esame in commissione. L’unico compromesso accettato dalla maggioranza (e incluso nel testo discusso oggi in Aula) riguarda un emendamento più blando che chiede di tutelare la «sicurezza nazionale» e «assicurare un adeguato ritorno industriale per il sistema Paese». Una modifica piuttosto timida, ma che ha mandato su tutte le furie Andrea Stroppa, referente di Elon Musk in Italia, che se l’è presa pubblicamente con Fratelli d’Italia. Un tweet che, secondo alcuni retroscena, avrebbe convinto il governo a interrompere ogni dialogo e tirare dritto con l’approvazione del provvedimento così come uscito dalla commissione.
Opposizioni all’attacco: «L’Italia è ancora sovrana?»
Le critiche al ddl spazio hanno ricompattato le opposizioni, con Pd, M5s, Avs, Italia Viva e Azione che in Aula si sono espresse apertamente contro il provvedimento. «L’Italia è ancora padrona del proprio destino o sta diventando una colonia di un magnate digitale oltreoceano?», ha chiesto Antonio Ferrara, deputato del Movimento 5 stelle. «Questa è l’ennesima cessione di sovranità a un predatore senza scrupoli», ha attaccato Marco Grimaldi, di Alleanza Verdi-Sinistra. Critico anche Andrea Casu, deputato del Pd e primo firmatario degli emendamenti all’articolo 25 discussi oggi. «Non chiediamo nessun dazio contro Starlink, chiediamo garanzie per l’utilizzo dei soldi pubblici degli italiani», ha provato a spiegare il parlamentare dem sondando la disponibilità del governo a raggiungere un compromesso sulla versione finale del provvedimento. «Stiamo appaltando la sovranità del Paese mettendo a rischio la gestione e il controllo dei nostri dati», ha attaccato Francesco Mari (Avs)
Il tweet di Stroppa e il silenzio della maggioranza in Aula
La maggioranza che ha bocciato tutte le proposte di modifica avanzate dalle opposizioni. Nel testo finale del ddl è rimasta la menzione alla «sicurezza nazionale» e al «ritorno industriale per il sistema Paese» approvata durante l’esame in commissione in riferimento all’articolo 25, ma non è stato approvato alcun nuovo emendamento. Durante l’esame a Montecitorio, nessun esponente della maggioranza ha preso la parola per rispondere alle critiche delle opposizioni. «Il dialogo che era cominciato in commissione si è interrotto per un tweet», ha denunciato Rachele Scarpa, deputata del Pd, riferendosi al post pubblicato da Andrea Stroppa su X.

(da agenzie)

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LA CASALINGA DI OTTAWA E’ TUTTI NOI

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

I CANADESI BOICOTTANO WHISKY E BOURBON AMERICANI

Il fatto che i canadesi boicottino whisky e bourbon americani mette di buon umore non solo per la giustezza della causa, che è difendersi dalla prepotenza (e dai dazi) di Trump. Ma perché rivela una sensibilità popolare non solo ben posta, ma solidamente applicata alla realtà materiale (poche cose sono più reali degli scaffali dei supermercati) e alla vita di tutti i giorni.
La misteriosa “gente”, entità sempre poco verificabile, e per niente individuabile nella chiacchiera delirante e inaffidabile dei social, ogni tanto prende forma.
Non solo la si vede e la si sente, ma si intende che lei stessa, “la gente”, finalmente si manifesta, come se scoprisse di esistere per davvero, e di contare quel tanto che basta per non sentirsi inesistente.
E organizza qualcosa, anche piccoli gesti, che ha comunque un significato condiviso, molto leggibile, chiaro a tutti. Non so se chiamarla politica ma è sicuramente ciò che precede la politica, ciò che le consente di esistere e di prendere vita.
In queste settimane ognuno — non solo il cosiddetto uomo della strada — dubita di contare qualcosa. Ci si sente in balia degli eventi, e quel che è peggio in balia dei prepotenti, e della forza bruta del potere e del denaro.
La casalinga di Ottawa (non so come si dica Voghera in canadese) che boicotta i prodotti americani è tutti noi. Ovviamente il secondo pensiero è per il produttore di bourbon dell’Illinois, sicuramente una bravissima persona, che si vede respingere le bottiglie dal Canada. Una soluzione c’è: boicotti Trump anche lui.
(da repubblica.it)

