C’E’ VOGLIA DI RIMPASTO ANCHE NEL M5S
IL DEM ORLANDO VENTILA L’IPOTESI, CONTE NON SI METTEREBBE DI TRAVERSO… ECCO I MINISTRI CHE RISCHIANO
“Se non vogliamo crollare dobbiamo cambiare radicalmente”. Sono le parole di un esponente di governo del Movimento 5 stelle a far scattare il segnale che qualcosa in effetti si sta muovendo. Il tema è quello trito del rimpasto dopo le regionali, eppure qualcosa si sta chiaramente muovendo.
Un suo collega, perennemente in linea di collisione con il primo, su questo concorda: “Non possiamo restare fermi, qualcosa andrà fatto”. Sono le parole del vicesegretario del Pd Andrea Orlando a scoperchiare il vaso di Pandora: “Credo che per il governo sia necessario fare un tagliando per affrontare una fase nuova – ha detto ai microfoni di Radio24 – Non escludo che dopo il voto possa esserci un effetto sull’assetto dell’esecutivo”.
Raccontano che ai dirigenti Dem che hanno affrontato l’argomento con Giuseppe Conte, il premier abbia risposto in modo abbastanza chiaro: salvaguardare la tenuta della maggioranza, ma nessun veto preventivo se questi dovessero essere i desiderata dei partiti. Che è un po’ quel che va pensando Dario Franceschini, per cui l’opzione è da considerarsi solamente se l’esito delle urne consentirà di governarla e gestirla, altrimenti significherebbe solo un’accelerazione verso il burrone.
Nel Pd le parole di Orlando sono accolte con un misto di veleni e manovre per il dopo. “Eh, certo, ci vuole entrare lui”, risponde un senatore. Che poi argomenta: “E’ rimasto l’unico a sostenere Zingaretti, vuole portare la discussione su quel terreno per disinnescare quella sul congresso”. Che è poi la lettura data dalla maggior parte dei Dem non di osservanza zingarettiana, mentre il segretario continua a negare che sia un suo obiettivo.
La novità è che la gran parte della leadership 5 stelle si stia convincendo non solo che il rimpasto sia un passo obbligato, ma che convenga cavalcarlo direttamente per governarlo. La variante imprescindibile è la tutela di Conte a Palazzo Chigi.
Tenuta ferma questa costante, tutto il resto è negoziabile. Sia perchè viene letto come un modo per calmierare i bollori del Pd, sia perchè calmerebbe gli appetiti interni prima degli Stati generali, sia perchè “stiamo andando contro un muro con i ministri che suonano l’orchestra sorridendo”.
Non c’è nessuno che dica di no. Luigi Di Maio, in Puglia per la campagna elettorale, dice che “ora siamo concentrati sul referendum e sul Recovery fund”, ma aggiunge un eloquente “ne parleremo dopo le regionali”.
Tutta l’area che fa riferimento a Stefano Buffagni, che negli ultimi mesi ha visto ingrossare le proprie fila, non fa mistero di chiedere a gran voce un forte rinnovamento della squadra.
Come sempre si sommano ragioni politiche con vendette e punzecchiature interne.
Nel mirino Nunzia Catalfo, per la sua linea eterodossa nei confronti dei sindacati e il poco peso fatto valere nella stesura dei decreti d’emergenza, ma anche Lucia Azzolina, per il momento difesa più perchè un suo fallimento sulla scuola avrebbe una pesante ricaduta sul Movimento che per convinzione.
Chi rischia assai è anche Riccardo Fraccaro, che ministro non è ma è come se lo fosse per la pesante casella di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, accusato di curare il suo orticello e di farsi sfuggire tra le mani i dossier che contano, stesso motivo per il quale Alfonso Bonafede potrebbe perdere quantomeno il ruolo di capo delegazione pentastellato.
Infine Federico D’Incà potrebbe fare un passo indietro, per andare a ricoprire un ruolo nella nascitura segreteria in quota Roberto Fico, e si parla di una staffetta con Giuseppe Brescia, anche lui vicino al presidente della Camera.
L’unica variabile a preoccupare davvero è l’imprevedibilità di Matteo Renzi. Italia viva spinge nella stessa direzione, ma minaccia di intaccare l’equilibrio pretendendo un terzo ministero, e di peso, e avrebbe messo gli occhi sui Trasporti, dove per sostituire Paola De Micheli tuttavia il Pd avrebbe in mente un ritorno di Graziano Delrio, se non degli Esteri, dal quale Di Maio non ha nessuna intenzione di traslocare, a meno che non si riapra la partita dell’Interno.
Un puzzle complicato, del quale la cornice, al momento, è la sola cosa visibile in dettaglio. La targhetta la appone un altro esponente 5 stelle di peso nell’esecutivo: “Con questa squadra non andiamo da nessuna parte”.
(da “Huffingtonpost”)
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