IL PRESIDENTE ANAC: “INDEBOLITA LA LOTTA ALLA CORRUZIONE”
GIUSEPPE BUSIA: “E’ VERO CHE BISOGNA ACCELERARE I PROCEDIMENTI, MA VA FATTO CON LA DIGITALIZZAZIONE E LA SANA CONCORRENZA, NON ELIMINANDO LE GARANZIE”
Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità anticorruzione, non è affatto convinto che la riforma della Corte dei Conti aiuterà a contrastare meglio il malaffare in Italia e neppure a superare la famigerata paura della firma. «Si rischia di squilibrare il sistema per occuparsi di un solo aspetto, la responsabilità di chi segue i procedimenti amministrativi, che però influisce solo in parte».
La riforma Foti sta sconvolgendo assetti consolidati. È preoccupato?
«Guardi, alcuni problemi sono reali. Anche la Corte costituzionale ci ha detto che è ragionevole un ripensamento della responsabilità erariale. Il problema è che questa riforma si concentra esclusivamente sulla responsabilità, senza occuparsi ad esempio dell’organizzazione e delle risorse. E se è vero che abbiamo la necessità di procedimenti rapidi, ciò vfatto lavorando su digitalizzazione e sana concorrenza, non eliminando le garanzie».
La paura della firma c’è o no?
«Esiste, ma solo in minima parte è dovuta al timore di sanzioni. Ci sono numerosi studi scientifici in proposito. Il primo problema sono le norme poco chiare, spesso sovrapposte fra loro. Il secondo problema è l’assenza di mezzi. Quindi, se vogliamo davvero superare la paura della firma, dobbiamo lavorare sulla chiarezza normativa e insieme garantire risorse e competenze. Laddove un’amministrazione singola non ha le competenze, le dobbiamo mettere in rete. È quello che noi dell’Anac facciamo già, con la qualificazione delle stazioni appaltanti: se uno non sa gestire un appalto, si può appoggiare a chi lo sa fare. Così si crea efficienza e si avvia un circolo virtuoso».
Eppure lei conferma che qualcosa andava fatto.
«Qualche intervento era necessario, ma se non si mantiene l’equilibrio, rischiamo di snaturare la funzione della Corte e di perdere denaro pubblico».
In che modo si finirà per spendere di più?
«Paradossalmente la legge dice che la Corte dei conti avrà molti più compiti di prima, dovendo dare pareri su innumerevoli atti, ma non le si danno nuovi mezzi. L’effetto più probabile sarà che la Corte non avrà la possibilità di fare le verifiche e si formerà una sorta di silenzio-assenso, che fa venire meno ogni responsabilità, anche se si sono buttati via i soldi pubblici. Noto una certa ipocrisia sul punto».
Ricordiamo che se un parere non arriverà entro 30 giorni, chi lo aveva richiesto sarà indenne dal rischio di danno erariale.
«Oltre alla deresponsabilizzazione del singolo, l’effetto finale sarà una perdita di efficienza generale nell’amministrazione, con il rischio di perdere la fiducia dei cittadini. Rischiamo inoltre di pagare con minori opportunità di crescita, perché gli investitori si ritraggono nel momento in cui c’è un’amministrazione che sciupa risorse e agisce in modo poco trasparente».
La riforma Foti ridimensiona molto il rischio per i dirigenti di pagare di tasca propria
«E qui occorre l’equilibrio di cui dicevo. Io credo che alcuni istituti della riforma, presi singolarmente, siano anche giusti. Non è realistico chiedere a un funzionario di pagare per danno erariale cifre che lui non riesce a guadagnare neanche in 20 di carriera. . All’opposto, però, bisogna evitare di dire: vai tranquillo e firma comunque, perché tanto non paga nessuno. In realtà il conto lo pagano i cittadini».
La convincono i tetti massimi per il dirigente, e cioè non più del 30% del danno erariale e non più di due volte la retribuzione annuale?
«Può essere ragionevole, ma occorre fissare anche un tetto minimo, una sorta di franchigia, che si paga comunque. Ed è sbagliato deresponsabilizzare completamente gli eletti, solo perché hanno ottenuto il visto del funzionario di turno. Tanto più che sono proprio i politici a nominare i vertici amministrativi e quindi deciderne la carriera».
La Cassazione intanto ha portato l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio davanti alla Corte costituzionale.
«Sì. E quando ha sollevato la questione di costituzionalità, ha fatto un discorso molto importante: può essere che con un singolo atto non ci sia violazione diretta della Convenzione di Merida contro la corruzione, ma se gli interventi comportano un abbassamento complessivo del livello di tutela, la violazione è indiretta».
E lei, presidente, vede un abbassamento complessivo nella lotta alla corruzione?
«È ciò a cui stiamo assistendo. Ricordo il conflitto di interessi come disciplinato nel nuovo codice dei contratti pubblici, che prevede un’inversione dell’onere della prova. La minore trasparenza negli affidamenti, con tanti affidamenti diretti fino a 140.000 euro per le consulenze o per gli acquisti. Il tetto fino a 5 milioni di euro per i lavori senza obbligo di pubblicare un avviso per gli appalti. Anche se la singola disposizione può essere condivisibile, messe tutte insieme e senza contrappesi adeguati, possono porre un problema di assetto complessivo».
Donald Trump, tra le altre cose, ha cancellato le sanzioni per le società americane che pagassero tangenti all’estero. È un tana-libera-tutti?
«È un grave vulnus. Il quadro internazionale si indebolisce. L’Europa può però conquistare un ruolo significativo con la proposta di direttiva sull’anticorruzione, che favorisce il rispetto delle regole e la correttezza nelle relazioni commerciali. Abbiamo l’occasione di essere più attrattivi per gli investimenti proprio perché teniamo fermi tali principi».
E se qualcuno volesse imitare Washington?
«Sarebbe una scelta miope. Anche a non considerare l’aspetto etico, sul breve periodo chi è più scaltro può avere qualche vantaggio, ma a pagare sono tutti gli altri. Sul lungo periodo, anche chi ha approfittato della corsia preferenziale, finisce per perdere in termini di competitività. Non ci conviene proprio un sistema dove vince non il migliore, ma l’amico del decisore politico».
(da lastampa.it)
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