COSI’ AUMENTANO LE TASSE SUL LAVORO: CHI PAGA DI PIU’ E DOVE EMIGRARE
PRESSIONE FISCALE AL MASSIMO, MA NON TUTTI SONO VESSATI ALLO STESSO MODO… IL CONFRONTO CON ALTRI PAESI EUROPEI E’ IMPIETOSO
La teoria è semplice – quasi banale: lo stato esiste per servire i propri cittadini.
A volte invece succede il contrario, soprattutto nei momenti di difficoltà . Dall’inizio della crisi economica il conto è diventato sempre più salato, e a pagarlo sono state le tasse dei cittadini: anche quelle sul lavoro.
I dati Ocse mostrano che rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi economica, tasse sul lavoro e contributi sono aumentate per quasi tutti i tipi di famiglie – per alcune molto più di altre.
Prendiamo una famiglia con un solo coniuge che lavora e guadagna uno stipendio nella media – intorno ai 30mila euro lordi l’anno.
Per loro, due figli e spina dorsale della classe media italiana, in sette anni il cuneo fiscale è passato dal 35,7 percento al 39 percento.
Non ci vuole molto neppure per essere considerati ricchi: il secondo incremento più consistente è per i single senza figli con un reddito lordo sui 50mila euro – per un guadagno di circa 2.500 euro netti al mese -, che fra tasse e contributi passano al 53,8 percento contro il 51,4 percento del 2007.
Aumentano le pretese dello stato anche verso i lavoratori single senza figli, nonchè per le coppie in cui un coniuge ha reddito medio e l’altro invece molto basso, sui 10mila euro. Unica eccezione, i single con un reddito medio-basso, per i quali invece il cuneo fiscale è diminuito – anche se di poco.
Eppure tassare il lavoro ha due effetti collaterali. Il primo – più evidente – è che sottrae reddito alle persone, così che ogni mese hanno meno da spendere o risparmiare.
Il secondo è più sottile ma non meno importante: tanto più un datore di lavoro si trova costretto a pagare contributi elevati, tanto più sarà difficile mantenere i dipendenti che ci sono già – per non parlare di assumerne nuovi.
È una cosa che può succedere a chiunque.
Poniamo di aver bisogno di una persona che si occupi delle pulizie, qualcuno che badi a un anziano in famiglia. Se aumentano le tasse sul lavoro non ci sono molte alternative: o troviamo qualcuno che si accontenta di guadagnare poco – magari meno bravo -, oppure è necessario dargli uno stipendio più alto per compensare. E se salgono i contributi il risultato non cambia.
Ma noi non siamo ricchi, nè possiamo spendere troppo, soprattutto in tempi incerti come questi. Forse abbiamo soltanto qualcuno che dia una mano ogni tanto, senza troppe pretese.
Così, invece di prendere qualcuno, lasciamo perdere e facciamo noi uno sforzo in più. Risultato: meno lavoro. L’esatto contrario di quanto sarebbe necessario mentre la disoccupazione cresce .
Se invece confrontiamo l’Italia con altre nazioni europee la troviamo nel gruppo di quelle che il lavoro lo tassano di più.
Allora forse non è un caso che tanti italiani decidano di trasferirsi a Londra, visto proprio in Gran Bretagna per un single senza figli e con un reddito medio-basso – una situazione comune per tanti giovani espatriati – tasse e contributi incidono per il 26 percento.
Nella stessa identica situazione, per una persona nel nostro paese ammontano invece al 42 percento: un differenza che vale diverse migliaia di euro – ogni anno.
Non sono l’unico gruppo: in generale nel Regno Unito il cuneo fiscale è più ridotto per tutti i tipi di famiglie e risulta generoso soprattutto verso i single con due figli a basso reddito, per i quali non arriva neppure al 6 percento.
Anche in Spagna le famiglie sono meno pressate dalle tasse. Qui però la differenza maggiore con il nostro paese riguarda le coppie con figli e reddito medio basso, che sono più tutelate.
Ma poichè in Europa il paese iberico è il più simile all’Italia – sotto tutti i punti di vista – sorprende trovare un sistema fiscale tanto diverso dal nostro.
Francia e Germania, d’altra parte, hanno livelli di tassazione sul lavoro pressappoco equivalenti all’Italia. Non identici, però: se Londra sembra essere un rifugio per i giovani lavoratori, Parigi va in senso opposto – lì il cuneo fiscale per quel tipo di persone è persino più elevato che in Italia.
La Germania è un caso a parte, e riesce ad avere allo stesso tempo tasse elevate e un livello di disoccupazione molto basso , anche per i giovani.
Certo tasse e contributi sul lavoro sono una parte importante dei balzelli che cittadini e datori di lavoro devono versare allo stato, ma certo non gli unici. In realtà il loro aumento, negli ultimi anni, è andato di pari passo con una crescita generalizzata della pressione fiscale.
Mentre la crisi imperversava già da tempo, Berlusconi rassicurava il paese. “I ristoranti sono pieni”, diceva ancora nel 2011, evitando di prendere misure – anche minime – per attenuare la gravità degli eventi. Così la situazione è diventata ancora più grave.
Dopo di lui il governo tecnico di Monti, la cui manovra economica ha pesato di più proprio dal lato delle imposte: in questo modo l’Italia arriva ad avere una pressione fiscale pari al 43,5 percento del prodotto interno lordo.
Ogni dieci euro prodotti dai 60 milioni di abitanti della penisola, quattro e 35 centesimi si trasformano in tasse dovute allo stato. È un livello mai raggiunto prima durante la Seconda Repubblica.
Il governo guidato da Enrico Letta, più avanti, non modifica questo rapporto in maniera sostanziale. Nè le cose cambiano con Renzi e il suo bonus di 80 euro, che secondo le convenzioni statistiche internazionali vale come ulteriore spesa pubblica – anch’essa a livelli record .Così si torna al punto di partenza mentre l’economia resta ferma, e con lei il reddito degli italiani – soprattutto di chi ha meno.
Davide Mancino
(da “L’Espresso”)
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