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IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE RIVEDE AL RIBASSO LE STIME DI CRESCITA DELL’ITALIA: IL NOSTRO PAESE CRESCERÀ SOLO DELLO 0,4% NEL 2025 E DELLO 0,6 NEL 2026

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

INCERTEZZA E DAZI FRENANO TUTTA L’AREA EURO: QUEST’ANNO IL PRODOTTO INTERNO LORDO SALIRÀ SOLO DELLO 0,8%

Dal taglio delle stime di crescita deciso dal Fmi in seguito all’incertezza sui dazi non si salva quasi nessun paese, neanche l’Italia. Il Fondo ha rivisto al ribasso i
pil del 2025 e del 2026 rispettivamente a +0,4% (0,3 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni di gennaio) e +0,8% (-0,1 punti).
Per la Germania le stime sono state ridotte a crescita zero per quest’anno e un pil in aumento dello 0,9% nel 2026, mentre per la Francia a +0,6% per il 2025 e a +1,0% nel 2026. Per il Regno Unito il Fondo stima un pil a +1,1% quest’anno e al +1,4% nel 2026. Ritocco al rialzo per la Spagna, che quest’anno crescerà del 2,5% (+0,2 punti).
L’area euro crescerà quest’anno dello 0,8% prima di riprendersi e segnare un +1,2% il prossimo anno. Lo prevede il Fondo Monetario Internazionale rivedendo al ribasso di 0,2 punti percentuali la crescita di Eurolandia rispetto a gennaio sia per il 2025 sia per il 2026. La “crescente incertezza e i dazi sono i principali fattori della crescita contenuta” di Eurolandia quest’anno, afferma il Fmi. La “modesta ripresa” del 2026 è legata invece all’aumento dei consumi e dall’allentamento fiscale in Germania.
(da agenzie)

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È PARTITA LA FUGA DI CAPITALI DAGLI USA: ALLA GUERRA DI TRUMP CONTRO IL PRESIDENTE DELLA FEDERAL RESERVE JEROME POWELL I MERCATI HANNO REAGITO CON UN PROFONDO ROSSO E IL CROLLO DEL DOLLARO (MENTRE L’ORO È A 3.500 DOLLARI L’ONCIA)

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

NEGLI ATTACCHI ALLA FED IL MERCATO VEDE IL RISCHIO DI UNA PRESA DI CONTROLLO POLITICO DELLA BANCA CENTRALE DA PARTE DI TRUMP E DI MONETIZZAZIONE FORZATA DEL DEBITO (ACQUISTI DI TITOLI DA PARTE DELLA FED). NE RISULTEREBBE PIÙ INFLAZIONE E UN’ULTERIORE SVALUTAZIONE DEL DOLLARO. DUNQUE GLI INVESTITORI NON ASPETTANO: VENDONO E CERCANO BENI RIFUGIO ALTERNATIVI IN EUROPA O NELL’ORO

È possibile che l’America, la più vasta e avanzata economia del mondo, l’emittente della moneta dominante nel sistema internazionale, sia colpita da
una fuga di capitali?
Fino a ieri, fino agli attacchi e alle minacce di licenziamento di Donald Trump contro il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, anche solo affacciare un’ipotesi del genere sembrava irrealistico. Ma con l’oro al record di 3.500 dollari l’oncia, uno scarto di valutazioni del 39,55% fra la borsa americana (S&P500) e il metallo giallo da quando Trump è tornato alla Casa Bianca e una caduta del dollaro in piena accelerazione, la domanda inizia a diventare inevitabile.
Dall’inizio della seconda presidenza di Donald Trump, il dollaro ha perso il 10,16% sul gruppo delle altre principali valute del sistema internazionale e il suo movimento verso il basso mostra un’accelerazione questo mese: da quando la Casa Bianca ha annunciato i suoi dazi e Trump stesso ha iniziato ad attaccare la Fed, cercando di dare la colpa del rallentamento economico in arrivo al suo presidente Jay Powell. Ha detto l’altro giorno, nel momento della visita di Giorgia Meloni: «Non sono soddisfatto del suo lavoro e glielo faccio sapere. E se voglio che se ne vada, sarà fuori veramente in fretta».
Risposta dei mercati: il dollaro ha accelerato la sua discesa e l’oro ha raggiunto sempre nuovi record. Il suo prezzo è cresciuto del 13% solo nell’ultima settimana, segnalando che gli investitori sono a caccia di nuovi beni rifugio alternativi al biglietto verde e ai titoli di Stato americani (il cui prezzo infatti tende a scendere in queste settimane). Del resto i nuovi attacchi di Trump a Powell ieri hanno suscitato le stesse reazioni.
Perché i mercati non si fidano? L’amministrazione Trump non ha un credibile piano di rientro del deficit e del debito, anzi promette di allargare entrambi con il suo programma di nuovi tagli alle tasse. Ma il Tesoro degli Stati Uniti solo nel 2025 deve emettere nuovi titoli per duemila miliardi di dollari, oltre
doverne rinnovare per ottomila miliardi di dollari fra quelli in scadenza. Le banche centrali di alcuni dei Paesi colpiti dai dazi (la Cina, ma anche il Giappone) potrebbero essere riluttanti a rinnovare parte dei loro investimenti in debito americano, alla scadenza dei titoli che oggi detengono per centinaia di miliardi di dollari.
In questo contesto, negli attacchi e nelle minacce alla Fed il mercato vede il rischio di una presa di controllo politico della banca centrale da parte di Trump e di monetizzazione forzata del debito (cioè di acquisti di titoli da parte della banca centrale). Ne risulterebbe più inflazione e un’ulteriore svalutazione del dollaro. Dunque gli investitori non aspettano: vendono e cercano beni rifugio alternativi in Europa o nell’oro.
Per questo, l’attuale strisciante fuga di capitali che colpisce l’America e la sua borsa non si fermerà. Non fino a quando Trump non ferma i suoi assalti alla Federal Reserve e dà più razionalità alla sua politica economica. Per ora la sua promessa che le guerre commerciali «sono facili da vincere» sembra molto lontana dal vero: le carte che ha in mano – per dirla nel suo linguaggio – diventano più deboli ogni giorno che passa.
(da agenzie)

