HAFTAR: “LA PRESENZA DELL’AMBASCIATORE ITALIANO A TRIPOLI NON E’ PIU’ GRADITA”
MENTRE L’AQUARIUS CON A BORDO 141 PROFUGHI SALVATI DAL NAUFRAGIO ATTENDE CHE UN GOVERNO “CIVILE” APRA I SUOI PORTI, IL GENERALE HAFTAR RIDICOLIZZA IL GOVERNO ITALIANO CHE SI VANTAVA DI AMICIZIA CON I LIBICI… LA LIBIA SMENTISCE SALVINI: “I NOSTRI PORTI NON SONO SICURI”
Matteo Salvini ha giurato e assicurato: quelli libici sono porti sicuri. La vicenda in corso lo smentisce clamorosamente.
Vietato soccorrere.
Racconta ad HuffPost Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere Italia: “Fermo restando che il primo dovere indicato anche dal diritto del mare, oltre che dalle nostre coscienze, è quello di salvare vite umane in pericolo, stavolta abbiamo seguito tutte le regole indicate: l’Aquarius ha avvertito la Guardia Costiera libica del salvataggio in corso, su questo abbiamo le registrazioni che sono on line sul nostro sito, e la risposta che abbiamo avuto, dopo vari tentativi andati a vuoto nel silenzio più assoluto, è stata: spiacenti, non abbiamo un porto sicuro verso cui indirizzarvi, fareste meglio a navigare verso Nord, direzione Malta o Italia”.
“Sia chiaro: la nostra red line — aggiunge la presidente di Msf Italia — non ci avrebbe permesso di portare i 141 migranti da noi salvati a Tripoli. Non solo perchè non è un porto sicuro ma perchè avrebbe significato far finire quelle persone in veri e propri lager”.
SOS Mediterranèe ha messo in fila — sul blog costantemente aggiornato con la posizione della nave – la successione dei contatti intercorsi con la Guardia Costiera libica e il Centro di coordinamento di Tripoli.
Dopo aver richiesto e ricevuto il numero delle persone soccorse — donne, uomini e bambini — nonchè età , nazionalità e “vulnerabilità ” — il JRCC di Tripoli, già alle 19.29 del 10 agosto chiede all’Aquarius di contattare un altro Centro di coordinamento per l’assegnazione di un “porto sicuro” come richiede la legge.
Porto che non può trovarsi nella stessa Libia: “Nessuna operazione europea e nessuna nave europea effettua sbarchi in Libia, perchè non lo consideriamo un Paese sicuro”, aveva sottolineato a metà luglio la portavoce della Commissione Europea per le Migrazioni Natasha Bertaud.
L’estate della vergogna si arricchisce così di un altro capitolo. Dopo aver salvato 141 migranti al largo della Libia con la nave Aquarius, SOS Mediterranèe e Medici senza Frontiere lanciano l’allarme: “Le persone soccorse hanno dichiarato di aver incrociato cinque diverse navi che non hanno offerto loro assistenza, prima di incontrare l’Aquarius. Le navi potrebbero non essere disposte a rispondere a coloro che sono in difficoltà a causa dell’alto rischio di rimanere bloccate e vedersi negare un porto sicuro”.
Più del 70% delle persone salvate proviene dalla Somalia e dall’Eritrea. Le condizioni di salute delle persone soccorse sono stabili al momento, ma molte sono estremamente deboli e denutrite.
Molte persone riferiscono di essere state detenute in condizioni disumane in Libia. Le persone sono state salvate in due distinte operazioni. Nella mattinata ha salvato 25 persone trovate alla deriva su una piccola barca di legno senza motore a bordo, rimaste in mare per quasi 35 ore. Più tardi, nel corso della stessa giornata, ha avvistato una seconda barca di legno sovraffollata con 116 persone a bordo, compresi 67 minori non accompagnati.
Oltre la metà delle 141 persone salvate dalla nave della Ong ha meno di 18 anni. “Essendo l’unica nave Ong di ricerca e salvataggio nella zona, siamo molto preoccupati che possano esserci altre imbarcazioni in difficoltà che hanno bisogno di aiuto”, rimarca ancora Lodesani.
“Basandoci sulle passate esperienze — aggiunge la presidente di Msf Italia – abbiamo portato sulla nave più viveri e medicinali — abbiamo qualche giorno in più di autonomia, ma il tempo non è infinito”.
I porti libici non sono “sicuri”, soprattutto perchè è sempre meno sicura la posizione italiana in Libia.
L’HuffPost lo ha scritto ripetutamente nelle scorse settimane: Roma, per la sua posizione pro-Serraj, è entrata nel mirino dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar.
La crisi è stata formalizzata ieri, quando Haftar, ha dichiarato che la presenza dell’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, “non è più gradita per la maggioranza dei libici”.
“Le dichiarazioni dell’ambasciatore italiano vanno contro la sovranità libica e il principio di titolarità nazionale del processo politico”, ha spiegato Haftar, che può godere del sostegno esplicito dell’Egitto e di quello, “sotterraneo” ma non meno importante, della Francia.
“Noi riteniamo che l’ambasciatore italiano non è più gradito dalla maggioranza dei libici”, ha sottolineato Haftar in un’intervista con il quotidiano libico online Al Marsad, (l’Osservatorio).
“L’ambasciatore italiano, come qualsiasi altro funzionario straniero, non ha il diritto di intervenire in questa materia, che appartiene solo ai libici”, ha spiegato il generale nel corso dell’intervista.
“Le sue osservazioni sono una chiara provocazione per il popolo libico e una palese interferenza nei suoi affari interni, e i libici hanno dimostrato la loro contrarietà a queste affermazioni in varie piazze”, ha continuato il generale.
Haftar sostiene che l’Italia deve “cambiare radicalmente la sua politica estera nei confronti della Libia”. L’ex ufficiale di Gheddafi, poi oppositore del Colonello, fa riferimento ad una conferenza che il governo italiano vuole indire in autunno a Roma, con il sostegno degli Usa, per cercare di far tenere le elezioni quando il Paese sarà pronto.
Il generale, sentendosi la vittoria in tasca grazie al sostegno acquisito anche da parte di importanti tribù della Tripolitania oltre che della milizia di Misurata, è deciso ad “opporsi” e ad “ostacolare” qualsiasi slittamento del voto previsto, con il beneplacito francese, a dicembre.
Per ricucire con Haftar il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha annunciato il 5 agosto durante la visita al Cairo, che si recherà presto in Cirenaica per incontrare il generale.
Ma quella del capo della diplomazia italiana è una corsa contro il tempo in un percorso che dire accidentato è indulgere all’ottimismo. I porti libici sono insicuri, come ha ammesso la Guardia Costiera fedele al governo di Tripoli, perchè quelli più importanti, a cominciare da quello di Zuara, da dove partono le carrette del mare sulla rotta mediterranea, destinazione Italia, sono controllate da milizie e tribù fedeli o alleate di Haftar.
Se vuole varare la politica dei “porti sicuri” Roma deve passare per un accordo con il generalissimo della Cirenaica. La Farnesina lo sa bene, e non nasconde le sue preoccupazioni.
Senza una intesa con il “fronte di Bengasi”, ogni ulteriore nostro sostegno a “quelli di Tripoli” così come lo sconfinamento di navi italiane nelle acque territoriali libiche, anche se in funzione di contrasto agli scafisti, verrebbe visto da Haftar e dal governo di Tobruk come una dichiarazione di guerra.
Altro che “porti sicuri” in Libia. Per l’Italia sono off limits.
(da “Huffingtonpost”)
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