FIDUCIA CON 169 SI’ AL SENATO, TUTTO COME PREVISTO
SI ASTENGONO RICUCCI E PARAGONE IN UN DIBATTITO APATICO CON SOLITE SCENEGGIATE USO TELECAMERE
“Le sue linee programmatiche sono molto simili a quelle che ho sempre sostenuto”. È la distorsione spazio temporale in cui implode tutta la giornata il momento in cui Mario Monti, tono serafico e andamento lento, fa un vero e proprio endorsement a Giuseppe Conte annunciando il suo sì alla fiducia.
La Lega non aspettava altro, scatta in piedi come un sol uomo e applaude fragorosamente a quel che per il Carroccio è il disvelamento di un gran complotto contro Matteo Salvini &co.
Ma le polveri dei fuochi artificiali di ventiquattrore prima alla Camera oggi sono bagnate. Il tono del Capitano è arreso, il clima a Palazzo è stanco.
Di buon mattino il neo ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà è a colloquio con Gregorio De Falco. Il comandante riflette, non è convinto fino in fondo: “Non vedo una riflessione sulla Lega e sui mesi di governo, ma una personalizzazione su Salvini”.
Mario Giarrusso, altro scettico, siede in disparte leggendo il giornale. Il solitamente vulcanico senatore pentastellato è riflessivo: “La fiducia? Ci sto riflettendo”. Stop.
Poi voteranno Sì, turandosi il naso.
Il voto di fiducia è andato come era stato largamente previsto: 169 sì (due in meno rispetto al Conte I), 133 no e 5 astensioni.
E dopo l’ora e mezzo di discorso programmatico di ieri, il presidente del Consiglio al Senato non è voluto essere da meno. Quarantacinque minuti di attacchi all’ex avversario e prolisse risposte e digressioni sui punti del programma oggetto di dibattito.
Se la volontà di marcare una differenza di lessico con i barbari sognanti non fosse abbastanza chiara, ecco che il professore infila “genetliaco” e “logomachie” nel primo minuto della sua replica. C’è Salvini in aula. Non ha sfoderato la verve battagliera dei momenti migliori, ma le parole sono state pesanti è sceso sul personale: “Non non abbiamo detto una parola quando l’hanno attaccata per il curriculum o i conflitti di interessi”
I due ormai sono tesi e antitesi. “Unilateralmente è stata aperta una crisi – risponde Conte – unilateralmente chieste le elezioni, unilateralmente si pretendeva di gestirle dal ministero dell’Interno, unilateralmente sono stati chiesti pieni poteri. Se questo era lo schema, è comprensibile che chi vi ha ostacolato sia diventato un nemico”.
Scaramucce di una storia della quale tutti i protagonisti conoscono già il finale.
Fuori dall’aula l’ex ministro Lezzi parla fitto con il suo successore, il Democratico Provenzano. Passa Matteo Renzi, si andrà a sedere in aula tenendosi sempre fuori dalla mischia
Licia Ronzulli prova a colorare il suo intervento con apriscatole, scatolette di tonno, colla e lucchetti, ma la presidente Elisabetta Casellati le spegne il microfono. Lo fa riaccendere, ma il tempo comico è totalmente perso, perfetta fotografia della giornata. Quando la seconda carica dello stato chiama il tempo a Salvini chiamandolo “senatore Casini” qualche risata riaffiora sulla bocca dei presenti.
Luigi Di Maio sorride oggi più di ieri, ma senza esagerare. Arriva appena l’ex collega vicepremier ha appena finito di parlare e fa sloggiare il collega Alfonso Bonafede dalla destra del premier, proprio come aveva fatto il segretario lo scorso venti agosto, giorno del redde rationem.
Matteo Richetti vota in dissenso dal proprio gruppo, Gianluigi Paragone si astiene tirando bordate al suo, è pari e patta. È Emma Bonino a dare il senso alla fine della crisi e all’inizio del nuovo governo: “Presidente Conte, lei può essere il suo successore, ma non l’alternativa a se stesso: sarebbe chiederle troppo”. Nessuno applaude.
(da “Huffingtonpost”)
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