INTERVISTA AD EPIFANI, IL SEGRETARIO CHE STA FACENDO RISALIRE IL PD: “BERLUSCONI GARANTISCA DUE ANNI DI STABILITA'”
“RENZI E’ UNA PERSONA INTELLIGENTE, NON FAREBBE MAI CADERE IL GOVERNO”
«Berlusconi dovrebbe garantire una stabilità di due anni al governo, solo così si potranno varare le riforme» e bisogna evitare di «trasformare il presidenzialismo in una bandiera, altrimenti non si va lontano».
Piuttosto la cosa urgente è cambiare la legge elettorale per evitare di «ritrovarci col porcellum se le cose dovessero precipitare».
Guglielmo Epifani non crede che gli scossoni alla stabilità possano derivare dal suo partito, anche se venisse eletto segretario Matteo Renzi «di sicuro non farebbe mai cadere il governo, anzi»; e il Pd ritroverà una «identità forte» con un congresso costruito in modo da far tramontare «l’eccessivo peso che hanno avuto fin qui le correnti».
Quanto durerà il governo se l’Europa non allenterà i vincoli di bilancio?
«Certo, l’andamento economico è ancora negativo, non c’è una ripresa, a fine anno avremo ancora 120 mila disoccupati e ciò rafforzerebbe il bisogno di un governo stabile. Dall’altro lato, è chiaro che si amplia la forbice tra i bisogni di giovani, imprese e famiglie e la possibilità di fare manovre di sostegno agli investimenti. E qui sta il rischio per il governo, connesso pure a qualche rischio sociale, non ho mai visto una cosa come quella accaduta ieri a Terni. Ma è chiaro che il Consiglio europeo di giugno è un passaggio cruciale per poter incentivare l’occupazione».
In tutto ciò, Berlusconi benedice il presidenzialismo, ma lei frena su tutto il percorso. Paura di contraccolpi a sinistra?
«No, il problema è che bisogna fare le cose per bene. Questa discussione sul semipresidenzialismo sta diventando una bandiera per tifoserie. Non si affrontano così problemi delicati. Io invito a fare le cose coi tempi giusti perchè voglio portare a termine le riforme e invece temo che questa accelerazione ideologica sia un modo per non farle. Dobbiamo procedere per gradi, far istruire bene tutto il dossier partendo dall’inizio: superare il bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari e varare il Senato delle regioni. Con una verifica attenta del rapporto tra poteri centrali e poteri regionali. E solo poi si arriva alla forma di governo».
E la sua preferenza a quale soluzione va, cancellierato o semipresidenzialismo?
«Ci può essere una soluzione nel solco della tradizione italiana, accentuando i poteri del capo del governo, oppure virare su una forma di semipresidenzialismo, più innovativa, ma che richiede un numero di interventi amplissimo su oltre trenta articoli della Costituzione. Se si antepone a tutto una soluzione del problema, non si costruisce nulla. E se questo tema delle riforme viene vissuto in maniera astratta, non viene capito dalle persone: bisogna collegarle alla condizione sociale del paese, per non farle sembrare una cosa molto lontana dai bisogni reali più immediati. Quindi la soluzione finale non va ideologizzata, ma va ben costruita per farne capire il senso».
Forse pensa che una rivoluzione copernicana come questa non si possa varare con Berlusconi ancora in campo?
«La mia preoccupazione non è legata alla persona, ma al fatto se il centrodestra intenda continuare o no con una politica di servizio per il Paese. Un percorso istituzionale come questo ha bisogno di una promessa di stabilità di due anni. Se sul Parlamento si dovessero scaricare le tensioni che una parte della maggioranza trasferisce sul governo, ciò finirebbe per riflettersi sul percorso delle riforme. Berlusconi dice oggi che il governo è stabile, poi magari domani qualcuno dei suoi dice l’opposto, ma sono i fatti che contano. E siccome sono vent’anni che ci si prova senza riuscirci, se dovessimo fallire anche stavolta si amplierebbe il solco tra politica e Paese. Nelle prossime settimane potremmo cominciare a capire le tensioni che possono provenire sul governo dal fronte giudiziario».
Quando lei dice «teniamoci pronti a tutto», intende che va cambiata subito la legge elettorale?
«Intendo dire che quando sarà , tra un giorno o tra cinque anni, non potremmo tornare a votare con questa legge, quindi dobbiamo predisporci ad avere un sistema elettorale che risponda a due requisiti: assicurare governabilità , quindi indicazione di maggioranze e minoranze e libertà di scelta dei candidati. Ma non faremo un referendum sugli iscritti con un sì o un no, coinvolgeremo nella discussione anche il popolo delle primarie, nei nostri circoli».
Lei accusa il Pdl di minare la vita del governo, ma anche il Pd non scherza. Che succederebbe se venisse eletto segretario Renzi?
«Siccome è una persona molto intelligente, come potrebbe far cadere un governo di cui è premier un esponente del suo partito? Il Pd gli si rivolterebbe contro. Escluderei questo rischio».
Lei lo voterebbe se si candidasse segretario?
«Intanto stiamo parlando di un’ipotesi di terzo tipo, dipenderebbe comunque dal contesto e dal programma. Lui appartiene a questa comunità ed è una persona di grande rilievo, non c’è alcun dubbio».
Si è pentito di aver accettato di portare la croce del Pd? O ci sta prendendo gusto?
«Il primo mese è stato durissimo, vissuto spesso in solitudine, ma ora le cose stanno migliorando, anche i ballottaggi andranno bene, addirittura i sondaggi ci danno in risalita: si sta stemperando il confronto interno e non c’è stato alcun braccio di ferro con Renzi sui ruoli della segreteria. Ma il problema è un altro: ho trovato una situazione piena di spifferi, con un ruolo eccessivo delle correnti che non possono diventare centri di potere, per scegliere non i migliori ma i più fedeli. Questa situazione va modificata, il congresso deve rimotivare e appassionare. E per questo, le candidature devono arrivare alla fine di un percorso, altrimenti la discussione è solo sul chi, mai sul cosa. Alla fine forse potrei svolgere positivamente la mia funzione di traghettamento». “Io invito a fare le cose coi tempi giusti perchè voglio fare le riforme e invece temo che questa accelerazione ideologica sia un modo per non farle. Nel caso in cui Renzi diventasse segretario, escludo il rischio che possa far cadere un governo di cui è premier un esponente del suo partito”
Carlo Bertini
(da “La Stampa“)
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