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I RICCONI A STELLE E STRISCE STANNO RIVERSANDO FIUMI DI DOLLARI IN SVIZZERA: CON I DAZI E LE POLITICHE SCELLERATE DI TRUMP, CHE STANNO INDEBOLENDO LA VALUTA AMERICANA, IL FRANCO SVIZZERO E LE REGOLE FISCALI LASCHE DEI CANTONI SONO L’ELDORADO

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

“LA POLITICA NEUTRALE DELLA SVIZZERA, LA SUA ECONOMIA STABILE, LA VALUTA FORTE E IL SISTEMA LEGALE AFFIDABILE SONO TUTTI FATTORI DI ATTRAZIONE, COME L’ORO”

Un numero crescente di americani facoltosi sta aprendo conti bancari in Svizzera come parte del processo di “de-americanizzazione” dei propri portafogli, secondo quanto riferito da investitori e banche. Le banche svizzere affermano di aver registrato un’impennata di interesse e di attività da parte di americani ad alto patrimonio netto che aprono conti di investimento negli ultimi
mesi
“Arriva a ondate,” ha detto Pierre Gabris, CEO di Alpen Partners International, una società svizzera di consulenza finanziaria. “Quando [l’ex presidente Barack Obama] è stato eletto, abbiamo visto una grande ondata. Poi il Covid è stata un’altra ondata. Ora le tariffe stanno causando una nuova ondata.”
Gabris ha detto che i clienti hanno motivazioni diverse per aprire un contoMolti vogliono diversificarsi dal dollaro, che credono si indebolirà ulteriormente sotto il peso dell’impennata del debito statunitense. La politica neutrale della Svizzera, la sua economia stabile, la valuta forte e il sistema legale affidabile sono tutti fattori di attrazione.
Altri sono motivati dalla politica e da ciò che percepiscono come un declino dello stato di diritto negli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Altri ancora stanno aprendo conti svizzeri per acquistare oro fisico in Svizzera, che è famosa per i suoi depositi d’oro e le sue raffinerie.
Gabris ha detto che molti stanno anche cercando la residenza o una seconda cittadinanza in Europa e vogliono acquistare immobili. “È un piano B,” ha detto.
Aprire un conto bancario svizzero è relativamente semplice ma deve rispettare le rigide leggi statunitensi sulla divulgazione. Sebbene le grandi banche americane non possano aprire conti svizzeri per i clienti, la maggior parte ha rapporti di riferimento con un ristretto numero di società svizzere registrate presso la SEC e autorizzate ad accettare investitori statunitensi.
“Molti americani si stanno rendendo conto che il 100% del loro portafoglio è in dollari statunitensi, quindi stanno pensando: ‘Forse dovrei diversificare’,” ha detto Gabris.
da “Inside Wealth”

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RICORDATE LA FUORI DI TESTA SEGRETARIA ALLA SICUREZZA NAZIONALE AMERICANA, KRISTI NOEM , SEMPRE CON IL FUCILE IN MANO?

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LA TRUMPIANA CHE DOVREBBE GARANTIRE LA SICUREZZA DEGLI AMERICANI È STATA DERUBATA DELLA BORSA CON 3MILA DOLLARI IN CONTANTI, LA PATENTE DI GUIDA, LE CHIAVI DI CASA E IL BADGE DEL SUO DICASTERO IN UN RISTORANTE DI WASHINGTON… UN BANALE LADRUNCOLO HA FREGATO LEI E GLI UOMINI ADDETTI ALLA SUA SICUREZZA

