Destra di Popolo.net

IL GIUDICE FEDERALE DI WASHINGTON: “TRUMP IGNORA LE SENTENZE E CONTINUA A DEPORTARE MIGRANT, E’ OLTRAGGIO ALLA CORTE”

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

”MIGRANTI DEPORTATI SENZA PROVE E SENZA OPPORTUNITA’ DI DIFENDERSI”

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump rischia di essere accusato di oltraggio alla corte per non aver rispettato una sentenza del tribunale di Washington Dc, risalente al 15 marzo, che gli ordinava di sospendere immediatamente le espulsioni illegali di persone migranti. A dichiararlo è stato il giudice federale James Boasberg, con un’ordinanza.
Nel testo si legge che ci sono le basi per una denuncia, e che quindi la Casa Bianca può rispondere in due modi: spiegare cosa ha fatto e cosa intende fare concretamente l’amministrazione per rispettare la sentenza; oppure dichiarare ufficialmente chi sono le persone che, pur essendo a conoscenza della sentenza, hanno deciso di non bloccare le deportazioni. Le persone (tra cui ci potrebbe essere anche il presidente stesso) che saranno poi accusate di oltraggio alla corte
Perché Trump e i suoi ufficiali rischiano l’accusa di oltraggio alla corte
Il giudice ha dato tempo a Trump e alla sua amministrazione fino al 23 aprile per rispondere, ma il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca Steven Cheung ha già replicato sui social, dicendo: “Intendiamo fare immediatamente ricorso. Il presidente è impegnato al 100% ad assicurarsi che migranti illegali terroristi e criminali non siano più una minaccia per gli americani e le loro comunità in tutto il Paese”. Ancora una volta, quindi, sembra che non ci sia nessuna intenzione di ascoltare la sentenza.
Il giudice sostiene che, se la Casa Bianca non spiegherà cosa ha fatto per rispettare la sentenza, potrà svolgere lui stesso delle audizioni e poi segnalare il caso alla procura, per procedere con l’accusa di oltraggio alla corte. Se il procuratore generale del dipartimento di Giustizia, legato all’amministrazione Trump, si rifiutasse di raccogliere il caso, Boasberg ha detto che si rivolgerebbe a un altro legale. Il giudice ha scritto: “La Costituzione non tollera la volontaria disobbedienza a ordini giudiziari – specialmente da parte di ufficiali che hanno giurato di difenderla”.
La ‘minaccia’ nell’ordinanza di Boasberg è la più dura risposta legale arrivata finora alle azioni della presidenza di Donald Trump. In passato la minaccia di essere accusati di oltraggio alla corte è stata sufficiente a spingere gli esponenti del governo a obbedire alle sentenze, ma in questo caso sembra che la Casa Bianca voglia continuare lo scontro. Peraltro, la legge prevede che il presidente possa concedere la grazia a persone condannate di oltraggio.
La sentenza sui migranti e l’attacco del presidente Us
La sentenza di Boasberg a marzo si riferiva a un gruppo specifico di persone migranti che erano in trasferimento verso El Salvador, nella prigione di massima sicurezza dove vengono incarcerate le persone deportate. Erano state accusate, senza prove, di avere dei legami con una gang venezuelana; poi catturate e deportate senza aver avuto l’opportunità di difendersi legalmente. L’ordine era di fermare quei voli e farli tornare negli Usa, cosa che l’amministrazione non ha fatto
Dopo la sentenza del giudice, il presidente Trump aveva attaccato
Boasberg e detto che avrebbe dovuto essere rimosso dal suo incarico. Il segretario di Stato Marco Rubio aveva condiviso un post in cui il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, condivideva la notizia della sentenza e scriveva: “Ops… Troppo tardi”.
Il caso Abrego Garcia
Il caso è scollegato da quello di Kilmar Abrego Garcia, cittadino salvadoregno che viveva da anni negli Stati Uniti ed è stato deportato senza motivo. Anche l’amministrazione ha ammesso che il suo arresto è avvenuto “per errore”. Sulla vicenda di Abrego Garcia è intervenuta la Corte Suprema, che ha deciso all’unanimità – nonostante nella Corte siedano in maggioranza dei giudici conservatori, di cui diversi nominati da Trump stesso – che gli Stati Uniti devono riportarlo nel Paese. Ma finora l’amministrazione Usa ha opposto resistenza alla decisione, scaricando la responsabilità su El Salvador (che viceversa ha detto che non spetta a loro farlo rientrare).

