COSENTINO: IL CENTRO COMMERCIALE CHE INCHIODA NICK ‘O MERICANO
NEGLI ATTI DEL RIESAME LA RICOSTRUZIONE DEI RAPPORTI CON GLI IMPRENDITORI DEL CLAN DEI CASALESI
È il 2006 quando Giovanni Lubello viene intercettato mentre parla della nascita del futuro centro commerciale di Casal di Principe. Dice che è già tutto previsto e organizzato, dai bar ai parcheggi e scorrendo le 181 pagine del Tribunale del Riesame di Napoli, si scopre che persino sul calcestruzzo, la camorra, s’era già mossa da tempo.
Giovanni Lubello è considerato un “referente” del clan dei casalesi e in quell’intercettazione già adombra l’intreccio tra camorra e politica.
E la politica, a Casal di Principe, porta soprattutto il nome di Nicola Cosentino. Da quest’intercettazione nasce l’inchiesta condotta dai pm napoletani Antonello Ardituro, Francesco Curcio ed Henry John Woodcock, che hanno chiesto l’arresto di Cosentino per corruzione aggravata dal metodo mafioso.
Richiesta convalidata dal gip e anche dal Tribunale del Riesame.
Il centro commerciale non vedrà mai la luce, ma una miriade di atti pubblici confermano l’attività degli imprenditori e un pubblico ufficiale che, secondo l’accusa, bluffando sin dall’inizio, riescono a incassare autorizzazioni e finanziamenti. L’imprenditore Nicola Di Caterino, con i cognati Cristiano Cipriano e Luigi Corvino, secondo l’accusa, erano però “formalmente estranei all’operazione”: “Ad avere diretti interessi nella realizzazione dell’opera era il clan dei casalesi”.
L’avallo di Cosentino si manifesta nella parte finale — il finanziamento di Unicredit – di un progetto che, però, si rivela criminale sin dall’inizio.
A partire dal terreno sul quale sarebbe nato il centro: “è stato possibile appurare — si legge negli atti — che Di Caterino ha indebitamente minacciato di utilizzare l’arma dell’esproprio per convincere i proprietari alla vendita o assicurarsi condizioni più favorevoli”.
Dopo le minacce d’esproprio arriva un atto illegittimo del Comune: il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Casal di Principe, a firma di Mario Cacciapuoti, nonostante “buona parte dei terreni non erano ancora nella proprietà della società Vian srl”.
La Vian srl è la società interessata al progetto. Cacciapuoti è un dipendente comunale che deve dare il via libera ma, proprio in quel periodo, teme di essere trasferito.
Scrive il Riesame: “Galeotto fu il suo desiderio di essere riconfermato nell’incarico. Attraverso Lubello entrò in contatto con Cristiano, Di Caterino e il resto della banda”. Cacciapuoti dice: “Mi dovevo incontrare con Cosentino, alla fine non mi sono incontrato (…) mi hanno detto solamente che ci hanno parlato loro ed era tutto a posto. Qualche giorno dopo mi riconfermano nell’incarico”.
E nello stesso periodo dà il via libera all’operazione.
Il Riesame precisa: “Gli atti contrari ai doveri d’ufficio posti in essere da Mario Cacciapuoti sono concreti e individuati . Non è necessario che Cosentino ne abbia conosciuto nei dettagli il contenuto, è sufficiente la consapevolezza che la riconferma di Cacciapuoti era collegata al suo ‘asservimento’ nella vicenda del centro commerciale”.
Negli atti si leggono molte deposizioni di “pentiti” del clan: “So bene cosa sia il centro commerciale — dice Raffaele Piccolo ai pm —(…) gli esponenti del clan mi dicevano che a livello più alto per far arrivare i finanziamenti e i soldi, se ne occupava l’onorevole Nicola Cosentino”.
E Cosentino, con gli imprenditori che hanno bisogno del finanziamento, nel 2007 si presenta nella sede romana delll’Unicredit.
“Di Caterino — si legge negli atti — (…) è stato lungamente impegnato in una difficile ricerca di credito, indispensabile per dare parvenza di legalità a un’operazione che doveva consentire l’impiego di patrimoni mafiosi”.
Presenta persino una falsa fideiussione bancaria del Monte dei Paschi di Siena, ma il finanziamento si sblocca soltanto dopo il suo arrivo in banca con Cosentino. Sulla base di quella falsa fideiussione, l’imprenditore ottiene 8 milioni per acquistare i terreni del centro commerciale, quelli ottenuti minacciando espropri e che, nell’intercettazione che ha dato il via all’inchiesta, erano già spartiti per bar e parcheggi. Il funzionario Cristofaro Zara concede il finanziamento a “una società priva di qualsivoglia sostanza patrimoniale e reddituale”.
E il finanziamento, cronologicamente, si sblocca soltanto dopo l’incontro dei funzionari bancari con Cosentino.
Le intercettazioni dimostrano l’interessamento degli imprenditori a portarlo in banca come il vero titolo di garanzia. Il parlamentare nega ogni addebito.
Non gli ha creduto il gip, nè il Riesame.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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