La segretaria alla Sicurezza nazionale americana, Kristi Noem, è stata derubata ieri della borsa con 3.000 dollari in contanti, la patente di guida, le chiavi di casa e il badge del suo dicastero in un ristorante di Washington Dc.
Lo rivelano i media statunitensi.
Il Secret Service, che ha la responsabilità della sicurezza di Noem, ha aperto un’inchiesta e ha esaminato i filmati delle telecamere di sicurezza del ristorante, in cui si vede un uomo che le ruba la borsa con il volto coperto da una mascherina chirurgica e poi si allontana dal ristorante.
Una beffa per una responsabile della sicurezza degli americani che ostenta armi, si fa selfie con lo sfondo dei deportati e poi si fa fregare la borsa in un ristorante nonostante le numerose guardie del corpo.
(da agenzie)

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L’AMBASCIATORE STEFANO STEFANINI: “IL MONDO IN GUERRA HA PERSO UN GRANDE CAMPIONE DELLA PACE. LA SUCCESSIONE AL SOGLIO PONTIFICIO SI TERRÀ SU UNO SFONDO INTERNAZIONALE CONFLITTUALE. NON AVVENIVA DA PIÙ DI UN SECOLO”

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

PER LA PACE IN UCRAINA PAPA FRANCESCO SI ESPOSE DA CONVINTO INTERPRETE DELL’ECUMENISMO CATTOLICO

Un mondo in guerra ha perso un grande campione della pace, Papa Francesco. La successione al Soglio Pontificio si terrà su uno sfondo internazionale profondamente e apertamente conflittuale. Non avveniva da più di un secolo: Pio X morì all’indomani dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Poi, tutti Conclavi in tempo di pace.
La scomparsa del Pontefice ha due conseguenze immediate: il venir meno di una voce potente, per quanto inascoltata, che dava la precedenza alla pace su tutto il resto – Papa Bergoglio è apparso talvolta anteporre la pace alla legittima difesa, specie nella guerra russo-ucraina; forse, uno stretto spiraglio di dialogo fra leader che vogliano parlarsi fra di loro.
I “grandi” della Terra, o molti di loro, affluiranno a Roma per le esequie di Papa Francesco. Come l’8 aprile del 2005 per i funerali di Giovanni Paolo II, con un mondo grosso modo in pace. Adesso in guerra. Chi verrà? Sicuramente i leader europei. Donald Trump (come GW Bush nel 2005)? Ha fatto mettere le bandiere a mezz’asta, me non ha deciso. Un viaggio europeo non era nei suoi piani, salvo la vaga promessa di vertice con gli europei, proprio a Roma, fatta a Giorgia Meloni. Altri incroci possibili sono tanti. Volodymir Zelensky? Nessuno gli direbbe di no.
E se chiedesse di venire Vladimir Putin? Idem – e nessuno lo arresterebbe con buona pace della Corte Penale Internazionale. Tutti e due schierati a Piazza San Pietro, senza guardarsi e parlarsi? O occasione per un faccia a faccia? Altamente improbabile ma non con l’immaginazione al potere come si diceva nel lontano ‘68. Dall’alto dei Cieli Papa Francesco sorriderebbe.
Il Papa, si sa, non ha divisioni. Ma il suo potere terreno, disarmato, risale lontano, ai primi secoli della Chiesa di Roma, quando Papa Leone Magno fermò Attila sul Mincio e risparmiò all’Italia l’invasione degli Unni. Era il 452
d. C. Sarebbe passato circa un millennio e mezzo prima che Joseph Nye inventasse il “soft power”. Senza conoscerlo, il Soglio Pontificio non aveva mai smesso di esercitarlo.
Talvolta con una buona dose di “hard power” temporale. Ma, da un secolo e mezzo, il potere del Vaticano è disarmato, penetrante e, anche per effetto della globalizzazione, sempre più universale. Nei 12 anni di pontificato, Papa Francesco l’ha indirizzato in una direzione quasi univoca: la pace nel mondo.
Proprio mentre il mondo si addentrava sempre più in un ciclo di guerre. Ma l’appello di Bergoglio a deporre le armi ha continuato a risuonare imperterrito a Gaza, in Ucraina, in Sudan, in Congo, ovunque.
Per la pace in Ucraina Papa Francesco si espose sia nella forma che nella sostanza. Si recò dall’Ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, il giorno dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. In diplomazia non si fa – non si va, si convoca – ma per Bergoglio era un gesto francescano appassionatamente contro la guerra, purtroppo senza esito.
Poi, a tratti, sembrò quasi accettare la ratio di Mosca attribuendo responsabilità alla Nato – che pur non aveva sullo schermo l’Ucraina nel febbraio del 2022. Come disse fin dall’inizio, il suo era un “tentativo di mediare il conflitto dopo l’attacco di Mosca”. Col proseguire della guerra il suo messaggio divenne sempre più di solidarietà ed empatia con il “martoriato popolo ucraino”.
Anche per la sproporzione crescente di attacchi e bombardamenti russi contro obiettivi civili che rendono Mosca ingiustificabile. Ma il Pontefice mantenne sempre la visione ecumenica di Russia e Ucraina inquadrati in un’unica ottica, non in campi avversi.
Per due motivi. Uno, per comunicare con Putin – non diversamente da quanto cerca di fare Trump, sia pure con motivazioni diverse
Due, perché Papa Bergoglio è stato perfetto e convinto interprete di un ecumenismo cattolico che trova habitat naturale nel mondo globalizzato. C’è una netta cesura internazionale fra il suo papato e quello dei suoi immediati predecessori, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Soprattutto del secondo: Wojtyla fu il Pontefice della fine della guerra fredda. Fu profondamente europeo e occidentale. Bergoglio, latino-americano, non si identifica più con l’Occidente. Riconosce nella Russia l’aggressore, non arriva a chiedere all’Ucraina di offrire l’altra guancia, ma vorrebbe la riconciliazione fra i due Paesi malgrado il torto sia dalla parte di Mosca.
Da Vescovo di Buenos Aires Bergoglio combattè battaglie per i diritti e le libertà civili. In campo internazionale, per Papa Francesco difendere la linea di separazione democrazia-autocrazia impallidiva di fronte alla pace, valore universale da inseguire in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa.
(da La Stampa)