(da agenzie)

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TRUMP CHIEDE AL FISCO AMERICANO (IRS) DI REVOCARE LE ESENZIONI FISCALI DI CUI GODE HARVARD IN UNA NUOVA ESCALATION NEL BRACCIO DI FERRO TRA IL PRESIDENTE E LA PIÙ RICCA UNIVERSITÀ DEL MONDO CHE SI È OPPOSTA AI SUOI DIKTAT

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP HA MINACCIATO DI VIETARE ALL’ATENEO DI AMMETTERE STUDENTI STRANIERI SE NON ACCETTERÀ DI SOTTOPORSI A CONTROLLI SULLE AMMISSIONI, SULLE ASSUNZIONI E SULL’ORIENTAMENTO POLITICO

L’amministrazione Trump ha chiesto al fisco (Irs) di revocare le esenzioni fiscali di cui gode Harvard in una nuova, significativa escalation nel braccio di ferro tra il presidente americano Donald Trump e la più ricca università del mondo che si é opposta ai suoi diktat di adeguarsi nei programmi, le assunzioni e le ammissioni degli studenti alle sue politiche anti-Dei (diversità, equità e inclusione).
Le esenzioni fiscali sono accordate a organizzazioni caritatevoli, religiose o attive nel campo dell’istruzione. In cambio le organizzazioni devono astenersi dal fare attività politica. Non ci sono prove che Harvard abbia violato questi paletti, secondo esperti citati dal Washington Post.
Sta all’Irs la decisione ultima se cambiare lo stato esentasse di Harvard. Il capo facente funzione dell’agenzia per le imposte, Andrew De Mello, ha ricevuto oggi la richiesta della Casa Bianca e deve ancora decidere se porla in atto. Ieri Trump aveva minacciato la revoca delle esenzioni fiscali attaccando poi Harvard come “una barzelletta” che “insegna l’odio e la stupidità” e che “non merita” l’accesso a fondi federali.
(da agenzie)

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DISTRUGGI QUELLO CHE NON PUOI AVERE

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP INCARNA PERFETTAMENTE IL RANCORE SOCIALE DELL’IGNORANTE CHE DETESTA LA CULTURA

L’attacco di Trump a Harvard, così come lui stesso lo ha twittato, meriterebbe di finire nei libri di storia – ammesso che i libri di storia siano previsti anche per gli anni a venire.
La violenza verbale, la cieca faziosità politica, l’astio personale (i “nemici” indicati con nome e cognome, manca solo l’indirizzo di casa), il rancore sociale dell’ignorante che detesta la cultura, non consentono ombra di dubbio su teoria e prassi del trumpismo, che è pura volontà di annientamento di tutto ciò che gli si oppone o lo contraddice.
È un esercizio retorico chiedersi se e quanto Trump sia distante dal fascismo. Ogni suo atto politico (a cominciare dall’oltraggioso indulto
oncesso a chi aveva assaltato il Parlamento) è uno sputo alla democrazia, al diritto di opposizione, alle regole scritte e non scritte che consentono la convivenza tra opinioni e interessi differenti.
L’odio speciale che stilla dall’anatema contro Harvard aggiunge, poi, qualcosa che già si sapeva, ma non con questa imbarazzante evidenza: la cultura è qualcosa che i soldi non bastano a comperare, neppure i miliardi di Trump e dei suoi amici, e questo la rende particolarmente insopportabile alle persone che ritengono in vendita qualunque cosa, qualunque condizione, qualunque essere umano. Studiare in posti come Harvard costa, è precluso ai poveri. Ma educare il proprio cervello allo studio, alla lettura e alla comprensione del mondo è precluso anche al più ricco dei ricchi, se non è disposto all’umiltà e alla curiosità. Imparare è più difficile che comandare. Distruggi tutto quello che non puoi avere, tutto quello che non puoi essere: ecco Trump.
(da La Repubblica)

