LA GUERRA SEGRETA ANTI-HACKER, MOSSA VINCENTE DI MACRON
LA STRATEGIA DI MAHJPUBI, CAPO DEL TEAM DIGITALE… E SUI SOCIAL VINCE UNA RESISTENZA INGEGNERIZZATA
à€ la guerre comme à la guerre. La vittoria elettorale di Emmanuel Macron si accompagna a un secondo successo, nella guerra segreta contro gli hacker.
La Francia li stava aspettando da marzo, hacker e leaker.
Come in una caccia in cui gli attaccati si spostano di lato, alle spalle degli attaccanti, e li combattono nello spazio cibernetico.
Sapevano di aver ricevuto un attacco (perchè l’hanno individuato per tempo): potrebbero aver marcato le mail sotto attacco, e averci inserito anche dati falsi. Mounir Mahjoubi, capo del team digitale di Macron, ha dichiarato al Daily Beast: «Puoi inondare le mail sotto attacco con password multiple e login veri, o anche falsi, così chi è dietro l’attacco perde tempo a capire».
Una guerriglia è certo contenuta nel botta e risposta con Wikileaks, cioè uno dei due principali amplificatori su twitter del dossier hackerato (il primo è stato Jack Posobiec, un militante pro Trump che risulta profondamente inserito, sui social, nel network ingegnerizzato della destra americana).
Quando gli strateghi di Macron hanno dichiarato ufficialmente che il materiale hackerato mescolava cose vere e falsi – un modo per smorzarne effetti e credibilità – Wikileaks ha subito twittato polemica: «Noi non abbiamo ancora scoperto falsi nei #Macronleaks, e siamo molto scettici che la campagna Macron sia più veloce di noi». E se, scrive il Daily Beast, quei falsi fossero stati impiantati, come autodifesa, dalla campagna Macron?
Sarebbe il primo caso in cui l’attaccato è due passi avanti agli hacker.
Noi in Italia non siamo abituati a ragionare così; eppure siamo ormai nello scenario di una cyberguerra globale.
Questa cyberguerra – secondo moltissimi analisti terzi, da DSFLab a TrendMicro – vede la Russia di Vladimir Putin schierata contro pezzi di mondo democratico occidentale (aiutata da altri pezzi, e da forze politiche dentro l’Occidente).
Il gruppo di hacker dei Macronleaks sarebbe lo stesso che ha operato l’hackeraggio al comitato dei democratici Usa, danneggiando la campagna di Hillary Clinton (le mail hackerate, in realtà , non contenevano scandali, solo manovre politiche dentro il partito democratico per non far prevalere la candidatura di Bernie Sanders).
Con la vittoria di Trump, a Mosca è andata bene; in Francia il copione è stato diverso. Per due eventi, soprattutto.
La prima reazione che ha scompaginato le carte russe è stata la caduta di Franà§ois Fillon: impallinato dallo scandalo rivelato da Le Canard Enchaà®nè, la moglie pagata otto anni con soldi pubblici per non lavorare. In quel momento si profilava persino un possibile ballottaggio tra Le Pen e, appunto, Fillon, due candidati graditissimi a Mosca.
Chi gira quei documenti al Canard? Il mondo socialista? I servizi? Lo stesso campo repubblicano, in cui non mancano profondi antipatizzanti di Fillon, a partire dall’ex ministro Rachida Dati?
Nessuno lo sa, ma è quello il primo passaggio di una guerra non convenzionale che in questo week end ha visto la sua ultima (per ora) tappa: la novità più incredibile della storia dei #Macronleaks è che il fronte Macron – primo in Occidente – ha reagito con tecniche cibernetiche. Come c’è riuscito? Intanto, conosceva i nemici; e aveva visto l’attacco.
Il 25 aprile TrendMicro, nota azienda di cybersecurity, produce un report in cui annuncia che la campagna Macron è stata vittima a marzo di un attacco hacker, condotto con le stesse modalità di quello a Hillary Clinton, dallo stesso gruppo di hacker (noto con vari nomi, Apt28/Pawn Storm/Fancy Bear/Sednit/Sofacy/STRONTIUM), legato strutturalmente al Gru, il direttorato del servizio segreto militare russo.
Il fronte Macron si limita a dire: «Li abbiamo scoperti in tempo».
Se ne ha eco anche nella controffensiva dei macroniani nel giorno di sabato sui social. Le analisi sono spettacolari: inizialmente (venerdì notte) otto dei dieci tweet più ritwittati sul Macronleaks vengono da hub della destra Usa, e tre da WikiLeaks. Lingua inglese.
Dalla mattina di sabato, nota Ben Nimmo, lo scenario cambia: sette dei dieci tweet più ritwittati sono in francese (mentre due da WikiLeaks, e uno da Posobiec): sorpresa, dei sette tweet francesi, cinque non supportano l’hashtag (#Macronleaks), anzi lo fanno a pezzi.
Chi attacca Wikileaks (@gblardone), chi la Le Pen (@Cyrilefevre), chi (@LibeDesintox) fa notare che i Macronleaks sono spinti dagli stessi account che avevano pompato la bufala sui soldi alle Bahamas di Macron (rilanciata da Le Pen in tv).
Un cluster di tweet molto forte, a forma di mezzaluna, insiste intanto sulla provenienza russa dell’hackeraggio. L’account @MalcolmNance ne è stato il campione.
In sostanza, l’hashtag #Macronleaks, con mezzo milione di tweet in un giorno, ha dominato: ma è stato preso e rivoltato da una valanga di account dentro una nuova cyber-Resistenza francese.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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