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IL PONTIFICATO “POP” DI FRANCESCO: DALLE INCURSIONI IN TV DA FAZIO ALLO SBARCO SU “X”, DALLA TELEFONATA A RITA PAVONE AL BLITZ NEL NEGOZIO DI DISCHI CHE FREQUENTAVA DA CARDINALE

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

ABBIAMO ASSISTITO A UN COLOSSALE SFORZO DI EVANGELIZZAZIONE ATTRAVERSO L’EMPATIA O A UNA VOLGARIZZAZIONE DEL MARCHIO PONTIFICIO? LA DENUNCIA CONTRO LE OLIGARCHIE DEL TECNOCAPITALISMO

Una delle tante facce del “Prisma Francesco” è stata quella della comunicazione. Sembra quasi un luogo comune oggi, ma Jorge Mario Bergoglio è stato il vero grande comunicatore contemporaneo di una comunità di credenti in viaggio (e in transizione).
Ora, nel corso della loro storia, con modalità naturalmente diverse, le ultramillenarie istituzioni cattoliche hanno sempre comunicato – al punto che la parola “propaganda” è nata nel loro ambito (la Congregazione de Propaganda Fide, nell’orbita del Sant’Uffizio) –, con l’inesauribile finalità di fare proselitismo; un concetto, per inciso, che il pontefice latinoamericano non sopportava affatto, e rigettava dicendo che la Chiesa «si sviluppa piuttosto per attrazione».
Insieme a Giovanni Paolo II (all’insegna di caratteristiche decisamente differenti sotto molti profili), Bergoglio è stato in tutto e per tutto l’altro formidabile performer comunicativo del cristianesimo romano entrato nella postmodernità.
Non per nulla, il suo primo atto comunicativo ha coinciso con l’autobattesimo della denominazione: un gesuita che ha assunto il nome pontificale di Francesco – come ha ricordato nel suo accorato messaggio di cordoglio il Presidente Mattarella –, e così facendo ha indicato da subito la direzione di marcia e i destinatari a cui intendeva innanzitutto rivolgere il suo apostolato.
Del resto, “nomina sunt consequentia rerum”: in tal modo, Bergoglio annunciava un magistero che voleva andare al di là dei confini (occidentali) e dei pubblici dei fedeli più abituali. Insomma, lo storyteller di una Chiesa in cammino, “in” e “di movimento” rispetto a quella del predecessore Benedetto XVI
Un approccio sicuramente dettato anche (gli uomini sono le loro biografie) dalla tempra sudamericana e dal carattere espansivo, che ne spiegano svariate espressioni assai poco ortodosse – e pure qualche infelice scivolone lessicale sul tema dell’omosessualità, ovvero (parole sue, giustappunto), della «frociaggine».
Il «Papa dei poveri» – etichetta a volte un po’ abusata, ma che rende la sostanza delle cose – ha fatto dell’autenticità e della schiettezza le cifre comunicative per eccellenza del suo pontificato proprio nella convinzione che quelle fossero le strade per (sempre parole sue) «andare nelle periferie» arrivando ai più deboli, bisognosi della consolazione della religione e del supporto della Chiesa. E, più in generale, essendo persuaso che un linguaggio diretto e una comunicazione popolare (e pop), di cui è stato un maestro insuperabile, consentissero di parlare al cuore di tutti, ossia di un popolo concepito come organismo unitario, ma deprivato della sua armonia per cause esterne, nel quale alcuni osservatori hanno ravvisato i segni di una visione populista (di nuovo, le radici argentine).
Di qui, la denuncia dei rischi delle piattaforme social e del negazionismo climatico e la predicazione contro l’individualismo iperconsumistico ed edonistico e le oligarchie del tecnocapitalismo. Come pure la sua polemica di fondo verso tutto ciò che il trumpismo incarna, e le tensioni con una certa gerarchia ecclesiastica Usa di orientamento reazionario – fino allo scherzo del destino del suo ultimo incontro con il “viceTrump”, il neoconvertito J.D. Vance. E, ancora, l’invito, contenuto nel suo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del gennaio di quest’anno, a «disarmare la comunicazione» generatrice di odio, rancore e incivility.
Francesco è stato un talento naturale nel comunicare, una forza tranquilla capace di ascoltare e parlare alle persone del proprio tempo (anche al telefono o al Festival di Sanremo). In grado di ripetere autorevolmente cose normali, nel più puro spirito evangelico, e narrare microstorie quotidiane e di vita vissuta
(che diventavano gli equivalenti di una parabola).
(da La Stampa)