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SULLE CARCERI NORDIO E’ LATITANTE

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

MENTRE IL MINISTRO PENSA ALLA LOTTA CONTRO I MAGISTRATI, OGNI QUATTRO GIORNI UN DETENUTO SI SUICIDA NELLE CARCERI ITALIANE, IL SORAFFOLLAMENTO A SUPERATO IL 132%

Ogni quattro giorni una persona si suicida in un carcere italiano. I numeri sono inchiostro freddo, ma raccontano l’urlo strozzato di un sistema che implode: 62.165 detenuti stipati in spazi pensati per meno di 47mila.
Il sovraffollamento ha superato il 132%. In alcune celle si dorme in tre per terra, con un solo bagno e senza assistenza. E il ministro Carlo Nordio, che pure aveva promesso una riforma epocale, ha deciso che la colpa non è sua. È dei giudici. Dei magistrati. Delle leggi che non riesce a cambiare, o che scrive con l’intento di peggiorare.
Mentre i tribunali internazionali condannano l’Italia, Nordio si assenta. L’ultima bacchettata è arrivata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il caso di Simone Niort: 27 anni, 9 dei quali passati in carcere nonostante una grave patologia psichiatrica. Venti tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, nessuna struttura adeguata. La Cedu ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione: trattamenti inumani e degradanti. Eppure, nulla. Nessuna risposta strutturale, nessuna assunzione di responsabilità.
Il decreto che punisce la povert
I numeri parlano anche di 89 suicidi nel 2024. Di celle pensate per quattro
persone che ne ospitano otto. Di rivolte, come quella nel carcere di Cassino, o fughe, come quella dal Malaspina di Palermo, che non sono solo cronaca nera, ma sintomi di una malattia istituzionale. Di una giustizia penale che si è trasformata in discarica sociale.
Il decreto Sicurezza, tanto sbandierato dal governo Meloni, non solo non affronta il problema, ma lo aggrava.
Introduce reati che criminalizzano la marginalità: resistenza passiva nei Cpr e nelle carceri, occupazioni abusive punite come omicidi colposi. La Giunta esecutiva centrale dell’Anm ha segnalato evidenti profili di incostituzionalità, sottolineando che “si introducono nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita”. “Basti pensare – ha aggiunto l’Anm – che la pena per l’occupazione abusiva di immobili coincide con quella prevista per l’omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Inoltre, incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei Cpr, e dunque la resistenza non violenta e la semplice manifestazione del dissenso, produce effetti criminogeni”. È un diritto penale costruito per punire l’esclusione, non per prevenire il crimine.
Di fronte a questa emergenza, il ministro propone moduli prefabbricati antisismici. Celle in lamiera come soluzione al disagio. Affidarsi alle baracche per nascondere l’assenza di una visione. La riduzione della carcerazione preventiva è rimasta un annuncio. Il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d’origine è un miraggio. L’edilizia penitenziaria è ferma a promesse e slide.
Mattarella parla. Nordio scompare.
Il 25 marzo 2025, nel messaggio per il 208° anniversario della fondazione del Corpo di polizia penitenziaria, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “assai critiche” le condizioni del sistema carcerario e ha denunciato il “grave fenomeno di sovraffollamento in atto”. Un richiamo netto all’articolo 27 della Costituzione, che impone alla pena una funzione rieducativa. Ma Nordio, ancora una volta, ha fatto finta di nulla. Non ha nemmeno partecipato alla seduta straordinaria della Camera
dedicata al tema. Il ministro della Giustizia assente quando si parla di giustizia.
Eppure, qualcosa si muove. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha finalmente emanato linee guida per garantire il diritto alla sessualità e agli affetti in carcere. Un segnale. Ma isolato. Non basta garantire un colloquio privato se nel frattempo si nega una terapia, se si muore nel silenzio, se si aggrava una malattia dietro le sbarre.
Il carcere, oggi, è luogo di abbandono, di espiazione cieca, di violenza burocratica. Non serve un piano emergenziale, serve una riforma etica. Nel frattempo, chi può, scappa. Chi non può, si toglie la vita. E lo Stato, invece di rispondere, volta lo sguardo.
(da agenzie)

