I LEGHISTI IN DIFFIDA PERCHE’ HANNO OSATO CRITICARE SALVINI, CAPO DELL’UNICO PARTITO LENINISTA RIMASTO IN ITALIA
ARRIVATE LE LETTERE AI MILITANTI VENETI… QUANDO IN VENETO CI SARANNO I CONGRESSI CI SARA’ LA RIVOLTA
Quei «territori» che la Lega ha mitizzato per anni sono diventati un pericolo per Matteo Salvini.
Nell’ultimo consiglio federale, il segretario, dopo aver chiesto di «metterci la faccia», ha promesso ai governatori maggiore condivisione nella gestione del partito. Pochi giorni più tardi in Veneto sono arrivate le raccomandate con i provvedimenti disciplinari contro alcuni esponenti colpevoli di essere usciti dalla linea del segretario. Quasi tutti i procedimenti risalgono a qualche mese fa, ma le lettere hanno rialzato la tensione nelle sezioni del Nord Est.
«La busta mi è arrivata alla fine della scorsa settimana – ammette con la voce amareggiata Giovanni Bernardelli, ex presidente del consiglio comunale di Conegliano, in provincia di Treviso -. Farò ricorso e ne sto già parlando con il mio legale: in base al regolamento ho dieci giorni di tempo».
Per lui, leghista più che Docg che il 24 febbraio festeggerà 25 anni di militanza nel Carroccio e che ha preso la prima tessera dell’allora partito di Bossi nel lontano 1991, quello che sta succedendo è un’offesa quasi personale.
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra» c’è scritto sotto il suo profilo WhatsApp. Eppure il suo nome, insieme a quelli del sindaco di Noventa Padovana Marcello Bano, dell’ex presidente del consiglio provinciale di Treviso Fulvio Pettenà e addirittura a quello dell’europarlamentare ed ex segretario della Liga Veneta Gianantonio «Toni» Da Re, è finito nel libro nero dell’ultimo partito leninista d’Italia. I primi tre (per Da Re la procedura è diversa dato lo status di parlamentare) rischiano di essere sospesi dal partito. O addirittura espulsi.
L’ultima parola, dato che si tratta di persone con più di dieci anni di militanza, l’avrà comunque via Bellerio. Le punizioni, brutto a dirsi, non sono niente di anomalo in un partito, succede ogni anno e non solo nella Lega. Però sarebbe sbagliato ridurre la questione a una bega interna come altre perché la vicenda veneta, al di là dei singoli casi (l’espulsione di Bernardelli sarebbe stata chiesta da Luca Zaia), si incrocia con i malumori della base per come è finita la partita del Qurinale e con una dialettica non sempre semplice tra Matteo Salvini e lo stesso governatore.
Alcuni dei sanzionati, infatti, si riconoscono nelle battaglie del Doge, prima tra tutte quella sull’autonomia, «dimenticata da Salvini quando ha deciso di fondare la Lega nazionale».
Punire i ribelli quindi può aumentare il solco che divide il segretario dal suo governatore. Nel direttorio che doveva decidere sulla richiesta di sanzione per Marcello Bano, Zaia all’inizio della discussione si è astenuto, mentre il suo fedelissimo assessore Roberto Marcato ha votato contro; a favore si è espresso invece il resto della commissione formata dal commissario del Veneto Alberto Stefani, dall’ex sindaco di Padova e deputato Massimo Bitonci, dal consigliere regionale Nicola Finco e dalla ministra Erika Stefani.
Da via Bellerio fanno notare che i sanzionati sono pochi (in Veneto i militanti sono 4.000) e non sono certo di primo piano, ma nel Nord Est c’è un certo fermento: «Sono la punta dell’iceberg di un’onda che prima o poi arriverà a Milano – dice uno degli esponenti di punta della Liga -, anche con Tosi si diceva che erano quattro gatti e guardate cosa è successo. Salvini dice che non dobbiamo polemizzare sui giornali? Ha ragione, ma allora ci offrano delle sedi alternative».
Questo clima pesante è dovuto anche alla pandemia, i dissidi un tempo venivano risolti sotto a un gazebo, al tavolo di un’osteria o tra le mura delle sezioni, ma oggi vedersi è più complicato e per ricomporre le fratture non resta che la burocrazia interna.
La richiesta che arriva dal Veneto, in fondo, è sempre la stessa: i congressi. «Con la fine dello stato d’emergenza non ci sono più scuse per rimandarli» ha detto pochi giorni fa Zaia.
Il Veneto è commissariato sin dalla fondazione del nuovo partito, (Lega per Salvini premier), un’esigenza necessaria nei primi anni, che ora viene vissuta come la solita ingerenza lombarda (e al limite romana).
«Invece che sanzionare chi esprime il suo malessere dovrebbero cercare di capirne l’origine – si sfoga un’altra figura di primo piano -. Io non parlo con nessuno di questi nominati che oggi hanno in mano il partito. Va riaperto il dialogo fra dirigenti e base». I più critici, anche perché i voti loro se li sono guadagnati uno per uno nelle urne, sono gli amministratori locali.
«Decidono tutto dall’alto – racconta un sindaco – . Pochi giorni fa hanno rimosso dalla chat di Padova un segretario di sezione solo perché aveva condiviso un’intervista critica rilasciata dal sindaco di Brugine. Ma che metodo è? Se vanno avanti così ne butteranno fuori uno ogni due giorni».
(da agenzie)
Leave a Reply