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QUANDO IL PAPA SCOMUNICO’ I MAFIOSI IN CALABRIA: “LA ‘NDRANGHETA E’ ADORAZIONE DEL MALE E DISPREZZO DEDL BENE COMUNE, QUESTO MALE VA COMBATTUTO”

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

IL RICORDO DI DON CIOTTI: “NON CHIUSE MAI LA PORTA ALLA CONVERSIONE DEI SINGOLI”

Lo si ricorderà per tante cose che ha fatto Papa Francesco. Dalla sua camminata in una piazza San Pietro a Roma deserta nel pieno dell’emergenza Covid alle ultime sue parole in occasione della Pasqua a poche ore dalla morte. Ogni fedele ha un ricordo personale di Bergoglio, che ha girato l’Italia e il mondo. Da ieri, nel giorno della sua morte, lo ricordano tutti.
Tra le giornate che passeranno alla storia c’è sicuramente la sua visita in Calabria nel 2014 quando ha scomunicato i mafiosi. Ai cittadini del territorio, così come a quelli di tutta Italia, ha chiesto di combattere la ‘ndrangheta “perché adora i soldi e disprezza il bene”.
Era il 21 giugno del 2014, il Papa si trovava alla Piana di Sibari: davanti a lui c’erano 200mila fedeli in visita pastorale a Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza. Parla contro la mafia, come aveva fatto per la prima volta Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, l’anno dopo le stragi di via D’Amelio e Capaci. Allora Wojtyla chiese ai mafiosi di convertirsi perché un giorno sarebbe arrivato il giudizio di Dio.
Vent’anni dopo Bergoglio nella sua omelia aveva detto: “Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione. Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato”
Faceva riferimento alla criminalità organizzata: “La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto,
va allontanato, bisogna dirgli di no. Quelli che non sono in questa strada di bene, come i mafiosi, questi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”.
E poi aveva aggiunto: “Mai più bambini vittime delle atrocità”. Papa Francesco si riferiva alla tragica morte di Cocò Campolongo, ovvero il bambino di tre anni ucciso e bruciato vivo assieme al nonno e alla compagna in una della faide di ‘ndrangheta. “Mai più vittime della ‘ndrangheta”, aveva implorato Bergoglio nel carcere di Castrovillari incontrando alcuni parenti del piccolo. “Dio mai condanna, sempre perdona, ma mai perdona soltanto, sempre perdona e accompagna, tutti”. A Fanpage.it quel giorno lo ricorda Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie.
Quanto è stato importante la scomunica dei mafiosi da parte di Papa Francesco durante il suo intervento in Calabria nel 2014?
Nel 2014 il Papa incontrò un migliaio di famigliari delle vittime innocenti delle mafie, nella chiesa di San Gregorio VII a Roma. Un momento di grande intensità ed emozione per loro, ma credo anche per lui. Qualche mese dopo, in visita pastorale in Calabria, sarebbe tornato sul tema delle mafie, definendo i mafiosi “adoratori del male” e precisando che “sono scomunicati” perché “non sono in comunione con Dio”. Va detto che questa condanna così netta è riferita ai comportamenti e alle organizzazioni, mentre non chiude le porte alla possibile conversione dei singoli
Si può parlare di scelta anti-mafiosa in quanto volta a condannare e rimuover
nelle persone gli atteggiamenti e comportamenti mafiosi. Rimuovere gli atteggiamenti, ma non nel senso di rifiutare la persona del mafioso: deve infatti stare a cuore alla comunità che anche lui o lei si penta e viva.
È stato un Papa presente anche nella lotta alla mafia?
Il Papa ha dimostrato anche in altre situazioni il suo coinvolgimento sul tema della corruzione – della quale si era occupato già in Argentina, da Cardinale – e delle mafie. Di recente aveva voluto incontrare gruppo di donne e bambini in fuga dai contesti mafiosi di origine, rivolgendo loro parole di stima e incoraggiamento. E aveva suscitato sorpresa la sua scelta di ospitare a settembre scorso in Vaticano un convegno sull’uso sociale dei beni confiscati ai mafiosi: un argomento da alcuni percepito come troppo “tecnico” per interessare la Chiesa, e di cui lui aveva invece colto la portata innovativa. Nella concretezza dell’impegno di tante realtà e associazioni, anche cattoliche, aveva intuito il potere di alimentare percorsi incisivi contro il male, e di restituzione del bene comune a partire dalle persone più svantaggiate.
(da Fanpage)