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“GIORGIA MELONI RISCHIA IL SUO CAPITALE POLITICO IN EUROPA E IN PATRIA PER UN INCONTRO DAI POSSIBILI ESITI NEGATIVI CON TRUMP”

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

IL “BENVENUTO” DEI MEDIA AMERICANI ALLA STATISTA DELLA GARBATELLA CHE ALLE 18 ORA ITALIANA SARA’ RICEVUTA ALLA CASA BIANCA … LE PROVE DELLA MELONI CON LO STAFF PER EVITARE LE INSIDIE

Ha simulato e simulato ancora la scena nello Studio Ovale. Non davanti allo specchio, ma con il suo staff. Ne ha parlato anche durante il vertice con i ministri, l’altro ieri: come reagire, quanto tacere, in che modo dribblare gli ostacoli. Cosa può andare male? Ha perfino raccolto informazioni su come muoversi con Donald Trump, domandando a chi in passato ha trattato con il tycoon. A guidarla, una necessità politica: evitare incidenti. E un imperativo tattico: non mostrarsi deboli. Rispondendo a eventuali sgarbi. Ma soltanto se necessario e dosando l’intensità della reazione.
Per Giorgia Meloni è una vigilia tesa. Lo scrivono anche il New York Times e il Washington Post, mentre lei consuma la vigilia ospite della Blair House presidenziale: la posta in gioco della missione «è molto alta», sostengono, e l’italiana «rischia il suo capitale politico in Europa e in patria per un incontro dai possibili esiti negativi». Certo, la possibile partecipazione di Elon Musk nella delegazione del bilaterale potrebbe comunque favorire il buon esito del confronto. Ma la chiacchierata nello Studio Ovale può comunque prendere direzioni imprevedibili.
A preoccupare è la porzione pubblica del faccia a faccia. Non tanto l’eventuale conferenza stampa, che anzi Palazzo Chigi non disdegnerebbe (Macron e Starmer hanno avuto l’onore, perché non replicare?), quanto le dichiarazioni che i due leader renderanno alle 18.15 italiane, seduti davanti ai giornalisti. È il cosiddetto “spray”, che di norma dura pochissimi minuti. Trump l’ha ormai trasformato in un comizio senza rete.
È servito a umiliare Volodymyr Zelensky e a stuzzicare Emmanuel Macron (che ha ribattuto colpo su colpo). Meloni è pronta a reagire. Ancora spera
che non sia interesse del presidente Usa metterla in imbarazzo, ma ha studiato ogni scenario. Ad esempio, risponderà nel caso in cui il repubblicano la attaccasse pubblicamente sulla web tax adottata dall’Italia, o sulla tassazione verso Big pharma.
Poi, a porte chiuse, intende trascinarlo sul terreno della politica. Per riportare alla ragione il tycoon, come ha spiegato due sere fa a Palazzo Chigi: conservatrice io, conservatore lui (entrambi nel Cpac), perché agire con politiche che mettono in difficoltà proprio i leader della destra? Un messaggio che potrebbe tradursi così: «Siamo con te, ma tu devi tenere unito l’Occidente, non dividerlo». Vale per i dazi, come per la Russia: se necessario, ribadirà il sostegno a Kiev e condannerà la strategia dilatoria di Putin.
(da agenzie)

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GIORGIA HA PAURA DELLA TRAPPOLA, COMPARSA NELLO SHOW DI DONALD?

