IL QUAQUARAQUA’ CHE FINGE DI ELIMINARE COCOCO, COCOPRO E COCCODE’
RENZI SI VENDE PURE IL TFR COME SE I SOLDI FOSSERO SUOI
“Cancelleremo i cococo, i cocopro, i coccodè e tutto quello che è stato il precariato in questi anni, daremo contratti con più diritti e chi vuole avere un figlio avrà le stesse tutele degli altri”.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi usa il salotto di Fabio Fazio su Rai3, a Che tempo che fa, per sparare le ultime cartucce: oggi la direzione del Partito democratico, mercoledì torna in aula al Senato il Jobs Act.
La linea è chiara: a parole nessun compromesso con la minoranza del partito, nessuna soluzione intermedia come quelle circolate in queste settimane.
I dissidenti del Pd sono battaglieri ma prudenti. L’ex segretario Pier Luigi Bersani nega l’ipotesi di scissioni, ma lo fa con una formula minacciosa: “Stia tranquillo, Renzi, stia sereno”.
E quando Renzi twittò #Enricostaisereno, sappiamo che fine ha fatto il governo di Enrico Letta pochi giorni dopo.
Dal Corriere della Sera Massimo D’Alema lamenta che il premier concorda le riforme soltanto con la “vecchia guardia del centrodestra” di Silvio Berlusconi e Denis Verdini e poi impone quegli accordi al partito “con il metodo del centralismo democratico”.
Il premier è determinato a procedere come uno schiacchiasassi, sa che sostituire i contratti precari con un contratto unico a tutele crescenti privo di articolo 18 (i licenziati senza giusta causa possono sperare solo in un risarcimento ma non nel reintegro al loro posto, a meno che non ci sia stata discriminazione) serve a lanciare un messaggio simbolico alla finanza internazionale.
Erik Nielsen, il capo economista di Unicredit, nella sua nota domenicale scrive: “L’Italia è indietro rispetto ad altri Paesi che hanno implementato buoni compromessi di riforme, ma si prepara a recuperare il tempo perduto”.
Lo schema è questo: dimostrare forza e controllo piegando le resistenze sull’articolo 18 e poi ottenere dall’Europa margini di manovra per riformare gli ammortizzatori sociali.
Il premier ha capito che nella comunicazione deve abbinare i due messaggi: aboliamo l’articolo 18 per aiutare le imprese ma aboliamo anche i contratti precari, rendendo tutti precari.
Simona Bonafè in tv arriva a dire che il Pd può fare quello che vuole perchè ha preso “il 48 per cento” (in realtà il 40,8, e nei sondaggi l’intervento sull’articolo 18 non è molto popolare, è contrario il 65 per cento degli italiani, secondo Ixè).
Angelino Alfano, ministro dell’Interno e leader di Ncd, per creare un po’ di scompiglio invoca il decreto legge — che spaccherebbe il Pd — mentre il sindacato prova a dare segni di vita.
A In mezz’ora di Lucia Annunziata su Rai3 Susanna Camusso, della Cgil, ammette però di non riuscire neppure a parlare con il premier: quando gli telefona “ci sono sempre segretarie molto gentili che rispondono” e lui invece di richiamare risponde via lettera.
Il lavoro è il punto politicamente più delicato, ma la legge di stabilità non sarà da meno.
Renzi conferma una misura su cui erano circolate indiscrezioni nei giorni scorsi: la possibilità di mettere parte del Tfr, il trattamento di fine rapporto, in busta paga.
Per come lo accena il premier, funzionerà così: le banche prendono i prestiti straordinari dalla Bce, sono incentivate (o costrette) a darli alle imprese che, a quel punto, avendo liquidità possono rinunciare a parte di quel prestito mascherato dal lavoratore che è il Tfr.
E chi vuole potrà averne subito una parte da spendere. Così saliranno i consumi.
Ma la misura è complessa e i numeri ancora incerti.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano)
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