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PAPA FRANCESCO E I MIGRANTI, INTERVISTA A DON CAPOVILLA: “GLI REGALAI LA SPILLA DEI PORTI APERTI, ERA CONTRO IL SISTEMA”

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

IL PARROCO DI MARGHERA RACCONTA L’IMPEGNO DI PAPA FRANCESCO

Don Nandino Capovilla è un parroco di Venezia, di Marghera nello specifico, da sempre impegnato in attività sociali, soprattutto con Pax Christi. Dall’impegno sui migranti a quello contro la guerra in Palestina, fino ai poveri della sua città, Don Nandino regalò a Papa Francesco la spilla che chiedeva i porti aperti per i migranti. Era il 2019 e i decreti sicurezza bloccavano in mare le navi delle Ong che salvavano migranti. Ma Don Nandino accolse anche un altro gesto di Bergoglio, un assegno per un senza fissa dimora argentino, derubato a Venezia di tutti i suoi averi. Ed infine l’impegno su Gaza con la visita delle chiese palestinesi in Italia. A Don Nandino abbiamo chiesto un ricordo di Papa Francesco, scomparso lunedì mattina.
Nel 2019 lei gli regalò la spilla dei porti aperti, come la prese?
È il mio ricordo personale di Papa Francesco, questo del momento in cui gli consegnai la spilla dei porti aperti. Per me fu la conferma di quanto lui ci chiedeva di dargli una mano su quella questione. Non è solo l’umanità nei gesti, perché si fa presto a fare dei gesti umani, quello che ho visto è stata l’umanizzazione. Il suo progetto, che non siamo riusciti a prendere sul serio, è quello di rendere il Vangelo una cosa avvicinabile, per gli uomini, le donne,
particolare per i poveri, e quindi i migranti. Da qui derivava anche la sua cura e la sua attenzione su questi temi. Ricordo che quando gli detti la spilla lui mi disse: è per me? Come per dire: te la pago? E non era una forzatura. Quindi quando gli raccontai un po’ del dramma dei migranti, lui era contentissimo di poter sottolineare questa sua chiara contestazione di un sistema. Questo lo sentiamo in modo fortissimo.
Mandò anche un assegno a un senza fissa dimora a cui rubarono tutto
Sì, credo che fu la prima volta che accadde una cosa del genere. Ma noi dovremmo proprio aprire l’enciclica “Fratelli tutti” e dire che siamo un’unica umanità. È per questo che si escludono le discriminazioni di genere, di nazionalità, lui tutto questo lo ha provato, lo ha vissuto. Io ne ho avuto dei segni tangibili, per questo noi dobbiamo continuare a lottare e prendere sul serio quello che lui ci ha consegnato.
Lei è impegnato anche sulla Palestina, doveva incontrare il Papa lo scorso marzo?
Sì, io ho accompagnato la delegazione delle chiese di Gerusalemme, Kairos Palestina, ma lui era già ammalato, è stato proprio a marzo. Il loro obiettivo era proprio di incontrare il Papa, io li accompagnai, loro erano venuti appositamente dalla Palestina per dire grazie a papa Francesco, per aver usato la parola genocidio. Noi da papa Francesco dovremmo imparare proprio questo, e per la Palestina lo abbiamo sotto agli occhi, ci stiamo girando dall’altra parte, noi dovremmo prendere sul serio le nostre responsabilità, se vogliamo imparare dal Papa. La delegazione gli portò un dono, che custodiamo noi ora, visto che non fu possibile consegnarlo, si tratta di un legno di ulivo, tagliato dai coloni a una famiglia cristiana palestinese, e sopra c’è scritto grazie per il vostro sostegno. Il Papa non usava le mezze parole, se una cosa era un’ingiustizia era un’ingiustizia e non una “sofferenza”. Noi invece non riusciamo a pronunciare la parole che lui invece pronunciava. Pensiamo ai migranti oppure alle armi. Lui diceva “questo è criminale”, oppure “quelli sono pazzi” parlando dei mercanti di armi.
La Chiesa sarà in grado di portare avanti l’esempio di papa Francesco?
Cosa posso dire, spero di sì. Potrebbe farlo perché abbiamo proprio una grandissima mole di indicazioni, da “Evangeli Gaudium” soprattutto con “Fratelli tutti” lui le ha indicate le cose. Quindi dobbiamo metterlo in pratica.
(da Fanpage)

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CH SARA’ IL PROSSIMO PAPA: GLI OTTO NOMI “PAPABILI”, DIVISI TRA PROGRESSISTI E CONSERVATORI

