AUMENTARE L’IVA PER TAGLIARE LE TASSE: IL NUOVO FRONTE TRA RENZI E PADOAN
L’EX PREMIER NON E’ D’ACCORDO, POTREBBE GENERARE UN AUMENTO GENERALIZZATO DEI PREZZI SU GENERI DI PRIMA NECESSITA’
La settimana scorsa sulla Stampa è uscita una succosa anticipazione del libro che Matteo Renzi sta scrivendo e che concentrava l’attenzione sui funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze che avrebbero brindato, secondo l’ex premier, alla sua sconfitta la sera del 4 dicembre all’arrivo dei risultati del referendum.
Oggi si apre un nuovo fronte nei rapporti tra i renziani e il ministro Pier Carlo Padoan, che rischia di mandare in fibrillazione il governo Gentiloni oppure — più probabilmente — che alla fine del taglio del cuneo fiscale non si faccia niente.
In un’intervista pubblicata la domenica di Pasqua sul Messaggero Padoan ha giudicato «un’opzione sostenuta da buone ragioni» lo scambio tra un aumento dell’Iva e la riduzione delle tasse sul lavoro.
«Lo scambio tra Iva e cuneo fiscale», ha detto il ministro, «è una forma di svalutazione interna che beneficia le imprese esportatrici, che sono anche le più competitive,le quali non possono più avvantaggiarsi del tasso di cambio. Si tratta di una richiesta classica», ha proseguito, «e siccome io sono anche un tecnico ricordo che nelle scelte politiche non si possono ignorare gli aspetti tecnici e viceversa».
Di cosa stiamo parlando? In primo luogo parliamo di una clausola di salvaguardia che non è eredità di Monti o Letta ma è stata messa dal governo Renzi e prevede «nel triennio 2016-2018, l’aumento progressivo delle aliquote Iva dal 10 al 13% per la intermedia e dal 22 al 25,5% per quella ordinaria, con un aumento di gettito da imposte indirette che la Nota di aggiornamento al DEF dello scorso anno quantificava in “12,4 miliardi nel 2016, di 17,8 nel 2017 e di 21,4 miliardi nel 2018”».
E in secondo luogo parliamo di un’opzione sul tavolo da alcuni mesi — la prima volta se ne parlò compiutamente l’8 marzo scorso — e che possiede indubbiamente una sua logica interna: ovvero quella di far passare il peso della tassazione dalla produzione (le tasse sul lavoro) al consumo (le tasse sull’IVA).
In tutto ciò, spiega oggi il Messaggero, Padoan è confortato da una buona letteratura scientifica: il rapporto sull’Italia dell’OCSE, l’organizzazione di cui l’attuale ministro è stato capo economista per anni, spiega che lo scambio tra IVA e cuneo fiscale avrebbe un senso: le tasse in busta paga pesano in Italia il 47,8% contro una media OCSE del 36%; in Italia i contributi sociali pesano per il 13% del PIL e il loro peso a carico dei datori di lavoro è tra i più alti dei paesi occidentali.
L’OCSE allora propone di ridurre gli oneri sociali di dieci punti percentuali, aumentando così il PIL pro capite dell’1,6% in cinque anni. Il tasso di occupazione registrerebbe un aumento di 1,3 punti percentuali sempre in cinque anni.
Qui però arriva il punto: “Secondo l’Ocse andrebbe incrementato il «Vat revenue ratio», ossia il rapporto tra l’Iva attualmente riscossa e quella che teoricamente dovrebbe essere riscossa applicando l’aliquota standard (il 22% attualmente in Italia) all’intera base imponibile potenziale. In soldoni, spiega l’Ocse, se il Fisco riuscisse a far pagare l’Iva a tutti quelli che la devono pagare ed eliminasse le aliquote ridotte (quella del 10% e quella del 4%), avrebbe un extra gettito di 45 miliardi di euro «a consumi invariati». Quanto basterebbe per abbattere del 30% gli oneri sociali versati dai datori di lavoro”.
Ovviamente è politicamente impraticabile eliminare di un colpo le aliquote ridotte su pane, pasta, verdure, carne, pesce, energia, trasporti e farmaci per tagliare le tasse sul lavoro.
Ma il suggerimento dell’OCSE è quello di armonizzare l’IVA ridotta lasciando inalterata la super-ridotta. In ogni caso l’aumento andrebbe a toccare settori che colpiscono più o meno tutti (l’energia, i trasporti, i farmaci, la carne e il pesce) finendo così per pesare di più sulle tasche dei meno abbienti.
Ma soprattutto, tutto ciò andrebbe a cozzare contro la strategia annunciata da Renzi, secondo il quale l’abbattimento delle tasse dovrebbe passare per una riduzione delle aliquote fiscali Irpef, come aveva dettato nel suo cronoprogramma. E questo senza aumentare l’Iva. Una questione ribadita anche nel retroscena a firma di Maria Teresa Meli pubblicato oggi sul Corriere:
Le affermazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che in un’intervista al Messaggero ha ipotizzato l’aumento dell’Iva, non sembrano preoccupare più di tanto l’ex premier. «Nel Def c’è scritto chiaramente che l’aumento non ci sarà , dunque non aumenteremo l’Iva», ha spiegato l’ex presidente del Consiglio a chi gli chiedeva lumi. Renzi ha ribadito più volte nell’ultimo periodo che il governo deve andare avanti, ma l’ex segretario ritiene anche, e non lo ha nascosto ai suoi, che l’esecutivo debba «far uno sforzo in più». «Non ci possiamo far dettare l’agenda dall’Europa», è il suo pensiero. Perciò, se l’Unione Europea si ripresenterà con il volto dell’austerity bisognerà ingaggiare un braccio di ferro senza timidezze: «Non possiamo continuare con il “ce lo chiede l’Europa”», ha ribadito qualche giorno fa.
Insomma, se è vero che nelle scelte politiche non si possono ignorare gli aspetti tecnici, è vero anche che nelle scelte tecniche non si possono ignorare gli aspetti politici. Il primo aspetto è che non sembra tanto igienico provocare un aumento generalizzato dei prezzi su generi di prima necessità a qualche mese dalle elezioni.
Il secondo aspetto è che il capo (a breve tornerà ad esserlo) del partito di maggioranza che regge il governo non sembra per niente d’accordo con il ministero dell’Economia. Ce n’è abbastanza per pronosticare che o il taglio del cuneo fiscale sarà talmente ridotto da non avere nessun effetto, come successe già al governo Prodi e come stava per succedere all’esecutivo Letta, oppure il governo dovrà trovarsi un altro ministro dell’Economia.
(da “NextQuotidiano”)
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