CHI E’ ARTURO ARTOM, L’UOMO-BUSINESS DI CASALEGGIO
FLOP WEB E STARTUP DURATE UN GIORNO, OGGI SI DEFINISCE “CONSULENTE DELL’INNOVAZIONE”
Consulente economico, passepartout nei salotti che contano, esperto di tecnologie. E poi gentleman elegantissimo, fine dicitore, sempre a portata di microfoni e telecamere, quando non è ospite (e succede spesso) dei talk show televisivi.
Ecco a voi Arturo Artom, che in queste settimane di pochi fatti e tante chiacchiere politiche è diventato una sorta di voce narrante dei programmi a Cinque stelle, quelli ad uso e consumo degli imprenditori, i piccoli specialmente.
Del resto, il suo rapporto con Davide Casaleggio è cordiale e strettissimo, come ha più volte garantito l’Artom medesimo. Un rapporto tramandato da Casaleggio senior a Casaleggio junior.
Oltre all’azienda e al ruolo di gestore ultimo del movimento grillino, il giovane Davide ha infatti ereditato dal padre Gianroberto anche i buoni consigli del facondo imprenditore che da anni percorre l’Italia per annunciare la buona novella dell’innovazione tecnologica.
Così, un paio di settimane fa, nessuno si è stupito nel vedere Artom aggirarsi nel parterre di Sum#02, la due giorni di dibattiti organizzata dalla Fondazione Gianroberto Casaleggio, impegnatissimo a distribuire buoni consigli e pacate considerazioni, sempre gentile, con un sorriso amichevole perennemente stampato in volto.
Chi lo conosce bene giura che non recita. È proprio fatto così, gli viene naturale. Come quando, qualche giorno fa, il consulente ad alta fedeltà grillina, ospite di un salotto televisivo, ha lasciato cadere un paio di parole sul viaggio in treno in compagnia di Roberto Fico.
Entrambi in seconda classe, ovviamente, in osservanza del galateo pauperista appena introdotto dal neoeletto presidente della Camera. È un copione sperimentato, ormai. Artom è ospite gradito del Frecciarossa a Cinque stelle in viaggio verso il potere. Televisione e giornali lo presentano come fedele interprete ed esegeta dell’impresario Casaleggio, anche se formalmente non ha nessun incarico nell’organigramma del Movimento.
A questo punto tornerebbe forse utile la classica citazione dal film “Ecce Bombo” di Nanni Moretti, quel «faccio cose, vedo gente» che ha scolpito nella roccia della memoria collettiva il disimpegnato affaccendarsi di chi riesce a stare a galla sempre e comunque, a prescindere dal curriculum e dai risultati.
Nel suo sito internet personale, così come nel profilo Linkedin reperibile in Rete, Artom elenca iniziative, attività e cariche che ne hanno scandito la carriera.
Arrivando ai giorni nostri si scopre però che la lista avrebbe bisogno urgente di un qualche aggiornamento.
La biografia ufficiale del promoter dei Cinque stelle racconta per esempio che «nel marzo del 2013 è entrato nel comitato scientifico di Ernst Young Italy», filiale dell’omonima multinazionale della consulenza.
Una permanenza breve, visto che quel comitato «non esiste più da qualche anno», come spiega un portavoce della società .
Nel curriculum pubblicato online si legge anche che Artom è il «fondatore del Forum della meritocrazia». Il suo nome però non compare più nel direttivo dell’associazione.
Poco male. Se non fosse che anche le banche dati della Camera di commercio associano il nome dell’imprenditore milanese, 52 anni compiuti a marzo, a una serie di iniziative che hanno avuto vita breve.
C’è Muvis, azienda nata nel 2005 per lanciare un innovativo modello di lampada comandata a distanza grazie a una tecnologia wifi.
Un’invenzione destinata a rivoluzionare l’industria illuminotecnica, pronosticava qualcuno, ma la società è finita in liquidazione nel giro di un paio di anni.
