CON MATTIA SANTORI, NELLA COMUNE DEI “FRATI RIBELLI”
IL CONVENTO DI RONZANO, TRA PROFUGHI AFGHANI E RIDER PAKISTANI, I CONSIGLI DI PADRE BENITO: IL “NUOVO INIZIO” DELLA SARDINA
E menomale che ci vogliono cinque minuti dalla stazione per arrivare al convento di Ronzano, perché Mattia guida il motorino con “le ali sotto i piedi” – ricordate la canzone “ma come è bello andare in giro per i colli bolognesi”? – ecco da queste parti si usa così: “Vedrai che roba – dice Santori alzando pure una mano dal volante per gesticolare – lo chiamano eremo, ma è un’altra cosa: una piccola Babele cosmopolita in cui il Vangelo non si recita, ma si pratica”.
Effettivamente di monastero c’è poco, posto davvero incantevole, che volendo ci si arriva a piedi, magari la prossima volta, da Villa Chigi, un parco sul primo colle, poco fuori porta San Mamolo. I bolognesi doc, fantasiosi sulle parole come immagini, dicono che “da qui si vedono centotre città”, perché una è il comune di Cento, poi Bologna, Modena e, nei giorni di aria tersa, anche Ferrara laggiù, dunque Cento più tre fa centotre: “Ho scelto questo luogo perché è una comunità, si convive con le differenze, con la gestione comune degli spazi, con più culture. E comunità è la parola attorno a cui sono nate le sardine”.
Due settimane fa, grazie anche all’interesse del cardinale Matteo Maria Zuppi, all’eremo è arrivata una famiglia afghana: papà, mamma e una bimba di quattro anni, fuggiti da Kabul. Si sono sistemati negli spazi interni gestiti dalla cooperativa sociale “Domani”, che occupa la parte “nuova” del convento e che accoglie richiedenti asilo e rifugiati. Un paio di pakistani, infradito ai piedi, salutano di rientro da una passeggiata prima di andare a lavorare: “Fanno i rider”.
Dall’altra parte, nel vecchio convento, è arrivato invece Santori, una cella con bagno, tra padre Pietro e padre Benito, gli unici rimasti. E una certa libertà: “Massì, l’altro giorno una mia amica, che aveva una iniziativa nei paraggi, è venuta a farsi una doccia, mica hanno fatto storie”. Sul taccuino annoti: “Clima libertario”.
Beh, insomma, incuriosito dalla decisione di questo giovane di andare tra i preti in piena campagna elettorale, dopo aver scelto di candidarsi al comune nella lista del Pd, ti aspetti una crisi mistica o qualche trovata ad effetto, invece ti ritrovi in una specie di Comune tardo sessantottina: si mangia assieme, messa la domenica, si entra e si esce come si vuole, di giorno un po’ di campagna elettorale, di notte il convento. Questo Santori è veramente un personaggio, con la sua scanzonata normalità, e quell’aria da eterno ragazzo, t shirt e sneakers, che non sai se è studiato o si è scordato di fare la lavatrice.
Padre Benito lo guarda con affetto paterno, ma con la fermezza di chi sa dove può arrivare: “Mattia aveva bisogno di serenità e di accompagnare con la riflessione questa sua scelta, che ha un sapore evangelico”. Boom, forse sull’evangelico il cronista tradisce l’impossibilità: “Beh – prosegue Benito – poteva uscire dai talk e andare in Parlamento, ha scelto l’umiltà dei gesti, candidandosi a Bologna. È ciò che deve fare un buon cristiano, gesti, non parole. L’omelia di stamattina recita: “I discepoli chiedono a Gesù chi è il più grande tra di loro. Gesù: i più grandi sono i più piccoli. Non è potere, ma servizio”. Vabbè, vediamo come va a finire, magari il comune sarà il trampolino per il Parlamento.
Padre Benito è davvero magnetico, con quel suo camicione bianco e lo sguardo che ti scruta, per poi poggiarsi sul castagno più antico di Bologna: “La fede, la politica… Noi non dobbiamo diventare cristiani, ma umani, riscoprire la nostra umanità, del resto se Dio si è fatto uomo qualche significato ce l’ha”.
Mattia ascolta, con l’aria di chi si sente protetto e gratificato: “Ha un bagaglio essenziale – dice l’altro – nel quale questi valori ci sono. Deve imparare a educare e a educarsi dentro le relazioni, la politica è un’arte nobile. Si può fare politica e affidarsi a Dio che abita dove lo si lascia entrare”. Annotazione sul taccuino: sta volando alto, Mattia lo guarda come un vate, all’altro in fondo piace.