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

PRIMA DEL PRANZO, LE DOMANDE NELLO STUDIO OVALE: MELONI TEME UNA SCENA COME QUELLA CON ZELENSKY

Ha fatto le prove, Giorgia Meloni. Con i ministri, i consiglieri e i suoi esperti della comunicazione. Ma sa, come ha ripetuto ai colleghi di governo martedì sera a Palazzo Chigi, che alla fine The Donald “è incontrollabile, imprevedibile”, ha ripetuto più volte allargando le braccia. “La fase è complessa, serve lucidità”, ha aggiunto parlando all’assemblea del Grana padano.
La premier è arrivata ieri pomeriggio a Washington portandosi da Roma più dubbi che certezze. Oggi alle 12 vedrà il presidente americano Donald Trump alla Casa Bianca ma il primo timore riguarda l’impatto “mediatico” della visita perché poi, spiegano fonti di governo, le carte le darà il presidente americano. Insomma, la paura è che al cosiddetto “media spray”, come gli americani chiamano il format con le domande dei giornalisti nello Studio Ovale, Trump possa ripetere lo show fatto con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. In questo caso, però, la premier sarebbe pronta a rispondere, se necessario, come ha fatto il presidente francese Emmanuel Macron correggendo il presidente americano. Tant’è che c’è una sorta di mistero sulla conferenza stampa finale: alla Casa Bianca fino a poche ore fa avevano preparato tutto per le dichiarazioni conclusive al bilaterale, ma alla fine non è detto che si farà. Il cerimoniale
della Casa Bianca, però, sta preparando per la premier un’accoglienza speciale e anche il fatto che Meloni risieda alla Blair House ospitata da Trump è un segnale di vicinanza tra i due.
Le altre insidie riguardano i dossier sul tavolo al bilaterale: per prepararsi Meloni ha chiesto dati e informazioni a tutti i ministri competenti. In primis, la guerra commerciale che Trump ha avviato prima di fare un mezzo passo indietro. La premier italiana sa che non può trattare in solitaria con l’amministrazione americana e quindi proverà a fare la “pontiera” con l’Unione europea.
Nello specifico, Meloni proporrà a Trump di organizzare un summit tra Usa e Ue. Dalla sua, invece, la premier potrà fare solo una cosa: portare al presidente americano la lista degli investimenti che le imprese italiane faranno da qui ai prossimi mesi negli Usa per ridurre lo squilibrio commerciale. Musica per le orecchie di Trump anche se su questo Meloni si muove su un terreno scivoloso perché la Commissione europea ha già avvisato i Paesi membri che non potranno trattare in autonomia con Washington.
La premier inoltre prometterà a Trump un massiccio acquisto di gas liquido dagli Stati Uniti. La capacità attuale italiana è di 28 miliardi di metri cubi all’anno e Meloni spera di ottenere uno sconto sul prezzo decennale per poi convincere le imprese italiane a comprare. A quel punto, secondo le stime, si potrà aumentare ancora la capacità annua di 6 miliardi nel primo anno fino a 8 nel biennio.
I due parleranno anche di spesa militare, con il ministro della Difesa Guido Crosetto che ha assicurato che non si discuterà dei nuovi acquisti di armi americane da parte dell’Italia. Sulla spesa militare però Meloni porterà in dote a Trump il 2%, ma è una cifra che non basta al presidente americano. Quest’ultimo chiede almeno che si arrivi al 3%-3,5% per non dire 5%, quota impossibile da raggiungere per il governo italiano. Anche su questo fronte, però, il tema chiave sono gli investimenti delle imprese italiane: Leonardo è pronta a offrire un sistema per la difesa dei confini. Un tema che interessa moltissimo al presidente repubblicano. Infine, la Cina su cTrump punterà molto. La linea della premier è di cautela sul punto perché pensa che il pugno duro anti-cinese serva più a Trump per la politica interna, anche perché poi, in pubblico, definisce Xi “un amico”.
Se il presidente americano chiederà di ridiscutere l’accordo firmato a luglio da Roma con Pechino la premier potrebbe valutare di modificare qualcosa.

(da Il Fatto Quotidiano)