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ANAC METTE NEL MIRINO IL PONTE SULLO STRETTO

Marzo 6th, 2025 Riccardo Fucile

L’ANTICORRUZIONE CHIEDE LE CARTE A 3 MINISTERI TRA I QUALI QUELLO DI SALVINI, ITER A RILENTO

L’Autorità anticorruzione mette ufficialmente nel mirino il più grande appalto d’Italia. Nelle scorse settimane, l’Anac ha infatti inviato la richiesta di avere accesso alla documentazione riguardante il Ponte sullo Stretto di Messina a ben tre ministeri: Economia, Infrastrutture e Ambiente. Ai dicasteri guidati da Giancarlo Giorgetti, Matteo Salvini e Gilberto Pichetto Fratin la richiesta è arrivata il 19 febbraio scorso, con tanto di avviso che l’autorità guidata da Giuseppe Busia ha avviato un monitoraggio specifico sulla mega opera da 14,5 miliardi, secondo i costi stimati ufficialmente dal governo. La mossa nascerebbe da un dettagliatissimo esposto inviato all’Anac agli inizi di dicembre, che mette in luce diverse problematiche dell’opera: dagli aspetti ingegneristici e di effettiva realizzabilità tecnica e di sicurezza a quelli più prettamente economici del progetto redatto dal costruttore, il consorzio Eurolink, capitanato da Webuild, il colosso guidato da Pietro Salini, oggi quasi monopolista degli appalti pubblici italiani.
Il monitoraggio di fatto avvia una fase di attente valutazioni e accertamenti. Anac chiede di avere accesso alla documentazione prevista dal decreto con cui a marzo 2023 Salvini ha deciso di far resuscitare l’opera fermata nel 2012 dal governo Monti e con essa tutto l’armamentario, compresa la Stretto di Messina Spa, la concessionaria pubblica incaricata di realizzare il ponte, dove Salvini ha rimesso Pietro Ciucci, già alla guida quando fu messa in liquidazione 12 anni fa. La documentazione deve essere portata al Cipess, il comitato per le grandi opere e, tra le altre cose, comprende anche il piano economico finanziario, non ancora approvato nonostante la scadenza prevista dal decreto (più volte prorogata) fosse a fine 2024. La richiesta di Anac è di venire aggiornata se dovesse essere approvato dal Cipess. A interessare Anac c’è soprattutto il rispetto della direttiva Ue del 2014 sugli appalti, che prevede l’obbligo di gara se un appalto è ripristinato e il nuovo valore supera del 50% quello vecchio. Basti ricordare che il costo del ponte è lievitato dai 4,5 miliardi della gara del 2005 agli 8,5 del 2012. Il ministero di Salvini ha aggirato la norma con una complessa architettura tecnica per dimostrare che l’aumento è legato quasi solo all’aggiornamento prezzi.
La mossa dell’Anac arriva in un momento delicato per la maxi-opera che Salvini s’è intestato. A dicembre ha blindato la parte finanziaria, interamente a carico dello Stato, aumentando di 2 miliardi lo stanziamento per l’opera con un emendamento in manovra, portandolo da 11,6 a 13,6 miliardi. Buona parte delle risorse arrivano saccheggiando brutalmente il Fondo di sviluppo e coesione (per l’80% vincolato al Sud) che perde circa 6 miliardi, 1,6 dei quali dalla quota spettante a Calabria e Sicilia. Ma a pagare sono anche i Comuni che perdono 1,5 miliardi di fondi per la manutenzione delle strade. Il tutto per rendere possibile l’approvazione al Cipess “entro dicembre 2024”, ma il termine è stato bucato. Salvini ha annunciato l’ok entro gennaio e poi febbraio, ma al momento la procedura non è affatto conclusa. “Noi stiamo preparando il dossier per l’approvazione del progetto definitivo al Cipess, ma l’ultimo parere da cui dipende la vita o la morte del progetto è di Bruxelles. È una gabbia di matti”, ha detto il leghista la scorsa settimana. Il riferimento è alla Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), che non ha avuto l’ok del ministro dell’Ambiente perché alcune aree dello Stretto, e i siti della rete “Natura 2000”, sono tutelati dall’Ue e non si possono escludere “incidenze significative”, cioè lo stravolgimento dell’area dello Stretto, che può essere autorizzato da Bruxelles solo per “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico del progetto”.
Ma è tutta la procedura a essere un controsenso. A novembre la Commissione di Valutazione ambientale ha dato parere positivo al progetto, ma condizionandolo a ben 62 “prescrizioni”, alcune molto pesanti, 56 da ottemperare “prima dell’approvazione del progetto esecutivo”. Ben 8 prevedono monitoraggi da svolgere per “un anno intero”. Le richieste spaziano da un dettagliato piano di approvvigionamento idrico all’approfondimento dello studio sullo smaltimento dei rifiuti, dalla dislocazione e sicurezza delle discariche all’approfondimento dei rilevamenti geologici e geomorfologici, le indagini geofisiche, sismologiche e paleo-sismologiche, la caratterizzazione delle faglie. Da Stretto di Messina fanno sapere di voler approvare tutto al Cipess “presto”, per avviare la fase esecutiva – che Salvini ha incredibilmente concesso di poter fare per “fasi” e non tutta intera, per un’opera unica al mondo –, far così partire le “opere anticipate” e aprire “i cantieri principali entro il 2025”. Stando a quanto filtra, la speranza è di portare tutto al Cipess per Pasqua. La vera corsa è però per la penale al costruttore. Nel 2013 Webuild&C. hanno fatto causa allo Stato chiedendo 700 milioni di risarcimento, ma in primo grado hanno perso anche perché il progetto definitivo era stato approvato. La prossima udienza è a giugno. Il decreto di Salvini prevede che dopo l’ok del Cipess – presieduto da Meloni – si negozino gli atti aggiuntivi per far rinascere il contratto e Webuild rinunci alla causa.
Al Fatto risulta che il negoziato sugli atti aggiuntivi sia partito da tempo e uno dei nodi sia proprio la penale, sulla quale al momento non c’è accordo. Eurolink vorrebbe ripristinare un modello simile alla vecchia penale. Nel 2009 (governo Berlusconi), Ciucci rinegoziò il contratto con Eurolink, dopo il primo stop voluto da Prodi, inserendo una penale che scattava anche in caso di non approvazione del progetto definitivo al Cipess, e prevedeva il pagamento delle spese sostenute e del 5% dell’importo dell’intero contratto. L’ipotesi è che si salga al 10%. Si tratta di oltre 1 miliardo. Blindare la penale significherebbe blindare anche il contratto dell’opera.
Nel frattempo Stretto di Messina continua a siglare contratti. Da ultimo, a gennaio, il rinnovo di quattro membri del comitato scientifico (50 mila euro a testa). Lo stesso comitato che peraltro ha fatto 68 raccomandazioni (cioè nuove indagini da fare) al progetto definitivo, da realizzare in “fase esecutiva”, un controsenso.
(da ilfattoquotidiano.it)

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