Padre Benito la sa lunga, intuisce la curiosità che suscita. E inizia a raccontare quando era un “ateo praticante e un militante di Lotta continua” ma “con una formazione cattolica, al di là del nome che porto che a Sasso Marconi, due passi da Marzabotto non è mica facile”. Poi gli anni delle contestazioni fino alla pallottola che ammazzò Francesco Lorusso nel ’77, momenti di guerra civile, i militanti del Pci schierati sul sacrario dei partigiani in piazza maggiore: “Lì nel dolore di quell’evento, mi sono detto ‘si deve cambiare luogo di partenza’, le istituzioni non si abbattono, entriamoci dentro”.
Assessore a Casalecchio di Reno col Psi, perché più libertario rispetto alla chiesa comunista, ma neanche quello è l’approdo definitivo.
Due fatti lo portano a un nuovo “nuovo inizio”: l’aereo militare che si schianta sul Salvemini, una scuola del suo comune, nel ’90 e la prima guerra dell’Iraq. Inizia da lì un percorso spirituale, gira il mondo “ma mai in aereo”, va in Amazzonia, nei lebbrosari in India, a Lourdes fino al ritorno a Ronzano: “Io – dice Mattia – quando sento padre Benito, le sue omelie, i suoi racconti, sono estasiato, erano trent’anni che aspettavo questo approccio con la fede”.
Il padre “ribelle” e la Sardina. Anzi, i “frati matti”, così li chiamano a Bologna, perché pare che Lotta continua non si sia ancora sciolta. Lasciamo stare padre Pintacuda e i “no global”, ma quella volta Benito la fece davvero grossa quando firmò una lettera di sostegno a Beppino Englaro o, sui giornali, criticò la curia in materia di preghiere islamiche in piazza Maggiore. Si è ritrovato “in esilio in convento a Budrio” per qualche anno: “Sai – dice ora che è tornato a Ronzano – cosa rappresenta Mattia? Una benedizione. Quella sera al Crescentone risvegliò un animo profondo, fu una sorta di 25 aprile”.
È lì che i due si sono conosciuti. Ed è qui che Santori è venuto, per il suo di “nuovo inizio”. È tutto più semplice di come sembra. Lo hanno descritto come una marionetta inventata alla bisogna da Prodi o chissà chi, con chissà quali poteri dietro. E invece il Prof, di persona, non lo ha mai visto. Lo incontrerà per la prima volta nei prossimi giorni: “Ma non scriverlo, mi rovini la sorpresa”. Anche lui ci vede nel talento nel ragazzo, e vuole dargli qualche consiglio, perché conosce l’acqua nella quale si appresta a nuotare.
Insomma, c’è un qualcosa di autentico in quello che fa. E che viene percepito, da molti, come un magma che deve ancora prender forma e va accompagnato: “Guarda – finalmente si scioglie un po’ di più – io con la fede ho avuto alti e bassi, la parrocchia è stata la mia seconda casa. Dopo l’Erasmus, più bassi che alti, e ora sto ritrovando una dimensione, avevo bisogno di riscoprire le radici”.
E un po’ il ragazzo c’ha pure ragione, a prendersela con noi circensi affezionati sempre alla solita giostra, il Pd, Letta, il solito bla bla.
Senza telecamere, è una vita che Mattia fa volontariato, assiste disabili, lavora con gli autistici. Ha pure una associazione, che si chiama Ricotta, il cui motto è “non c’è lotta se non c’è balotta”, che in bolognese significa casino, divertimento.
Secondo me abbiamo parlato di politica finora. Non facciamola lunga, sulle amministrative: si aspettano tutti un risultatone, ma mica è facile con sette liste civiche, più o meno 250 candidati che rosicchiano voti di opinione.
La scommessa è “convincere le sardine che la politica si fa dentro, il Pd che il rinnovamento si porta anche da fuori”. Poco tempo fa definì il Pd “un marchio tossico”: “Qui a Bologna è tutta un’altra storia. Non c’è Renzi, né Calenda, i renziani sono fuori delle liste, in queste scelte di Lepore c’è un elemento di rottura e daremo un’indicazione anche a livello nazionale”. L’ultima omelia su cui ha preso appunti è la lettera di San Giacomo Apostolo: “Mostrami la tua fede senza le opere, io ti mostrerò la mia attraverso le opere”. È già arrivato il momento di scendere dall’eremo, per le opere.
(da Huffingtonpost)
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