LA COMANDANTE DELLA SEA WATCH: “PRONTA A FORZARE IL BLOCCO, PORTO I MIGRANTI A LAMPEDUSA, SEQUESTRINO LA NAVE MA LA VITA UMANA DI CHI E’ A BORDO VALE DI PIU DEL GIOCO POLITICO DEL GOVERNO ITALIANO”
ATTENDE SOLO LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI STRASBURGO, LA SITUAZIONE A BORDO NON E’ PIU’ SOSTENIBILE
Ora siamo vicini allo scontro finale, bisogna solo aspettare cosa decideranno a Strasburgo.
“Io voglio entrare. Entro nelle acque italiane e li porto in salvo a Lampedusa. Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì”.
Così Carola Rackete, la 31enne comandante tedesca della nave Sea Whatch 3. “So che c’è il rischio di essere multata e che la nave verrà sequestrata, ma io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più – prosegue la capitana – La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto”.
“I migranti a bordo sono disperati. Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle – racconta Rackete – Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L’Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa. Ci sono anche tre minorenni, ragazzi di 11, 16 e 17 anni. Non stanno male, ma in Libia hanno subito abusi. Il 14 giugno ho fatto richiesta al Tribunale dei minorenni di Palermo perchè prendesse in carico il loro caso. Non mi ha risposto nessuno”.
“Secondo Salvini dovremmo andare in Olanda? E’ ridicolo, bisognerebbe circumnavigare l’Europa!”, sottolinea la comandante della Sea Watch, “Oltretutto anche l’Olanda non collabora, Malta ha negato l’autorizzazione e la Tunisia non ha una normativa che tuteli i rifugiati” aggiunge Rackete
“Come sono finita nel Mediterraneo a salvare i migranti? La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare 3 università , a 23 anni mi sono laureata. Sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito un obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità “, conclude Rackete.
(da Globalist)
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