Aprile 22nd, 2025 Riccardo Fucile

I RITRATTI DI ZUPPI, PAROLIN, TAGLE, AVELINE, PIZZABALLA, ERDO, RANJITH, BESUNGU

Pure sapendo che il vecchio adagio secondo cui “chi entra in Conclave da Papa, ne esce cardinale” è stato il più delle volte confermato dai fatti, proviamo qui a riassumere i prelati “favoriti” per la successione a Bergoglio. Otto brevi ritratti e letture foglianti per approfondire
Di sicuro c’è solo che alla fine non andrà come nel thriller papale Il Conclave, candidato agli Oscar e sbertucciato dai giornali cattolici di tutto il mondo (per Avvenire è “un’involontaria parodia”, per il loasangelino Angelus “sembra scritto con ChatGPT” o, secondo il vescovo americano Barron, “dal comitato editoriale del New York Times”). Quindi, con ogni probabilità, non avremo un nuovo Papa intersessuale. Amen. Per il resto, il nome del nuovo pontefice è avvolto dalle nebbie della storia – o della Provvidenza. Dal prossimo Conclave, dove politica e fede si intrecciano alle maree mutevoli dell’epoca in cui viviamo, potrebbe uscire uno dei profili più strombazzati di questi giorni, così come un nome del tutto estraneo al cicaleccio mediatico. Anche perché il vecchio adagio secondo cui “chi entra in Conclave da Papa, ne esce cardinale” è stato il più delle volte confermato dai fatti. Tra i “campionari” più attendibili, che anche da Oltretevere qualcuno fa circolare, c’è quella elaborata dal College of Cardinals Report, la piattaforma curata da Edward Pentin e Diane Montagna. Proviamo qui a semplificarla ulteriormente, scegliendo otto nomi papabili, letteralmente.
Pur tenendo a mente che le dinamiche di potere nella Chiesa non rispecchiano esattamente quelle della politica, c’è tuttavia una polarizzazione su due fronti che potremmo definire come progressista, l’uno – più vicino a papa Francesco –, e conservatore, l’altro. Il nuovo Papa dovrà raccogliere il favore dei due terzi del Conclave: ben 92 cardinali. Resta il fatto che nel Concistoro di dicembre, Bergoglio ha “infornato” ventuno nuovi cardinali, di cui venti elettori (perché con meno di 80 anni, e quindi con diritto di ingresso in un eventuale Conclave) e il 99enne Angelo Acerbi. “I cardinali viventi creati da papa Bergoglio sono 149. Di questi, 110 potrebbero varcare la soglia della Sistina, numero che costituisce la stragrande maggioranza di quelli abilitati a entrare in Conclave (24 quelli creati da Benedetto XVI e ormai solo sei quelli nominati da papa Woytila)”, riassumeva a dicembre Antonio Bonanata su RaiNews. Questi non sono certo parte di un blocco “bergogliano” monolitico, visto che molti non si conoscono e possono avere visioni distanti su questioni che riguardano la vita e il governo della Chiesa, oltre a eventuali “antipatie” o strategie “elettorali”anch
dell’ultimo minuto. E, di nuovo, sarebbe sbagliato leggere l’elezione del nuovo Papa come una scelta di esclusivo opportunismo politico. Per semplificare, tuttavia, possiamo immaginare un ipotetico parlamento, un ventaglio che va da sinistra a destra.
Matteo Maria Zuppi
Si può partire quindi dai progressisti: è circolato molto il nome di Matteo Maria Zuppi (69 anni). Il presidente della Cei aderisce perfettamente alla visione del pontificato di Francesco. Nato a Roma, ha stretti legami familiari con il Vaticano: suo padre Enrico fu direttore dell’Osservatore della Domenica, sua madre, Carla Fumagalli, era la nipote del cardinale Carlo Confalonieri, che fu segretario di papa Pio XI, poi prefetto della Congregazione per i vescovi e decano del Collegio cardinalizio ai funerali dei papi Paolo VI e Giovanni Paolo I. Figlio dello spirito del Vaticano II, è molto vicino alla comunità laica di Sant’Egidio.
Pietro Parolin
Nella stessa “area”, c’è poi Pietro Parolin (70 anni), che è visto come un successore naturale di Francesco, del quale potrebbe portare avanti le riforme in modo più discreto e diplomatico. Ordinato vescovo da Benedetto XVI, Francesco lo ha fatto segretario di Stato nel 2013 e, nel 2014, lo ha nominato nel suo “Consiglio dei cardinali” interno, che lo consiglia sulla riforma della Chiesa. Il cardinale ha auspicato “una presenza stabile in Cina” della Chiesa. uno dei grandi obiettivi di Francesco. Il problema è comprendere quanto tale progetto possa conciliarsi con lo strisciante ma permanente conflitto con il regime. Scrivono Pentin e Montagna: “Ha svolto un ruolo cruciale nel ristabilire il contatto diretto tra la Santa Sede e Pechino nel 2005, un risultato lodato all’epoca ma un’apertura diplomatica che potrebbe rivelarsi il suo tallone d’Achille”, insieme alla sua mancanza di esperienza pastorale. Ancora: “Il suo approccio risoluto alle relazioni sino-vaticane è culminato nel 2018 in un controverso accordo provvisorio segreto sulla nomina dei vescovi, rinnovato nel 2020, 2022 e 2024”.
