INTERVISTA A ZORO: “NON INVENTO NULLA, E’ LA POLITICA A FAR RIDERE”
“L’IRONIA E’ GIA’ NEI FATTI, IO NON FACCIO CHE REGISTRARLI”
Diego Bianchi è alla scrivania. Felpa nera, t-shirt con un Beethoven pop stampato, jeans. Se ne sta seduto davanti al computer a preparare i reportage che andranno in onda nello speciale “Gazebo” post elettorale lunedì su Rai Tre in prima serata, ospite d’eccezione Roberto Saviano.
Quasi quattro ore di riprese solo a Napoli. «Ne ricaverò sette minuti», dice.
È indaffarato, perchè è lui che taglia, monta, sceglie le musiche. Giovedì porterà “Zoro Live” all’Auditorium Parco della Musica per la Repubblica delle Idee (Cavea, ore 22).
Gli studi romani di Gazebo, hanno l’atmosfera del posto di frontiera, anche se sono a Prati, quartiere di avvocati.
Quattro stanze spoglie, tavoli da lavoro, porte che sbattono, gente che va e viene: sembra una casa di universitari, solo che alle pareti al posto dei poster ci sono i murales di Makkox.
Zoro — ma lui, a 47 anni, preferisce essere chiamato Diego, che poi è il nome vero nascosto dietro la maschera — è disegnato su una parete: guarda il Colosseo. L’intervista inizia fissando il computer dove scorrono comizi e gente per strada.
Si può raccontare la politica con umorismo?
«Mi limito ad osservare. L’ironia è nei fatti, da parte mia non faccio che registrarli. Il pericolo è che i politici davanti alla telecamera assumano un atteggiamento performativo, cerco di evitarlo».
Quanto conta il montaggio per ottenere l’effetto satirico?
«Taglio molto ma non abuso del montaggio. Una volta ho mostrato Bertolaso durante un comizio. Era solo sul palco che fissava il nulla. Ho lasciato che l’immagine parlasse da sè, aggiungendo come colonna sonora Segnali di vita di Battiato (la canticchia: Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire…, ndr)»
In realtà basta la faccia di Zoro sparata nella telecamera a creare uno straniamento comico
«La verità è che ho un occhio da Prima Repubblica, classico. Mi sono formato in altri anni, quando la politica non era questa. È il corto circuito tra il mio sguardo e il linguaggio politico di adesso che fa ridere. La mia formazione è stata in famiglia, nel quartiere. Alle elementari frequentavo la sezione del Pci di San Giovanni a Porta Metronia, dove erano iscritti i miei genitori. Lì ho poi ambientato il film “Arance e martello ».
Liceo classico, una laurea in scienze politiche. Come è nato Zoro?
«Sono figlio unico, da piccolo a casa giocavo a subbuteo da solo. Mi sdoppiavo, mi triplicavo… Zoro, il mio alter ego, ha origine lì, in quei giochi infantili. Ma non ero triste( ride, ndr). Poi un giorno ho acceso la telecamera e ho iniziato a parlare del mio essere di sinistra, di questa cosa chiamata Pci, poi Pds, infine Pd. Così ho messo in scena il racconto della mia militanza nel primo video su YouTube di Tolleranza Zoro. Prima curavo i contenuti del portale Excite».
Con chi si è laureato?
«Alla Sapienza con Domenico Fisichella, diventato poi ministro dei Beni culturali del governo Berlusconi. Con una tesi sulla Rete di Orlando e la Lega».
Il pensiero critico è un modo per fare politica?
«Mia nonna diceva che la politica si fa pure al bagno. Per quanto mi riguarda sono stato un militante. Certo però non credo nella causa di un partito quanto nella causa del racconto della realtà ».
Un racconto che ha tanti registri. I reportage dai campi profughi di Idomeni, Lesbo, Calais sono tutt’altro che ironici.
«Cerco di trattare con leggerezza una materia pesantissima. Ho sempre avuto interesse per il sociale. Ora il grande tema è l’immigrazione, in studio lunedì ci sarà Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa. Siamo entrati nella jungle di Calais, comprato le calosce, camminato nel fango, ci siamo ritrovati nel mezzo di una guerriglia tra poliziotti e comunità curda, dormito in una tenda. Lavoriamo così, al pubblico mostriamo tutto ciò che ci capita».
Non è che si era stancato delle storie del Palazzo?
«Un po’, ero stanco delle beghe dei partiti, sentivo il bisogno di andare in giro per il mondo».
Un ricordo incancellabile.
«Al confine serbo-ungherese, dove arrivavano pullman pieni di serbi. Non riesco a dimenticare una madre strappata alla figlia. A che serve aggiungere commenti? Fare politica è anche questo: far vedere che cosa accade davvero ».
Raffaella De Santis
(da “La Repubblica”)
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