DECRETO PIANTEDOSI, IN DUE ANNI ONG FERME 535 GIORNI E 4.225 MORTI
TRA PORTI LONTANI, SOCCORSO UNICO, FERMI E MULTE QUANTI MORTI HA SULLA COSCIENZA IL GOVERNO?
Da quando il decreto Piantedosi ha introdotto blocchi e multe per le navi ong fermandole per un totale di 535 giorni, 4.225 persone sono morte nel Mediterraneo Centrale tra il 2023 e il 2024, oltre 60 solo a gennaio 2025 . Quante di loro potevano essere salvate? È la domanda al centro del report di Sos Méditerranée che fa i conti e mette in fila i costi in termini di tempo, denaro e inutili sofferenze della politica dei porti lontani, della regola – salvo rare eccezioni- del salvataggio unico e dei fermi.
I numeri della politica della deterrenza
Per l’intera flotta civile significa 735 giorni e 275mila chilometri in più di navigazione, più di dieci volte quelli percorsi negli anni precedenti al decreto, 26 fermi, spesso poi annullati dai giudici che sono stati chiamati a decidere al riguardo, e 535 giorni di blocco. E ha un costo: solo nei conti della Ocean Viking ha significato 1,3 milioni in più, mentre crollava il numero di persone soccorse. Medici senza frontiere, per costi di gestione diventati inaffrontabili, nei mesi scorsi ha rinunciato alla sua Geo Barents.
È l’ennesima declinazione della “politica della deterrenza” del ministero dell’Interno Matteo Piantedosi, dal mare alla stretta sulle politiche di accoglienza, dalle procedure accelerate di frontiera ai centri in Albania.
Aumento dei respingimenti in Libia
Ma il costo è anche umano: mentre la flotta civile rimaneva bloccata in porto e il Mediterraneo veniva svuotato per decreto da assetti di soccorso, le intercettazioni in mare della Guardia costiera libica sono esponenzialmente aumentate. Secondo l’agenzia Onu Oim, nel solo 2024 sono state riportate indietro 21.762 persone con un aumento del 28 per cento rispetto alle 17mila dell’anno precedente.
Indietro significa in Libia, Paese che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra contro la tortura e l’Italia definisce “non sicuro”, dove hanno operato e plausibilmente operano ancora le 86 persone al centro dell’inchiesta della Corte penale internazionale sulle sistematiche torture, abusi, violenze e stupri inflitti ai migranti nei centri di detenzione. Un elenco che include il comandante libico Almasri, recentemente riportato indietro dall’Italia a dispetto di un mandato di cattura internazionale.
“Tripoli affidabile”, ma non per i tribunali
Eppure l’accusa di mancata collaborazione con la Guardia costiera libica, che più volte ha anche sparato contro navi civili come Sea Eye, Humanity1, Mare Jonio o la stessa Ocean Viking di Sos Méditerranée, è una delle più frequenti accuse che vengono mosse agli equipaggi fermati. Peccato che le ricostruzioni fatte dall’autorità costiera di Tripoli spesso si rivelino totalmente false, come accertato di recente nel caso di SeaWatch5, fermata a Civitavecchia per aver effettuato dei soccorsi in zona SAR libica senza essere stata previamente “autorizzata” dalle autorità libiche. Un fermo – ha stabilito il 7 febbraio scorso il tribunale di Roma – totalmente illegittimo.
(da agenzie)
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