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LA CORTE DEI CONTI SOTTO ATTACCO SOVRANISTA

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

IL CUSTODE DEL PATRIMONIO NAZIONALE STA PER ESSERE DISARMATO DALLE MANOVRE DEL GOVERNO

I magistrati contabili sono poche centinaia, un’isoletta nel gran mare del nostro apparato giudiziario. Non hanno certo la forza politica e mediatica dei diecimila giudici ordinari. Anche l’istituzione che li accoglie, con quel nome – Corte dei conti – che evoca castelli e cavalieri medievali, rimane misteriosa per i più. Sarà per questo che la mannaia sulle loro funzioni cade nell’indifferenza generale. Eppure sono funzioni quantomai importanti, di rango costituzionale.
La Corte dei conti – per richiamare le parole che usò nel 1995 la Consulta – è «garante imparziale» degli equilibri di bilancio, nonché «della corretta gestione delle risorse collettive». In sintesi, è un presidio di legalità, nel Paese dove l’illegalità ha fin troppi seguaci. Ed è il giudice che castiga il danno erariale, ossia quello sofferto dalle casse dello Stato per colpa di chi ne amministra i denari. Che sono poi i denari di noi tutti, di ciascun cittadino, raccolti attraverso il pagamento delle tasse.
Questo custode del patrimonio nazionale, tuttavia, sta per venire disarmato. Effetto d’una legge proposta nel dicembre 2023 da Tommaso Foti, all’epoca capogruppo di Fratelli d’Italia, oggi ministro per gli Affari europei. Il 9 aprile, dopo mesi di dibattiti e ulteriori peggioramenti del testo in commissione, la Camera ha dato il suo via libera. Seguirà, a breve, il Senato. Con la conseguenza di comprimere la giurisdizione della Corte dei conti, di svaporare la responsabilità amministrativa. Come? Attraverso una fitta rete di salvacondotti, che tutelano il portafoglio individuale degli amministratori a scapito del portafoglio pubblico. Vediamone infatti le misure una per una.
Primo: tutti salvi se la Corte dei conti – in sede di controllo preventivo – rimane in silenzio per un mese, o se ha vistato l’atto sia pure per profili diversi da quelli che configurano un illecito. Secondo: i politici rispondono soltanto in caso di dolo, non più per colpa grave. Terzo: se ne presume comunque l’innocenza quando l’atto amministrativo sia stato proposto, vistato o sottoscritto dai tecnici (come succede sempre). Quarto: a loro volta dirigenti e funzionari ottengono uno sconto del 70 per cento sul danno erariale, e comunque non dovranno mai corrispondere più del doppio del proprio stipendio.
Quinto: di conseguenza i titolari di incarichi gratuiti (e sono tanti) restano indenni, non avranno alcunché da risarcire. Sesto: per i tecnici scatta però l’assicurazione obbligatoria, ovviamente a spese dello Stato (ecco perché il tetto viene ridotto del 70 per cento: altrimenti nessuna compagnia assicurativa troverebbe conveniente la propria copertura). Settimo: quanto ai pochi che andranno a giudizio, la prescrizione viene notevolmente accelerata. Ottavo: se scatta un’improbabile sentenza di condanna, ai politici basterà pagare gli importi contestati per azzerare ogni ulteriore conseguenza a loro carico, compresa l’ineleggibilità.
Insomma, una grazia di Stato a danno dello Stato. E come si giustifica? Per sconfiggere la «paura della firma», dicono lorsignori. Cioè il timore d’esporsi ad addebiti penali o a responsabilità contabili, per cui gli amministratori rinunziano a timbrare qualunque decisione. Sennonché l’unico studio disponibile sulla burocrazia difensiva (curato da Forum PA nel 2017) enumera ben altri fattori di rischio, da un ambiente normativo infido e caotico alla frammentazione delle responsabilità e dei ruoli.
Lo riconosce, d’altronde, pure la Consulta, in una sentenza del luglio 2024 peraltro fin troppo compiacente sulle ultime scelte del nostro legislatore. Ma in quella decisione la Corte costituzionale boccia l’ipotesi di circoscrivere la responsabilità amministrativa al dolo, come propone viceversa il ddl Foti. In una decisione precedente (n. 340 del 2001) aveva reputato illegittimo ridurre la responsabilità a una quota della retribuzione. E in molte altre pronunzie sempre la Consulta ha posto l’accento sulla deterrenza che in passato veniva garantita dai controlli della Corte dei conti, pace all’anima sua.
Morale della favola: stiamo per fare un altro passo verso l’annullamento dello standard etico richiesto ai servitori dello Stato. Ma pazienza, non è ancora finita. La prossima volta possiamo offrire un premio a chi procura un bel danno erariale.
(da La Repubblica)

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AUTOSTRADE, SNAM, FINCANTIERI E ITALGAS: QUANDO SI TRATTA DI POLTRONE IL CENTRODESTRA E’ UNA FALANGE

