“DOPO TRENT’ANNI DI LOTTA HO CAPITO CHE NULLA PUO’ GIUSTIFICARE UNA STRAGE COME QUELLA DELLA ETERNIT DI CASALE”
PARLA ROMANA BLASOTTI PAVESI, PRESIDENTE DEL COMITATO FAMILIARI DELLE VITTIME
“Chissà se il signor Stephan Schmidheiny che si picca di essere un filantropo ci hai mai pensato davvero a tutti i morti che ha fatto la sua azienda. Me lo chiedo ogni giorno, in particolare ogni volta che al nostro comitato arriva la notizia che hanno scoperto un nuovo malato o che qualcun’altro se n’è andato, ucciso dall’amianto…” dice Romana Blasotti Pavesi, 83 anni, presidente del Comitato Familiari Vittime dell’Amianto di Casale e Cavagnolo.-
Pensi che nell’83 non solo io ma neanche il mio medico di famiglia sapeva che cosa fosse il mesotelioma pleurico. E ora invece a Casale sono arrivati persino dal Giappone per capire come fare le bonifica per eliminare questa peste del polverino…”.
Che cosa le ricorda il 1983?
“E’ l’anno in cui ho perso Mario, mio marito. Aveva lavorato nello stabilimento dell’Eternit per 18 anni. Quando si ammalò era in pensione da due mesi. Il mesotelioma l’ha ucciso prima che potesse compiere sessantuno anni. La sua morte è stata solo l’inizio. Nel 2000 è mancata mia sorella, nel 2003 suo figlio che aveva solo 50 anni e una mia cugina e nel 2004 mia figlia che non ha superato la cinquantina. E nessuno di loro aveva mai lavorato nello stabilimento”.
Si dice che le vittime dell’amianto siano così tante da non poterne fare un elenco preciso. E’vero?
“Si. In più nonostante la ricerca che ormai va avanti da anni è ancora impossibile capire la reale fisionomia di questo maledetto mesotelioma. Non c’è un caso che assomigli all’altro, ogni malato ha una storia particolare. Di certo si continua a morire d’amianto qui a Casale. Nel 2011 tra malati e vittime abbiamo contato 58 casi. Negli anni scorsi eravamo sempre rimasti sotto la soglia dei cinquanta. Ora abbiamo registrato questa impennata…”.
Nonostante la bonifica?
“La fabbrica è stata aperta nel 1907 ed è rimasta in funzione sino al 1986. Si immagini quanto tempo ha avuto per avvelenare l’ambiente. La bonifica è iniziata nel 2000 e si è conclusa nel 2006 ma, a mio parere, ha ripulito soltanto il cinquanta per cento della città . Un anno fa in una scuola superiore dove già erano stati eseguiti dei lavori di bonifica sul tetto si è scoperto per caso che l’amianto era ancora sotto i pavimenti. Per anni la gente, ignorando il pericolo, ha fatto le vacanze su una spiaggia sulla parte destra del Po che era in realtà il deposito delle scorie di lavorazione scaricate nel fiume”.
L’ultima sua battaglia è stata contro la decisione della giunta di accettare il risarcimento proposto dal signor Schmidheiny. Perchè l’amministrazione comunale in un primo momento aveva deciso di accettare quei soldi?
“Non sono mai riuscita a capirlo. So solo che il nuovo sindaco quando ha deciso di farlo mi ha avvisato e quel giorno mi ha detto che fortunatamente l’amianto aveva risparmiato la sua famiglia. La giunta però aveva preso una decisione che andava contro quello che voleva la città . In tutti questi anni non ho mai pensato una sola volta al risarcimento: come tutti coloro che a loro spese hanno capito la pericolosità dell’amianto ho avuto un unico obiettivo, quello di far capire al mondo il rischio di certe produzioni industriali”.
Dopo una vita passata a lottare che cos’ha imparato?
“Che la vita è il bene più prezioso che ci sia. E che non c’è nulla che possa giustificare uno stillicidio di morti come è accaduto a Casale. Non ci sono profitti, non ci sono soldi che possano rendere comprensibile la strage che ha fatto quella fabbrica dove avevano appeso cartelli che vietavano il fumo perchè “cancerogeno”. Ecco cosa ho imparato…”.
Meo Ponte
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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