BERLUSCONI, L’INCUBO DEI TRADITORI: RINVIATA DI UNA SETTIMANA LA ROTTURA
“DEVO FARLI VENIRE ALLO SCOPERTO”: E IL VIDEOMESSAGGIO PER ORA RIMANE NEL CASSETTO
Vuole rompere. Ribaltare il tavolo e aprire la crisi. «Mi stanno solo prendendo in giro, aspettare è inutile».
Alle colombe Silvio Berlusconi concede solo qualche giorno e rinvia la resa dei conti alla prossima settimana.
La dead line è fissata per lunedì, ma il Cavaliere potrebbe attendere il voto in Giunta di venerdì per chiudere la porta in faccia a Enrico Letta.
E per far capire che stavolta fa sul serio, ha già registrato ad Arcore lo spot della nuova Forza Italia: «Sono innocente e resto in campo. Mi vogliono eliminare con metodi non democratici, ma io non mollo».
L’idea è di trasmetterlo già nel weekend per annunciare platealmente la rottura.
L’intera giornata è dunque trascorsa accarezzando l’abisso.
Deciso a mollare le larghe intese, il Cavaliere ha chiamato di buon mattino Denis Verdini: «Venerdì sono a Roma. Convoca per le 16 l’ufficio di Presidenza». All’ordine del giorno un unico punto, inequivocabile: “Ritiro della delegazione dei ministri del Pdl dal governo”.
Poi qualcosa si è inceppato. È stato l’ex premier a imporre il dietrofront, rinviando il redde rationem di alcuni giorni. Ufficialmente si è trattato solo di un atto di cortesia istituzionale. Strappare mentre Enrico Letta è impegnato nel G20 di Mosca — gli hanno fatto notare — l’avrebbe esposto all’ira del Colle e all’accusa di indebolire il Paese.
In realtà , il vero timore del quartier generale berlusconiano è che manchino i numeri per ottenere le elezioni già a novembre.
Un incubo, per i falchi. Reso più cupo dall’ipotesi che il premier passi al contrattacco, chiedendo la fiducia a Palazzo Madama con l’obiettivo di spaccare Pdl e grillini.
Lo spettro, insomma, prende la forma di quelli che Berlusconi ha incominciato a chiamare sprezzante «i traditori», quelli che potrebbero mollarlo per sostenere un “Letta bis” o comunque un altro governo.
Di certo, la pressione su Arcore cresce di ora in ora. E un assaggio si è avuto ieri, appena è iniziata a circolare la notizia della convocazione dell’ufficio di Presidenza. Allarmato, Angelino Alfano ha riunito a Palazzo Chigi le colombe, compresi alcuni ministri.
Poi, al telefono con il leader, è stato il vicepremier a implorare un supplemento di riflessione. L’ha pregato di evitare colpi di testa, gli ha elencato ancora una volta i rischi di una crisi al buio.
Non che Berlusconi affronti a cuor leggero il passaggio più drammatico della sua parabola politica. Anche ieri il titolo Mediaset ha lasciato sul campo più del 2%.
Ed è toccato a Fedele Confalonieri — dopo un pranzo con il “tessitore” governativo Gaetano Quagliariello ricordare al Fondatore il valore supremo della stabilità delle aziende.
Eppure, stavolta il Cavaliere sembra deciso. «Le colombe non hanno ottenuto niente — ripete da due giorni — mi stanno solo prendendo in giro». Non si fida più dei suoi ministri, due li considera già compromessi col nemico.
E non intravede più una via d’uscita: «Mi parlano di Giunta, Corte costituzionale, di grazia. Figuriamoci…».
Il barometro dei rapporti con il Colle, infatti, segna tempesta. Due giorni fa è saltato un faccia a faccia tra il Capo dello Stato e l’eterno ambasciatore Gianni Letta.
E i canali di comunicazione interrotti hanno contribuito a dare forma agli incubi peggiori del leader: «Ormai ho capito Napolitano da che parte sta».
Per questo, l’ex premier sembra disposto a giocare il tutto per tutto. Accelerando i tempi della crisi pur di ottenere le elezioni con l’amato Porcellum.
Confidando, soprattutto, nei dubbi di qualche ufficio elettorale, pronto a rivolgersi al Tar per chiarire lo spirito della legge Severino, consentendogli intanto di strappare un seggio parlamentare.
Calcoli acrobatici, ma tutto sembra meglio di restare immobili ad attendere l’interdizione della Corte d’Appello di Milano.
Tutto resta appeso a un filo. Il summit dei senatori del Pdl, convocato ieri per fornire plastica dimostrazione della compattezza del gruppo, è sembrato un segnale inequivocabile diretto a Palazzo Chigi.
È toccato a Renato Schifani mettere in guardia le truppe: «State pronti a tutto».
Il capogruppo non ha mancato di contestare il «fuoco amico» dei giornali d’area, segno evidente dell’infinito braccio di ferro in casa berlusconiana.
Eppure, non sono sfuggite alcune perplessità sulla crisi messe agli atti da Domenico Scilipoti e Carlo Giovanardi.
Tocca a Verdini tenere sotto controllo la contabilità di Palazzo Madama, perchè dieci transfughi basterebbero a far saltare miseramente i piani del Cavaliere.
Eppure, un falco come Augusto Minzolini non sembra temere il tracollo: «Un sondaggio della Ghisleri ci dice che metà degli italiani vogliono tornare a votare. Il gruppo reggerà ».
D’altra parte, sostiene il senatore, Berlusconi non è più disposto a vestire i panni della vittima designata: «Tra gli avversari di Berlusconi c’è chi vuole eliminarlo subito. E poi ci sono i più insidiosi, quelli che vogliono lentamente accompagnarlo alla porta… Non succederà ».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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