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

IL VALZER DEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE TRA RICONFERME E COLPI DI SCENA

Hai voglia a raccontarli divisi, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, pronti a scatenare l’iradiddio. Alla fine le nomine tengono uniti i leader del centrodestra. C’è un contorno, fatto di quotidiana letteratura sincopata tra strappi e ultimatum. E poi c’è la ciccia, come si dice a Roma. La riprova, puntuale come il cannone del Gianicolo, si è presentata con il valzer di presidenti, amministratori delegati e consiglieri che da oggi prenderanno forma. L’altro giorno Cassa depositi e prestiti ha riunito il comitato nomine, oggi il cda della “cassaforte d’Italia” di via Goito renderà note le liste dei consiglieri per convocare poi le rispettive assemblee delle società interessate ai cambiamenti. Tutto secondo programmi o quasi: Autostrade, Fincantieri, Snam e Italgas. Gioco, partita, incontro.
Si parte da Fincantieri, destinata a entrare nel dossier che oggi pomeriggio alle 18 (ora italiana) Giorgia Meloni potrebbe presentare a Donald Trump nel nome di un maggiore impegno della società negli Usa. Nessuna sorpresa: disco verde per il tandem Pierroberto Folgiero (ad) e Biagio Mazzotta, ex Ragioniere dello stato, confermato presidente dopo la scomparsa del generale Claudio Graziano. In virtù di impegni personali e di risultati ottenuti questa è stata per il governo la partita più facile e senza scossoni. Discorso diverso per Autostrade: è stato scelto come amministratore delegato, con il via libera di Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini, Arrigo Giana, già manager delle aziende romane e milanesi di trasporto pubblico (Atac e Atm). Prenderà il posto di Roberto Tomasi. Ieri il suo commiato con una lettera pubblica inviata ai dipendenti nella quale ripercorre questi anni alla guida di Aspi, dal momento più difficile del post ponte Morandi a Genova fino ad oggi, sottolineando l’impegno di tutti per la rigenerazione della rete autostradale. La lettera apre così: “Diecimila volte grazie. Tante volte quanti siete voi, donne e uomini del Gruppo”. Nella lettera Tomasi rivolge un apprezzamento per il supporto a consiglieri e sindaci e augura buon lavoro al futuro ad e presidente “per le grandi sfide che si trovano di fronte”.
Come presidente della società ecco Antonio Turicchi, già in Ita nonché protagonista della complessa trattativa che ha portato all’accordo con i tedeschi di Lufthansa e, prima ancora, dirigente a Cassa depositi e prestiti. E’ considerato un uomo di garanzia, con ottimo rapporti al ministero dell’Economia, e un buon gradimento a Palazzo Chigi. A Italgas il centrodestra ha deciso per il bis di Paolo Gallo: si tratta del quarto mandato consecutivo. Come presidente della società prende forza il nome di Paolo Ciocca, già al vertice di Open fiber, al Dis, alla Consob e al Tesoro. La novità che ha fatto più discutere riguarda Snam, dove l’attuale amministratore delegato Stefano Venier non è stato confermato lasciando il posto ad Agostino Scornajenchi, attuale ceo di Cdp Venture, con pesanti risultati, ed ex direttore finanza e controllo di Terna. “Il suo profilo tecnico e la lunga esperienza nel settore energetico e infrastrutturale lo rendono una figura apprezzata trasversalmente da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia”, dice chi è vicino al dossier. La sua nomina è stata proposta ufficialmente da Antonio Tajani e ha trovato il via libera di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Per la presidenza della società è stato indicato, invece, il nome di Alessandro Zehentner, pescato dal cda di Enel, e fortemente voluto da Fratelli d’Italia. Le nomine delle controllate ha scatenato anche dentro Cdp un certo trambusto. A molti non è passato inosservato l’attivismo di Fabio Barchiesi, vicedirettore generale, nel costruire il puzzle delle liste avvalendosi anche di società specializzate in cacciatori di teste. Un attivismo che non sarebbe stato gradito nei corridoi del ministero dell’Economia e, di sponda, in quelli di Palazzo Chigi.
Sullo sfondo c’è anche da segnalare la riconferma, data da tutti per scontata, di Bernardo Mattarella nel ruolo di amministratore delegato di Invitalia. In questo equilibrio di incastri, competenze e sensibilità politiche c’è la riprova di come qualsiasi scossone di carta, quelli che si leggono sui giornali, alla fine resti senza conseguenze quando il governo si trova a dover decidere il classico “chi va dove” e “a fare cosa”. Sono le nomine, bellezza. Il resto è contorno.
(da ilfoglio.it)