Luis Antonio Tagle
Acclamato come il “Francesco asiatico”, il cardinale filippino Luis Antonio Tagle (67 anni) è un altro nome “progressista”, sebbene lui stesso preferisca evitare tali etichette. Come scrivevamo nel ritratto qui sotto, la scelta di
Francesco di nominarlo prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, la vecchia Propaganda fide, “è stata una decisione politica e fortemente simbolica. Tagle è da tempo l’enfant prodige della chiesa delle periferie, teologo apprezzato e brillante conferenziere, uomo giusto per aprire le porte dell’Asia più profonda al cattolicesimo che ancora stenta a radicarsi in quelle terre. Anche le porte della Cina, visto che Tagle – che di terzo nome fa Gokim – ha per parte di madre origini cinesi”. Tuttavia, se un tempo sembrava tra i “preferiti” di Francesco, da allora sembra essere caduto in disgrazia. Scrivono Pentin e Montagna: “Da un lato, si è scagliato contro un disegno di legge filippino sulla ‘salute riproduttiva’, sebbene in modo meno forte di alcuni dei suoi colleghi vescovi, che ha introdotto politiche anti-famiglia e anti-vita, e si è espresso con forza contro l’aborto e l’eutanasia. D’altro canto, sostiene che esistono alcune situazioni in cui i principi morali universali non si applicano, come nel caso della Comunione per le coppie che vivono insieme coniugalmente ma senza matrimonio sacramentale, e questioni relative all’omosessualità”.
Jean-Marc Aveline
L’arcivescovo metropolitano di Marsiglia, Jean-Marc Aveline (66 anni), benché a “sinistra” nel nostro schema semplificatorio, è tuttavia un profilo più “centrista” rispetto agli ultimi cardinali che abbiamo nominato. Prelato affabile e colto, un papabile emergente con un ampio appeal, dedito alle questioni delle “periferie” del dialogo interreligioso e della migrazione, sensibilità acquisita anche per la sua travagliata infanzia in una famiglia di pieds-noirs, i francesi d’Algeria rimpatriati a partire dal 1962, al termine della guerra d’Algeria. Nel settembre 2023, ha convinto Papa Francesco a visitare la Francia per un incontro con i vescovi e i giovani del Mediterraneo a Marsiglia, convinto che le questioni che circondano il bacino del Mediterraneo siano decisive per il futuro del mondo. Aveline “è vicino all’orecchio di Bergoglio”, scriveva la Croix, e i due si incontrano regolarmente in Vaticano, anche al di fuori degli orari ufficiali. C’è da capire se, data la sua relativamente giovane età, i suoi confratelli vorranno continuare sulla strada indicata da Francesco per quello che sarebbe probabilmente un lungo pontificato.
Pierbattista Pizzaballa
Quella del Patriarca latino di Gerusalemme, il bergamasco Pierbattista
Pizzaballa (59 anni), “è una delle voci più lucide” sul dramma che insanguina il vicino oriente. “Fin dal 7 ottobre ha cercato di rappresentare la situazione sul terreno per quella che è: non una delle tante guerricciole fra israeliani e palestinesi, ma qualcosa che è destinato ad avere conseguenze dalle quali non si potrà tornare indietro”. Pizzaballa affronta di rado questioni controverse della teologia o delle posizioni dottrinali. Ma da ciò che sappiamo delle sue parole e azioni, è possibile discernere un desiderio di attenersi alle tradizioni e alle pratiche ortodosse della Chiesa, pur rimanendo aperto alla modernità.
Péter Erdö
Péter Erdö, arcivescovo 72enne di Budapest, è il primo vero “conservatore” del nostro elenco. È cresciuto sotto il comunismo e quando aveva quattro anni, nel 1956, la sua famiglia è stata costretta a fuggire con solo i vestiti che indossava dopo che le truppe d’invasione hanno bruciato la loro casa. Considerato un grande intelletto e un uomo di cultura, è autore prolifico e colto. Fortemente pro-life, Erdö si oppone al celibato facoltativo per i sacerdoti, è contrario all’accettazione delle unioni omosessuali. “Il lavoro missionario è centrale nel suo approccio pastorale e ha mostrato grande preoccupazione per la crisi vocazionale della Chiesa”, ricordano Pentin e Montagna.
Malcolm Ranjith
Pochi cardinali hanno l’esperienza che Malcolm Ranjith (77 anni), arcivescovo metropolta di Colombo, Sri-Lanka, ha maturato negli anni. Il che lo rende il candidato preferito da coloro che cercano un Papa affidabile, più in continuità con Benedetto che con Francesco, ma con una comprovata esperienza di governo e proveniente dal sud del mondo. Parla fluentemente dieci lingue.
Fridolin Ambongo Besungu
Anche se non è molto probabile che il prossimo Papa sarà africano, l’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo Besungu, ha delle buone carte. Ha guidato la levata di scudi contro il documento dell’ex Sant’Uffizio con cui si è data luce verde alla benedizione delle coppie omosessuali.
(da Il Foglio)

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