I MINISTERI RESTERANNO A ROMA, BOSSI SCONFITTO: “NON SI PUO’ AVERE TUTTO”
CONTRORDINE PADANI, A PONTIDA VI HANNO SOLO PRESO PER IL CULO, COME SEMPRE…NIENTE TRASFERIMENTO DI MINISTERI: LA TARGA CALDEROLI SE LA ATTACCHERA’ A CASA E LA PIANTA DEL PALAZZO REGIO IL SINDACO DI MONZA POTRA’ RIVENDERLA SULLE BANCARELLE DELL’USATO
Finisce in «ammuina», assai poco padana.
Coi ministeri che non si smuovono da Roma.
Con la Lega che strappa “uffici di rappresentanza” al Nord per salvare la faccia.
E con un gran pasticcio parlamentare che consente però al governo di non andare sotto ed evitare che il testo dell’accordo Pdl-Lega venga messo ai voti.
Il Carroccio si accontenta. «Un passo alla volta, non si può avere tutto e subito» commenterà Bossi. Che comunque non rinuncia alla la legge di iniziativa popolare e al «milione di firme».
Bersani ironizza: «Storia finita nel ridicolo in 48 ore: poveri leghisti, andati a Pontida per nulla». «Lega umiliata», sintetizza D’Alema.
Sta di fatto che alla guerra pomeridiana degli ordini del giorno, alla fine, tutti possono dichiararsi vincitori.
A buon titolo Pd, Idv e terzo polo, che ottengono l’approvazione dei rispettivi documenti, nonostante prevedano il categorico «no a ogni ipotesi di delocalizzazione» dei ministeri: incassano a sorpresa perfino il parere favorevole del governo (per evitare sorprese dal pallottoliere). Di più.
Il testo dei democratici viene approvato anche da una massiccia fronda formata da 16 deputati Pdl e tre Responsabili.
Compresi sei sottosegretari: Giorgietti, Cesario, Saglia, Crimi, Giro e Rosso.
La maggioranza dei berlusconiani invece si astiene.
A Palazzo Chigi tirano un sospiro di sollievo però quando Cicchitto riesce a scongiurare la votazione sull’ordine del giorno Pdl-Lega-Responsabili: il loro.
Quello che prevede appunto il mantenimento dei dicasteri nella Capitale con la possibilità di aprire sedi di rappresentanza «operative» altrove «senza costi aggiuntivi».
E il frutto della mediazione raggiunta nottetempo a Palazzo Grazioli tra il premier Berlusconi e il ministro Calderoli, per disinnescare la mina di un documento dei pidiellini romani ispirato da Alemanno e Polverini e sostenuto dal ministro Giorgia Meloni.
L’ordine del giorno della “pace” viene depositato in mattinata per essere messo ai voti. Ma è a rischio “ko”, il governo allora lo fa proprio, come si dice in gergo, ne accoglie cioè i contenuti. E finisce lì.
Un pasticcio, appunto, dato che poco prima lo stesso governo si era schierato a favore dell’ordine del giorno Pd che escludeva le sedi decentrate.
«Qui non siamo a Bisanzio» sbotta il presidente della Camera Fini. Che accusa il capogruppo Pdl Cicchitto di «furberia tattica» Sono scintille.
I leghisti non gradiscono, loro vorrebbero che venisse votato e approvato l’ordine del giorno. Infatti escono dall’aula e non parteciperanno ad alcuna votazione.
Eppure, perBossi la soluzione trovata non è un «passo indietro».
Comunque va avanti perchè «quella roba li (i ministeri decentrati, ndr) la fanno in Gran Bretagna e Germania e in tutta Europa».
Alemanno, Polverini e la Meloni cantano vittoria, anche perchè nello stesso giorno viene stoppata la norma sul pedaggio sul Raccordo anulare nel decreto Sviluppo.
Il sindaco di Roma festeggia a pranzo con cotoletta al self service perchè comunque lui «non ce l’ha con i milanesi».
Da Milano, sbeffeggia a suo modo i leghisti anche il governatore Formigoni: «Tanto, nella Villa Reale di Monza non c’era un solo mq per i ministeri».
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
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