INTERVISTA A FABIO MUSSI: “ALTRO CHE COOP, QUI E’ MARCIO TUTTO IL SISTEMA”
L’EX MINISTRO DS, DIMESSOSI NEL 2007, DENUNCIA I TROPPI SILENZI DELLA SINISTRA
“Per me è dolorosissimo quando viene fuori il nome di una coop in un’inchiesta. Succede sempre più spesso: Tav di Firenze, Expo, Mose, Mafia Capitale, Ischia. Non posso più sentir parlare di mele marce. È marcita una parte del sistema italiano delle imprese, di cui le coop, non tutte ma molte delle più importanti, ormai fanno parte a pieno titolo, dopo aver perso i loro caratteri distintivi”.
Fabio Mussi ha 67 anni e fa parte del coordinamento nazionale di Sel, anche se rivendica come principale attività attuale quella di nonno.
Ha iniziato a fare politica quasi cinquant’anni fa come fratello siamese di Massimo D’Alema a Pisa, poi ha guidato la sinistra dei Ds fino all’uscita dal partito nel 2007 (mentre era ministro) per non confluire nel nascente Pd.
È tra i pochi politici italiani a non aver mai avuto una sua fondazione.
Voi comunisti nati nell’immediato dopoguerra siete cresciuti con l’epopea della Legacoop. Che cosa provate di fronte a questa degenerazione?
Non so che cosa succede nel Pd, noi in Sel ne stiamo discutendo molto. Io ogni volta che sento queste notizie mi arrabbio e mi chiedo: come è potuto accadere? Come siamo arrivati fin qui?
Veniamo da lontano e siamo andati un po’ troppo lontani?
Sicuramente le coop vengono da lontano. Per me è un dolore anche molto personale. Legacoop nasce di fatto a Piombino nel ’44, subito dopo il passaggio del fronte di guerra, nel quartiere operaio dove sono nato. Alcune donne, tra cui Silvia, la nonna di mia moglie, si organizzano per fare la spesa insieme sfuggendo al mercato nero. È nata così la coop La Proletaria, oggi Unicoop Tirreno. Da lì il fenomeno si è esteso a tutta l’Italia del centro-nord. Mio zio Bruno Mussi era dirigente della Proletaria. Poi prese una pensione da operaio.
Gli attuali manager delle coop sono andati un po’ troppo lontani?
Hanno fatto torto a se stessi e alla Costituzione italiana. Legga l’articolo 45: ‘La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazioneprivata’, e ‘ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità ‘. Bisogna tornare lì, con un’opera di verità e un intervento coraggioso. Altrimenti non hanno senso i vantaggi, anche fiscali, previsti per le coop dalla legge.
Per ora gli opportuni controlli li fa la magistratura.
Lo scandalo è che sia la magistratura a dover scoperchiare questi pentoloni. Ma la politica dov’è?
Magari sa tutto ma non dice niente.
È una storia antica. Le faccio l’esempio del Mose. Nel 2006 mi opposi nel governo Prodi al rifinanziamento. Dicevo: dovevano farlo in dieci anni e ne sono passati 20, hanno già speso il triplo del previsto e chiedono altri soldi. Vogliamo andare a vedere che sta succedendo prima di darglieli?
Che cosa le risposero?
Che non c’era nessuna inchiesta. Solita storia. Se non interviene la magistratura va tutto bene perchè ‘non c’è niente di illegale’. Quando arrivano gli arresti si lamentano perchè la magistratura invade il campo. Me lo ricordo il governatore Galan nel cosiddetto Comitatone del Mose, comandava tutti a bacchetta. Adesso ha patteggiato.
Torniamo alle coop. Manutencoop, poche centinaia di soci, 18 mila dipendenti. È ancora una cooperativa?
Molte sono diventate aziende come le altre, perdendo l’originario carattere mutualistico e solidaristico. Socialista, se mi si consente. Si sono integrate nel capitalismo di relazione, refrattario alla concorrenza, che coltiva relazioni particolari con la politica. È peggio del ’92, quando il sistema corruttivo era governato dai partiti, adesso è una pandemia anarchica. Ognuno si arrangia come può per arraffare.
Le coop si arrangiano con relazioni particolari a sinistra?
No, il rapporto simbiotico lo avevano con il Pci ed è finito con il Pci, più di vent’anni fa. Adesso si vedono rapporti con tutti, destra e sinistra. E il problema della sinistra è con tutte le imprese, non solo con le coop.
Lei dieci anni fa attaccò i vertici Ds sulla vicenda Unipol-Bnl, nell’estate delle scalate bancarie.
Fu una dura battaglia. Era un momento cruciale dello sviluppo del capitalismo finanziario. Anzichè riformare le banche si faceva il tifo per questa o quella scalata, come nel caso dell’iniziativa dell’amico Consorte. Chi aveva un punto di vista critico è stato preso per estremista, chi si è adattato alla realtà si è autoproclamato riformista.
E in questi dieci anni c’è stata un’accelerazione?
Impressionante. Il Pd va al governo con il suo leader e cancella lo Statuto dei lavoratori, costato un secolo di lotte. Attraverso questi fatti si legge ilsenso vero della trasformazione del capitalismo. Dopo la crisi del ’29 il capitalismo americano si è riformato con Roosevelt e Keynes. Cito tre azioni: la separazione tra banche commerciali e banche d’affari, un’aliquota fiscale del 90 per cento sui redditi più alti, un piano di investimenti statali per sostenere la domanda interna.
La crisi di oggi non è meno profonda.
Appunto. Ma se proponi la ricetta di Roosevelt ti danno del comunista. La grande crisi degli ultimi sette anni ci ha sorpreso senza più una sinistra capace in Europa di una proposta alternativa. Da quando sono iniziate globalizzazione e finanziarizzazione targate Reagan e Thatcher è avvenuto un cedimento strutturale della sinistra. Una forma di adattamento, una rinuncia progressiva a ogni forma di cultura critica di cui potrei raccontare le tappe una per una. Parole d’ordine come mercato, concorrenza, flessibilità , delocalizzazione sono state accettate all’interno di una lingua comune che vale per tutti i partiti.
E il grande leader D’Alema è diventato imprenditore vinicolo.
Mi turba di più Tony Blair che fa il consulente per tutti i peggiori dittatori. Anzi, ho visto che D’Alema, dopo la pubblicazione delle intercettazioni, non indagato, denuncia offese e minacce: mi dispiace molto e sono solidale con lui. No, il problema non è il vino, semmai le Fondazioni: sono state tra i vettori della distruzione dei partiti. Il fatto che le operino come lobby è un sottoproblema, quello principale è il sistema di relazioni personali che supera partiti, ridotti a gusci vuoti e comitati elettorali. Ed è anche per questo che non arrivano mai a capire per primi qualcosa, come le ho detto. Vede che tutto si collega?
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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