IL POLITOLOGO JAN-WERNER MULLER: “IL SEGRETO DI ANGELA MERKEL? POPOLARITA’ E STILE DA MANAGER”
“IL CROLLO DEGLI ALLEATI DI GOVERNO E’ ANCHE COLPA SUA”… “IL PARTITO ANTI-EURO NON SCOMPARIRA'”
«Il segreto del successo della Merkel? E’ la sua popolarità , il suo stile che la fa sembrare sempre una buona manager. Ma soprattutto è riuscita in qualche modo a staccare se stessa, e in una certa misura anche il suo partito, dai problemi che la coalizione di governo ha avuto».
Jan-Werner Mà¼ller, politologo tedesco che dirige il dipartimento per gli Studi europei a Princeton, uno degli studiosi di politica del vecchio continente più influenti negli Usa (in Italia è uscito di recente il suo L’enigma democrazia, Einaudi) ritiene che la Merkel abbia anche l’enorme capacità di scaricare gli insuccessi sugli altri.
FUORI I LIBERALI
«I suoi alleati di governo, i liberali, non entreranno al governo per la prima volta dal dopoguerra, un disastro per loro. In modo molto intelligente, Merkel è riuscita ad addossare loro tutte le conflittualità e le prove d’incompetenza del governo. Lei stessa si comporta ormai più da presidente della Germania che da Ceo, che deve rendere conto di quello che fa. Ma attenzione: è lei che ha voluto questa coalizione, la voleva ancora, era il suo dream team. Quindi, sebbene non sarà percepito così, questo dovrebbe essere anche un suo insuccesso».
Come giudica l’Alternativa, ha potenziale per crescere?
«Personalmente non li chiamerei un partito populista: se uno si oppone a temi europei, questo non fa di lui automaticamente un populista. Sono riusciti a evitare di apparire una tipica formazione di estrema destra, come il partito di Joerg Haider in Austria o di Le Pen in Francia. Sono guidati da professori. E sebbene ha Germania abbia la fama di essere molto rispettosa dei professori, ami i titoli Prof., Professor Doktor, e via dicendo, direi che hanno ottenuto il loro risultato nonostante i professori, non grazie ai professori. Molto dipenderà adesso dal fatto se riusciranno a istituzionalizzarsi. Se sapranno raccogliere parte dei bacino del partito conservatore, quello che percepisce la Cdu come troppo liberal, per usare un termine americano, troppo permissiva sui temi morali. Non credo che spariranno. E la cancelliera avrà un problema: se la politica europea sarà percepita come insoddisfacente, cresceranno».
Visto dall’Italia, un tema è stato quasi assente dal dibattito politico tedesco: l’Europa. Perchè?
«Una combinazione di più motivi. Merkel non aveva interesse a fare dell’Europa un tema più ampio. Il suo interesse razionale e la sua strategia elettorale suggeriscono: meno si dice, meglio è. La Spd e i verdi hanno sostenuto le sue politiche, quindi non potevano attaccarla di punto in bianco rimanendo credibili. Più importante ancora: è rischioso chiedere più integrazione, o qualsiasi cosa dia più potere e soldi a Bruxelles — ciò che molti cittadini temono come una Transfer Union nella Ue. Molti politici rifuggono temi perchè impopolari. Però potrebbe essere una decisione sbagliata: se una maggiore integrazione si renderà necessaria, ci sarà l’impressione che questi temi non siano stati adeguatamente discussi e che tutto il processo dell’integrazione europea manchi di legittimità . Nel breve, è rischioso il dibattito, a lungo termine più rischioso non averlo».
Come descriverebbe la campagna della Merkel?
