IVO, L’AVVOCATO ITALIANO CHE HA SFIDATO IL VOTO SU BREXIT
E’ STATO L’ANIMA DELLA BATTAGLIA DEL RICORSO VINTO
Ivo Ilic Gabara ha capito che lui e i suoi potevano vincere quando davanti all’Alta Corte, di colpo, la questione è diventata personale.
A inizio ottobre il Procuratore generale dell’Inghilterra e del Galles Jeremy Wright ha aggredito verbalmente Gina Miller, invece di rifarsi alla legge: secondo l’avvocato del governo di Londra, questa manager della finanza etica nata in Guyana stava cercando di sovvertire la volontà del popolo espressa nel referendum sul divorzio dall’Unione europea.
Gli attacchi personali al posto degli argomenti giuridici sono sempre una spia che questi ultimi scarseggiano.
Sono tic tipici più di un regime autoritario, che delle battaglie davanti alle parrucche bianche dell’Alta Corte dei Lord.
Ivo Gabara, 56 anni, italiano trasferitosi a Londra nel 2008, non li aveva messi in conto quando all’inizio dell’estate con un piccolo gruppo di alleati ha gettato il seme della svolta di ieri.
Era il mercoledì dopo il referendum sulla Brexit, 29 giugno. In una saletta di Mishcon de Reya, uno dei grandi studi di avvocati d’affari della City, Miller, Gabara e pochi altri si ritrovano per impostare la sfida legale che ieri avrebbe segnato una prima vittoria.
«Non abbiamo mai cercato di rovesciare l’esito del referendum nè di impedire la Brexit», dice Gabara, presidente e proprietario di una società di comunicazione con clienti come i governi del Bangladesh e delle Mauritius o grandi gruppi, da Exxon Mobil a Telia Sonera.
«Volevamo ristabilire il principio che nel Regno Unito il Parlamento è la sede della sovranità e non lo si può accantonare in un corto circuito fra un referendum consultivo e l’azione incontrastata del governo. Sarebbe stato uno stravolgimento della Costituzione formatasi in secoli di common law , quasi un colpo di Stato».
Rapidamente Miller, Gabara e una decina di altri, in buona parte soci di Mishcon de Reya, hanno formato un «comitato d’indirizzo» che avrebbe portato al duello di questo autunno nei tribunali.
Lo studio legale fondato dallo scomparso Victor Mishcon, figlio di un rabbino polacco che aveva trovato la salvezza a Londra, presto avrebbe pagato per la sua scelta di esporsi: in luglio davanti alle sue finestre hanno iniziato a formarsi proteste e picchetti di fautori più radicali della Brexit.
Da allora molti dei nomi dei registi del ricorso sono rimasti gelosamente custoditi nei computer dello studio.
Per rappresentare Miller all’Alta Corte Mishcon de Reya ha ingaggiato Lord (David) Pannick, un «Queen’s Council», ossia uno degli avvocati da dibattimento più celebri della nazione.
A Gabara tocca il compito di parlare a nome del gruppo e gestire la comunicazione di Miller. Quanto agli altri sostenitori della causa, si sa solo che fra di essi si trovano figure di punta del mondo degli affari e dell’industria.
«Non solo soci di Mishcon de Reya – si limita a dire Gabara –. Ci sono anche clienti dello studio, come la stessa Miller. Non posso aggiungere altro per non dare adito a inesistenti teorie del complotto», aggiunge l’italiano.
«Se tirassimo fuori i nomi, saremmo tacciati di essere l’èlite di Londra che vuole rovesciare la volontà del popolo».
Questa cortina di segreto rischia di alimentare i sospetti dei fautori della Brexit. A Gabara preme sottolineare il coraggio della donna che ha messo il suo nome sulla battaglia legale: «Nel clima di aggressione seguito al referendum non si è mai tirata indietro».
Fare di lei il volto della sfida nelle Corti è stata una decisione presa a fine luglio, dopo il primo dibattimento: allora divenne chiaro che sarebbe bastato avere un unico ricorrente ufficiale.
Gabara però sa bene che la vittoria non è ancora assicurata. Da tempo la Corte Suprema aveva riservato il 7 e 8 dicembre per l’appello che sarebbe sicuramente seguito.
Ma un primo segnale c’è già , nota l’italiano: «Abbiamo dimostrato che il Regno Unito resta la patria dello Stato di diritto. Non si possono privare milioni di britannici della possibilità di vivere gli anni della pensione in Spagna o di aprire un conto in Germania, senza prima ascoltare il Parlamento».
L’Alta Corte in realtà non precisa se la Camera dei Comuni dovrà votare un mandato preciso al governo per i negoziati di secessione dalla Ue, oppure alla premier Theresa May basterà una rapida consultazione.
In ogni caso il Parlamento non oserà esprimersi contro la Brexit. «Ma il referendum non ha mai decretato che dovrà esserci la rottura radicale che il governo persegue. Non ha mai dato mandato al premier di portare il Paese fuori dal mercato unico, danneggiando l’industria dell’auto, della farmaceutica e della finanza – nota Gabara –. Ora grazie a noi i moderati tornano in gioco».
Federico Fubini
(da “il Corriere della Sera”)
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