IL PARTITO DEL 20 LUGLIO: DI MAIO ATTACCATO ALLA POLTRONA PER SUPERARE LA DATA PER IL VOTO A SETTEMBRE
IL SILENZIO DI GRILLO E DI FICO, I VELENI SU DI BATTISTA
Lo ha fatto dopo la batosta del 26 maggio, lo ha rifatto in ordine sparso negli ultimi giorni, dopo i primi affondi di Alessandro Di Battista. Luigi Di Maio ha sentito tutti gli uomini al vertice del Movimento 5 stelle, ripetendo la domanda: “Sei con me? Andiamo avanti?”.
Una vera e propria chiamata a una responsabilità collettiva. Le risposte sono state tutte unanimi: “Andiamo avanti” ( e ci credo, sono in ballo stipendi mai visti)
Una telefonata è mancata tra i tanti (Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Roberto Fico, i ministri quasi tutti) tra quelli che invece erano seduti al gran vertice del Mise: quella ad Alessandro Di Battista.
Chi ha sentito il capo politico M5s in queste ore lo racconta ancora furente. Per il gioco a nascondino con la Lega su conti e futura manovra. Per l’incapacità o probabilmente l’impossibilità di capire a che gioco stia giocando Matteo Salvini. E per il fronte interno che ribolle per le parole di Di Battista.
“Gli ho detto che fino al 20 luglio deve tenere un profilo basso, ma non lo sta facendo”, ha spiegato Di Maio ai suoi interlocutori.
Ecco, la fatidica data del 20 luglio. Quella genericamente individuata come ultima data utile per poter votare a settembre in caso di scioglimento delle Camere. Luca Carabetta, uomo che ha consuetudine con il leader, la mette giù morbida: “Tanti di noi per la prima volta sono in Parlamento, al governo non ci eravamo mai stati. È normale che siamo tutti contenti di lavorare, e di continuare a farlo per poter realizzare cose concrete”. Quando gli si parla del “partito del 20 luglio”, si mette a ridere e ripete: “C’è un paese da cambiare”.
Il punto è tutto lì: scavallare la data limite per andare alle urne a settembre, far chiudere la finestra del voto e poi ripartire. Non a tutti i costi, ma quasi.
È un partito che ha radici profonde nel corpaccione parlamentare, che affonda le radici nelle percentuali dimezzate, nelle proiezioni di seggi falcidiati. E nella regola del doppio mandato.
Sentite un uomo ai vertici del Movimento: “I peones potranno pure perdere il posto. Ma il messaggio di Alessandro, quando parla di deroga, parla ai capi cordata, a quelli che decidono, che organizzano le truppe”.
Sì, ma l’interesse qual è? “Un cambio di leadership, tornare a fare casino, ad avere una tribuna da cui poter attaccare senza avere in mano la responsabilità ”.
Così, dividendo il campo, c’è il partito del 20 luglio che butta acqua sul fuoco delle polemiche. E quello dei settembristi che scalcia, provando a creare l’incidente, le condizioni perchè tutto vada a scatafascio.
È da qui che scaturisce la rabbia del capo politico, impegnato a un gioco del gatto con il topo con Salvini. E subito sono partiti i veleni.
Raccontano che oggi a Di Battista venga rinfacciato di aver rifiutato la candidatura a sindaco di Roma, l’offerta di candidarsi capolista in tutte le circoscrizioni alle europee, di essere andato a rivendicare dal leader la necessità di uno stipendio, di un lavoro.
I soldi, sempre i soldi, eterno argomento di ritorno quando si vuole screditare l’avversario interno. Con i corollari di un’intellighenzia con Marco Travaglio, ormai visto come vero e proprio avversario gialloverde, degli emblematici silenzi sospetti di Beppe Grillo e Roberto Fico.
Un clima di veleni e sospetti. Gianluigi Paragone si sfila: “Domani esco con il mio libro, che parla del paese reale. Siete voi giornalisti romani che vedete solo il Palazzo, a Rovigo e Rovereto non glie ne importa nulla”.
Ma si scrolla di dosso i sospetti: “Non vedo nessuna possibilità di andare al voto. Nessuna. Spiegatemi chi è così matto da voler andare al voto”.
Poi saluta e schizza via, lui che è stato additato come il traditore.
Sentite Devide Tripiedi, pasdaran dimaiano: “Tradisce Luigi, come ha tradito la Lega”. Sono flebili le voci di chi accredita il dibattito interno, la legittimità delle idee di tutti, la discussione interna.
È in atto un violentissimo scontro interno, dagli esiti incerti. E, per dirla con Aldo Giannuli, che del Movimento ne sa qualcosa, Di Maio divide “chi gli dà ragione da quelli che hanno torto”.
(da “Huffingtonpost”)
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