È arrivato ben presto al capolinea anche il sito “YourTrumanshow.com”, fondato da Artom nella Silicon Valley californiana. Obiettivo dichiarato: aprire una finestra sulla rete per un pubblico ansioso di raccontare la propria storia per immagini.
Col senno di poi si può dire che il modello di business pare simile a quello di social network come Instagram o Snapchat, destinati a un immenso successo. YourTrumanshow, invece, è rimasta al palo.
Nessuna sorpresa, allora, se la Artom Innovazione, la holding nata per gestire questi progetti, è diventata un guscio vuoto, con bilanci (l’ultimo depositato risale al 2008) da poche decine di migliaia di euro.
Peccato, perchè la carriera del futuro consulente dei Cinque stelle era partita sotto ben altri auspici. Un quarto di secolo fa, il giovane Artom, allora neppure trentenne, era andato alla carica di un bersaglio grosso, il più grosso in circolazione.
Telsystem, la sua aziendina di telecomunicazioni, aveva sfidato il monopolio di Telecom Italia, che all’epoca si chiamava ancora Sip.
Quando il gruppo pubblico cercò di bloccare l’iniziativa del concorrente, il confronto finì in tribunale e si concluse con la vittoria della neonata impresa privata, che venne autorizzata a fornire ai propri clienti un servizio telefonico riservato a gruppi chiusi di utenti, come per esempio le filiali di una stessa società con sede in città diverse.
Telsystem vinse, quindi, ma il risarcimento fissato dai giudici non bastò ad allungare la vita dell’azienda che nel 1996 era già finita in liquidazione con in pancia il denaro versato da Telecom Italia, circa 2,5 miliardi di lire, pari a poco più di 1,2 milioni di euro. «Non potevamo fare altro», dice Artom.
«Siamo stati fermi due anni in attesa del verdetto dei giudici e abbiamo perso il treno del mercato».
Le carte raccontano che l’operazione Telsystem era stata finanziata da un nutrito gruppo di soci, ma nessuno, a quanto pare, era disposto a scommettere ancora su quel progetto. Tutti, invece, si affrettarono a passare alla cassa per incamerare la loro quota del tesoretto aziendale.
Nell’elenco degli azionisti, alcuni schermati da fiduciarie, non compare il nome di Artom, il quale di lì a poco trovò un altro posto di lavoro, questa volta come dirigente di Omnitel, la neonata società di telefonia mobile.
Tempo alcuni mesi e il manager con la passione delle tlc era già approdato altrove. Viasat, la società metà Fiat e metà Telecom Italia nata per sviluppare la trasmissione dati tra utenti in movimento, gli offrì un posto da amministratore delegato. Durò poco anche lì, circa 18 mesi.
Arriviamo all’anno 2000, quando Artom pensò bene di cavalcare l’impazzimento generale per la cosiddetta New Economy, l’alba del mondo nuovo nel segno di Internet. Nasce così Netsystem, operatore che prometteva di combinare il satellite con la tecnologia Adsl. «Pochi mesi e ci quoteremo in Borsa», prometteva il fondatore e presidente già all’inizio del 2001. Lo sbarco sul listino fu poi rimandato a data da destinarsi, anche perchè nel frattempo l’esplosione della bolla tecnologica mandò a picco i listini
Netsystem proseguì per la sua strada, nano in un mondo di giganti. I sogni di gloria rimasero tali. Sogni, appunto, che andarono in frantumi nel giro di pochi anni. Nel 2007 il bilancio segnalava perdite per 26 milioni di euro su un giro d’affari di soli 3 milioni. Quanto basta per mandare al tappeto la società . Nel 2008 Artom lasciò l’azienda. Nel frattempo era riuscito a coinvolgere nell’iniziativa anche alcuni investitori che finirono per perdere il loro capitale.
La notizia del flop venne ignorata dai giornali, che invece continuavano a dar voce all’imprenditore pioniere di Internet, il Davide che aveva osato sfidare i colossi delle telecomunicazioni, forte soltanto delle sue intuizioni.
