È UN CASO CHE IL PASTICCIO DI ARTEM USS SIA MONTATO APPENA DRAGHI HA LASCIATO PALAZZO CHIGI?
I PRIMI 5 GIORNI, I NOSTRI APPARATI RISPONDONO PRONTAMENTE ALLE RICHIESTE DEGLI USA E DELL’FBI, POI, DAL 20 OTTOBRE, CON DRAGHI NON PIÙ PREMIER, SI SUSSEGUONO AMNESIE, RITARDI, FINO ALLA SCARCERAZIONE E ALLA FUGA
La vicenda di Artem Uss ha due facce. Quella dei primi cinque giorni in cui i nostri apparati alle richieste degli Stati Uniti si mostrano rapidi e inappuntabili. Ma questo vale, curiosamente, fino al 20 ottobre 2022. Quando a palazzo Chigi sedeva Mario Draghi, l’Amerikano. Altra storia nei mesi seguenti, quelli del governo Meloni, contrassegnati da amnesie, ritardi e sottovalutazioni sul destino del cittadino russo tanto caro al Cremlino.
La relazione del ministro Carlo Nordio al Parlamento rivela un dettaglio non secondario: l’arresto di Artem Uss, accusato di contrabbando di petrolio venezuelano e materiale militare a beneficio dell’amata patria in guerra, fu teleguidato dall’Fbi. Tutto ha inizio infatti con una nota statunitense del 15 ottobre per il ministero della Giustizia e per l’ufficio romano dell’Interpol, presso il Ministero dell’Interno.
Di colpo il Department of Justice degli Usa chiedeva l’arresto provvisorio del cittadino russo Uss Artem, evidenziando la pericolosità dello stesso, che ha «orchestrato un’operazione di frode, esportazione illegale, riciclaggio di denaro, e si è impegnato in una serie di attività in violazione delle leggi penali statunitensi e delle sanzioni statunitensi occidentali, tra cui l’esportazione illegale di milioni di dollari in tecnologie militari e sensibili a doppio uso».
Il Viminale si attiva immediatamente. Poche ore dopo la nota americana, il 16 ottobre, gli uffici centrali del ministero dell’Interno segnalano alla polizia di frontiera dell’aeroporto di Milano che il signor Artem Uss si sarebbe presentato presso quell’aeroporto per un volo in partenza per Istanbul, rimarcando la pericolosità di questo cittadino russo.
Il successivo 17 ottobre, come previsto dalla nostra polizia, e in tutta evidenza gli americani già sapevano tutto e avevano messo a parte i nostri, il signor Artem Uss si presenta a Malpensa. È reduce da qualche giorno in Italia, ora cerca di tornare a Mosca via Istanbul. La polaria lo ferma all’imbarco e Uss si ritrova in un baleno in carcere. Il grande trafficante russo è caduto nella trappola americana e gli italiani stanno cooperando attivamente.
Questi i fatti del 17 ottobre. In ambasciata si festeggia.
Il 19 ottobre, il Department of Justice manda una nuova nota al nostro ministero della Giustizia e all’ufficio Interpol per segnalare il rischio di fuga di Uss. Sono tutti documenti che vengono girati istantaneamente alla magistratura di Milano. Il 20 ottobre c’è anche la nota di Marta Cartabia che richiede la misura del carcere per Uss. Ma siamo alle ultime ore del governo Draghi. Il 21 Giorgia Meloni annuncia i futuri ministri; il 22 c’è il giuramento al Quirinale.
Da quel momento e per i mesi che seguono, questa rapidità ed efficienza draghiana diventano un pallido ricordo. Si arriva alla scarcerazione del 2 dicembre, con i domiciliari e il braccialetto elettronico, ma a Roma nessuno se ne cura. I servizi segreti non entrano in partita formalmente perché «non c’è stata alcuna attivazione da parte della Cia», come se non fosse il loro lavoro prevenire certe fughe. La polizia ritiene che sia un caso talmente minore da lasciarlo alle cure della stazione dei carabinieri di Basiglio.
L’attaché legale dell’ambasciata in verità il 29 novembre scrive alla Giustizia una allarmatissima nota sulla quasi certa fuga di Uss, nota che il ministro Nordio in Parlamento ha derubricato a «pedissequa ripetizione, non un fatto nuovo» delle note precedenti.
La risposta viene partorita il 6 dicembre ed è un clamoroso scaricabarile perché il ministero scrive «come sia di esclusiva spettanza della corte d’appello italiana stabilire quale sia la misura cautelare più idonea, anche nell’ambito della procedura di estradizione». È un fatto che agli americani viene anche risposto di non preoccuparsi perché tanto c’è il braccialetto elettronico. E figurarsi. Ai giudici di Milano questo carteggio arriva diciassette giorni dopo. Il ministro dice di avere informato anche l’Interpol. Sì, ma soltanto il 15 dicembre.
Nel frattempo, al signor Uss i giudici hanno pure restituito, come nulla fosse, i cellulari e il computer per una beata permanenza ai domiciliari. Eppure gli americani lo chiedono da subito; finiscono pigramente in un deposito del carcere di Busto Arsizio dove Uss viene rinchiuso al momento dell’arresto. Ma poi non segue un atto formale. Sono dimenticati da tutti e glieli restituiscono quando va a casa.
Nelle stanze dei nostri apparati non suona nessun allarme neanche stavolta e tocca agli americani attivarsi di nuovo: il 12 gennaio chiedono al ministero retto da Nordio di attivarsi, quello si muove solo il 17 febbraio, e il sequestro viene eseguito il 13 marzo. Di nuovo: la velocità draghiana è un ricordo lontano.
(da agenzie)
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