«Merkel non ha detto quasi nulla sulle questioni più controverse e si è spesso appropriata delle politiche dei suoi avversari. Il calcolo, in parte, è stato: gli elettori dell’opposizione non andranno a votare, visto che non c’è molto in palio. Una strategia nota come “de-mobilitazione asimmetrica”: tutti diventano disinteressati, ma quelli dell’opposizione di più. Il problema è però se questo atteggiamento non possa creare un gruppo di elettori insoddisfatti, che ritengono che la Cdu si sia spostata troppo a sinistra, diventando, di fatto, un partito socialdemocratico in economia, e simile ai verdi sui temi sociali. Merkel è così popolare che per lei questo non è un problema, ma per i suoi successori lo sarà ».
Perchè la Spd non è stata percepita come una vera alternativa?
«Hanno tre grandi problemi. Il primo: il dilemma strutturale di molti partiti socialdemocratici in Europa negli ultimi decenni: come rappresentare la classe operaia che si va restringendo (e spesso soffre), conquistando allo stesso tempo i voti della classe media centrista. Come per i socialisti francesi, che ora hanno dei veri avversari a sinistra. Secondo: il partito ha dato l’impressione di non saper decidere se rigettare o far propria l’eredità di Schrà¶der. Terzo: hanno scelto con Steinbrà¼ck un candidato “merkeliano”, ma che doveva difendere un programma più a sinistra di quel che ci si aspettava. E questo ha creato un problema di credibilità ».
La crisi viene percepita in modo molto diverso in Germania e in altri Paesi Ue. Crede che la Germania non sia riuscita a spiegare la propria strategia?
«E’ complicato. Il governo tedesco ha spiegato la sua strategia che consiste nel combinare austerità e riforme strutturali nei Paesi in crisi. Ma la spiegazione spesso non è stata accettata e io personalmente credo anche che non sia corretta (almeno, come dimostra l’esperienza tedesca con Schrà¶der). Anche dove i cittadini vedono la necessità di avere cambiamenti strutturali (e perfino di un nuovo contratto sociale), hanno buone ragioni per ritenere che l’austerità non li possa realizzare, e perfino disperare che esista un reale meccanismo in grado di autorizzare un nuovo contratto sociale. In generale è problematico discutere di questioni europee ponendo un Paese contro un altro. Non si tratta di Germania contro la Grecia, il conflitto taglia le società in modo trasversale. Ma per adesso, non abbiamo le strutture politiche per affrontare simili questioni e conflitti pan-europei».
Quali sono i rischi della strategia tedesca per l’Europa?
«Ci sono rischi ben noti: l’austerità che porta a un avvitamento a spirale, dal quale i Paesi non riescono a uscire. E rischi meno tangibili: i cittadini sentono che i cambiamenti strutturali (anche quando necessari) sono realizzati da un establishment politico la cui legittimità è drammaticamente calata. Temo che questo sia il caso di Italia e Grecia. Le larghe coalizioni di governo possono solo accentuare la percezione che i populisti cercano di rafforzare: che i vecchi partiti — se vuole, la casta — si curano solo di restare al potere, di occupare lo Stato. I cittadini possono così cominciare a pensare che il vecchio establishment è sinonimo di sistema democratico, e che l’unico modo di liberarsi dei primi e di liberarsi anche del secondo. Un pensiero molto pericoloso».
Habermas parla di fallimento delle elite tedesche nell’affrontare la crisi. E’ d’accordo?
«Sì, ma è un fallimento molto specifico. Non è un fallimento manageriale. Merkel è un manager estremamente competente. C’è un fallimento nel far comprendere come la Germania abbia beneficiato dell’euro, un fallimento nell’ammettere che la combinazione di austerità e riforme strutturali possa anche non funzionare, e un fallimento nel pensare come possa funzionare una legittima, efficiente Unione europea. E’ troppo facile dire che questo è un fallimento personale di Merkel. Il suo interesse personale, un interesse razionale, era di non affrontare questi temi. Sono i media, e l’opposizione che l’avrebbe dovuta sfidare di più».
M. Gergolet
(da “il Corriere della Sera“)
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