Un ritratto vincente. E infatti Artom vinceva: un campionissimo nella promozione di se stesso. Un uomo che piace alla gente che piace, per dirla con uno spot. «Mi sono reinventato come consulente strategico per le imprese», racconta il diretto interessato. «Con l’obiettivo di educare all’innovazione», spiega.
Per poi aggiungere, senza falsa modestia, che ormai è considerato «un punto di riferimento» da migliaia di imprenditori.
A partire dal 2007, negli anni in cui comincia la crisi finanziaria destinata ad affondare l’economia mondiale, era facile incrociare Artom ai convegni in cui i vip, o presunti tali, dibattono i problemi del mondo.
Al forum Ambrosetti di Cernobbio, per esempio. E anche a VeDrò, la convention estiva in Trentino promossa da Enrico Letta. «L’Italia diventi come la Apple, cioè design più tecnologie», questa la ricetta per il Paese consegnata da Artom all’uditorio di VeDrò nell’agosto del 2007. Perchè Steve Jobs, l’inventore del fenomeno Apple, genio assoluto del marketing dell’innovazione, è da sempre un modello e una fissazione per l’imprenditore reduce dalla disavventura di Netsystem.
Mentre si apre l’era dei social network, Artom si dedica anima e corpo a tessere una rete di relazioni ad alto livello. Il motore di tutto sono gli incontri che promuove nel salotto della sua residenza milanese ma anche altrove, sempre affollati di signore e signori del bel mondo all’ombra del Duomo. Le occasioni si moltiplicano. Ci sono le tartufate. E poi il Cenacolo, che vede il vip di turno raccontare la propria carriera a una platea di ospiti scelti.
Tra gli habituè di queste serate c’è il console statunitense a Milano Philip Reeker, che ha cambiato destinazione nel novembre dello scorso anno lasciandosi alle spalle un’infinità di foto in compagnia dell’amico Artom.
La svolta grillina dell’imprenditore social arriva nella primavera del 2013, all’indomani del primo successo elettorale dei Cinque stelle. L’incontro avviene nel segno di Confapri, il gruppo di imprenditori promosso da Massimo Colomban, l’industriale trevigiano che ha fatto fortuna con la Permasteelisa, azienda di costruzione poi ceduta a investitori stranieri.
Grazie alla mediazione di David Borrelli, destinato a sbarcare al Parlamento europeo nelle file del Movimento, la neonata associazione di Colomban apre le porte a Gianroberto Casaleggio, che sposa la causa degli artigiani e delle partite Iva in lotta contro lo Stato rapace.
Anche Artom si è messo in scia, promuovendo l’affettuoso abbraccio tra Confapri e il partito fondato da Grillo. È un’alleanza strategica, a tal punto che il fondatore di Permasteelisa a settembre 2016 è stato chiamato a Roma per fare l’assessore alle partecipazioni nella giunta di Virginia Raggi.
Colomban, insofferente per carattere alle mediazioni, l’estate scorsa ha abbandonato la capitale. Artom invece è ancora saldamente agganciato alla carovana dei Cinque stelle, che nel frattempo ha preso velocità .
In campagna elettorale Casaleggio junior ha fatto tappa nei salotti che contano, a Milano e anche a Roma, per promuovere tra imprenditori e finanzieri l’azienda di famiglia e il partito dell’aspirante premier Luigi Di Maio.
In queste occasioni è più volte spuntato il volto del consulente filo grillino, l’imprenditore che voleva essere Steve Jobs. E a modo suo ha finito per riuscirci, ma come attore, su un palcoscenico.
Al teatro Manzoni di Milano il 26 marzo scorso è andata in scena, per la serie “Incontri con la storia”, la rappresentazione di un finto processo al fondatore della Apple, con tanto di pubblico ministero e avvocati che lo difendevano dall’accusa di aver precipitato il mondo nell’alienazione da social network come effetto indotto dell’invenzione dell’i-Phone, il primo smartphone.
Alla fine del dibattito c’è stata anche una sentenza: imputato assolto. Applausi del folto pubblico. Artom, nei panni di Jobs, ha convinto tutti della sua innocenza. Per l’ennesima volta.
(da “L’Espresso”)
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