G7, BORRELL GELA L’IPOCRISIA DELL’ITALIA: “BASTA SCUSE, GLI STATI EUROPEI ARRESTINO NETANYAHU”
TAJANI AMMETTE: “IL DIRITTO INTERNAZIONAE PARLA CHIARO”
L’Alto rappresentante uscente Ue demolisce il pressing italiano per trovare un’intesa Europa-Usa sui mandati d’arresto della Cpi e tutelare il leader israeliano. Strada stretta all’ultimo vertice a guida Italia
La grana del mandato d’arresto a Benjamin Netanyahu per crimini di guerra a Gaza tiene banco al G7 di Fiuggi, l’ultimo a guida italiana ma pure l’ultimo dell’era Biden. Tra meno di due mesi s’insedia Donald Trump e le due sponde dell’Atlantico s’allontaneranno – la conferma stamattina dei dazi in preparazione da subito ha gelato le speranze degli alleati. Ma sulla decisione della Corte penale internazionale lo strappo tra Europa e Usa rischia di consumarsi ancora prima. Josep Borrell, pure lui in scadenza di mandato, ha messo in chiaro stamattina che è così che deve andare: «Gli americani non riconoscono la giurisdizione della Corte, facciano un po’ quel che gli pare. Ma gli europei devono implementare quella decisione: è un obbligo, non un’alternativa», ha attaccato l’Alto rappresentante Ue (uscente) per la politica estera. Tradotto: tutti gli Stati membri, Italia compresa, non hanno scelta se non quella di impegnarsi ad arrestare Netanyahu e Gallant dovessero passare sul loro territorio.
Il dilemma impossibile dell’Italia
Un affondo netto, e pubblico, per tentare di rompere le uova nel paniere dell’Italia, che come Antonio Tajani ieri ha lasciato intendere, lavora invece in queste ore dietro le quinte per trovare un “testo comune” sulla grana-Cpi su cui i Paesi del G7 possano ritrovarsi nella dichiarazione finale. Quale? Difficilissimo trovare un punto d’equilibrio che tenga insieme l’apertura di canali di contatto col governo israeliano con il rispetto dell’operato della Corte dell’Aja.
Eppure il governo italiano è determinato a tenere insieme le due esigenze: la prima perché «l’obiettivo è la pace», ha ribadito più volte in queste ore Tajani, e per negoziare i cessate il fuoco in Libano (vicino) e a Gaza (lontano) Netanyahu resta l’unico interlocutore; il secondo perché alla Cpi l’Italia è legata a doppio filo, non solo come firmataria, ma come “creatrice” stessa di quell’istituzione: fu la nostra diplomazia a spingere negli anni ‘90 per l’istituzione di una corte internazionale in grado di perseguire i responsabili di crimini di guerra, e quella storica Convenzione, non a caso, porta il nome della città di Roma.
Le acrobazie giuridiche di Tajani e il diritto internazionale
Da quando l’Aja ha spiccato i mandati d’arresto, venerdì, il governo ha preso tempo, dando mandato ai suoi esperti giuridici di trovare una via d’uscita dall’impasse. Ieri Tajani ha evocato presunte «immunità per i capi di governo stranieri» come possibile paravento per un effettivo arresto di Netanyahu. Idea che suona oggettivamente strampalata, altrimenti non si spiegherebbe la pressione internazionale su Vladimir Putin, ricercato anch’egli dalla stessa Corte per i crimini di guerra commessi in Ucraina. Ipotesi ancor più ardita, ma sul tavolo secondo Il Messaggero: accordarsi su una «sospensiva» del processo all’Aja contro Netanyahu «finché la guerra sarà in corso». Il che rischierebbe però di tramutarsi in un ulteriore, drammatico incentivo al capo del governo israeliano a proseguire ad oltranza nei combattimenti a Gaza, come i parenti degli ostaggi lo accusano di fare già da mesi pur di non aprire la fase politica post-conflitto. Un rebus, insomma, che Borrell in versione “kamikaze” (domani a Strasburgo sarà votata la fiducia alla nuova Commissione Ue e lui sarà rimpiazzato da Kaja Kallas) ha squadernato senza troppi complimenti, tentando di rompere il filo che i diplomatici italiani stanno provando a tessere. Dopo le fughe in avanti Tajani oggi ammette che «siamo amici di Israele ma dobbiamo rispettare il diritto internazionale». E così per salvare capra e cavoli, alla fine Usa, Italia, Francia, Germania e Regno Unito potrebbero semplicemente spostare il focus dell’attenzione nel documento finale: aggirare il tema dell’effettivo arresto di Netanyahu, che in ogni caso non avverrà se il premier israeliano si terrà alla larga dai Paesi “a rischio”, e insistere sull’urgenza del doppio cessate il fuoco. Prima che arrivi il ciclone Trump, se possibile.
(da La Repubblica)
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