IMPRESE PRIVATE STROZZATE DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: ASPETTANO PAGAMENTI PER 70 MILIARDI
QUESTA LA CIFRA DEL DEBITO CHE LO STATO HA VERSO LE AZIENDE PRIVATE…LA COMMISSIONE EUROPEA HA PROPOSTO UNA NORMA CHE IMPONGA IL PAGAMENTO DELLE FATTURE ENTRO 30 GIORNI, ORA SONO 180… IN GRAN BRETAGNA LO STATO PAGA ENTRO 10 GIORNI
Altro che pagamenti in Bot o Btp, il gioco delle tre carte sui circa 70 miliardi di euro di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese private si aggira come una mina vagante sulla credibilità dell’Italia auspicata dal governo Monti.
E non solo a causa della spirale mortale innescata sul sistema imprenditoriale del Paese.
Da un lato, infatti, per gli addetti ai lavori le analisi periodiche della Cgia Mestre di Giuseppe Bortolussi e le cronache specializzate come quelle di Oipa Magazine sono diventate dei bollettini di guerra con i primi paradossali suicidi non più per debiti, ma per i crediti non riscossi.
Dall’altro lato c’è quello che non viene detto in modo molto chiaro, benchè sia chiaro a molti. E cioè che se venisse sbloccato senza un escamotage contabile ad hoc, l’enorme mole di debito commerciale contratto dal pubblico — che in termini di valore rappresenta circa il doppio della manovra salva-Italia — andrebbe a pesare sul conteggio finale del debito pubblico cosa che oggi, in base agli stessi trattati Ue, non accade.
In quest’ottica è chiaro quindi che l’ipotesi di effettuare i pagamenti in titoli di Stato ventilata dal ministro Passera a fine novembre, sulla quale per altro è calato il silenzio, non sarebbe affatto risolutiva.
Non solo per le imprese (il 49 % piccole e medie) che si troverebbero comunque in mano carta o da piazzare non senza difficoltà e perdendo gli interessi, oppure da mettere nel cassetto fino a scadenza senza risolvere il problema liquidità . Certo, meglio Bot e Btp, che niente.
Resta sempre il fatto che la conversione dei crediti in titoli di Stato avrebbe un effetto letale sulla posizione debitoria del Paese con un ulteriore rialzo degli spread in caso di immediata liquidazione da parte dei creditori, tanto che la proposta suona più come una trovata di breve respiro da banchiere che non come una strategia da statista.
Tanto più che della vischiosità della situazione è ben consapevole il nuovo come il vecchio governo.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda, che ha anche aperto a un ammorbidimento del patto di stabilità interno, è stato tra i più chiari nell’ammetterlo dichiarando al Corriere Veneto il 22 dicembre che “ci sono diversi problemi. Per esempio, se le pubbliche amministrazioni cominciassero a pagare, i pagamenti confluirebbero nella spesa e la spesa confluirebbe nel deficit dell’Italia”.
Non ne sa meno il Senato, che nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza di settembre ha potuto leggere come “l’accelerazione dei pagamenti implicherebbe un impatto diverso sugli indicatori di finanza pubblica”.
Il documento si soffermava poi implicitamente sull’altro problema lamentato a ragione dalle imprese: la mancata certificazione del credito (sfuggita all’ultimo dal decreto anti-crisi di settembre) che rende ardua la cessione dello stesso alle banche.
Anche concedendo ai creditori la possibilità di accedere allo sconto bancario, infatti, si manifesterebbe “l’emersione di un maggior debito”.
Stesso ragionamento, complicato dalla burocrazia, va verosimilmente applicato alla conversione dei debiti in crediti d’imposta.
Anche se sembra questo il tasto su cui il governo intende battere, dato che almeno ha allungato alle imprese i tempi di pagamento delle cartelle esattoriali.
Ma la soluzione definitiva resta comunque un vero e proprio rompicapo che con la crisi sta stringendo il credito alle aziende già messe alla corda dai crescenti ritardi dei pagamenti pubblici: 180 giorni secondo l’Ue (52 giorni in più dal 2009) contro i 10 del Regno Unito, 14 della Finlandia, 15 dell’Irlanda e 30 di Lussemburgo e Svezia.
E con differenze marcate per settore e regione.
Per esempio secondo uno studio della Cgia di Mestre sui 40 miliardi di mancati pagamenti cumulati dalle Asl, il 70 % sarebbe concentrato al Sud dove la maglia nera va alla Calabria (925 giorni) e la palma d’oro al Trentino (92 giorni) per una media del settore di 299 giorni. Poco risolutiva in questo senso, benchè benvenuta perchè almeno servirebbe da spartiacque tra passato e futuro, la direttiva comunitaria che impone al pubblico (sanità esclusa) i pagamenti entro 30 giorni con interessi salati sui ritardi e da recepire entro marzo 2013.
La stessa Commissione ha proposto di anticiparla al 2012 per sostenere l’economia nei Paesi membri.
E ha istituito un gruppo di esperti nazionali per discuterne le questioni.
Primo appuntamento il 3 febbraio. Nel frattempo alle imprese non rimane che vegliare sulla gestazione della cosiddetta fase due.
Non senza notare che ormai gli appalti pubblici stanno diventando un affare solo per chi non ha bisogno di pagamenti a breve.
E cioè che ha ottenuto capitali freschi per vie traverse.
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