LA SANITÀ È L’ULTIMO FRONTE DI SCONTRO NELLA MAGGIORANZA, AL VERTICE A PALAZZO CHIGI, TAJANI SI È OPPOSTO ALLA PROPOSTA DELLA LEGA DI TRASFORMARE I MEDICI DI BASE IN DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE E ANCHE LA MELONI HA FRENATO IL CARROCCIO
SALVINI INSISTE SULLA NUOVA ROTTAMAZIONE DELLE CARTELLE ESATTORIALI: HA BISOGNO DI UNA BANDIERA DA SVENTOLARE, IN VISTA DEL CONGRESSO DELLA LEGA IN PRIMAVERA. MA FORZISTI E MELONIANI FANNO MURO
La frenata è talmente netta da lasciare i segni sull’asfalto. «È solo una bozza» sciorina sicura Forza Italia quando il vertice tra gli alleati di governo si è appena concluso, attestando come la riforma della Sanità portata dalla Lega al tavolo di Palazzo Chigi sia finita in stand-by.
A pesare, al di là del pressing spinto di Matteo Salvini che ha bussato alla porta della premier spalleggiato dai ministri Orazio Schillaci e Giancarlo Giorgetti, sono stati in primis i dubbi di Giorgia Meloni. Assimilare i medici di famiglia a dei dipendenti pubblici per dare sostanza al progetto delle case di comunità non rischia solo di mettere sul piede di guerra i sindacati di categoria, ma soprattutto di minare le già poche certezze sanitarie degli italiani.
La misura, almeno in questa fase, per Meloni rischierebbe di essere «impopolare». E non è considerato ammissibile sbagliare proprio l’intervento che impatterebbe sulle liste d’attesa, vale a dire il dente dolente scelto ormai da alcuni mesi da Elly Schlein per battere l’esecutivo.
Anche a costo di scontentare i tanti governatori che, con diverse sfumature, ieri si sono palesati davanti a Meloni. Dal presidente della conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga che vorrebbe legare la riforma al progetto autonomista al piemontese Alberto Cirio (favorevole ad una versione intermedia come il calabrese Roberto Occhiuto), fino al laziale Francesco Rocca.
All’interno della maggioranza permangono dubbi sulla ricucitura che la Lega dovrebbe compiere con Rocca all’interno della giunta della Regione Lazio. Oggi è atteso un chiarimento dopo che il cosiddetto salva-casa aveva terremotato l’alleanza. L’esito, spiegano fonti di rilievo a via Bellerio, «non è così scontato».
A dimostrare come nel centrodestra non sia tutto rose e fiori non è tanto la tensione emersa durante il faccia a faccia – stemperata anche dal fatto che Tajani, febbricitante, ha abbandonato in anticipo il tavolo – ma le mosse compiute dal leader del Carroccio subito dopo l’incontro. Lasciato Palazzo Chigi e inaugurato il Consiglio federle leghista, Salvini ha puntato nuovamente tutte le sue fiches sulla pace fiscale.
Sanatoria che FdI non vede affatto di buon occhio. Per i 5 miliardi che secondo la Ragioneria dello Stato costerebbe. Per il suo essere alternativa al taglio dell’Irpef per i redditi medi che invece è voluto con forza a via della Scrofa.
(da agenzie)
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