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LO STRANO CASO DEI MINISTERI CHE SCELGONO “CASUALMENTE” TECNICI LEGATI ALLA COLDIRETTI

Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile

GLI STRANI CASI CHE ACCADONO NEI MINISTERI DI LOLLOBRIGIDA E PICHETTO FRATIN

La formula “a sua insaputa” si arricchisce di un’altra fattispecie, quella delle nomine nei tavoli tecnici. La storia è di circa un mese fa. Il Foglio e, autonomamente, la divulgatrice scientifica Beatrice Mautino avevano notato che i ministri Francesco Lollobrigida e Orazio Schillaci avevano nominato un “tavolo tecnico interministeriale” per l’analisi della normativa europea sui novel food (tra cui la carne coltivata) dalle caratteristiche singolari: tutti i componenti “indipendenti” sono membri del comitato scientifico del think tank Aletheia, che è una fondazione creata e promossa dalla Coldiretti. E nel documento tecnico rivolto all’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) questi scienziati “indipendenti” esprimono, guarda caso, la stessa posizione della Coldiretti contro i cibi cellulari (la “carne sintetica”). E, guarda caso, la Coldiretti ha usato il documento prodotto dagli scienziati “indipendenti” della sua fondazione a per conto del governo per inscenare una manifestazione davanti alla sede dell’Efsa.
Di fronte a questa serie incredibile di coincidenze, Bendetto Della Vedova (+Europa) ha chiesto al ministero dell’Agricoltura quali criteri siano stati usati per scegliere questi esperti. A rispondere, in vece del ministro, è stato il sottosegretario Luigi D’Eramo che, in sostanza, ha detto che il suo ministro ne sa poco o nulla, dato che la scelta è stata del ministro della Salute Schillaci, “al quale Lollobrigida ha dato solamente il proprio concerto”. E secondo quali criteri li ha scelti Schillaci? “Titoli accademici, autorevolezza scientifica e assenza di interessi economici diretti”. In realtà, il conflitto d’interessi è grande come una stalla, dato che Aletheia ha partecipato alla consultazione dell’Efsa in qualità di “parte interessata”.
Della Vedova, che non molla l’osso della “carne sintetica” nemmeno dopo essere stato aggredito fisicamente dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini, ha risposto ironicamente che è poco credibile la versione secondo cui il ministro dell’Agricoltura “ha firmato a sua insaputa una nomina in cui, casualmente, il ministro della Salute ha scelto tutti i membri tecnici della fondazione della Coldiretti”. E poi, sempre “casualmente”, il tavolo interministeriale ha prodotto un parere che era identico al aprere di parte presentato per conto della Coldiretti. Sostenere che il ministro Schillaci “guardando le pubblicazioni scientifiche abbia scelto, casualmente, solo membri di Aletheia – ha detto Della Vedova – è oltre la legge dei grandi numeri: sfiora la presa in giro del Parlamento”.
Le opposizioni, a questo punto, per indagare sulla forza del caso dovrebbero fare un’interrogazione analoga al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin che, al vertice del Comitato di gestione per definire la Strategia Nazionale per la Biodiversità 2030, ha nominato come presidente di garanzia per conto del Mase Stefano Masini che, sempre casualmente, è il responsabile Ambiente della Coldiretti.
È incredibile come, semplicemente valutando i curriculum e le credenziali accademiche, così tanti ministri arrivino sempre a pescare sempre nel bacino coldirettista. Quando un evento è così ricorrente non può essere un caso, deve esserci una spiegazione scientifica. Per studiare questo misterioso fenomeno statistico il governo potrebbe istituire un altro tavolo tecnico: vuoi vedere che, al termine di una procedura imparziale, pure stavolta saranno nominati i tecnici indipendenti della Coldiretti?
(da il Foglio)

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