LA GABBIA: LA LEGISLATURA E’ DIVENTATO UN INVOLUCRO DI CONFLITTI SENZA ROTTURA
IL FALLIMENTO DELLA STRATEGIA DI RENZI CHE RESTA IRRILEVANTE NEI SONDAGGI … E SETTE SUOI PARLAMENTARI HANNO GIA’ RIBUSSATO ALLE PORTE DEL PD
Dunque, nel suo “ultimo post” sulla prescrizione, Matteo Renzi fa sapere che voterà la fiducia al mille-proroghe e che, con lo spirito dell’“alleato” e non del “suddito”, non rinuncia alla battaglia sulla prescrizione, quando sarà . Battaglia che, un po’ come la rivoluzione per Gaber, si celebrerà “oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente”. Perchè lo strumento scelto, il disegno di legge sulla riforma del processo penale, si discuterà chissà quando.
Ecco, ancora una volta, l’asse politico dominante del governo è il rinvio, con la paradossale conclusione (per Renzi) che resta la legge vigente, quella Bonafede, in nome della quale è stata ingaggiata la madre di tutte le battaglie.
La vicenda è paradigmatica di una legislatura diventata una “gabbia”: un involucro, dentro il quale il governo di turno produce i suoi conflitti, in una dimensione separata dalla realtà e dalle sue urgenze.
La tenzone non è nè sul Pil, nè sulle politiche per il lavoro, nè sul Coronavirus o sull’immigrazione, su nessuno dei gridi di dolore o delle emergenze reali che si levano dal paese verso il Palazzo.
Ma si consuma in una dimensione di estraneità su una roba incomprensibile come lo stop alla prescrizione per chi è condannato dopo due gradi di giudizio.
È in questa dimensione che il governo giallorosso oggi, come quello gialloverde prima del colpo di sole di Salvini, vive una crisi politica a bassa intensità permanente, senza un orizzonte progettuale e senza che nessuno abbia la forza di staccare la spina, al netto dei ruggiti di giornata.
È la dimensione di una crisi che “si dice ma non si fa”, mai formalizzata, secondo le logiche della politica razionale e le antiche consuetudini repubblicane. In questo senso questa legislatura rappresenta una grande rottura istituzionale, in tempi di populismo perchè tutto è lecito, come parola e prassi, anche maggioranza e opposizione dentro lo stesso governo.
È chiaro che tutta questa vicenda racconta una sorta di “morte in diretta” del progetto politico di Renzi, e di una sua crisi psicologica e di collocazione: l’idea di fare il Macron italiano riducendo il Pd al ruolo che in Francia ha il Ps è franata nel piccolo cabotaggio di una politica senza prospettiva e senza una complessiva “proposta di governo”, totalmente ego-riferita.
Ma, al tempo stesso, in questo passaggio e in vista del prossimo, si chiami Autostrade o intercettazioni, Renzi ha ottenuto, di fatto, la licenza delle “mani libere”. Ha votato tre volte contro la maggioranza di cui fa parte, ha disertato un consiglio dei ministri di cui fa parte, si è concesso liceità semantiche e libertà di provocare, come il “cacciatemi” sapendo che nessuno lo farà , almeno per ora.
E sapendo che non si può votare. E questo è l’unico argine istituzionale che porta alla crisi un minimo di logica. Il referendum istituzionale del 29 marzo non rinviabile, poi vanno ridisegnati i collegi, insomma prima di settembre non esiste nessuna finestra. Poi c’è la finanziaria: non è un caso — fu la discussione anche dello scorso anno — che in autunno non si è mai votato
Ecco, dicevamo: la gabbia, dentro la quale si consuma una guerriglia tutta interna, tutta politicista, tutta priva di respiro.
Nell’ossessiva ricerca di un capro espiatorio per giustificare il proprio fallimento nei consensi, Renzi ha eletto Conte a nemico da abbattere per arrivare a un nuovo governo guidato da chicchessia, ma sa che non tutti i suoi sono disposti a seguirlo nell’affondo finale.
I ben informati raccontano che sarebbero sette i parlamentari che hanno riaperto canali col Pd.
Nella sua tenace volontà di resistere il premier, pur consapevole di questo dato, è titubante rispetto all’ipotesi di forzare, sollecitando la formazione di un gruppo di “responsabili” a sostegno del governo, perchè c’è sempre un margine di rischio.
E sa che, in caso di caduta, a palazzo Chigi non torna più. In una condizione di normalità istituzionale, Conte avrebbe deciso di andare alle Camere, con una piattaforma chiara su cui chiedere la fiducia, e lo avrebbero chiesto i partiti che lo sostengono, mettendo in conto di incassarla (con la stessa maggioranza o con un’altra) o di cadere su una linea e su un progetto per l’Italia.
Non lo farà , anzi neanche ci pensa. Perchè questo principio istituzionale romperebbe la gabbia. Voi capite: siamo dentro una crisi che va ben oltre una crisi di governo mai formalizzata.
(da “Huffingtonpost”)
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