ARRIVANO 10 MAMME PROFUGHE, LA FECCIA LEGHISTA PROTESTA, MA META’ PAESE LE ACCOGLIE IN CASA
NEL PADOVANO SI CONTINUA A ISTIGARE ALL’ODIO RAZZIALE: E’ ORA CHE QUALCUNO FINISCA NELLE CARCERI ITALIANE O A PSICHIATRIA
Hanno scritto “No ai profughi. Paroni casa nostra”. Un messaggio chiaro, inequivocabile. Un monito per i loro concittadini che si ostinano a volerli accogliere. Bastia di Rovolon, piccolo comune in provincia di Padova, è un paese spaccato.
Poco più di 4 mila abitanti divisi tra chi non vuole 10 mamme che scappano dalla guerra con i loro bambini e chi invece è disposto persino ad accoglierle nella propria casa.
Da una parte c’è il sindaco Maria Elena Sinigaglia (Lega Nord) e i 200 cittadini che negli ultimi giorni sono scesi in strada per manifestare tutta la loro opposizione. Dall’altra il parroco, Don Claudio, e un comitato di abitanti, nato spontaneamente, che ha deciso di non arrendersi.
Li hanno già definiti ‘l’altra faccia di Rovolon’. Commercianti, medici, insegnanti, cattolici e laici, un centinaio di persone che hanno lanciato un appello per mettere a disposizione le proprie case.
Giovanna Cappelletto, 57 anni, insegnante, una delle promotrici, ha raccontato a Il Mattino di Padova che “Giusto ieri, mi è capitato di affacciarsi alla porta di casa nel primo pomeriggio e vedere un foglio, sotto la pianta posata sul tavolo in giardino. ‘Ci siamo anche noi’, c’era scritto, e sotto dieci nuove firme di persone che vogliono aderire all’appello”.
Le dieci mamme dovrebbero essere ospitate nella ‘Casa di accoglienza San Domenico Savio’.
Spazio che da anni l’associazione “Per un sorriso” mette a disposizione per ospitare bambini di Chernobyl e bambini non vedenti.
“Noi pensiamo che dieci donne e altrettanti bambini, che scappano da una guerra, abbiano il diritto di essere ospitati e curati. Questo non comporta alcun danno per il paese” ha spiegato Giovanna Cappelletto.
Non la pensa così il sindaco che dopo aver rassicurato i cittadini sul fatto che il comune non metterà nemmeno un euro per aiutare queste donne, ha puntualizzato: ”Il parere contrario da me espresso in qualità di sindaco non vincola in alcun modo l’associazione, che ha titolo per decidere in maniera autonoma”.
Una questione di soldi? Non solo. “Quello che muove i nostri concittadini è prima di tutto la paura: la paura dell’invasione” hanno chiarito i rappresentanti dell’associazione ‘Per un sorriso’.
Inutili i loro tentativi di spiegare che non c’è nulla da temere. “In questo caso tale paura è infondata: nella Casa di Rovolon non possiamo accogliere centinaia di donne e bambini, si tratta di dieci: all’interno del nostro paese l’accoglienza di dieci donne e bambini non può destabilizzare nulla, nè provocare problemi a cittadini o ristoratori. Quale fastidio può dare qualche bambino che gioca nel bel giardino della Casa, accanto alla chiesa? Soffiare sull’intolleranza per ottenere consenso non va bene. In questo caso basta riportare tutto alla sua reale dimensione e così aiutare le persone a ragionare: qui non si tratta di politiche migratorie: bisogna solo ospitare per qualche mese dieci donne e bambini piccoli, che stanno fuggendo dalla guerra”.
Parole al vento. Il 30 settembre, dopo giorni di polemiche, i cittadini ‘del no’ hanno deciso di ribadire la loro contrarietà .
Così si sono riuniti davanti alla casa dal parroco, colpevole di aver sgridato, durante l’omelia domenicale, i fedeli contrari all’accoglienza.
Lì hanno sfilato in corteo (autorizzato?), sordi a qualsiasi appello al buonsenso lanciato dai loro concittadini.
Inutili anche le rassicurazioni dei mediatori culturali venuti per l’occasione. Anzi. Secondo il gruppo contestatore “La faccenda dei profughi va risolta tra noi di Rovolon e nessun altro”.
“Paroni casa nostra” contro “Rovolon che accoglie”, uno scontro che affonda le radici nella storia recente del nord est.
Una storia fatta di bandiere verdi, di proclami indipendentisti ma soprattutto di ignoranza e paura.
Sarebbe opportuno ricordare alle autorità locali che Rovolon fa parte della Repubblica italiana e, come altrove, si applicano le leggi e le norme italiane.
I cortei devono essere autorizzati o vanno sciolti anche con l’uso della forza, come per qualsiasi altra adunata sediziosa e i partecipanti identificati e denunciati all’autorità giudiziaria.
Se esiste l’aggravante della istigazione all’odio razziale va contestato.
Se un sindaco si pone a capo di tale violazione delle leggi va commissariato immediatamete.
Qualsiasi politico che faccia proprie tale illecito va denunciato per concorso nel reato.
Se si applicasse la legge, state tranquilli che nessuno si permetterebbe di rompere i coglioni a dei poveri bambini che, dopo aver avuto la sfortuna di conoscere la fame nel loro Paese, hanno avuto ora pure quella di incrociare la feccia padagna.
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