LA LISTA VENETA DEI GRANDI EVASORI E POLITICI CORROTTI
SCOPERTE OLTRE 200 OFFSHORE CON 250 MILIONI NASCOSTI AL FISCO DA IMPRENDITORI DEL NORDEST
Si chiama “lista De Boccard”.
Dal computer del professionista svizzero Bruno De Boccard, sequestrato dai magistrati della Procura di Venezia, è emerso un elenco di dozzine di imprenditori, soprattutto veneti, protagonisti di una colossale evasione fiscale, celata all’ombra del super condono targato Berlusconi del 2009-2010.
Un fiume di denaro di “oltre 250 milioni di euro”, finora mai completamente ricostruito, dove si mescolano le tangenti ai politici e i fondi neri degli stessi clienti.
Soldi nascosti in scatole di scarpe. Pacchi di banconote consegnati ad anonimi autisti autostradali, in grandi alberghi o studi di commercialisti.
L’indagine della Guardia di Finanza, nata sulla scia dello scandalo del Mose di Venezia, ha già portato al sequestro di oltre 12 milioni di euro.
E ha fatto scoprire un traffico di tangenti per 1,5 milioni nascoste prima in Svizzera e poi in Croazia da una prestanome di Giancarlo Galan, ex governatore veneto e ministro di Forza Italia, già condannato per le maxicorruzioni del Mose.
Questa nuova indagine ha fatto emergere anche una serie di documenti informatici con i dati di centinaia di società offshore utilizzate da politici e imprenditori per nascondere nei paradisi fiscali più di 250 milioni di euro. Molti casi di evasione sono stati però cancellati dalla prescrizione o dallo scudo fiscale.
Secondo L’Espresso, il “re delle valigie” Giovanni Roncato ha ammesso di aver rimpatriato, grazie proprio allo scudo, 13,5 milioni di euro, detenuti all’estero e accumulati in passato “in seguito a minacce rivoltemi da un’organizzazione malavitosa…la Mala del Brenta…nel periodo in cui la banda di Felice Maniero operava molti sequestri di persona”.
Ed ecco partire il carosello del denaro, affidato a “malavitosi ignoti, in due occasioni, circa 200 milioni di lire alla volta, in contanti, al casello di Padova Ovest”.
Un altro nome eccellente che compare nell’inchiesta ribattezzata Padova Papers, germinazione dei più famosi Panama Papers, è quello di Renè Caovilla, titolare di un famoso marchio di scarpe, e boutique in tutto il mondo.
Anche lui, al quale faceva capo la offshore Serena Investors, riporta L’Espresso, si è avvalso dello scudo fiscale, facendo rientrare in Italia 2,2 milioni di euro, “somme non regolarizzate affidate a professionisti operanti con l’estero al fine di depositarle in Svizzera”.
Anche tre commercialisti di uno affermato studio di Padova, giù emersi nelle vicende del Mose, entrano qui in scena come presunti organizzatori del riciclaggio di denaro nero: Paolo Venuti, Guido e Christian Penso.
Tutti collegati al duo San Germano-De Boccard, punti di riferimento di proprietari di hotel, fabbriche di scarpe, imprese di costruzioni e, ancora, big delle calzature. Come Damiano Pipinato, che attiva lo spostamento dei soldi attraverso proprio Guido Penso: “Lui mi telefonava e, in codice, mi chiedeva se avessi due o tre campioni di scarpe. Io sapevo che mi stava chiedendo 100, 200 o 300 mila euro da portare fuori…Io predisponevo il contante all’interno di una scatola di cartone, in un sacchetto, e portavo in macchina nel suo studio a Padova”.
Il dottor Penso non contava il denaro, si fidava, si accontentava della cifra indicata da Pipinato e “rilasciava un post-it manoscritto, con data e importo. Dopo qualche giorno mi esibiva l’estratto di un conto corrente con la cifra da me versata.
A quel punto il post-it veniva stracciato”. Pipinato ha confessato di aver esportato all’estero 33 milioni di euro: 25 in Svizzera, 8 a Dubai.
(da “L’Espresso”)
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